I dati contenuti nel computer aziendale, non attinenti alla prestazione lavorativa del lavoratore subordinato, non sono accessibili al datore di lavoro ma l’azienda ha il diritto di conservare i file del dipendente al fine di poterli eventualmente presentare come prova nell’ambito del contenzioso penale.
E’ quanto stabilisce l’Autorità garante per la protezione dei dati personali (newsletter n. 346 del 1°marzo 2011) in merito al ricorso di un dipendente che chiedeva al suo ex datore di lavoro di cancellare alcune cartelle personali presenti nel computer portatile restituito dopo il licenziamento. Nel corso dell’istruttoria, l’azienda ha però affermato che proprio in quel materiale potevano essere presenti prove della concorrenza sleale posta in essere dal dipendente insieme ad altri colleghi. Il Garante non ha accolto la richiesta avanzata dall’interessato di far cancellare i dati ma ha deciso di inibire alla società l’accesso alle cartelle private poiché il trattamento dei dati personali estranei all’attività lavorativa avrebbe violato i principi di pertinenza e non eccedenza previsti dal Codice della privacy. L’Authority, precisando che il diritto alla riservatezza dei lavoratori deve essere bilanciato con la possibilità per le imprese di tutelarsi nell’ambito di eventuali procedimenti penali, ha però riconosciuto il diritto dell’impresa di conservare i file del dipendente al fine di poterli eventualmente presentare come prova nel contenzioso penale.