Quando il giudice di meritodeliberi una sentenza nella quale, applicando l’art. 1226 c.c. dia rilievo alletabelle milanesi esistenti in quel momento e, successivamente, si verifichi lasopravvenienza di un aggiornamento delle stesse prima della conclusione delleoperazioni che sfociano nella pubblicazione della sentenza e, dunque, in unmomento tale in cui sarebbe ancora possibile “ritornare” sulladeliberazione presa – in quanto essa non ha ancora acquisito il valore disentenza – al fine di tenere conto della nuova tabella, non si può ritenere chequesta possibilità sia in realtà un dovere nascente dalla qualificazionedell’aggiornamento delle tabelle come jus superveniens e, dunque, legataall’obbligo del giudice fino al momento della pubblicazione della sentenza, diapplicare il diritto vigente.

Corte di Cassazione, sez. IIICivile, sentenza 10 novembre 2015 – 10 maggio 2016, n. 9367

omissis

Svolgimento del processo

p.1. Nel 2004 G.V. e G.L. ,costei in proprio e quale legale rappresentante del figlio minore S.E. , M.G. eV.G. – tutti nella qualità di congiunti di V.N. , il primo essendone ilconiuge, la seconda la figlia, il terzo il nipote e gli ultimi due i genitori -convenivano in giudizio dinanzi al Tribunale di Rimini C.G. , C.M. e laGenerali s.p.a., per ottenere il risarcimento dei danni subiti per la mortedella loro congiunta, avvenuta in occasione di un sinistro stradale occorso il(omissis) fra l’autovettura su cui si trovava trasportata e l’autovetturacondotta da C.G. , di proprietà di C.M. ed assicurata presso la Generali.

p.2. Il Tribunale, nellacostituzione di C.M. e della società assicuratrice, con sentenza del 25settembre 2007 rigettava la domanda con compensazione delle spese di lite,reputando che non fosse stata fornita dimostrazione della dinamica del sinistroe, peraltro, dando atto che erano state corrisposte dalla società assicuratricea titolo risarcitorio a G.V. Euro 80.00,00, a ciascuno dei genitori della decuius Euro 100.000,00 ed alla figlia G.L. Euro 70.000,00.

p.3. Contro la sentenza gliattori proponevano appello e la Corte d’Appello di Bologna, con sentenza del 10aprile 2013, nella costituzione della Generali e di C.M. , in proprio e qualetutore di C.G. , riformava la sentenza di primo grado, reputando innanzituttoche a favore della de cuius operava, in qualità di trasportata, la presunzionedi responsabilità del C. quale conducente dell’altro veicolo, in difetto diprova liberatoria da parte dei convenuti.

In secondo luogo, la Cortebolognese – dopo avere disatteso l’eccezione degli appellati che assumevanoavere gli attori agito solo in qualità di eredi della de cuius ed averereputato che avevano agito sia in tale qualità che iure proprio – negava laconfigurabilità di un danno iure hereditatis per essere V.N. decedutaimmediatamente dopo l’urto, mentre reputava che la decisione di primo gradofosse condivisibile solo quanto alla negazione del danno patrimoniale e noninvece quanto alla negazione del danno non patrimoniale per la perdita dellacongiunta. Provvedeva, quindi, a liquidare tale danno a favore del marito, deigenitori e di G.L. in importi determinati al netto della “differenza traquanto ricevuto in acconto nell’aprile del 2004 e il valore tabellare minimodel 2011 devalutato, per omogeneità di calcolo, alla data dell’acconto edindividuato per tutti e quattro i soggetti in Euro 135.513,61”. Escludeva,invece, il diritto risarcitorio a favore del nipote Errico Simone. Riconosceva,altresì, sulle somme come sopra determinate la rivalutazione monetariadall’aprile 2004 alla data della sentenza e gli interessi legali da computaresugli importi di anno in anno rivalutati con la medesima decorrenza fino alsaldo.

p.4. Avverso la detta sentenza haproposto ricorso per cassazione G.G. nell’asserita qualità di coerede deidefunti V.G. e M.G. .

Il ricorso, affidato a ottomotivi, è stato proposto nei confronti di G.V. e di G.L. , in proprio e qualelegale rappresentante del figlio minore E.S. , nonché nei confronti dellastessa G.L. “in qualità di coerede dei defunti” genitori, ed altresìcontro la Generali Italia s.p.a., quale conferitaria del ramo di azienda diAssicurazioni Generali s.p.a. e successore a titolo particolare della stessadal 1 luglio 2013 nel diritto controverso, e contro C.M. in proprio e qualetutore di C.G. .

p.5. Al ricorso hanno resistitocon separati controricorsi il C. nella duplice qualità e la Generali Italias.p.a..

p.5. La trattazione del ricorsoveniva fissata per l’udienza del 21 gennaio 2015, ma il Collegio, rilevando cheil primo motivo poneva una questione che risultava rimessa alle Sezioni Unitedella Corte e non ancora decisa, rinviava a nuovo ruolo la trattazione.

p.6. All’esito del deposito delladecisione delle Sezioni Unite la trattazione è stata fissata per l’odiernaudienza, in vista della quale è stata depositata memoria dal ricorrente.

Motivi della decisione

p.1. In via preliminare ilCollegio rileva che la notificazione nei riguardi di G.V. e di G.L. , inproprio e nella qualità di esercente la potestà genitoriale sul figlio minoreE.S. , è avvenuta in modo irrituale.

Essi erano costituti in appello,come emerge dalla sentenza impugnata e dall’indicazione resa dallo stessoricorso, tramite lo stesso difensore che oggi patrocina per conto delricorrente in questo giudizio di legittimità e, dunque, la notificazioneavrebbe dovuto essere loro fatta presso il loro procuratore domiciliatario.

