La ricorrente dipendente di una USL, subiva una aggressione (per vendetta) nei locali dell’ambulatorio del distretto, riportando lesioni psico-fisiche (trauma cranico, ecchimosi varie, lesioni all’apparato visivo causate dal lancio o colpo di una bottiglia o di un bicchiere, disturbi post-traumatici da stress, attacchi di panico, somatizzazioni).
La dipendente sosteneva la responsabilità dell’amministrazione per aver omesso di adottare le cautele opportune dirette ad evitarle l’aggressione da parte di terzi, in violazione dell’obbligo di tutela delle condizioni di lavoro posto a carico del datore di lavoro dall’articolo 2087 del codice civile
Il Consiglio di Stato, in parziale accoglimento delle istanze della lavoratrice, ha affermato la violazione del principio secondo il quale il titolare di un’organizzazione, preordinata alla gestione dei servizi, deve curare la prevenzione dai rischi di incidenti, siano o meno di origine illecita, e tali da pregiudicare o danneggiare le persone addette. [Avv. Ennio Grassini – www.dirittosanitario.net]
Consiglio di Stato – Sezione II, Sent. n. 2474 del 22.04.2009
omissis
Svolgimento del processo
La ricorrente, assistente sociale presso l’unità socio-sanitaria locale (d’ora in poi: Usl) n. 34 di L. e addetta al servizio di assistenza psico-sociale del distretto di T., il 4 giugno 1996 subì, nei locali dell’ambulatorio del distretto, un’aggressione dal parte della signora M. R. G. Y., riportando lesioni psico-fisiche (trauma cranico, ecchimosi varie, lesioni all’apparato visivo causate dal lancio o colpo di una bottiglia o di un bicchiere, disturbi post-traumatici da stress, attacchi di panico, somatizzazioni). Si trattava della vendetta della madre di un minore che la ricorrente era stata incaricata di prelevare e accompagnare all’aeroporto per disposizione del tribunale minorile di Catania, che ne aveva ordinato l’allontanamento dalla madre e l’affidamento definitivo all’Usl di P..
L’Usl con atto 16 ottobre 1997 n. 1911/97 le riconobbe la dipendenza dell’infermità da causa di servizio, ascrivendo l’infermità stessa alla tabella A, categoria 7, in misura massima.
Il giudizio fu confermato dal Comitato per le pensioni privilegiate ordinarie, sicché la signora B. ricevette la somma di lire 3.641.040 per equo indennizzo. Inoltre, essendo assicurata contro gl’infortuni sul lavoro presso l’Istituto Nazionale di Assistenza per gl’infortuni sul lavoro (INAIL), ricevette da quest’ultimo l’indennità di lire 5.499.070 per 64 giorni di inabilità assoluta al lavoro.
L’INAIL le negò invece la rendita per inabilità permanente, riconoscendole una diminuzione dell’attitudine al lavoro del sei per cento, inferiore al minimo indennizzabile. Contestò la decisione dell’INAIL nei modi previsti dall’articolo 104 del decreto del presidente della repubblica 30 giugno 1965 n. 1124, contenente il testo unico delle disposizioni per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, sostenendo di avere riportato un’invalidità permanente del trentacinque per cento, ma l’INAIL confermò il proprio giudizio medico-legale, contro il quale la signora B. non propose ricorso giurisdizionale.
Promosse invece azione di responsabilità davanti al pretore di L., giudice del lavoro, il giudizio fu sospeso in attesa che fosse esperito il tentativo obbligatorio di conciliazione. Esperito senza esito il tentativo di conciliazione, la signora B. ha proposto una nuova azione davanti al tribunale di Milano, giudice del lavoro, contro le gestioni liquidatorie dell’Usl nel frattempo soppressa e contro la regione Lombardia, sostenendo la responsabilità dell’amministrazione datrice di lavoro la quale aveva omesso di adottare le cautele opportune per evitarle l’aggressione da parte di terzi, in violazione dell’obbligo di tutela delle condizioni di lavoro posto a carico del datore di lavoro dall’articolo 2087 del codice civile.
Il tribunale di Milano, sezione del lavoro, con sentenza 16-marzo-15 maggio 2000 n. 1305 ha dichiarato il proprio difetto di giurisdizione, trattandosi di controversia di competenza del giudice amministrativo perché relativa a fatto anteriore all’1 luglio 1998 (data dalla quale la giurisdizione sul pubblico impiego è passata dal giudice amministrativo al giudice ordinario); e assegnando il termine di trenta giorni per la riassunzione del giudizio (davanti al giudice amministrativo). In tutte queste controversie la regione si è chiamata estranea. Anche l’azienda sanitaria locale Provincia di Milano 1 (Asl) ha affermato la propria estraneità alle pregresse vicende del rapporto di lavoro con l’Usl n. 34, chiarendo che, in forza della legislazione regionale della Lombardia, l’Usl di L. era stata sciolta con effetto al 31 dicembre 1998, e dall’1 gennaio 1998 le erano subentrate la gestione liquidatoria del bilancio sanitario (comprendente i rapporti di lavoro, facente capo all’azienda ospedaliera “Ospedale civile di L.”, e la gestione liquidatoria del bilancio socio-assistenziale, facente capo all’azienda sanitaria Milano 1).
