La equivalenza tra le nuove mansioni e quelle precedenti, deve essere intesa non solo nel senso di pari valore professionale delle mansioni medesime, considerate nella loro oggettività, ma anche come attitudine delle nuove mansioni a consentire la piena utilizzazione o anche l’arricchimento del patrimonio professionale dal lavoratore acquisito nella pregressa fase del rapporto, precisandosi, inoltre, che il divieto di demansionamento opera anche quando al lavoratore, nella formale equivalenza delle precedenti e delle nuove mansioni, siano assegnate di fatto mansioni sostanzialmente inferiori, sicché nell’indagine circa tale equivalenza non è sufficiente il riferimento in astratto al livello di categoria, ma è necessario accertare che le nuove mansioni siano aderenti alla specifica competenza del dipendente in modo tale da salvaguardare il livello professionale acquisito e da garantire lo svolgimento e l’accrescimento delle sue capacità professionali, con le conseguenti possibilità di miglioramento professionale, in una prospettiva dinamica di valorizzazione delle capacità di arricchimento del proprio bagaglio di conoscenze ed esperienze.
A tal fine, quindi, l’indagine del giudice deve essere volta a verificare i contenuti concreti dei compiti precedenti e di quelli nuovi onde formulare il giudizio di equivalenza, da fondare sul complesso della contrattazione collettiva e delle determinazioni aziendali. [Avv. Ennio Grassini – www.dirittosanitario.net]
Cassazione Civile – Sez. Lavoro; Sent. n. 13173 del 08.06.2009
omissis
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 23-5-2000 il Giudice del lavoro del Tribunale di Roma riconosceva a C. M. , medico dell’Ospedale Bambino Gesù, il diritto alla “posizione apicale” dal 1-10-1993 (in relazione alle mansioni svolte presso la sede di P.) e condannava l’Ospedale al pagamento delle differenze retributive nonché al risarcimento del danno.
Avverso la detta sentenza proponeva appello l’Ospedale che articolava vari motivi di impugnazione e in primis deduceva la inapplicabilità dell’art. 2103 al rapporto de quo.
L’appellato si costituiva e chiedeva la conferma della sentenza di primo grado.
La Corte d’appello di Roma, con sentenza non definitiva n. 5477/2003 rigettava il motivo di appello dell’Ospedale riguardante l’eccezione di inapplicabilità dell’ art. 2103 c.c. e, successivamente, con ulteriore sentenza non definitiva n. 1034/2004, rigettava la domanda relativa al riconoscimento del
diritto ad essere inquadrato nella “posizione apicale” e disponeva la prosecuzione del giudizio in ordine al motivo di appello concernente il riconoscimento del diritto al risarcimento dei danni da demansionamento (tale seconda sentenza veniva impugnata per cassazione).
Con sentenza definitiva n. 177112005 depositata il 18-8-2005, la Corte territoriale, infine, in integrale accoglimento dell’appello dell’Ospedale rigettava la domanda di risarcimento del danno da demansionamento e compensava le spese del doppio grado.
In sintesi la Corte di merito escludeva che nella specie sussistesse una violazione dell ‘art. 2103 c.c., a seguito della adibizione presso il servizio “accettazione”, neppure In considerazione dell’accumulo di esperienza professionale e del bagaglio di competenze acquisiti dal lavoratore prima dell’esercizio dello ius variandi datoriale, sia In rapporto all’attività svolta dopo il trasferimento In P., Sia In relazione all’attività svolta anteriormente come “aiuto”.
Per la cassazione di tale sentenza il M. ha proposto ricorso con sei motivi.
L’Ospedale ha resistito con controricorso.
Nel frattempo questa Corte, con sentenza n. 6064 del 6-3-2008, ha rigettato il ncorso del M. avverso la sentenza non definitiva n. 1034/2004.
Da ultimo entrambe le partii hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2103 c.c. e vizio di motivazione per aver la Corte territoriale “erroneamente affermato l’equivalenza delle mansioni omettendo del tutto di individuare il contenuto delle precedenti mansioni e di confrontarle con quelle
successive”.
In specie il ricorrente evidenzia che tale accertamento è stato omesso sia in relazione alle mansioni (“ultime effettivamente svolte”) presso l’Ospedale di P. dal 1-7-93 al 7-1-1994, sia (“in subordine” – vedi lettera D -) in relazione alle mansioni svolte come aiuto prima del luglio 1993 presso il reparto II divisione pediatrica dell’Ospedale Bambin Gesù di Roma.
In particolare, con riguardo alle prime, il ricorrente deduce che l’attività di direzione del reparto in P., quand’anche “non di livello tale da implicare l’adibizione “piena” alle mansioni superiori di primario (come accertato dalla sentenza parziale n. 1034/04 – poi confermata in sede di legittimità -), gli era stata “del tutto sottratta” “con l’adibizione alle mansioni successivamente
assegnate presso il servizio accettazione” dell’ospedale di Roma, con conseguente “violazione dell’equivalenza”.
Il motivo è fondato e va accolto.