La notificazione risulta fattainvece presso la loro residenza e tra l’altro a G.L. solo nella qualità dicoerede.

Tale ultima notificazione èidonea a provocare il contraddittorio della G. solo nella detta qualità, cioècome erede dei defunti V.G. e M.G. , atteso che riguardo a tale posizioneacquisita nel corso del giudizio di appello, non poteva valere ladomiciliazione riferita alla diversa qualità in cui la medesima era ingiudizio.

p.1.1. Peraltro, illitisconsorzio fra i vari soggetti che avevano chiesto il risarcimento era dinatura facoltativa e tale è rimasto anche nel giudizio di appello. Ne segue chericorre la situazione di cui all’art. 332 c.p.c. ed essendo ormai preclusa unimpugnazione da parte sia di G.V. sia di G.L. , in proprio e quale esercente lapotestà sul figlio minore, la trattazione può avere corso.

Nessuna contestazione dellaqualità di coeredi del ricorrente e della G.L. è stata prospettata e, d’altrocanto, la trattazione riguarda la posizione del ricorrente solo come coerede e,dunque, come subentrato nel diritto risarcitorio fatto valere da V.G. e M.G. .

p.2. Con il primo motivo sidenuncia “violazione di legge: art. 360 n. 3 c.p.c. in relazione agliartt. 2043 c.c., 2056 c.c., 2059 c.c., 1223 c.c., 1226 c.c. e 432 c.p.c.”e congiuntamente “vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria ederronea motivazione: art. 360 n. 5 c.p.c. in relazione alla statuizione con cuila Corte di Appello di Bologna non ha riconosciuto ai genitori di V.N. ilrisarcimento del danno sofferto iure hereditatis”.

Il motivo in iure, con il qualeci si doleva che il danno per il titolo indicato non fosse stato riconosciutosulla base del presupposto che la povera V.N. fosse deceduta immediatamentedopo l’urto, è infondato alla stregua della sopravvenuta decisione delleSezioni Unite, in attesa della quale era stato disposto il rinvio dellatrattazione. Infatti, Cass. sez. un. n. 15350 del 2015 ha così statuito:”In materia di danno non patrimoniale, in caso di morte cagionata da unillecito, il pregiudizio conseguente è costituito dalla perdita della vita, benegiuridico autonomo rispetto alla salute, fruibile solo in natura dal titolare einsuscettibile di essere reintegrato per equivalente, sicché, ove il decesso siverifichi immediatamente o dopo brevissimo tempo dalle lesioni personali, deveescludersi (a risarcibilità iure hereditatis di tale pregiudizio, in ragione -nel primo caso – dell’assenza del soggetto al quale sia collegabile la perditadel bene e nel cui patrimonio possa essere acquisito il relativo creditorisarcitorio, ovvero – nel secondo – della mancanza di utilità di uno spazio divita brevissimo”.

Per completezza si rileva che ilparadigma del n. 5, ancorché evocato con riferimento al testo non più vigente,non trovava alcuna rispondenza nell’illustrazione del motivo, che non ponevaaltro che la quaestio iuris decisa dall’arresto delle Sezioni Unite.

p.3. Con il secondo motivo siprospetta “violazione di legge: art. 360 n. 3 c.p.c. in relazione agliartt. 2043 c.c., 2056 c.c., 2059 c.c., 1223 c.c., 1226 c.c. e 432 c.p.c.”e congiuntamente “vizio di omessa, insufficiente, erronea econtraddittoria motivazione: art. 360 n. 5 c.p.c. in relazione alla statuizionecon cui la Corte di Appello di Bologna ha incongruamente applicato le tabelledi liquidazione del danno di Milano 2001”.

Il motivo censura la sentenzaimpugnata per avere liquidato a favore dei genitori della defunta V.N. a titolodi danno per lesione del vincolo parentale, cioè per la morte della figlia, unimporto calcolato sulla base del minimo delle c.d. tabelle milanesi del 2011, anzichésulla base di quelle operanti dal gennaio del 2013. In tal modo la Corteterritoriale avrebbe violato il principio giurisprudenziale che si dice”costante” nel senso che la liquidazione tabellare debba essereeffettuata sulla base delle tariffe in vigore al momento dell’emissione dellasentenza.

p.3.1. Il motivo non è fondato.

Queste le ragioni.

p.3.2. Rileva il Collegio che letabelle milanesi, che il ricorrente riferisce all’anno 2013, risultanopubblicate dall’Osservatorio della Giustizia Civile di Milano, come si evincedalla date della relativa nota esplicativa, il 20 marzo 2013, a seguito di unadeliberazione intervenuta in una riunione del 6 marzo precedente.L’aggiornamento, che è stato indicato nella misura del 5,6535%, ha riguardatol’adeguamento alla variazione del costo della vita dal 1 gennaio 2011 al 1gennaio 2013.

Ora, la sentenza impugnata èstata deliberata il 22 marzo 2013 e pubblicata il 10 aprile 2013.

Da un punto di vista meramentecronologico la deliberazione è stata presa soltanto due giorni dopo lapubblicazione delle tabelle aggiornate ed il Collegio della Corte milanese teoricamenteed astrattamente avrebbe potuto averne conoscenza sulla base del solo criteriotemporale. Tale conoscenza, peraltro, essendo venuta ad esistenza la sentenzacon la pubblicazione avrebbe potuto essere acquisita anche successivamente alladata di deliberazione della sentenza, cioè nella fase di redazione delladecisione e fino alle operazioni indicate dall’art. 119 delle disp. di att.c.p.c. con la consegna al cancelliere dell’originale e l’attestazione da partesua del deposito.