Con ricorso al tribunale amministrativo regionale per la Lombardia notificato il 5 e 6 luglio 2000 la signora B., premessi tutti i fatti che si sono sopra esposti, ha chiesto che l’Asl, alla quale erano stati trasferiti i servizi territoriali e socio-assistenziali della soppressa Usl 34, o in subordine la regione Lombardia, o in ulteriore subordine la gestione liquidatoria della disciolta Usl 34 presso l’azienda ospedaliera fossero condannate a risarcirle il danno alla persona, complessivamente quantificato in lire 682.000.000 (200.000.000 per danno biologico da menomazione dell’integrità fisica, 200.000.000 per danno biologico da menomazione dell’integrità psichica, 100.000.000 per danno morale, 22.000.000 per centoventi giorni d’invalidità temporanea, 10.000.000 d’invalidità temporanea parziale), a titolo di responsabilità sia contrattuale sia extra-contrattuale del datore di lavoro. La ricorrente ha individuato la responsabilità nel fatto che l’amministrazione datrice di lavoro aveva omesso di predisporre le misure necessarie per scongiurare episodi di violenza come quello di cui la ricorrente era stata vittima, aveva allocato il servizio in uno stabile strutturalmente autonomo e isolato così la ricorrente dagli altri lavoratori, e aveva omesso di predisporre un adeguato servizio di vigilanza e accorgimenti come una porta apribile dall’interno e il controllo televisivo delle persone che volevano entrare.
Le due amministrazioni sanitarie, costituitesi in giudizio, hanno eccepito sia il proprio difetto di legittimazione, sia l’assenza di colpa, sia l’inesistenza del danno economico sia l’indebita moltiplicazione delle voci di danno; hanno eccepito che il giudizio era estinto per non essere stato riassunto nel termine assegnato dal tribunale ordinario, e, in subordine, che il contraddittorio dovesse essere integrato con la chiamata in causa dell’INAIL e che il giudizio dovesse essere sospeso in pendenza del procedimento penale a carico dell’aggreditrice (procedimento indicato come 829120/96, e del quale null’altro è detto o risulta negli atti di causa).
Il tribunale amministrativo regionale con la sentenza indicata in epigrafe ha preliminarmente negato la necessità della sospensione del giudizio e della sua estensione all’INAIL e all’autrice dell’aggressione; ha affermato la legittimazione al giudizio della gestione liquidatoria del bilancio sanitario della disciolta Usl, e ha negato invece la legittimazione dell’Asl Provincia di Milano 1 e della regione Lombardia. Ha quindi respinto la domanda giudicandola infondata, per non esservi stata, da parte dell’amministrazione, nessuna violazione dell’articolo 2087 del codice civile.
La signora B. appella, riproponendo la domanda di danno contro le tre amministrazioni, senza peraltro censurare il capi della sentenza che hanno dichiarato il difetto di legittimazione dell’Asl Provincia di Milano 1 e della regione Lombardia.
Resiste l’Asl Provincia di Milano 1, allegando la propria estraneità al giudizio e ulteriormente illustrando la mancanza di responsabilità della pubblica amministrazione datrice di lavoro per le lesioni riportate dalla signora B..
In sede di discussione il difensore dell’appellante ha reso noto che il processo penale contro la signora Y. si è concluso con la dichiarazione di estinzione del reato per prescrizione.
Motivi della decisione
1-Il Collegio deve preliminarmente rilevare, trattandosi di questione rilevabile d’ufficio, che la mancata riassunzione della causa davanti al tribunale amministrativo regionale oltre il termine di trenta giorni fissato dal giudice civile nella sentenza che ha negato la giurisdizione del giudice ordinario non produce l’estinzione del processo ai sensi dell’articolo 50, secondo comma, del codice di procedura civile: il giudice civile ha erroneamente applicato alla pronuncia di carenza di giurisdizione norme – quelle appunto che prevedono l’indicazione del giudice competente e l’assegnazione di un termine per riassumere la causa (articoli 44 e 50 del codice predetto) – che riguardano la dichiarazione d’incompetenza in senso proprio, ossia la competenza per materia e territorio distribuita tra i diversi organi giurisdizionali della giustizia civile ordinaria, sicché l’apposizione del termine per riassumere la causa è priva di effetti. Davanti al giudice di altra giurisdizione la causa dev’essere riassunta nei termini previsti dalle relative norme processuali, sempre che non siano già scaduti. Nel caso in esame, trattandosi di domanda di risarcimento di danni, la proposizione del ricorso davanti al giudice amministrativo non è soggetta a termini di decadenza, e perciò il ricorso di primo grado era ammissibile.
