La devoluzione del compito di curare, nel minore tempo possibile, la validazione di referti di primo livello e di approfondire – anche in collaborazione con i clinici – gli spunti diagnostici per patologie della propria sfera di attività, anche attraverso la disponibilità di strumentazione specifica,implica, da un lato, necessarie funzioni di certificazioni che solo il medico può svolgere e, dall’altro, una attività di approfondimento di studi diagnostici che, sotto il versante dello sviluppo della professionalità, possono essere presi in considerazione ai fine di escludere il demansionamento. [Avv. Ennio Grassini – www.dirittosanitario.net]

Cassazione Civile – Sezione Lavoro Sent. n. 11610 del 19.05.2009

omissis

Svolgimento del processo

Con ricorso del 16 ottobre 2002 C.S., medico ospedaliero dipendente della ASL n. X. di Sassari in qualità di dirigente medico con la qualifica di “X.” esponeva di avere prestato servizio presso il laboratorio di analisi cliniche e microbiologia del presidio ospedaliero di X.. Le sue qualità professionali erano state riconosciute in via formale dalla azienda ed erano state evidenziate sulla base di una partecipazione a lavori scientifici e congressi. Aveva seguito sino all’X. insieme ad un collega e, successivamente, da sola i settori di batteriologia e l’ambulatorio di allergologia clinica.

Dal X. i rapporti con il responsabile della struttura erano diventati conflittuali, essendole stata revocata senza ragione la responsabilità della gestione di microbiologia. Nessun esito aveva avuto la lettera del X. da essa C. spedita alla Direzione sanitaria. Il X. il responsabile della struttura aveva esternato pesanti giudizi nei confronti di essa ricorrente, trasferita ad altro settore del laboratorio e privata della responsabilità del settore della batteriologia. In data X. il “luogo di attività” della ricorrente era stato individuato nel settore della batteriologia e micologia, e le era stata assegnata la responsabilità di tale settore insieme al dottor X..

Aveva subito fatto presente che la condivisione della responsabilità non era prevista nel contratto di lavoro ma con nota del 27 aprile era stata destinata al settore uroanalisi ed osmometria, con compiti di curare la validazione dei referti di primo livello. Evidenziava, infine, di essere stata collocata in uno stato di pressoché assoluta o, quantomeno, fortemente limitata attività lavorativa, e che con tale comportamento l’ASL aveva violato il disposto dell’art. 2103 c.c. non consentendole di arricchire il patrimonio professionale acquisito in precedenza. Chiedeva, quindi, di essere reintegrata nella mansioni esercitate sino al X. e che l’Azienda sanitaria fosse condannata a risarcirle i danni subiti.

Dopo la costituzione del contraddittorio, il primo giudice rigettava la domanda attrice ed, a seguito di gravame, la Corte d’appello di Cagliari con sentenza del 6 maggio 2005 rigettava l’appello e dichiarava compensate tra le parti le spese del giudizio.

Avverso tale sentenza C.S. propone ricorso per Cassazione, affidato a tre motivi.

Resiste con controricorso l’A.S.L. n. X. di Sassari.

Motivi della decisione

Con il primo motivo la ricorrente deduce violazione di legge per carente ed omessa motivazione sul fatto, assumendo che non poteva condividersi l’affermazione del giudice d’appello secondo cui essa ricorrente, assegnata dal X. al sevizio di uroanalisi – osmometria, svolgeva all’interno dell’organizzazione sanitaria un ruolo paritario a quello in precedenza spiegato.

Con il secondo motivo lamenta violazione di legge per mancata applicazione ed osservanza del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 161, art. 52 rimarcando che il giudice d’appello si era erroneamente limitato ad esaminare il suddetto art. 52 laddove esso ribadisce il diritto del prestatore di lavoro di essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto, mentre la norma doveva essere esaminata nella sua globalità perché sussiste il diritto del prestatore di lavoro di essere adibito a mansioni equivalenti a quelle corrispondenti alla qualifica superiore che abbia successivamente acquisito per effetto dello sviluppo professionale. Se tale lettura fosse stata fatta sarebbe emerso il suo demansionamento per essere stata essa ricorrente dopo il X. costretta ad una riduzione della sua attività lavorativa, da svolgersi presso il presidio ospedaliero di Sassari in un locale, privo di strutture e risorse umane.