Fino a quel momento si puòpensare che il Collegio milanese avrebbe potuto riconvocarsi e dare rilievoalla tabella aggiornata, procedendo ad una nuova deliberazione che ne tenesseconto, atteso che la decisione civile semplicemente deliberata, al di fuori deicasi in cui sia esternata alle parti con la pronuncia del dispositivo, riguardoal quale debba poi essere depositata la motivazione, è ridiscutibile dallostesso organo giudicante nella stesa composizione fino al momento dellapubblicazione, rivestendo le attività processuali fino a quel momento carattereinterno.

p.3.3. Il punto è se, una voltaconsiderato tale principio, del quale si darà conto di seguito, possa ritenersiche il non essersi proceduto ad una nuova convocazione e deliberazione inrelazione alla descritta scansione temporale della deliberazione e dellapubblicazione della tabella, abbia integrato una violazione di legge nel sensodell’applicazione di una regola di diritto nella liquidazione del dannoerronea. Ciò si potrebbe ritenere solo se il Collegio milanese fosse statovincolato a tenere conto della sopravvenienza dell’aggiornamento della tabellacome se si fosse trattato di un jus superveniens.

Al fine di dare rispostaall’interrogativo il Collegio considera che assume valore decisivo in primoluogo la corretta individuazione del valore delle c.d. tabelle milanesi ed inparticolare un dato: quello dell’esclusione della loro caratterizzazione comefonti di norme di diritto.

p.3.4. In proposito questa Cortesi è soffermata sulla natura delle tabelle milanesi e sul come la loroinosservanza si ponga rispetto ai paradigmi dell’art. 360 c.p.c. nella sentenzan. 4447 del 2014.

In detta decisione la Corte si èsoffermata su quello che ha individuato come il problema della “ritualitàdella deduzione come violazione di norma di diritto delle c.d. tabellemilanesi” ed ha svolto le seguenti considerazioni.

Dopo avere dichiarato dicondividere “all’uopo la soluzione positiva affermata da Cass. n. 12408del 2011 nel senso che “nella liquidazione del danno biologico, quandomanchino criteri stabiliti dalla legge, l’adozione della regola equitativa dicui all’art. 1226 c.c., deve garantire non solo una adeguata valutazione dellecircostanze del caso concreto, ma anche l’uniformità di giudizio a fronte dicasi analoghi, essendo intollerabile e non rispondente ad equità che danniidentici possano essere liquidati in misura diversa sol perché esaminati dadifferenti Uffici giudiziali” e che “garantisce tale uniformità ditrattamento il riferimento al criterio di liquidazione predisposto dalTribunale di Milano, essendo esso già ampiamente diffuso sul territorionazionale – e al quale la S.C., in applicazione dell’art. 3 Cost., riconosce lavalenza, in linea generale, di parametro di conformità della valutazioneequitativa del danno biologico alle disposizioni di cui agli artt. 1226 e 2056c.c. -, salvo che non sussistano in concreto circostanze idonee a giustificarnel’abbandono”, la sentenza si è così espressa: “… il valore delletabelle milanesi riconosciuto dalla sentenza n. 12408 del 2011 va inteso, adavviso del Collegio, non già nel senso di avallare l’idea che le dette tabelleed i loro adeguamenti siano divenute esse stesse in via diretta una normativadi diritto, che occorrerebbe necessariamente qualificare all’interno dellacategoria delle fonti per come regolata, sia pure ormai indirettamente perquanto concerne il concetto di legge, dall’art. 1 preleggi (ma non solo), bensìnel senso che esse integrino i parametri di individuazione di un correttoesercizio del potere di liquidazione del danno non patrimoniale con lavalutazione equitativa normativamente prevista dall’art. 1226 c.c. Le Tabellesono dunque “normative” nel senso che sono da riconoscere comeparametri di corretto esercizio del potere di cui all’art. 1226 e, dunque, dicorretta applicazione di tale norma. Esse hanno, pertanto, valore normativo nelsenso che forniscono gli elementi per concretare il concetto elastico previstonella norma dell’art. 1226 c.c. Norma questa che necessariamente viene in rilievoallorquando debba liquidarsi il danno non patrimoniale nell’accezionericostruita da Cass. sez. un. n. 26972 del 2008, che per definizione, inassenza, di solito, di parametri normativi in senso stretto predefiniti, non sipresta ad essere “provato nel suo preciso ammontare”. Le TabelleMilanesi, in quanto determinative di criteri di quantificazione del dannopatrimoniale, assumono rilievo, sulla base delle considerazioni svolte da Cass.n. 12408 del 2011 come “fonti” in base alle quali è possibile, di regola,considerare correttamente esercitato il potere di liquidazione equitativa dicui all’art. 1226 c.c. Dunque, i criteri da esse poste, si vedono attribuire ilcarattere di parametri di apprezzamento della correttezza dell’esercizio delpotere di cui all’art. 1226 c.c., per cui tale potere ne deve necessariamentetenere conto nell’esternarsi con la motivazione. Ciò, non già per una direttaforza cogente che esse abbiano sub specie di norme di diritto, bensì pereffetto del riconoscimento della loro corrispondenza sul piano generale aicriteri di equità che questa Corte, in subiecta materia, ha ravvisato debbanoapplicarsi. Esse, quindi, siccome individuatrici del concetto di valutazioneequitativa, assumono rilievo come una sorta di elemento extratestuale dellanorma dell’art. 1226 c.c., ravvisato dalla Corte con riferimento a ciò che si èevidenziato nel multiforme divenire della società e, quindi, nelle applicazioniconcrete, con riferimento al problema della ricerca di parametri di equitànella valutazione del danno non patrimoniale. In sostanza, è come se questaCorte avesse riscontrato, come Le compete nella ricerca del significato di ognielemento testuale di cui si compone una norma dell’ordinamento, che il concettodi valutazione equitativa previsto nell’art. 1226, una volta applicato alproblema della liquidazione del danno non patrimoniale alla persona, esige, pergli svolgimenti che il problema ha avuto nelle applicazioni pratiche, che sidebba fare riferimento alle Tabelle Milanesi come basate su criteri che, per ilfatto stesso che hanno svolto efficacia persuasiva di gran lunga prevalentenelle applicazioni giurisprudenziali, sono idonee a meglio individuare il concettodi liquidazione equitativa di quel danno.

