il medico ha l’obbligo di controllare la completezza e l’esattezza del contenuto della cartella clinica, cosicché l’inottemperanza a tale obbligo configura difetto di diligenza nell’adempimento della prestazione lavorativa; tale comportamento inadempiente è inoltre da qualificarsi come di particolare gravità, avuto riguardo alla rilevante funzione che la cartella clinica assume, in primo luogo, sotto il profilo sanitario, nei confronti del paziente, ma anche, indirettamente, nei confronti della struttura sanitaria a cui il paziente stesso si è affidato.
Ne consegue che, in linea generale, la violazione del suddetto obbligo è da ritenersi idonea a determinare la irrimediabile lesione dell’elemento fiduciario e il conseguente recesso datoriale.
Nel caso di specifico, tuttavia, le estreme conseguenza sono state escluse, rilevandosi un comportamento della parte datoriale tale da avere ingenerato nel medico lavoratore dipendente l’affidamento sulla tolleranza della sua indebita condotta stante la modalità di organizzazione dell’attività del reparto. [Avv. Ennio Grassini – www.dirittosanitario.net]
Cassazione Civile Sezione Lavoro, Sent. n. 6218 del 13.03.2009.
omissis
Svolgimento del processo
Il Tribunale di Napoli, accogliendo il ricorso proposto da Z. A. nei confronti della Casa di Cura V. M. sas di I. C. (qui di seguito, per brevità, indicata anche come Casa di Cura), presso la quale aveva espletato le mansioni di Aiuto Responsabile della Unità di Ostetricia e Ginecologia, dichiarò l’illegittimità del licenziamento intimato al ricorrente, disponendo altresì per la sua reintegrazione e per il risarcimento del danno ai sensi della L. n. 300 del 1970, art. 18.
La Corte d’Appello di Napoli, con sentenza del 21.9 – 15.11.2005, respinse il gravame proposto dalla Casa di Cura.
A sostegno del decisum, per quanto ancora qui rileva, la Corte territoriale ritenne quanto segue:
a) in ordine alla contestazione di irregolare compilazione delle cartelle cliniche doveva rilevarsi, sulla base delle acquisite risultanze istruttorie, che:
laddove la diagnosi definitiva era subordinata al risultato dell’esame istologico, il responsabile del reparto non aveva la materiale disponibilità della cartella successivamente alle dimissioni della paziente;
vigeva sì la prassi secondo cui il personale amministrativo avvisava il medico della conclusione dell’esame istologico, ma non era stato confermato che ciò fosse avvenuto in relazione alle cartelle in contestazione;
la clinica consentiva altresì a medici non dipendenti di avvalersi delle proprie strutture e, in questi casi, era il medico di fiducia della paziente a compilare la cartella, anche in relazione alla diagnosi definitiva, e a firmare le dimissioni, senza che lo Z., al riguardo, avesse il potere gerarchico e direttivo di obbligare i sanitari esterni a compilare con esattezza le cartelle e, comunque, ad informarlo delle evenienze anche diagnostiche sopravvenute;
quanto alle otto cartelle cliniche esibite, due si riferivano a pazienti che avevano richiesto l’assistenza di propri medici di fiducia, due recavano l’indicazione di un codice di diagnosi definitiva e le altre riguardavano casi di diagnosi da formulare all’esito di esami istologici, che alla data della contestazione potevano anche non essere stati ancora effettuati;
pertanto la mancanza disciplinare ascritta, nei limiti in cui ne era stata raggiunta la prova, non costituiva un sintomo di grave negazione dell’elemento fiduciario del rapporto, quanto piuttosto il frutto di una disorganizzazione del reparto;
b) in ordine alla questione inerente alla mancata predisposizione dei turni di servizio per il mese di X. , doveva ritenersi, alla luce del contenuto della nota del X. , che era stata oggetto di contestazione non già tale pretesa inosservanza “quanto piuttosto la mancata individuazione di un suo proprio sostituto quasi ad escludere il diritto dell’appellato di assentarsi in caso contrario”, onde risultava conforme alla contestazione, non suscettibile di essere integrata a mezzo di deposizioni testimoniali, la decisione del primo Giudice, che si era limitato ad accertare la legittimità della mancata presenza in servizio dello Z.;
c) in ordine alla valutazione del danno risarcibile era da ritenersi infondata la doglianza di mancato esercizio del potere di richiesta di informazioni alla PA, non avendo la Casa di Cura neppure allegato di non poter fornire la prova documentale della intercorrenza di un rapporto di lavoro subordinato dello Z. con il SSN ed avendo peraltro l’appellato esibito in giudizio certificazione della ASL X. Napoli attestante l’insussistenza di rapporti di convenzionamento.