Con il terzo motivo la ricorrente addebita alla impugnata sentenza una violazione del disposto dell’art. 2697 c.c. per non avere considerato che allorquando il lavoratore deduca una dequalificazione per rilevante riduzione quantitativa e qualitativa delle mansioni, l’onere processuale di dedurre e provare lo svolgimento di mansioni significative di mancata dequalificazione compete al datore di lavoro, dovendosi in ogni caso tenere conto del contenuto, della natura e delle modalità di svolgimento delle mansioni in modo da salvaguardare il livello professionale raggiunto dal lavoratore.

I tre motivi, da esaminarsi congiuntamente per comportare la soluzione di questioni tra loro strettamente connesse, vanno rigettati perché privi di fondamento.

È giurisprudenza costante di questa Corte che il vizio di omessa od insufficiente motivazione, denunciabile con ricorso per Cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, sussiste solo quando nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile una obiettiva deficienza del criterio logico che lo ha condotto alla formazione del proprio convincimento, mentre il vizio di contraddittoria motivazione presuppone che le ragioni poste a fondamento della decisione risultino sostanzialmente contrastanti in guisa da elidersi a vicenda e da non consentire l’individuazione della “ratio decidendi”, e cioè l’identificazione del procedimento logico – giuridico posto a base della decisione adottata.

Questi vizi non possono consistere nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte, spettando solo a detto giudice individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge in cui un valore legale è assegnato alla prova (così da ultimo tra le tante: Cass. 6 marzo 2008 n. 6064).

Ed è stato sempre dai giudici si di legittimità ribadito che spetta al giudice di merito valutare le circostanze fattuali, che determinano un demansionamento per il prestatore di lavoro che rivesta funzioni dirigenziali (cfr. tra le altre: Cass. 26 novembre 2008 n. 28274; Cass. 7 ottobre 2008 n. 24738).

Orbene, nel caso di specie la Corte d’appello di Cagliari, nel confermare la sentenza di primo grado che aveva ritenuto infondata la domanda della C., ha escluso che a quest’ultima fossero stati assegnati compiti che non erano propri del dirigente sanitario di primo livello. Ha precisato al riguardo il giudice d’appello che era indubbio che l’assegnazione di nuovi compiti alla C. – dapprima nel X. e di poi nell’X. del X. – era collegata al processo di riorganizzazione del laboratorio della struttura sanitaria presso la quale la suddetta C. svolgeva le sue mansioni dirigenziali, e lo stesso giudice ha rimarcato anche come correttamente il primo giudice avesse messo in evidenza che l’attribuzione in esclusiva della gestione del settore uroanalisi – con l’affidamento dei relativi compiti – fosse avvenuta dopo il rifiuto della dottoressa di lavorare nel settore della microbiologia seppure a fianco del responsabile del settore di micobatteriologia.

In altri termini, vi era stata nel caso di specie una assegnazione alla C. di numerosi incarichi prima dell’ultimo che, peraltro, non si riduceva alla sola validazione dei risultati delle analisi delle urine perché era rimasto affidato alla attuale ricorrente anche l’incarico di curare l’ambulatorio della allergologia e perchè le era stato devoluto pure il compito di curare, nel minore tempo possibile, la validazione dei referti di primo livello e di approfondire – anche in collaborazione con i clinici – gli spunti diagnostici per patologie della sfera nefrologica resi possibili dalla disponibilità di citofluorimetro UF-100. L’ultimo incarico, pertanto, non poteva considerarsi fittizio perché per il suo svolgimento erano comunque implicate, come necessarie, funzioni di certificazioni che solo il medico può svolgere e, soprattutto, perchè oltre la mera validazione di analisi era previsto l’approfondimento di studi diagnostici nel settore nefrologico, che sotto il versante dello sviluppo della professionalità dovevano essere presi in considerazione ai fine di escludere il denunziato demansionamento. Per concludere la sentenza impugnata – per essere basata su un iter argomentativo congruo, privo di salti logici e per essere supportata da un attento accertamento e valutazione dei dati fattuali, capaci di escludere il lamentato demansionamento – si sottrae alle censure che le sono state mosse in questa sede di legittimità.

La ricorrente, in ragione della sua soccombenza, va condannata al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione, liquidate unitamente agli onorari difensivo, come in dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione, liquidate in Euro 14,00 oltre Euro 2.000,00 (duemila/00) per onorari difensivi, oltre accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 18 marzo 2009.

Depositato in Cancelleria il 19 maggio 2009