2-In secondo luogo va rilevato che, come si è già esposto sopra, l’appellante ha riproposto la domanda di danno anche contro la regione Lombardia e contro dell’Asl Provincia di Milano 1, senza peraltro censurare il capi della sentenza che hanno dichiarato il difetto di legittimazione di queste due amministrazioni. Essendosi l’Asl costituita in giudizio, l’appellante va pertanto condannata a rimborsarle le spese di giudizio del grado, che si liquidano in 1500, 00 (millecinquecento/00) euro, oltre IVA e CAP:.
3-Relativamente all’esame del merito della causa si deve precisare quanto segue: la domanda di risarcimento proposta dalla signora Ba. è fondata sulla indicazione di un’ aggressione subita durante il servizio svolto presso l’Unità socio-sanitaria locale n. 34 di L. (équipe psico-sociale del distretto di Tubino).
La signora Ba. prestava la propria attività quale assistente sociale.
L’aggressione fu compiuta da un’ utente del servizio socio-assistenziale.
Tale aggressione, i cui motivi sono stati precisati nella parte in fatto, avvenuta il 4 giugno 1996, alle ore 14,10, causò plurime lesioni psico-fisiche, consistenti particolarmente in: trauma cranico, ecchimosi varie, lesioni all’ apparato visivo, determinate dal trauma conseguente al lancio di una bottiglia, disturbi traumatici da stress, attacchi di panico, somatizzazioni.
La signora Ba. subì conseguenze invalidanti consistenti in riduzione del 35% dell’ integrità psico-fisica e del 30% della capacità lavorativa.
Per tali esiti invalidanti fu corrisposto alla signora Ba. l’equo indennizzo, liquidato secondo la categoria VII, misura massima.
La medesima signora Ba. ha fatto presente (cfr. p. 3 atto d’ appello) di aver ricevuto, da parte dell’ INAIL, la somma corrispondente all’ indennità liquidata in rapporto a 64 giorni di assenza dal lavoro per inabilità.
La signora, dopo aver adito il giudice del lavoro, il quale si è espresso nel senso del difetto della giurisdizione civile relativamente alla controversia instaurata, ha proposto azione di risarcimento davanti al giudice amministrativo.
È indubbio che la signora Ba. sia stata aggredita durante le ore di servizio per ragioni occasionate dal servizio medesimo (cfr. verbale 14 giugno 1996 redatto dal comandante della stazione carabinieri di Busto Garolfo); per altro verso la stessa amministrazione di appartenenza (Unità sanitaria socio-sanitaria n. 34, già citata) non ha contestato l’esistenza della aggressione, al punto che la medesima amministrazione ha liquidato l’equo indennizzo.
La responsabilità dell’ amministrazione (Unità socio-sanitaria locale n. 34 di L. e Gestione liquidatoria della stessa Unità – assegnata al direttore generale dell’ Azienda ospedaliera di L.) deve essere ammessa nel caso di specie, in quanto è imputabile all’ Unità sanitaria, citata sopra, l’omissione delle misure di protezione del personale addetto ai servizi socio-assistenziali.
Tale omissione è da identificare come la concausa del danno subito dalla signora B..
L’omissione medesima è ravvisabile per il fatto di aver disatteso il principio, del quale è espressione l’art. 2087 c.c., secondo il quale il titolare di un’ organizzazione, preordinata alla gestione dei servizi, deve curare la prevenzione dai rischi di incidenti, siano o meno di origine illecita, e tali da pregiudicare o danneggiare le persone addette.
Per altro verso le discipline dei rapporti di lavoro con le pubbliche amministrazioni comprendono puntuali normative, come quelle sulla pensionistica privilegiata e sulla spettanza dell’ equo indennizzo, fondate sulla rilevanza della salvaguardia delle persone addette ai vari servizi.
Non potrebbe ammettersi, con assoluta sicurezza, che il servizio di assistenza sociale non sia esposto a rischi specifici.
Tali servizi, da esplicare a volte in situazioni estreme di disagio individuale e sociale, possono esporre gli agenti al rischio specifico di azione esasperate, spiegabili anche se non giustificabili, come quella registrata nel caso in esame.
D’altra parte l’omissione della predisposizione del servizio di vigilanza o di un sistema di videosorveglianza deve essere individuata come la concausa della progressività dell’ aggressione, che è iniziata con le ingiurie è proseguita con la minaccia e si è conclusa con la lesione personale (cfr. verbale citato e documento della Procura circondariale di Milano n. reg. gen. 601638/03, in fascicolo depositato il 12 aprile 2006).