Avverso l’anzidetta sentenza della Corte territoriale, la Casa di Cura V. M. sas di I. C. ha proposto ricorso per cassazione fondato su sei motivi e illustrato con memoria.
L’intimato Z.A. ha resistito con controricorso.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione di legge (artt. 1176 e 2119 c.c.; D.P.R. n. 128 del 1969, art. 7; artt. 9 e 11 CCNL 14.7.1999), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la Corte territoriale escluso la responsabilità e, comunque, ritenuto giustificabile e non grave il comportamento dello Z., che non aveva curato di completare con la diagnosi definitiva le cartelle cliniche, trasmesse all’archivio, delle pazienti ricoverate nel suo reparto.
Con il secondo motivo la ricorrente denuncia violazione di legge (L. n. 604 del 1966, art. 5 e art. 2697 c.c.), nonché vizio di motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, dolendosi che la Corte territoriale non avesse ritenuto che lo Z. fosse tenuto a vigilare sulle cartelle annotate nel registro dei “sospesi” (conservate in un apposito raccoglitore presso l’ufficio amministrativo della Casa di Cura) e che avesse reputato che il medesimo non disponeva di idonei poteri sotto il profilo gerarchico e direttivo; inoltre, avendo essa ricorrente provato gli elementi di fatto posti a fondamento della contestazione, sarebbe stato onere della controparte provare i fatti estintivi, impeditivi, modificativi o invalidativi dedotti a fondamento delle sue richieste ed eccezioni.
Con il terzo motivo di ricorso la ricorrente denuncia violazione di legge (artt. 1176 e 2119 c.c.; D.P.R. n. 128 del 1969, art. 7; artt. 9 e 11 CCNL 14.7.1999), nonché vizio di motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, per non avere la Corte considerato che la ritenuta disorganizzazione del reparto sarebbe stata da imputarsi allo stesso Z., che tale reparto dirigeva, e per avere trascurato, al fine di valutare la sussistenza della violazione dell’elemento fiduciario, talune precedenti note di contestazione rivolte allo Z. in ordine al dovere di corretta compilazione delle cartelle cliniche.
Con il quarto motivo la ricorrente denuncia vizio di motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, sostenendo, con riferimento alle otto cartelle cliniche dimesse, che lo Z. non si era attivato perché i professionisti esterni completassero le cartelle cliniche, che il codice numerico di identificazione della diagnosi non costituiva comunque esatto adempimento dell’obbligazione, che una cartella (la n. X. ) si riferiva ad una paziente che si era dimessa spontaneamente, contro il parere dei sanitari e liberandoli da ogni responsabilità, senza che fossero stati effettuati prelievi bioptici e che, con riferimento alle altre, la stessa lettera di contestazione aveva precisato che gli esami istologici erano pervenuti da oltre quindici giorni ed erano stati anche ritirati, in linea con le dichiarazioni testimoniali acquisite.
Con il quinto motivo la ricorrente denuncia vizio di motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, sostenendo che la Corte territoriale aveva erroneamente interpretato il contenuto della nota di contestazione del X. , giungendo alla conclusione che non fosse stata contestata la mancata predisposizione dei turni di servizio.
Con il sesto motivo la ricorrente denuncia violazione di legge (artt. 210, 213, 416 e 421 c.p.c.), nonché vizio di motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, dolendosi della reiezione dell’istanza di acquisizione di informative ex art. 213 c.p.c., della mancata attivazione dei poteri istruttori officiosi e della mancata pronuncia sulla richiesta di produzione, ex art. 210 c.p.c., delle dichiarazioni dei redditi dello Z..
