A seguito di una lunga verifica ispettiva sulla appropriatezza dei ricoveri effettuati da una casa di cura, mediante il riscontro della rispondenza dell’attribuzione dei codici finalizzati alla determinazione della remunerazione delle prestazioni sanitarie erogate in regime di accreditamento – rispetto alle patologie riscontrate dall’esame del contenuto delle cartelle cliniche delle persone ricoverate, l’ASL ridefiniva la remunerazione spettante alla struttura disponendo la restituzione di oltre un milione di euro.

Il Consiglio di Stato ha annullato la delibera, affermando la illegittimità delle modalità di controllo utilizzate dalla Commissione.

Il riscontro delle cartelle cliniche dei pazienti doveva essere effettuato alla presenza costante dei responsabili e sanitari della clinica come era indefettibile la redazione del verbale secondo le modalità prescritte dall’ordinamento di settore. [Avv. Ennio Grassini – www.dirittosanitario.net]

Consiglio di Stato – Sezione V, Sent. n. 2611 del 24.04.2009

omissis

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. A seguito di una lunga verifica ispettiva sulla appropriatezza dei ricoveri effettuati nel corso dell’anno 2001 presso la Casa di Cura M.P. s.r.l., mediante il riscontro della rispondenza dell’attribuzione dei codici c.d. DGR – finalizzati alla determinazione della remunerazione delle prestazioni sanitarie erogate in regime di accreditamento – rispetto alle patologie riscontrate dall’esame del contenuto delle cartelle cliniche delle persone ricoverate, l’Azienda Unità Sanitaria Locale Roma A (in prosieguo l’Azienda):

a) ha ridefinito la remunerazione spettante alla casa di cura suindicata disponendo restituzione di euro 1.092.557 (cfr. delibera del direttore generale n. 1388 del 18 novembre 2002);

b) ha inoltrato circostanziata denuncia di reato alla Procura della Repubblica di Roma (cfr. nota prot. n. 5836 del 19 settembre 2002).

2. La casa di cura è insorta davanti al T.a.r. del Lazio articolando in più ricorsi una pluralità di censure tutte sostanzialmente incentrate sulla violazione, da parte della commissione ispettiva dell’Azienda, delle speciali regole che presiedevano al procedimento di controllo e segnatamente di quelle previste dall’art. 50, co. 2, 3 e 5, l.r. 31 dicembre1987, n. 64 – norme per l’autorizzazione, la vigilanza e la convenzione con le case di cura private, successivamente abrogata – e dalla delibera di giunta regionale 10 luglio 2001, n. 996.

3. L’impugnata sentenza – T.a.r. del Lazio, sezione III, n. 7562 dell’11 settembre 2003 -:

a) ha riunito i ricorsi;

b) ha dichiarato improcedibili quelli rubricati ai nn.rr.gg. 8965/2002 e 9835/2002 (tale capo non è stato impugnato ed è coperto dalla forza del giudicato interno);

c) ha respinto tutte le censure sollevate con il ricorso n.r.g. 288/2003 nel decisivo presupposto che la casa di cura sarebbe stata messa, di fatto, in condizioni di interloquire e che non avrebbe formulato alcuna contestazione sostanziale in ordine alle riscontrate incongruità delle codificazioni (e delle consequenziali eccessive remunerazioni delle corrispondenti prestazioni erogate);

d) ha compensato fra le parti le spese di lite.

4. Con ricorso notificato il 7 ed 8 ottobre 2003, e depositato il successivo 16 ottobre 2003, la casa di cura ha interposto appello avverso la su menzionata sentenza del T.a.r. reiterando criticamente tutte le doglianze disattese in prime cure; in particolare ha lamentato la violazione dell’art. 50, l.r. n. 64 del 1987 e della delibera di giunta regionale n. 996 del 2001 sotto il duplice profilo che:

a) la commissione ispettiva non ha verificato le singole cartelle cliniche in contraddittorio con il legale rappresentante della casa di cura o di un suo delegato, e senza coinvolgere i medici responsabili dell’assistenza e della compilazione della documentazione sanitaria e dei responsabili del sistema informativo;

b) non è stato redatto, al termine delle operazioni di controllo, il verbale corredato dalla pertinente documentazione sanitaria, controfirmato dal legale rappresentante e dai medici revisori della struttura sanitaria controllata, sicché la clinica si era trovata nella materiale impossibilità di controdedurre in occasione dell’apertura del procedimento volto alla rideterminazione della remunerazione delle prestazioni erogate (cfr. nota Azienda prot. 4240 del 3 luglio 2002).

