Il fatto
un medico di continuità assistenziale e altro medico intervenuto nell’immediatezza su richiesta dei familiari della paziente, sono stati condannati alla pena di mesi quattro di reclusione ciascuno ed in solido al risarcimento dei danni morali e materiali, in quanto dichiarati colpevoli per avere cagionato la morte di una bimba con difficoltà respiratorie conseguenti a shock anafilattico per assunzione orale di cefalosporina contenuta in un certo farmaco.
La colpa era consistita in imperizia e, segnatamente, nell’avere omesso di effettuare le dovute manovre di ossigenazione bocca-naso, omettendo di somministrare adrenalina per via intramuscolare e/o venosa, idrocortisone e antistaminico, limitandosi a praticare un inefficace trattamento descritto in sentenza, lasciando la paziente ai familiari per il trasporto in ospedale
Il diritto
Agli imputati è stata addebitata la mancanza di qualsiasi intervento utile, fondata presumibilmente su un errore di diagnosi e verosimilmente anche sul fatto di non avere mantenuto la necessaria lucidità e freddezza; ad uno di essi è stato anche addebitato il comportamento omissivo di non avere provveduto ad accompagnare personalmente la piccola in ospedale, come sarebbe stato specifico dovere fare.
Esito del giudizio
La Corte di Cassazione ha respinto i ricorsi dei sanitari e confermato la pronuncia di condanna.
Cassazione Penale – Sez. IV; Sent. N. 20572 del 24.05.2011
Svolgimento del processo
Con sentenza del 16 marzo 2010 la Corte d’Appello di Catanzaro ha confermato la sentenza in data 23 luglio 2007 del Tribunale di Vibo Valentia che ha condannato M.G. e C.M. alla pena di mesi quattro di reclusione ciascuno ed in solido al risarcimento dei danni morali e materiali nei confronti della costituita parte civile, perchè dichiarati colpevoli del reato di cui agli artt. 113 e 589 cod. pen. per avere, cooperando in una condotta colposa, il primo quale sanitario in servizio presso la Guardia Medica, ed il secondo quale medico intervenuto nell’immediatezza su richiesta dei familiari della parte offesa, cagionato la morte di V.B. che versava in difficoltà respiratorie conseguenti a shock anafilattico a seguito di assunzione orale di cefalosporina contenuta nel farmaco Panacef, per colpa consistita in imperizia e, segnatamente, per avere omesso di effettuare le dovute manovre di ossigenazione bocca-naso, omettendo di somministrare adrenalina per via intramuscolare e/o venosa, idrocortisone e antistaminico, limitandosi a praticare esclusivamente due iniezioni intramuscolari, una di Bentelan e una di Valium, quest’ultimo farmaco assolutamente controindicato attesa la depressione respiratoria in atto, omettendo altresì di ricorrere alla tracheotomia quale intervento di urgenza e lasciando la paziente ai familiari per il trasporto presso l’Ospedale Civile di Vibo Valentia; imperizie ed omissioni che determinavano la morte della parte offesa per collasso cardiocircolatorio conseguente ad insufficienza respiratoria acuta provocata da ostruzione alle vie respiratorie da edema acuto della glottide; fatto avvenuto in X. , con evento morte constatato in X. in pari data.
La Corte territoriale ha motivato tale sentenza richiamando la sentenza di primo grado, ricostruendo dettagliatamente il breve periodo di tempo intercorso fra la somministrazione alla piccola V.B. del farmaco Panacef e la successiva morte, sulla base delle testimonianze dei genitori e del fratello della parte offesa. La Corte d’Appello ha inoltre richiamato la consulenza tecnica d’ufficio e l’accertamento autoptico in base al quale è stato accertato che la piccola è deceduta per l’insufficienza respiratoria dovuta all’ostruzione delle vie respiratorie procurata da edema della glottide conseguente a shock anafilattico, a sua volta conseguente all’assunzione del farmaco indicato. E’ stato considerato l’errore nella diagnosi formulata dai medici imputati, che non hanno diagnosticato lo shock anafilattico, pur essendo venuti a conoscenza dell’assunzione del farmaco Panacef da parte della parte offesa, ed il nesso di causalità fra l’omissione delle terapie necessarie in caso di shock anafilattico e consistenti nell’assunzione immediata e continuata di adrenalina, farmaco presente nella guardia medica a cui era preposto il M., e l’omessa effettuazione di un intervento di emergenza quale la tracheotomia che avrebbe consentito alla piccola B. di respirare pur nella gravità della situazione, e l’evento morte.
Agli imputati è stata, in conclusione, addebitata la mancanza di qualsiasi intervento utile, fondata presumibilmente su un errore di diagnosi e verosimilmente anche sul fatto di non avere mantenuto la necessaria lucidità e freddezza; all’imputato C. è stato anche addebitato il comportamento omissivo di non avere provveduto ad accompagnare personalmente la piccola in ospedale, come sarebbe stato suo dovere fare.
Entrambi gli imputati propongono ricorso per cassazione avverso tale sentenza chiedendone l’annullamento.