In questo senso, poiché dette Tabellerilevano come parametri per la valutazione equitativa del danno nonpatrimoniale alla persona e, dunque, per l’individuazione di un elemento di unanorma giuridica, qual è quella dell’art. 1226 c.c., il motivo si puòcorrettamente dedotto in iure ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, là doveprospetta in buona sostanza che la Corte territoriale avrebbe male applicato leTabelle, perché così facendo denuncia un errore di violazione dell’art. 1226c.c.”.

p.3.5. La natura delle tabellecosì ricostruita esclude, dunque, che esse, una volta deliberate, assumano ilvalore di normativa di diritto in via diretta, in quanto esse non sonoespressione di una fonte di produzione di norme di diritto.

L’unica norma che viene inrilievo quando se ne fa applicazione è, invece, l’art. 1226 c.c. nel sensoindicato dalla riportata motivazione.

Ne deriva una prima conseguenza:la circostanza dell’aggiornamento delle tabelle non rileva e non può rilevarecome evento che determina un jus superveniens, cioè la produzione di unanormativa giuridica direttamente cogente e, quindi, da applicarsi dal giudice.

Tale constatazione implica questaconclusione: allorquando il giudice di merito deliberi una sentenza nellaquale, applicando l’art. 1226 c.c. dia rilievo alle tabelle milanesi esistentiin quel momento e, successivamente, si verifichi la sopravvenienza di unaggiornamento delle stesse prima della conclusione delle operazioni chesfociano nella pubblicazione della sentenza e, dunque, in un momento tale incui sarebbe ancora possibile “ritornare” sulla deliberazione presa -in quanto essa non ha ancora acquisito il valore di sentenza – al fine ditenere conto della nuova tabella, non si può ritenere che questa possibilitàsia in realtà un dovere nascente dalla qualificazione dell’aggiornamento delletabelle come jus superveniens e, dunque, conciata all’obbligo del giudice finoal momento della pubblicazione della sentenza di applicare il diritto vigente.

Ne deriva che non può predicarsi,riferendolo direttamente alla modifica delle tabelle, l’applicazione delprincipio di diritto (del resto esteso anche al jus superveniens derivante dapronuncia del Giudice delle Leggi: Cass. n. 5584 del 1999) così espresso:”L’esistenza della sentenza civile è determinata (salvo ipotesi particolari,quale quella del rito del lavoro, ovvero dei riti ad esso legislativamenteequiparati o specialmente disciplinati), dalla sua pubblicazione mediantedeposito nella cancelleria del giudice che l’ha pronunziata, ed il suodispositivo è atto privo di rilevanza giuridica esterna e di definitività. Neconsegue che, nell’ipotesi di entrata in vigore una nuova normativa(dispiegante effetti sostanziali o processuali sul rapporto controverso)nell’intervallo di tempo intercorrente tra la deliberazione e la pubblicazionedella sentenza, è dovere del giudice applicare immediatamente la disciplinasopravvenuta mediante i necessari, consequenziali adempimenti” (Cass. n.5855 del 2000; ma già vedansi: Cass. nn. 3472 del 1972; n. 1689 del 1974; n.1043 del 1975; si vedano anche per riferimenti al caso in cui sia venuto menoun componente del collegio le ordd. nn. 258 del 1998 e n. 538 del 1998).

Il mutamento della tabella,dunque, non integrando un jus superveniens per non essere le tabelle fonte deldiritto, bensì soltanto un mutamento di un parametro per l’applicazionedell’art. 1226 c.c., non può essere considerato come ipotesi riconducibile alprincipio su indicato.

p.3.6. Occorre, tuttavia,domandarsi se la rilevanza delle tabelle come criterio di corretta individuazionedel parametro equitativo ai fini dell’applicazione dell’art. 1226 c.c. nonpossa giustificare il doversi considerare la modifica sopravvenuta delletabelle nelle more della pubblicazione della sentenza come determinativa di unjus superveniens riferibile proprio al contenuto, come regula iuris daapplicarsi al caso concreto, dell’art. 1226 c.c., sì da doversi recuperarel’applicazione del suddetto principio sotto tale profilo.

Ritiene al riguardo il Collegioche ciò debba escludersi per la ragione che in proposito assume valore decisivola considerazione della particolare natura del procedimento di formazione delletabelle e delle loro modifiche e quella altrettanto particolare del modo dellaloro rilevanza nel mondo giuridico per il tramite dell’incidenza sull’esegesidella norma astratta dell’art. 1226 c.c. e, quindi, della applicazione dellastessa al caso concreto.

p.3.7. Sotto il primo aspetto siosserva che, a seguito della pubblicazione della variazione delle tabelle nonopera – data la natura per così dire non pubblicistica sia della fonte dellavariazione sia come si è detto, del risultato della variazione, cioè delcontenuto modificato – alcun criterio che, dal punto di vista delle regole cheil giudice deve osservare, possa determinare in modo certo la conoscenza daparte sua della variazione né in via di fatto, né meno che per il tramite diuna sorta di conoscenza legale rilevante.

Non esiste cioè né un criteriocerto in via di fatto né a maggior ragione un criterio certo in via didisciplina legale idoneo a giustificare il se ed il quando della conoscenzadella modificazione della tabella, si che se ne possa inferire lagiustificazione, in termini di dovere del giudice, che la modifica debbaoperare ai fini dell’esercizio del potere di cui all’art. 1226 c.c. sulla basedell’intervenuta variazione.

p.3.8. Sotto il secondo aspettoed in via ancora più decisiva, d’altro canto, è proprio l’operare delle tabellenel senso indicato dalla decisione di cui sopra si è riportata la motivazioneche non può giustificare in alcun modo l’idea che il mutamento della tabellasopravvenuto alla deliberazione debba giuocare come un indiretto mutamento delparadigma normativo dell’art. 1226 c.c., tale da vincolare il giudice primadella pubblicazione della sentenza deliberata sulla base della tabellaprecedente.