5. Si sono costituite l’Azienda e la Regione Lazio deducendo l’infondatezza del gravame in fatto e diritto.

6. A conclusione delle indagini preliminari, la Procura della Repubblica di Roma ha disposto il rinvio a giudizio del legale rappresentante, del direttore sanitario, del coordinatore delle terapie oncologiche e del responsabile della chemioterapia, della casa di cura affinchè rispondessero del reato di truffa aggravata tentata per aver indotto “in errore la ASL Roma A, alfine di procurarsi un ingiusto quanto ingente profitto con corrispondente danno per l’Amministrazione Sanitaria e, segnatamente, nell’ambito del rapporto di convenzione intercorrente con la predetta ASL, con artifizi consistiti nell’attribuire ad ogni paziente e ad ogni prestazione un codice diverso, chiedevano il rimborso di 466 prestazioni sanitarie, non effettuate dalla “M.P.” o effettuate già in precedenza da altre strutture sanitarie, non riuscendo nell’intento a causa dei controlli ispettivi della ASL Roma A che evidenziavano una artificiosa esposizione di costi sostenuti dalla clinica M.P.” (cfr. decreto di citazione diretta a giudizio del 15 dicembre 2004).

Il decreto di citazione è stato notificato anche alla Azienda in quanto parte offesa (cfr. notificazione del 23 maggio 2005).

7. Con ordinanze di questa sezione nn. 3647 del 25 giugno 2007 e 5900 del 28 novembre 2008 è stata disposta la sospensione del presente giudizio di appello in considerazione del carattere pregiudiziale che assumeva la definizione del giudizio penale.

8. Con sentenza dibattimentale irrevocabile del Tribunale penale di Roma, sez. IX, n. 12505 del 9 luglio 2008, in accoglimento della richiesta del P.M.:

a) tutti gli imputati sono stati assolti perché il fatto non sussiste (pagina 17);

b) è stato assodato che la commissione di controllo ha svolto l’attività ispettiva in violazione delle specifiche regole partecipative sancite dall’art. 50, l.r. n. 64 cit. e dalla delibera giuntale n. 996 del 2001 e che solo in occasione dell’istruttoria dibattimentale penale i sanitari della clinica hanno potuto confutare il giudizio di incongruità formulato dalla commissione sulle singole cartelle cliniche (pagine 13 e 14);

c) l’attività ispettiva è stata giudicata inattendibile nel suo complesso per l’esiguità del tempo (una media di due minuti a cartella), impiegato dalla commissione per lo studio delle singole cartelle cliniche (cfr. pagina 15);

d) è stato acclarato che in numerosi casi la valutazione di incongruità della commissione non era giustificata risultando appropriata l’originaria attribuzione, da parte della clinica, dei codici c.d. DGR (pagina 14);

e) numerosi errori rilevati in sede di attribuzione dei codici da parte della clinica si spiegavano con la novità della normativa di riferimento introdotta pochi mesi prima (cfr. pagina 16).

9. Con memoria conclusionale del 14 gennaio 2009 la difesa dell’Azienda:

a) ha sollevato eccezione di difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, ai sensi dell’art. 33, co. 1, d.lgs. n. 80 del 1998, nel testo risultante dalla declaratoria di incostituzionalità resa con sentenza n. 204 del 6 luglio 2004; si sostiene che poiché l’oggetto della controversia è la determinazione del corrispettivo che l’amministrazione sanitaria deve versare al concessionario del pubblico servizio sanitario, la cognizione della stessa spetterebbe al giudice ordinario;

b) ha dedotto l’irrilevanza del giudicato penale nel presente giudizio amministrativo, a mente dell’art. 654 c.p.p., perché l’amministrazione non si sarebbe costituita nel relativo giudizio penale.

10. La causa è passata in decisione all’udienza pubblica del 27 gennaio 2009.

11. L’appello è fondato e deve essere accolto.

11.1. In via logica è preliminare l’esame dell’eccezione di difetto di giurisdizione del giudice amministrativo.

L’eccezione è infondata.

Se è vero che il bene della vita cui aspira in via indiretta la clinica è il conseguimento delle remunerazioni delle prestazioni sanitarie a suo tempo erogate nella misura individuata antecedentemente alla delibera n. 1388 del 2002, è anche vero che la causa petendi della domanda proposta davanti al giudice amministrativo è incentrata esclusivamente sul cattivo esercizio della funzione pubblica ispettiva; tutte le censure sollevate dalla clinica si appuntano infatti sulla violazione, da parte della apposita commissione nominata dalla Azienda, delle regole procedimentali che disciplinano, nella regione Lazio, il controllo sulla congruità delle remunerazioni richieste dagli organismi accreditati; la posizione soggettiva di cui si chiede tutela, pertanto, assume la consistenza dell’interesse legittimo ed è attribuita alla cognizione del giudice amministrativo, senza che sotto tale angolazione assuma rilievo il carattere, ordinario di legittimità od esclusivo, della giurisdizione esercitata da quest’ultimo.