Il M. deduce violazione dell’art. 603 cod. proc. pen. sotto il profilo della illogicità della motivazione. In particolare il ricorrente lamenta la mancanza di motivazione sul rigetto dell’istanza di rinnovazione del dibattimento che sarebbe stata necessaria per chiarire la scusabilità dell’errore nella diagnosi stante la dedotta mancanza di chiari sintomi che potessero indurre a diagnosticare lo shock anafilattico.
Con secondo motivo si deduce violazione di legge e motivazione contraddittoria ed illogica per omessa valutazione di prove assunte nel dibattimento. In particolare si assume che non sarebbe stato considerato il reale stato in cui si è presentata la piccola parte offesa alla guardia medica. Inoltre non sarebbe stato considerato il referto medico attestante l’arrivo della paziente alla guardia medica alle ore 20,25, mentre l’ambulanza è stata chiamata appena otto minuti dopo, per cui il lasso di tempo a disposizione dell’imputato per operare un intervento è stato assai ridotto.
Con terzo motivo si assume mancanza del nesso di causalità fra il comportamento contestato e l’evento morte, e, comunque, presenza di errore scusabile. In particolare si assume che la carenza di notizie in sede di anamnesi e la non univoca sintomatologia presentata dalla parte offesa, non avrebbero offerto al sanitario alcun elemento per formulare una sostenibile ipotesi diagnostica; da ciò deriverebbe la mancanza di nesso causale fra la condotta del M. e l’evento.
Il ricorrente C. lamenta violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b) ed e) in relazione agli artt. 192 e 546 cod. proc. pen. e art. 589 cod. pen.. In particolare si assume che la sentenza impugnata si sarebbe fondata esclusivamente sulle dichiarazioni delle parti offese omettendo ogni valutazione di elementi contrari quali la reale situazione in cui la bambina giunse al presidio di Guardia Medica. Se la Corte territoriale avesse considerato la reale situazione in cui si trovava la bambina al momento in cui è intervenuto il C., in sofferenza cerebrale ormai irreversibile, sarebbe pervenuta ad altra conclusioni riguardo al nesso di causalità fra il comportamento di tale imputato e l’evento, in quanto la difficoltà respiratoria era ormai conseguente alla compromissione irreversibile delle funzioni cerebrali. La sentenza impugnata conterrebbe anche una contraddizione sostenendo la possibilità di un utile intervento di emergenza, considerando tuttavia uno spazio temporale di cinque minuti fra l’immediato malore conseguente all’assunzione del farmaco e l’arrivo presso la Guardia Medica, e tale spazio temporale sarebbe eccessivo per intervenire in una situazione di ipossia dovuta all’edema della glottide, e che conduce alla morte cerebrale in un tempo inferiore. Lo stato irreversibile della bambina al momento della chiamata del 118 sarebbe confermato anche dal tenore della telefonata in cui si descrive lo stato della piccola dicendo che non da segni. Anche riguardo alla tracheotomia il ricorrente deduce che non sarebbe stata considerata la sua concreta possibilità nè il nesso causale fra l’omesso intervento e la morte.
Con secondo motivo si lamenta violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b) ed e) in relazione all’art. 113 cod. pen. e art. 546 cod. proc. pen.; in particolare si assume l’assenza di una cooperazione colposa fra i due medici imputati avendo loro agito del tutto autonomamente, sia dal punto di vista giuridico che fattuale e, in particolare, la somministrazione farmacologica di cui alla contestazione sarebbe stata operata dal solo M..
Con terzo motivo il C. lamenta violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b) e c) in relazione agli artt. 192, 360 e 403 cod. proc. pen. con riferimento alla violazione del diritto di difesa per la mancata immediata iscrizione degli imputati nel registro degli indagati che ha consentito la mancanza del contraddittorio in relazione all’accertamento autoptico.
Con quarto motivo si assume violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. d) con riferimento al mancato accoglimento dell’istanza della difesa relativa ad una perizia collegiale che sarebbe opportuna stante la mancanza di contraddittorio in sede di perizia autoptica, e la diversità di opinioni scientifiche emerse nell’istruttoria.
Le parti civili hanno presentato memoria con cui chiedono il rigetto dei ricorsi deducendone l’infondatezza, con conseguente conferma della sentenza impugnata anche con riferimento alle statuizioni civili.
Motivi della decisione
I ricorsi non sono fondati e vanno conseguentemente rigettati.