Occorre, infatti, considerare chel’assunzione da parte del giudice di merito della tabella”vigente”come elemento di una corretta applicazione del parametroequitativo ex art. 1226 c.c. nel momento della deliberazione dei valori diaestimatio del danno, avviene con modalità applicative concrete che leassegnano solo il valore di un elemento del ben più complesso procedimento diliquidazione equitativa, sicché le modalità applicative concrete di taleelemento e della sua incidenza sulla aestimatio risultano del tutto variabili,pur se assumono come elemento la detta applicazione. Di modo che, perapprezzare come in concreto il giudizio equitativo ai sensi dell’art. 1226 c.c.sia stato compiuto non è sufficiente individuare quale tabella il giudice haapplicato ed in particolare che ha applicato quella vigente al momento delladeliberazione, ma è necessario considerare come abbia applicato al caso dispecie in concreto quell’elemento, cioè come abbia considerato quella tabella,e, soprattutto, come esso così applicato, sia stato poi applicato in concretoin unione con gli altri elementi individuatori del caso concreto e rilevanti aifini dell’operazione liquidatoria equitativa.

In pratica è certo che ilriferimento alla tabella è esso stesso al suo interno frutto di un’operazioneliquidatoria equitativa e, dunque, non certo un’operazione automatica. Ed ècerto che tale operazione, già di per sé di natura relativa, si relativizzaancora più, cioè considerando il valore mutuato dalla tabella in rapporto conaltri elementi della fattispecie concreta, com’è tipico di una valutazioneequitativa.

L’assoluta relatività del modusprocedendi dell’operazione liquidatoria basata sulle tabelle, che è espressionedella genuina funzione assegnata al giudice da un parametro elastico comequello dell’art. 1226 c.c., pur doverosamente in iure riempito di contenutiattraverso un obbligatorio riferimento alle tabelle stesse, è allora un datoche esclude che l’intervento della modifica della tabella nelle more dellapubblicazione della sentenza debba e possa essere trattato come un mutamentonormativo che il giudice abbia l’obbligo di applicare.

Poiché l’operazione liquidatoriache utilizza le tabelle non discende automaticamente dalla loro applicazionenon può essere giustificato il considerare la modifica delle tabelleintervenuta prima della pubblicazione, anche se in ipotesi percepibile dalgiudice prima di essa, come se si trattasse di un mutamento normativo, un jussuperveniens, di cui si debba obbligatoriamente tenere conto, in quantoincidente sull’art. 1226 c.c..

È quanto, del resto, sipercepisce nella fattispecie: in essa, sulle somme individuate con riferimentoalle tabelle del 2011, sebbene devalutate al momento del pagamento di unacconto, avvenuto nel 2004, la sentenza impugnata (pagg. 10-11) ha riconosciutola rivalutazione monetaria da quel momento fino alla data della sentenza ed ha,altresì, riconosciuto gli interessi legali da computare sugli importi di annoin anno rivalutati con la medesima decorrenza fino al saldo.

In tal modo i valori tabellareriferiti al 2011 sono stati utilizzati nell’operazione liquidatoria nel quadrodi una valutazione ben più complessa della loro meccanica applicazione.

Poiché non vi è stato, dunque,alcun automatismo dell’applicazione delle tabelle del 2011, ma esse hannoassunto rilevanza nel quadro di un’operazione liquidatoria più complessa, cheha portato a riconoscere la rivalutazione fino alla data della sentenza e,dunque, ben dopo il gennaio 2011, data di riferimento dei valori di quelletabelle, non si ravvisa una situazione in cui appaia oggettivamenteingiustificata l’esclusione di una sorta di automatica rilevanza della modificadella tabella sebbene ai fini della regula iuris applicativa dell’art. 1226c.c..

Tanto si osserva non senzarimarcare che il breve lasso di tempo fra deliberazione e pubblicazione delletabelle esclude o rende almeno più che dubbio che una pur ipotetica rilevanzadella variazione potesse essere anche oggettivamente percepibile dall’organogiudicante.

Il motivo è, conseguentemente,rigettato sulla base del principio di diritto per cui “in tema di c.d.tabelle milanesi di liquidazione del danno, qualora dopo la deliberazione delladecisione e prima della sua pubblicazione, sia intervenuta una loro variazione,deve escludersi che l’organo deliberante abbia l’obbligo di riconvocarsi e diprocedere ad una nuova operazione di liquidazione del danno in base alle nuovetabelle, in quanto la modifica delle tabelle non integra un jus superveniens néin via diretta né in quanto dette tabelle assumano rilievo, ai sensi dell’art.1226 cod. civ., come parametri doverosi per la valutazione equitativa del dannonon patrimoniale alla persona”.

p.4. Con il terzo motivo sidenuncia “violazione di legge: art. 360 n. 3 c.p.c. in relazione agliartt. 2043 c.c., 2056 c.c., 2059 c.c., 1223 c.c., 1226 c.c. e 432 c.p.c.”e congiuntamente “vizio di omessa, insufficiente, erronea econtraddittoria motivazione: art. 360 n. 5 c.p.c. in relazione alla statuizionecon cui la Corte di Appello di Bologna ha determinato il danno non patrimonialeiure proprio di ciascun genitore”.

