La Corte di cassazione interviene ancora una volta a tutela nella privacy dei pazienti e sancisce il divieto di sottoporre al test AIDS chi non abbia prestato il suo specifico consenso. È necessario, spiega la Corte (sentenza 2468/2009), rispettare la privacy di chi è affetto da questa malattia giacché diversamente si dovrà risarcire il danno subito.
La terza sezione della Corte ha così accolto il ricorso di un omosessuale che, ricoverato per un forte attacco febbrile con diagnosi di leucopenia, era stato sottoposto al test anti-Hiv senza il suo preventivo consenso. La vicenda peraltro “era stata custodita senza alcuna riservatezza così che le notizie relative alla salute di […] e alla sua omosessualità si erano diffuse all’interno e all’esterno dell’ospedale”. A seguito di tale diffusione di notizie l’uomo era stato costretto a chiudere la sua attività di commerciante ed il caso finiva in tribunale con una richiesta di risarcimento di ¤ 500.000. La Corte di Appello di Perugia nella sua sentenza aveva affermato che i medici non avrebbero violato la privacy del paziente ma ha agito nel suo esclusivo interesse. La Cassazione però ribaltando il verdetto ha accolto il ricorso del commerciante affermando che nel caso in esame vi è stata una doppia lesione nella privacy sia perché “è stata indicata in piena evidenza nella cartella clinica la sua omosessualità e la cartella non è stata custodita con la diligenza necessaria ad evitare che di essa potessero prendere visione anche persone estranee al personale sanitario, sia perché il test anti-Hiv gli è stato fatto senza chiedere il preventivo consenso”. Nell’impianto motivazionale la Corte richiama la legge 135 del ’90 e ricorda che “nessuno può essere sottoposto al test anti-Hiv, se non per motivi di necessita’ clinica”. Peraltro, anche nei nei casi di necessità “il paziente deve essere informato del trattamento a cui lo si vuole sottoporre e ha il diritto di dare o di negare il suo consenso, in tutti i casi in cui sia in grado di decidere liberamente e consapevolmente”. In sostanza non si può prescindere dal consenso informato se non “nei casi di obiettiva e indifferibile urgenza del trattamento sanitario, o per specifiche esigenze di interesse pubblico (rischi di contagio per terzi), circostanze che il giudice deve indicare”. Ora il caso dovrà essere riesaminato dalla Corte di Appello di Roma A questo punto sarà compito della Corte d’Appello di Roma a riesaminare la vicenda sulla base delle indicazioni della Suprema Corte e decidere anche in merito al risarcimento del danno.