Un medico di medicina generale si asseriva non avesse adempiuto all’obbligo di effettuare una visita domiciliare entro i tempi massimi previsti. La visita era stata sollecitata da una amica dell’assistita presentando quest’ultima difficoltà respiratorie; la paziente rimasta senza assistenza fino al giorno successivo veniva ricoverata d’urgenza in ospedale dove decedeva.
Il sanitario aveva avanzato difese a discolpa.
Ha osservato la Corte di Cassazione che la mancata risposta alla richiesta di intervento di una malata, che abbia prospettato una situazione di pericolo, configura violazione dell’art. 7 del codice deontologico, secondo cui il medico non può mai rifiutarsi di prestare soccorso o cure d’urgenza e deve tempestivamente attivarsi per assicurare specifica e adeguata assistenza.
Cassazione Civile – Sez. III; Sent. n. 12801 del 25.05.2010
PREMESSO IN FATTO
Il giorno 26 febbraio 2010 è stata depositata in Cancelleria la seguente relazione ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.:
“1. – Il dott. D.F. propone due motivi di ricorso per Cassazione contro la decisione 30 giugno 2008 n. 42 della Commissione Centrale per gli Esercenti le Professioni Sanitarie, a lui notificata il 13 gennaio 2009, che gli ha inflitto la sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio della professione per un mese.
Il procedimento disciplinare era stato iniziato a seguito di segnalazione del Direttore generale dell’Azienda Provinciale per i servizi sanitari della Provincia autonoma di (OMISSIS), che aveva comminato al dott. D. la sanzione della riduzione del trattamento economico del 10%, per la durata di tre mesi, per violazione del D.P.R. 28 luglio 2000, n. 210, art. 33 – Regolamento di esecuzione dell’accordo collettivo nazionale per la disciplina del rapporto con i medici della medicina generale, per non avere adempiuto all’obbligo di effettuare una visita domiciliare entro i tempi massimi previsti (nel corso della stessa giornata, ove la chiamata pervenga entro le ore 10; entro le ore dodici del giorno successivo per le richieste pervenute successivamente).
Nella specie la visita era stata sollecitata da un’amica di una paziente del dott. D., la quale paziente presentava difficoltà respiratorie; era rimasta senza assistenza fino al giorno successivo, allorché era stata ricoverata d’urgenza in ospedale, dove era deceduta.
Il D. aveva dedotto a sua discolpa di non essere stato informato delle effettive condizioni della paziente, essendo stata interrotta la telefonata.
In sede di ricorso al Collegio arbitrale ai sensi del D.P.R. n. 270 del 2000 cit., art. 16, comma 5, contro la sanzione pecuniaria inflitta dal Direttore generale, la sanzione era stata ridotta ad un richiamo con diffida.
Era stato però informato l’Ordine dei medici per gli adempimenti deontologici di competenza, ai sensi del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, art. 8, comma 3 il quale Ordine aveva iniziato il procedimento disciplinare conclusosi con il provvedimento impugnato in questa sede.
Resiste con controricorso il Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali.
2.- Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 7 del codice deontologico dei medici, addebitando alla Commissione di avergli imputato l’omesso intervento in situazione di urgenza, pur avendo riconosciuto che egli non aveva avuto la possibilità di accertare l’effettiva sussistenza di ragioni di urgenza, e chiede nel quesito che si dichiari se il medico è obbligato ad effettuare la visita richiesta, ove non abbia avuto la possibilità di accertare l’effettiva sussistenza delle suddette ragioni.
3.- Con il secondo motivo denuncia la violazione del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, rt. 8, comma 3 sul rilievo che l’Ordine professionale avrebbe dovuto valutare la rilevanza disciplinare del suo comportamento con esclusivo riferimento alla violazione dell’obbligo di effettuare le visite richieste dai pazienti entro i tempi, di cui alla convenzione con le Aziende sanitarie, poiché solo tale obbligo gli era stato contestato e solo in relazione a questo era stata inoltrata la segnalazione all’Ordine.
Gli era stato invece addebitato un comportamento diverso, cioè il mancato intervento in situazione di urgenza di cui all’art. 7 del codice deontologico.
4.- I due motivi, che vanno congiuntamente esaminati perchè connessi, sono manifestamente infondati, se non anche inammissibili, nella parte in cui sottopongono a censura l’accertamento di merito circa l’illegittimità del comportamento del medico, di cui al provvedimento impugnato. Va premesso che la segnalazione all’Ordine dei medici delle inadempienze alla convenzione autorizzano l’Ordine a valutare la rilevanza deontologica dei comportamenti denunciati sotto ogni profilo e con riguardo a qualunque norma del codice deontologico, fermi restando i fatti contestati, trattandosi di sistemi normativi diversi, ognuno dei quali persegue proprie finalità.
Quanto al merito, correttamente la Commissione ha ritenuto che la mancata risposta alla richiesta di intervento di una malata, che prospettava una situazione di pericolo, configura violazione dell’art. 7 del codice deontologico, secondo cui il medico non può mai rifiutarsi di prestare soccorso o cure d’urgenza e deve tempestivamente attivarsi per assicurare specifica e adeguata assistenza.
Nè sussiste la denunciata contraddittorietà nella motivazione del provvedimento.
Correttamente ha rilevato la Commissione che costituisce comunque comportamento colposo del medico il non accertarsi di persona, ove sia denunciata una situazione di pericolo, delle effettive condizioni di chi solleciti il suo intervento.
Se è vero, quindi, che il medico ha il diritto di chiedere e di ottenere tutte le informazioni del caso, prima di intervenire, non gli è consentito di correre – e di far correre al paziente – il rischio del dubbio; nel senso che, nell’incertezza, è tenuto ad intervenire e a constatare di persona quale sia la situazione effettiva, considerati i rischi insiti nella sottovalutazione di un caso di effettivo pericolo (rischi che nel caso di specie si sono effettivamente realizzati, con la morte della paziente).
5.- Propongo che il ricorso sia rigettato, con procedimento in Camera di consiglio”. – La decisione è stata comunicata al pubblico ministero e ai difensori delle parti.
Il pubblico ministero non ha depositato conclusioni scritte.
– Il ricorrente ha depositato memoria.
RITENUTO IN DIRITTO
1.- Il Collegio, all’esito dell’esame del ricorso, ha condiviso la soluzione e gli argomenti esposti nella relazione, che le argomentazioni difensive contenute nella memoria non valgono a disattendere.
L’art. 7 del codice deontologico non limita ai casi di dolo la rilevanza disciplinare del mancato intervento, ma – nel disporre genericamente che il medico non può mai rifiutarsi di prestare soccorso o cure d’urgenza – presuppone logicamente che il mancato accertamento della situazione di urgenza sia ascrivibile alla responsabilità dello stesso sanitario, che è normalmente l’unico soggetto competente in materia, trattandosi di valutazione di carattere tecnico, che non può essere demandata a soggetti terzi.
La pretesa di esimersi da responsabilità deducendo il mancato accertamento (ancorché colposo) dell’urgenza, equivarrebbe alla sostanziale elusione del disposto del citato articolo del codice deontologico.
Correttamente, pertanto, il provvedimento impugnato ha equiparato al mancato intervento il mancato accertamento da parte del medico chiamato ad intervenire della sussistenza o meno della situazione di urgenza.
2.- Il ricorso deve essere rigettato.
3.- Le spese del presente giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
LA CORTE DI CASSAZIONE rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali in favore del resistente, liquidate in Euro 3.600,00 per onorari oltre spese prenotate a debito e altre generali.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 8 aprile 2010.
Depositato in Cancelleria il 25 maggio 2010