Ci si duole che sia statoriconosciuto ai genitori della de cuius il minimo in base alle tabelleapplicate senza che si siano fornite congrue ragioni circa il procedimentologico seguito ed in particolare senza che si sia proceduto alla necessariapersonalizzazione, che avrebbe imposto di “tener conto della gravitàdell’illecito, dell’età della persona offesa (che nella fattispecie in esame aveva46 anni), del dolore arrecato ai familiari per la sua morte e di tutti glielementi della fattispecie concreta, in modo da rendere il risarcimentoadeguato al caso specifico”. Nel caso di specie la Corte felsinea avrebbeomesso “qualsiasi precisazione sulla natura e sull’entità del dannosofferto dai genitori della defunta”, e non avrebbe indicato “inalcun modo l’impatto di tali sofferenze sulla loro persona”. Viceversa, ilC.G. aveva tenuto una condotta di guida gravemente colpevole, viaggiando avelocità elevatissima ed invadendo l’opposta corsia sulla quale viaggiava ilveicolo su cui la defunta era trasportata.

La Corte territoriale, d’altrocanto, in punto di sofferenza dei genitori, non avrebbe tenuto conto: a) delfatto che la defunta era la loro unica figlia e che essi si erano trasferiti inXXXXXXX proprio perché la stessa vi si era trasferita e perché contavano sullasua assistenza per la vecchiaia; b) “delle produzioni documentalieffettuate dagli attori che attestavano la condizione personale dei congiuntidella sig.ra V. , e per la precisione, il grave stato depressivo in cui eraentrata la madre di V.N. a causa della morte della figlia (doc. 3)”:documento che sarebbe stato del tutto ignorato dalla Corte territoriale.

p.4.1. Il motivo è inammissibileperché non solo non si correla alla motivazione della sentenza impugnata, mapresenta, inoltre, anche inosservanza dell’art. 366 n. 6 c.p.c..

Sotto il primo aspetto si rilevache l’illustrazione omette di considerare la motivazione della sentenza impugnata,la quale, al contrario di quanto in essa si adombra, ha fornito una specificamotivazione sulla ragione per cui ha proceduto all’applicazione dei minimitabellari.

Invero, a pagina 10, la sentenzaimpugnata, dopo avere giustificato la ragione per cui doveva riconoscersi ildanno non patrimoniale derivante ai prossimi congiunti e, quindi, anche aigenitori dalla morte della V. , ha espressamente osservato che doveva tenersiconto “che non sono state allegate e provate circostanze concrete che consentanodi apprezzare la qualità e la intensità della relazione affettiva” e datanto ha fatto conseguire che “la liquidazione del danno andrà effettuatasulla base del valore tabellare minimo”.

Ora, questa motivazione esigevainnanzitutto lo specifico svolgimento di una critica, mentre è stata ignorataLa critica avrebbe dovuto svolgersi correlandosi alla motivazione (Cass. n. 359del 2005, seguita da numerose conformi).

In particolare, la criticaavrebbe dovuto essere svolta con un’attività assertiva tesa dimostrare che, alcontrario di quanto opinato dalla Corte bolognese, vi era stata l’allegazione ela prova da essa escluse.

Ne segue che la critica avrebbedovuto svolgersi non già, come si è fatto, allegando semplicemente – tranne peril documento n. 3 – le circostanze che si sono indicate, come se questa Cortepotesse esserne investita come il giudice di merito, bensì, dopo averleallegate, precisando la sede ed il modo in cui esse erano state introdotte nelgiudizio di merito e prospettate in particolare al giudice d’appello, sì daevidenziare l’erroneità della sua motivazione sul punto in cui ha invece negatoche fossero state allegate e provate le circostanze concrete atte a farapprezzare la qualità e l’intensità della relazione affettiva.

Nulla di tutto ciò si coglie nelmotivo e pertanto le circostanze che nella sua illustrazione sono evocate nonpossono essere considerate come elementi che invece il giudice d’appelloavrebbe dovuto valutare, difettando l’indicazione specifica ai sensi dell’art.366 n. 6 c.p.c. del dove e quando essere erano state introdotte nel giudizio dimerito e particolarmente davanti al giudice d’appello, nonché, salvo per quelladi cui al documento 3, anche la stessa indicazione dell’atto o documento da cuisarebbero emerse.

In particolare, non si indicadove fosse stata dedotta la circostanza del trasferimento dei genitori e delleragioni dello stesso.

Con riferimento al doc. n. 3 -indicato come tale nell’illustrazione del motivo e, quindi, indicato comeprodotto in calce al ricorso con analoga numerazione – nulla si dice su dove ecome fosse stato prodotto nelle fasi di merito, in tal modo violando l’art. 366n. 6 citato (ex multis, Cass. sez. un. nn. 28547 del 2008 e 7161 del 2020).

Non solo: nell’illustrazione delmotivo noti si indica il termine di riferimento dell’ordine della numerazioneidentificativa del documento, cioè non si precisa rispetto a che cosa ildocumento in questione fosse e sia il n. 3.

In chiusura del ricorso, per laverità, si dichiara di offrire in comunicazione una serie di atti ed al n. 3risulta indicato un “certificato medico di M.G. e V.G. “. Poiché talecertificato non è riferito alla sola M. non è dato comprendere se esso siidentifichi con il “doc. 3” di cui si ragiona nel’illustrazione delmotivo. Ma quando pure si reputasse tale identificazione si dovrebbe rilevare -ma lo si osserva solo ad abundantiam – che nel fascicolo di parte deiricorrenti tale documento non si rinviene. D’altro canto, nella pagina internadel fascicolo risulta annesso un indice dove figura il doc. 3 per come indicatoin chiusura del ricorso e l’indice reca la sottoscrizione del difensore deiricorrenti e la data del 24 febbraio 2014, ma esso non reca alcun timbro dideposito della cancelleria della Corte che evidenzi l’effettiva rispondenza diquanto contenuto nel fascicolo all’indice. Inoltre, nella nota di deposito e diiscrizione a ruolo datata invece 14 maggio e sottoscritta dal detto difensorerisulta la generica indicazione della produzione di “N. 2 fascicoliprecedenti gradi”, seguita da una scritta a penna illeggibile, mentrenell’attestazione di deposito a data 16 maggio 2014 della Cancelleria di questaCorte “si certifica che i sopra descritti atti e documenti sono statidepositati”. La mancanza di riferimento specifico agli atti del fascicoloe, soprattutto, di qualsivoglia riferimento all’indice di ci si è detto,esclude qualsiasi certezza su che cosa si trovasse al loro interno. Ne segueche, in disparte il mancato rinvenimento del documento de quo implica che essonon risulti ritualmente depositato.