2. I primi quattro motivi di ricorso vanno esaminati congiuntamente, siccome fra loro strettamente connessi.
Deve anzitutto rilevarsi che la Corte territoriale, come già esposto nell’istorico di lite, non ha affatto negato, in linea generale, l’obbligo dell’odierno intimato di corretta compilazione delle cartelle cliniche (cosicché si appalesano infondate le censure di violazione di legge specificamente svolte al riguardo), ma ha ritenuto che, avuto riguardo alle modalità di organizzazione del servizio (prevedente la compilazione della cartella clinica anche ad opera di medici di fiducia delle pazienti, nei confronti dei quali il responsabile del reparto non era in possesso di poteri gerarchici e direttivi) e alla prassi di comunicare al sanitario gli esiti degli esami istologici pervenuti dopo le dimissioni delle pazienti (comunicazione di cui non era stata raggiunta la prova nei casi in contestazione), non fossero ravvisabili nel comportamento dello Z. gli estremi della grave negazione dell’elemento fiduciario.
Al riguardo il Collegio deve comunque riaffermare il principio, già enunciato dalla giurisprudenza di legittimità, che il medico ha l’obbligo di controllare la completezza e l’esattezza del contenuto della cartella clinica (cfr., Cass., n. 12273 del 5.7.2004), cosicché l’inottemperanza a tale obbligo configura difetto di diligenza nell’adempimento della prestazione lavorativa;
tale comportamento inadempiente è inoltre da qualificarsi oggettivamente come di particolare gravità, avuto riguardo alla rilevante funzione che la cartella clinica assume, in primo luogo, sotto il profilo sanitario, nei confronti del paziente, ma anche, indirettamente, nei confronti della struttura sanitaria a cui il paziente stesso si è affidato.
Ne consegue che, in linea generale, la violazione del suddetto obbligo è da ritenersi idonea a determinare la irrimediabile lesione dell’elemento fiduciario e il conseguente recesso datoriale.
Tali estreme conseguenze sono tuttavia da escludersi laddove lo stesso comportamento della parte datoriale sia stato tale da avere ingenerato nel medico lavoratore dipendente l’affidamento sulla tolleranza da parte del datore di lavoro della sua indebita condotta, come, secondo il sovrano accertamento effettuato dalla Corte territoriale, deve ritenersi essere avvenuto nel caso che ne occupa, giusta le modalità di organizzazione dell’attività del reparto, caratterizzata, come già ricordato, dalla materiale indisponibilità da parte del responsabile delle cartelle successivamente alle dimissioni delle pazienti, con conseguente completamento delle stesse solo dopo che il sanitario veniva informato dell’esito degli esami istologici (informazione, che, secondo quanto ritenuto dalla Corte territoriale sulla base dell’esperita istruttoria non era prova che fosse stata data in relazione alle cartelle in contestazione) e dal consentire la clinica che fossero i medici di fiducia delle pazienti, quando si avvalevano della struttura, a compilare le relative cartelle, anche in relazione alla diagnosi definitiva, e a firmare le dimissioni.
Deve inoltre escludersi che la Corte territoriale abbia violato i principi inerenti alla ripartizione dell’onere della prova, avendo espressamente valorizzato, al fine del giudizio sulla gravità dell’inadempimento, elementi probatori ritualmente acquisiti sulla base della istruttoria espletata (in particolare le dichiarazioni testimoniali inerenti alla ricordata prassi, secondo cui una volta pervenuto l’esame istologico il personale amministrativo avvisava il medico) ovvero sostanzialmente pacifici (l’insussistenza di un potere gerarchico e direttivo da parte dello Z. nei confronti dei medici di fiducia delle pazienti che operavano nella Casa di Cura).
La censura inerente alla pretesa responsabilità dello Z. in ordine alla ritenuta disorganizzazione del reparto è inammissibile siccome nuova, non essendo stata tale questione trattata nella sentenza impugnata, nè avendo la ricorrente indicato, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, se e in che termini la stessa sarebbe stata sottoposta alla Corte d’Appello.
Le doglianze inerenti alle valutazioni rese dalla Corte territoriale in ordine alla sussistenza dei fatti contestati con specifico riferimento alle cartelle cliniche prodotte, laddove non assorbite dalle considerazioni che precedono, si risolvono nella richiesta di una nuova valutazione di elementi fattuali non consentita in sede di legittimità (con specifico riguardo alla richiamata cartella clinica n. X. neppure sorretta dalla riproduzione del contenuto del documento, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione) ovvero nella indicazione di risultanze processuali prive del carattere della decisività e, come tali, inidonee a configurare il preteso vizio motivazionale.
I motivi di ricorso all’esame non possono quindi trovare accoglimento.