Questa Corte ha più volte affermato (v. fra le altre Cass. S.V. 24-11-2006 n. 25033, Cass. 12-1-2006 n. 425, Cass. 12-4-2005 n. 7453, Cass. 11-4-2005 n. 7351, Cass. 23-3-2005 n. 6326, Cass. 4-10-2004 n. 19836, Cass. 18-8-2004 n. 16183, Cass. 30-7-2004 n. 14666, Cass. 20-3-2004 n. 5651, Cass. 9-3-2004 n. 4790, Cass. 9-3-2004 n. 4773, Cass. 11-2-2004 n. 2649, Cass. 15-2-2003 n.2328, Cass. 11-12-2003 n. 18984, Cass. 2-10-2002 n. 14150, Cass. 10-8-1999 n. 8577), che la equivalenza tra le nuove mansioni e quelle precedenti, – che legittima lo jus variandi del datore di lavoro deve essere intesa non solo nel senso di pari valore professionale delle mansioni, considerate nella loro oggettività, ma anche come attitudine delle nuove mansioni a consentire la piena utilizzazione o anche l’arricchimento del patrimonio professionale dal lavoratore acquisito nella pregressa fase del rapporto, precisandosi, inoltre, che il divieto di variazioni in pejus (demansionamento) opera anche quando al lavoratore, nella formale equivalenza delle precedenti e delle nuove mansioni, siano assegnate di fatto mansioni sostanzialmente inferiori, sicché nell’indagine circa tale equivalenza non è sufficiente il riferimento in astratto al livello di categoria, ma è necessario accertare che le nuove mansioni siano aderenti alla specifica competenza del dipendente In modo tale da salvaguardarne il livello professionale acquisito e da garantire lo svolgimento e l’accrescimento delle sue capacità professionali, con le conseguenti possibilità
di miglioramento professionale, in una prospettiva dinamica di valorizzazione delle capacità di arricchimento del proprio bagaglio di conoscenze ed esperienze.
A tal fine, quindi, “l’indagine del giudice di merito deve essere volta a verificare i contenuti concreti dei compiti precedenti e di quelli nuovi onde formulare il giudizio di equivalenza, da fondare sul complesso della contrattazione collettiva e delle determinazioni aziendali” (v. fra le altre Cass. 2-10-2002 n. 14150, Cass. 30-7-2004 n. 14666).
Orbene la sentenza impugnata, pur affermando la necessità di verificare se l’adibizione al servizio accettazione “comportasse una perdita di professionalità comunque acquisita in precedenza”, ha incentrato la motivazione esclusivamente sulle nuove mansioni, affermando (in base alle risultanze della testimonianza Allocca e della produzione documentale relativa alla pianta organica dell’ospedale) che “la prova espletata non consente di accedere a quella banalizzazione del servizio accettazione che viene offerta negli atti difensivi di parte appellata”, peraltro – con riguardo alle mansioni precedenti svolte in P. – limitandosi a rilevare che, con la citata sentenza non definitiva, era stato “escluso il diritto alla posizione apicale”.
In tal modo, quindi, la sentenza impugnata ha omesso di verificare i contenuti concreti delle mansioni precedenti e la relativa professionalità acquisita dal M. (pur senza “diritto alla posizione apicale”), omettendo altresì di confrontare (sul piano della “equivalenza” come sopra delineata) i contenuti stessi con quelli delle nuove mansioni (non essendo certamente
all’uopo sufficiente il semplice rilievo circa la non provata “banalizzazione del servizio accettazione”).
Va pertanto accolto il primo motivo e tanto basta per cassare la impugnata sentenza con rinvio, restando, peraltro, assorbiti da tale pronuncia gli altri motivi, tutti avanzati dal ricorrente in via subordinata: il secondo, riguardante le mansioni (di aiuto presso il reparto di degenza in
Roma) svolte anteriormente al luglio 1993, il cui confronto (vedi lettera D) del primo motivo, che rinvia espressamente al secondo motivo) viene invocato dal ricorrente “nella denegata ipotesi in cui, aitini dell ‘equivalenza, si decidesse di ignorare totalmente le funzioni svolte dal ricorrente a P. “;
il terzo proposto “in subordine” e “nella denegata ipotesi in cui Si ritenesse rilevante ai fini dell ‘equivalenza la generica “importanza” del servizio accettazione e non il tipo di attività medica che in esso si effettuava “; il quarto proposto “in ulteriore subordine “, in relazione alla “irrilevanza”
del ‘fatto che gli altri medici addetti a tale servizio rivestissero la qualifica di “aiuto” “,.
il quinto proposto “sempre in subordine “, nei confronti della “asserita possibilità di ricerca nel servizio accettazione “;
il sesto anch’esso proposto “in ulteriore subordine “, avverso la affermazione cuca la mancata prova della “banalizzazione del servizio accettazione “, “addossata” sul lavoratore ricorrente.
Il Giudice di rinvio che si designa nella stessa Corte di appello di Roma, in diversa composizione, provvederà al riesame, attenendosi ai principi sopra richiamati e statuirà anche sulle spese di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo, assorbiti gli altri, cassa la impugnata sentenza e rinvia, anche per le spese, alla Corte di Appello di Roma in diversa composizione.