In fine si rileva chenell’esposizione dello svolgimento processuale a pag. 6 la sentenza impugnata,nel riferire dei motivi di appello, allude a documentazione prodotta in primogrado, da cui risultava lo stato depressivo del vedovo della V. (e non adocumentazione come quella di cui al doc. 3).

Si deve, inoltre aggiungere – maè rilievo svolto anche qui del tutto superfluamente – che non è datocomprendere come alla gravità della colpa della condotta di guida del C. possa assegnasivalore ai fini postulati dal motivo.

In generale, poi, non si precisain alcun modo quale articolazione era stata prospettata con l’appello ai finidella liquidazione.

Il motivo – in dispartel’evocazione del vecchio paradigma del n. 5 dell’art. 360 c.p.c. e la mancanzadei presupposti del nuovo alla stregua di Cass. sez. un. nn. 8053 e 8054 del2014 – per quanto attiene alle violazioni di norme di diritto è, pertantoinammissibile. E ciò al di là del rilievo del difetto di una percepibile attivitàdimostrativa di come ognuno dei paradigmi normativi evocati sarebbe statoviolato.

5. Con il quarto motivo siprospetta “violazione di legge: art. 360 n. 3 c.p.c. in relazione agliartt. 2043 c.c., 2056 c.c., 2059 c.c., 1223 c.c., 1226 c.c. e 432 c.p.c.”e congiuntamente “vizio di omessa, insufficiente, erronea econtraddittoria motivazione: art. 360 n. 5 c.p.c. in relazione alla statuizionecon cui la Corte di Appello di Bologna ha ritenuto che nel danno morale sianoricompresi sia il danno derivante dall’ingiusto perturbamento delle relazionifamiliari sia la menomazione propria subita per la morte di un figlio”.

Il motivo non individua lamotivazione con cui la Corte territoriale sarebbe incorsa nel vizio denunciatonella sua intestazione, risolvendosi solo in generici richiami digiurisprudenza.

Mancando l’individuazionedell’oggetto della critica, il motivo è inammissibile quanto allaprospettazione in iure.

Per quella ai sensi del n. 5dell’art. 360 c.p.c. non solo si evoca nuovamente il paradigma errato, ma ècarente nell’illustrazione alcunché che possa ricondurla al nuovo n. 5 comeinterpretato dalle citate sentenze delle SS.UU..

Peraltro, se si legge lamotivazione alle pagine 9-10 della sentenza impugnata essa risulta parametrataa corretti riferimenti alle note sentenze di San Martino delle Sezioni Unite.Non senza doversi rilevare che la sentenza nemmeno usa la vecchia categoriaclassificatoria del “danno morale”.

6. Con il quinto motivo sidenuncia “violazione di legge: art. 360 n. 3 c.p.c. in relazione agliartt. 2043 c.c., 2056 c.c., 1223 c.c., 1226 c.c. e 432 c.p.c.” econgiuntamente “vizio di omessa, insufficiente, erronea e contraddittoriamotivazione: art. 360 n. 5 c.p.c. in relazione alla statuizione con cui laCorte di Appello di Bologna non ha riconosciuto ai genitori di V.N. il dannopatrimoniale iure proprio”.

Il motivo si fonda innanzituttosulla deduzione che “sarebbe stato sufficiente esaminare i documentiallegati nell’atto di citazione ed alla memoria istruttoria per vedereche” la prova del danno “era stata fornita”, ma non precisa diquali documenti si tratti, di quale atto di citazione e di quale memoriaistruttoria, sicché la prospettazione è del tutto generica ed in parte qua ilmotivo è inammissibile (Cass. n. 4741 del 2005, seguita da numerose conformi).

Il motivo evoca, poi, e, dunque,si fonda, su un documento indicato come n. 4, che si indica prodotto in calceal ricorso, ma riguardo al quale si omette di indicare se e dove era statoprodotto nel giudizio di merito, in tal modo violandosi l’art. 366 n. 6 c.p.c.secondo la lettura di Cass. sez. un. nn. 28547 del 2008 e 7161 del 2010.

Si fa, poi, riferimento genericoa “fatture prodotte” ancora una volta in manifesta inosservanza didetta norma.

Si aggiunga, poi, che in ognicaso si omette di individuare in che termini delle risultanze individuate e nondi cui si discute genericamente la Corte emiliana sarebbe stata investita conl’appello, sicché nuovamente si è in presenza di un motivo che pretende didiscutere questioni del cui onere di esame non è dimostrato che fosse statoinvestito il giudice d’appello.

p.7. Con il sesto motivo si favalere “violazione di legge: art. 360 n. 3 c.p.c. in relazione agli artt.2043 c.c., 2056 c.c., 2059 c.c., 1223 c.c., 1226 c.c. e 432 c.p.c.” econgiuntamente “vizio di omessa, insufficiente, erronea e contraddittoriamotivazione: art. 360 n. 5 c.p.c. in relazione alla statuizione con cui laCorte di Appello di Bologna non ha riconosciuto in capo ai genitori delladefunta V.N. un danno biologico iure proprio”.