11.2. Parimenti infondata è la contestazione del rilievo diretto del giudicato penale nel presente processo.

Premesso che la valutazione sul carattere pregiudiziale del giudizio penale è stata effettuata dalla sezione con le su menzionate ordinanze nn. 3647 del 2007 e 5900 del 2008, deve evidenziarsi che la fattispecie è governata non già dall’art. 654 c.p.p. – che effettivamente richiede ai fini dell’opponibilità del giudicato penale la costituzione in giudizio della parte civile bensì dell’art. 652, co. 1, c.p.c. secondo cui: “La sentenza penale irrevocabile di assoluzione pronunciata in seguito a dibattimento ha efficacia di giudicato, quanto all’accertamento che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso o che il fatto è stato compiuto nell’adempimento di un dovere o nell’esercizio di una facoltà legittima, nel giudizio civile o amministrativo per le restituzioni e il risarcimento del danno promosso dal danneggiato o nell’interesse dello stesso, sempre che il danneggiato si sia costituito o sia stato posto in condizione di costituirsi parte civile, salvo che il danneggiato dal reato abbia esercitato l’azione in sede civile a norma dell’art. 75, comma 2”.

Nella specie ricorrono tutti i presupposti per l’applicazione della su richiamata norma:

a) il giudizio amministrativo ha ad oggetto, nella sostanza, la pretesa della amministrazione di ottenere la restituzione delle somme anticipate in eccesso rispetto a quanto effettivamente dovuto a cagione di un comportamento asseritamene illecito posto in essere dai titolari e dirigenti della clinica;

b) la stessa Azienda ha inoltrato alla Procura competente la denuncia di reato da cui è scaturito il relativo procedimento penale avente ad oggetto i medesimi fatti contestati in sede di ispezione amministrativa;

c) l’Azienda è stata posta nella condizione di costituirsi parte civile e di partecipare al dibattimento, avendo ricevuto il relativo decreto di citazione a giudizio, sicché ad essa è opponibile il successivo giudicato penale di assoluzione.

Quanto agli effetti del giudicato in questione nel presente giudizio, la sezione non intende discostarsi dalle conclusioni cui è giunta l’Adunanza plenaria secondo cui le sentenze penali irrevocabili di assoluzione pronunciate a seguito di dibattimento fanno stato nel processo amministrativo in ordine ai fatti accertati a mente dell’art. 652 c.p.p. (cfr. 24 novembre 2005, n. 10).

11.3. In ogni caso, pur prescindendo dal giudicato penale, l’esito dello scrutinio di fondatezza delle censure articolate dall’appellante non muterebbe.

Risulta per tabulas, da tutta la documentazione versata nel fascicolo d’ufficio del giudizio amministrativo, la violazione sistematica, da parte della commissione, delle regole procedimentali che obbligatoriamente la stessa doveva rispettare nell’esercizio della delicata funzione ispettiva.

Né può accogliersi la prospettazione fatta propria dal T.a.r.: il sistema di rigide prescrizioni dettate per gli speciali controlli da effettuarsi sull’attività dei presidi accreditati con il S.s.n. è tale da non ammettere equipollenti.

In particolare ed in estrema sintesi:

a) il riscontro delle cartelle cliniche dei pazienti deve essere effettuato alla presenza costante dei responsabili e sanitari della clinica (il cui eventuale rifiuto a presenziare dovrebbe essere oggetto di apposita verbalizzazione, mancante nel caso di specie); né sul punto può darsi alcun valore all’affermazione dei componenti della commissione di aver operato in contraddittorio con almeno un rappresentante della clinica (nota prot. n. 6150 del 27 settembre 2002); tale dichiarazione, infatti, non è contenuta nel verbale delle operazioni di controllo (mai redatto si badi) ma si ricava dalla relazione inviata all’Azienda a conclusione dell’attività ispettiva;

b) è indefettibile la redazione del verbale secondo le modalità prescritte dall’ordinamento di settore sopra indicato (anche tale adempimento non risulta effettuato né può essere sostituito dalla relazione finale che la commissione ha presentato all’Azienda).

12. Sulla scorta delle precisate conclusioni è giocoforza accogliere l’appello ed annullare la deliberazione dell’Azienda Unità Sanitaria Locale Roma A n. 1388 del 18 novembre 2002; tuttavia, stante la natura procedurale dei riscontrati vizi di legittimità, ed a tutela del superiore interesse all’equilibrio della finanza pubblica, l’amministrazione sanitaria dovrà procedere, ora per allora, alla verifica di tutte le cartelle cliniche relative all’anno 2001 nel rispetto delle garanzie e delle prescrizioni sancite dall’art. 50, l.r. n. 64 del 1987 e dalla delibera di giunta regionale n. 996 del 2001.

Nella novità e complessità delle questioni affrontate, il collegio ravvisa giusti motivi per compensare fra tutte le parti costituite le spese di entrambi i gradi di giudizio.

 

P.Q.M.

 

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sezione quinta), definitivamente pronunciando sul ricorso meglio specificato in epigrafe:

– accoglie l’appello e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado ed annulla la deliberazione dell’Azienda Unità Sanitaria Locale Roma A n. 1388 del 18 novembre 2002 ai sensi e nei limiti indicati in motivazione;

– dichiara integralmente compensate fra le parti le spese di entrambi i gradi di giudizio.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 27 gennaio 2009, con la partecipazione di:

omissis