3. Il quinto motivo di ricorso inerisce essenzialmente alla pretesa erronea interpretazione del contenuto della lettera di contestazione.
Al riguardo deve osservarsi che, secondo il condiviso orientamento della giurisprudenza di questa Corte, l’interpretazione di un atto negoziale è tipico accertamento in fatto riservato al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità, se non nell’ipotesi di violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, di cui agli artt. 1362 c.c. e seguenti o di motivazione inadeguata ovverosia non idonea a consentire la ricostruzione dell’iter logico seguito per giungere alla decisione; con la conseguenza che, onde far valere una violazione sotto il primo profilo, occorre non solo fare puntuale riferimento alle regole legali d’interpretazione, mediante specifica indicazione dei canoni asseritamente violati ed ai principi in esse contenuti, ma occorre, altresì, precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito se ne sia discostato, e con l’ulteriore conseguenza dell’inammissibilità del motivo di ricorso che si fondi sull’asserita violazione delle norme ermeneutiche o del vizio di motivazione e si risolva, in realtà, nella proposta di una interpretazione diversa (cfr., ex plurimis, Cass., nn. 22536/2007;
7500/2007).
Nel caso all’esame la Corte territoriale, fondando la propria valutazione sul contenuto testuale della lettera di contestazione, ha escluso, con motivazione lineare e priva di elementi di contraddittorietà, che fosse stata contestata la mancata predisposizione dei turni di servizio per il mese di novembre 1999, facendo altresì corretto riferimento al principio di immodificabilità della contestazione.
Al contempo l’odierna ricorrente, al di là del generico richiamo agli artt. 1362 c.c. e ss., non ha indicato in qual modo la sentenza impugnata si sarebbe discostata dall’osservanza dei criteri ermeneutici ivi previsti, risolvendosi invece la censura svolta nella prospettazione di una diversa lettura della fonte documentale non ammissibile in sede di legittimità.
Il motivo all’esame non può dunque esser accolto.
4. Nel respingere la doglianza inerente al mancato accoglimento dell’istanza di richiesta di informazioni alla PA la Corte territoriale si è conformata al condiviso principio secondo cui l’esercizio del potere di cui all’art. 213 c.p.c. di richiedere d’ufficio alla pubblica amministrazione le informazioni relative ad atti e documenti della stessa che sia necessario acquisire al processo, rientra, al pari del ricorso ai poteri istruttori previsti dall’art. 421 c.p.c., nella discrezionalità del giudice, e non può comunque risolversi nell’esenzione della parte dall’onere probatorio a suo carico, con la conseguenza che tale potere può essere attivato soltanto quando, in relazione a fatti specifici già allegati, sia necessario acquisire informazioni relative ad atti o documenti della PA che la parte sia impossibilitata a fornire e dei quali solo l’amministrazione sia in possesso proprio in relazione all’attività da essa svolta (cfr., ex plurimis, Cass., nn. 1461/2008; 16713/2003;
3573/1999), corroborando la decisione sul punto con il rilievo che la parte appellante neppure aveva allegato di non poter fornire la prova documentale della intercorrenza di un rapporto di lavoro subordinato dello Z. con il SSN e con la considerazione che l’appellato aveva esibito in giudizio certificazione della ASL X. Napoli attestante l’insussistenza di rapporti di convenzionamento.
Sul punto la decisione della Corte territoriale si sottrae pertanto alle censure svolte, anche con riferimento al preteso mancato esercizio dei poteri istruttori officiosi.
La doglianza specificamente rivolta in ordine alla omessa pronuncia sulla richiesta di produzione, ex art. 210 epe, delle dichiarazioni dei redditi dello Z. resta assorbita, essendo tale istanza funzionale all’accertamento del quantum delle somme (asseritamente) percepite in forza di rapporti lavorativi (eventualmente) incompatibili con quello già svolto presso la Casa di Cura e, come tale, presupponente che fosse stata fornita la prova dell’effettiva sussistenza di tali rapporti.
5. Conclusivamente, in forza delle considerazioni che precedono, il ricorso va rigettato.
Consegue la condanna della parte soccombente alla rifusione delle spese di lite, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese di lite, che liquida in Euro 24,00, oltre ad Euro 2.000,00 (duemila) per onorari, oltre a spese generali, IVA e CPA come per legge.
Così deciso in Roma, il 10 febbraio 2009.
Depositato in Cancelleria il 13 marzo 2009