Il primo motivo del ricorso del M. è infondato in quanto la motivazione del mancato accoglimento dell’istanza di rinnovazione del dibattimento deriva da tutto il complesso motivazionale da cui emerge con assoluta chiarezza, sia la causa della morte della parte offesa, sia il comportamento colposo degli imputati. In particolare, per quanto rileva ai fini del motivo di ricorso in esame, va sottolineato come la Corte territoriale abbia posto in evidenza, sulla base della consulenza medico legale espletata, la chiarezza dei sintomi che presentava la piccola B. che rende assolutamente inescusabile la condotta dell’attuale ricorrente che non ha riconosciuto la presenza dello shock anafilattico. Comunque la causa della morte è stata individuata nell’asfissia determinata dall’edema della glottide molto evidente anche a distanza di tre giorni dalla morte, che logicamente non poteva non essere evidente al momento del fatto. In altri termini l’eventuale scusabilità dell’errore nella diagnosi, da accertare tramite il rinnovo del dibattimento chiesto dal ricorrente, diviene persino irrilevante stante la precisa indicazione della condotta che avrebbe dovuto tenere il sanitario consistente, anche, in un intervento di emergenza quale la tracheotomia in caso di insufficienza respiratoria, indipendentemente dalla sua origine, e quindi dalla diagnosi.
In ordine al secondo motivo del ricorso del M. si osserva che non viene dedotta la decisività della circostanza relativa allo spazio temporale a disposizione del ricorrente per un utile intervento fra l’arrivo della piccola B. alla Guardia Medica, da fissare temporalmente alle ore 20,25 secondo l’assunto del ricorrente, e la telefonata al 118 intervenuta otto minuti dopo. Fra l’altro la circostanza, anche in questo caso, sarebbe irrilevante secondo il contesto motivazionale in cui viene addebitato un errore di diagnosi, un errore di terapia ed un’omissione di un intervento di emergenza, aspetti tutti per i quali è irrilevante lo spazio temporale in cui l’imputato è stato a contatto con la piccola paziente. Il terzo motivo che riguarda ancora la scusabilità dell’errore del sanitario, investe il merito in modo inammissibile in sede di legittimità stante la già affermata congruità e logicità della motivazione che ha evidenziato, sulla base della consulenza tecnica effettuata la cui valutazione è riservata al giudice del merito, con estrema chiarezza i sintomi della parte offesa e, soprattutto, il comportamento dei sanitari.
Il primo motivo del ricorso del C. riguarda il merito del processo, e valgano al riguardo le considerazioni già svolte per il ricorso che precede, sia con riferimento ai sintomi che presentava la piccola paziente al momento dell’arrivo presso la Guardia Medica, sia con riferimento allo spazio temporale a disposizione dell’imputato.
Fra l’altro la sentenza impugnata addebita al C. anche la colpa per non avere accompagnato personalmente la piccola B. in ospedale, per cui il comportamento addebitato a tale imputato prescinde dallo stretto spazio temporale in cui la piccola è rimasta presso la Guardia Medica.
Il secondo motivo che lamenta l’assenza di una cooperazione colposa fra i due imputati è irrilevante in quanto ad entrambi viene comunque addebitata la colpa in relazione all’evento morte, per cui anche l’eventuale assenza di cooperazione fra i due non rileverebbe ai fini dell’affermazione della responsabilità.
Il terzo motivo riguarda la mancata immediata iscrizione dell’imputato nel registro degli indagati che avrebbe consentito lo svolgimento di un importante mezzo istruttorio quale l’autopsia, senza la presenza del difensore. Va a tale riguardo osservato che l’autopsia costituisce mezzo istruttoria urgente ed irripetibile che prescinde dalla determinazione di eventuali indagati. Dagli atti di causa risulta che all’epoca dell’ordinanza che ha disposto l’autopsia in data 6 novembre 2006, il procedimento penale era contro ignoti iscritto al mod. 44. Questa Corte ha affermato anche di recente che, qualora il P.M. debba procedere ad accertamenti tecnici non ripetibili previsti dall’art. 360 cod. proc. pen., ricorre l’obbligo di dare l’avviso al difensore solo nel caso in cui al momento del conferimento dell’incarico al consulente sia già stata individuata la persona nei confronti della quale si procede, mentre tale obbligo non ricorre nel caso che la persona indagata sia stata individuata successivamente nel corso dell’espletamento delle operazioni peritali (Cass. 23 febbraio 2010 n. 20591).
Infondato è anche il quarto motivo con il quale si lamenta il mancato accoglimento dell’istanza della difesa relativa ad una perizia collegiale. Va al riguardo considerato che, come più volte affermato dalla Corte di Cassazione, la perizia è un mezzo di prova essenzialmente discrezionale, essendo rimessa al giudice di merito, anche in presenza di pareri tecnici e documenti prodotti dalla difesa, la valutazione della necessità di disporre indagini specifiche. Ne consegue che non è sindacabile in sede di legittimità, sempre che sia sorretto da adeguata motivazione, il convincimento del giudice circa l’esistenza di elementi tali da escludere la situazione che l’accertamento peritale richiesto dovrebbe dimostrare (Cass. 10 dicembre 1997 n. 1476; Cass. 7 luglio 2003 n. 34089).
Al rigetto dei ricorsi segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonchè alla rifusione in favore delle parti civili, delle spese di questo giudizio liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonchè alla rifusione in favore delle costituite parti civili delle spese di questo giudizio che unitariamente e complessivamente liquida in Euro 2.500,00 oltre spese generali, IVA e CPA come per legge.