L’illustrazione deduce del tuttogenericamente che la Corte territoriale non si sarebbe espressa sulla debenzadel detto danno nonostante esso fosse stato richiesto. Inoltre, sarebbe statoignorato il certificato medico già evocato come doc. 3, non sarebbe stataammessa “in entrambi i gradi di giudizio” una “periziamedico-psicologica (richiesta dai ricorrentisic) per accertare l’entità deltrauma psichico subito a causa della morte” della figlia. In fine si deduceche “nell’atto di appello gli appellanti avevano riproposto le richiesteistruttorie avanzate in primo grado e non ammesse (doc. 12).

Il motivo è inammissibile per lasua assoluta genericità e per la violazione dell’ad. 366 n. 6 c.p.c..

Nessuna specificazione è fattadelle allegazioni con cui era stata chiesta la perizia e del contenutodell’atto di appello evocativo delle non meglio identificate richiesteistruttorie. L’atto di appello è prodotto come documento n. 12, ma l’assolutamancanza di detta attività di specificazione si risolve in un mandato a questaCorte a leggerlo per eventualmente individuare a che cosa il ricorrente hainteso riferirsi.

p.8. Il settimo motivo deduce”violazione di legge: art. 360 n. 3 c.p.c. in relazione agli arti. 2043 c.c.,2056 c.c., 2059 c.c., 1223 c.c., 1226 c.c. e 432 c.p.c.” e congiuntamente”vizio di omessa, insufficiente, erronea e contraddittoria motivazione:art. 360 n. 5 c.p.c. in relazione alla statuizione con cui la Corte di Appellodi Bologna non ha concesso gli interessi sulla somma dovuta a titolo dirisarcimento dalla data del sinistro alla data dell’acconto”.

Il motivo – dopo avere ricordatola motivazione con cui la Corte territoriale ha detto che sulle sommedeterminate in base alle tabelle competevano “la rivalutazione monetariadall’aprile 2004 alla data della presente sentenza, nonché gli interessi legalida computare sugli importi di anno in anno rivalutati con la medesimadecorrenza fino al saldo” – si duole che “in sostanza quindi, lasentenza non concede gli interessi su tutta la somma dalla data del sinistroalla data dell’acconto”. L’errore della Corte si coglierebbe perché”il codice dice chiaro che gli interessi spettano dalla data del sinistroe sulla somma odierna” occorrendo “applicare le leggi che vigono almomento dell’emissione della sentenza”.

p.8.1. Il motivo, in disparte lasua generica prospettazione, carente sostanzialmente di attività argomentativain iure (ed ancora una volta evocativa del paradigma vecchio del n. 5), è privodi fondamento.

La Corte ha devalutato gliimporti tabellarmente previsti dalle tabelle del 2011 solo fino al momentodell’acconto e, dunque, occorre considerare che sottraendo ad essi le somecostituenti l’acconto le ha fatte incidere su importi non devalutati e, dunque,non è dato comprendere come e perché avrebbe dovuto riconoscere gli interessied a che titolo.

p.9. Con l’ottavo motivo sideduce in fine “vizio di omessa, insufficiente, erronea e contraddittoriamotivazione: art. 360 n. 5 c.p.c. in relazione al punto in cui la Corte diAppello di Bologna ha liquidato le spese del primo e del secondo grado digiudizio”.

Vi si lamenta, tra l’altro conerronea evocazione del parametro dell’art. 360 n. 5 c.p.c. (sempre ormai nonvigente) anziché del n. 4 di detta norma, che le spese sarebbero stateliquidate in modo irrisorio, “applicando per le spese di secondo grado lenuove tariffe forensi, mentre avrebbe dovuto applicare le tariffe vigentiall’epoca delle prestazioni””. Gli importi sarebbero al di sotto deiminimi tabellari e non sarebbero state liquidate le competenze per latrattative stragiudiziali. Sarebbe stata applicato alle spese del secondo gradoil d.lgs. n. 1 del 2012 in realtà d.l. n. 1 del 2012, convertito nella l. n. 27del 2012, che poteva esserlo solo per le conclusionali.

Il motivo è del tutto genericoquanto all’evocazione dei minimi tariffari e come tale è inammissibile allastregua del consolidato principio di diritto secondo cui: “In tema dispese processuali, è inammissibile il ricorso per cassazione che si limiti allagenerica denuncia dell’avvenuta violazione del principio di inderogabilitàdella tariffa professionale per l’importanza del giudizio presupposto e per lacomplessità delle questioni giuridiche trattate, atteso che, in applicazionedel principio di autosufficienza, devono essere specificati gli errori commessidal giudice e precisate le voci della tabella degli onorari e dei diritti chesi ritengono violate.” (Cass. n. 18190 del 2015).

È inammissibile anche perché nonsi preoccupa nemmeno di indicare che cosa sarebbe stato rilevante quoad valoreper la liquidazione.

È del tutto infondato quanto allapretesa che le spese del secondo grado solo per le conclusionali dovesseroliquidarsi in base al d.m. n. 140 del 2012, attuativo del d.l. n. 1 del 2012convertito: è sufficiente rimandare a Cass. sez. un. n. 17405 del 2012.

p.10. Il ricorso è,conclusivamente, rigettato.

Le spese del giudizio dicassazione possono compensarsi in ragione della novità della questioneesaminate nello scrutinio del secondo motivo e considerato che quella di cui alprimo motivo è stata decisa sulla base della soluzione di un contrasto digiurisprudenza in seno a questa Corte.

Ai sensi dell’art. 13 comma1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, si deve dare atto della sussistenza deipresupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importoa titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a normadel comma 1-bis del citato art. 13.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.Compensa le spese del giudizio di cassazione nel rapporto fra ricorrente eresistente. Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dàatto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte delricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari aquello dovuto per il ricorso a norma del comma 1-bis del citato art. 13.