Non si può trascurare il fatto che l’azione aggressiva fu interrotta sia da un collega presente in ufficio, sia, in modo rilavante, dall’ intervento successivo di una persona, titolare di un bar sito nel cortile dell’ immobile nel quale prestava servizio la signora B..
4-La pretesa della signora B. deve essere accolta, pur non potendo essere disposta la condanna dell’ amministrazione ad Euro 352.223,61 (cfr. p. 14 atto d’appello).
In effetti alla signora B. è stata corrisposta la somma di Lit 3.641.040 a titolo di equo indennizzo (cfr. p. 3 memoria depositata il 13 marzo 2006), che è liquidato in rapporto alla riduzione di capacità lavorativa.
Alla stessa signora B. è stata corrisposta da parte dello INAIL la somma di Lit 5.499.070 a titolo di indennità per inabilità assoluta la lavoro per giorni 64 (cfr. p. 3 memoria citata).
Il collegio, tenuto conto dell’ assenza di specifiche prove sulle ulteriori conseguenze dannose dell’ aggressione subita, liquida in via equitativa la somma complessiva di Euro 25.000,00 (venticinquemila/00) a titolo di risarcimento per i danni alla salute, estranei all’ ambito della riduzione permanente della capacità lavorativa, come lo stress subito, i disturbi dovuti ad attacchi di panico, il danno biologico, le somatizzazioni, per il danno morale causato dai reati subiti, che rimangono tali anche se fu disposta l’archiviazione relativamente agli stessi reati per sopravvenuta prescrizione (cfr. decreto di archiviazione, vistato dal pubblico ministero il 13 dicembre 2002, in fascicolo depositato il 6 aprile 2006).
Da tale somma dovrà essere dedotta quanto già corrisposto dallo INAIL (Lit 5.449.070), corrispondente al danno temporaneo alla salute ostativo della prestazione di servizio per oltre due mesi.
Sulla somma da corrispondere dovranno essere calcolati gli interessi legali fino al soddisfo.
L’obbligazione da risarcimento dovrà essere adempiuta dalla gestione liquidatoria Unità socio-sanitaria locale n. 34 L., assegnata al direttore generale Azienda ospedaliera L..
Tale gestione è succeduta, per la parte sanitaria, all’ Unità socio-sanitaria n. 34 L., alla quale è da imputare, giusta quanto precisato sopra, la concausa dell’ illecito.
La gestione suindicata risulta evocata nel presente giudizio di appello (p. 1 e 17 dell’ atto d’ appello) e si è costituita nel medesimo giudizio (cfr. fascicolo depositato il 12 aprile 2006 a cura dei difensori della gestione).
Per altro verso la legittimazione passiva, nel giudizio risarcitorio, risulta accertata da specifico capo della sentenza di appellata (cfr.p. 10 della sent. tar Lombardia, sez. II, n. 4686-2005).
Tale capo non risulta appellato e quindi su di esso si è formato il giudicato.
5-Le spese del presente grado di giudizio, liquidabili in complessivi Euro 3000,00 (tremila/00), oltre IVA e CAP, sono poste a carico della gestione liquidatoria Unità socio-sanitaria locale n. 34 – L. – assegnata al direttore generale Azienda ospedaliera di L. e a favore della signora B..
Questa dovrà corrispondere le spese all’ Azienda sanitaria locale della Provincia di Milano n. 1, giusta quanto precisato al par. 2.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato, Sez. V, accoglie, nei limiti suindicati, l’appello (n. 1983-2006) proposto dalla signora S.R.B., riforma, negli stessi limiti, la sentenza TAR Lombardia, sez. II, n. 4686-2005, accoglie parzialmente la domanda proposta in primo grado dalla signora B., condanna la gestione liquidatoria Unità socio-sanitaria locale n. 34 – L. – assegnata al direttore generale Azienda ospedaliera di L. – a corrispondere alla stessa signora B. la somma di Euro 25.000,00 (venticinquemila/00), dedotta la somma di Lit 5.449.070-rapportata in Euro corrisposta dall’ INAIL alla signora B..
Sulla somma netta da corrispondere dovranno essere calcolati gli interessi legali fino al soddisfo.
Condanna la gestione suindicata al pagamento, a favore della signora B., delle spese del presente grado di giudizio, che liquida nella misura di Euro 3000,00 (tremila/00) oltre IVA e CAP.
Condanna la signora B. al pagamento, a favore dell’ Azienda sanitaria locale della Provincia di Milano n. 1, delle spese del presente grado di giudizio, che liquida in complessivi Euro 1500,00 (millecinquecento/00), oltre IVA e CAP.
Ordina alla citata gestione liquidatoria dell’unità socio-sanitaria locale n. 34 di dare esecuzione alla presente decisione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 27 marzo 2007, con l’intervento dei signori:
omissis