Nella categoria del danno biologico vanno compresi: – il danno estetico; – il danno alla vita di relazione; – il danno alla capacità sessuale; – il danno lavorativo generico; e di tutti i singoli danni si deve fare una valutatone globale, eventualmente considerando coesistenze e concorrenze, traducendola in una percentuale di danno alla validità, che corrisponde al solo danno alla salute.
Corte Appello Roma Sez. III, 21-12-2010
Svolgimento del processo
Con citazione notificata in data 9.01.2007 la sig.ra Bo.Ro. ha proposto appello avverso la sentenza emessa in data 13.01.2006 dal Tribunale di Roma con la quale era stata, in parte, accolta la sua domanda avanzata con citazione notificata il 15.05.2002 nei confronti di Be.An., Be.Ma., Be.As. S.p.A., SI. soc. coop. r.l., Ca.Cr. e la Ca., con la richiesta di condanna dei convenuti, in solido, ai risarcimento dei danni da essa patiti in esito ad un incidente stradale la cui responsabilità attribuiva ai singoli conducenti dei due veicoli coinvolti (su uno dei quali essa si trovava trasportata).
Il primo giudice (nel contraddicono delle due assicurazioni, che si erano opposte alle domande, e nella contumacia dei convenuti Be., Si. e Ca.), aveva attribuito a colpa concorrente dei due conducenti coinvolti nel sinistro (Be.Ma. e Ca.Cr.) la responsabilità del medesimo e determinato l’importo del risarcimento a favore dell’attrice in Euro 26.813,00 posti a carico dei Be. e della Be.As., ed in altrettanti Euro 26.813,00 posti a carico di Ca.Cr., della Si. e della Ca.As., in solido; regolando le spese processuali in base alla soccombenza.
La appellante deduce e sostiene l’erroneità della sentenza per incongrua ed esigua valutazione dei danni subiti nel sinistro per ogni singola voce di danno richiesto, contestando anche i criteri di determinazione delle voci accessorie (rivalutazione ed interessi); chiedendo la riforma della sentenza di primo grado e, nel merito, la condanna degli appellati, pro quota, al pagamento degli ulteriori danni subiti nel sinistro per cui è causa – indicati in Euro 62.800.56 – oltre che delle spese del grado del giudizio.
Si è costituita la appellata Be. S.p.A. (poi incorporata dalla Al. S.p.A.) per contestare l’appello proposto perché infondato e per chiederne il rigetto, ed avanzando appello incidentale per vedere riformata la sentenza in merito alla determinazione delle responsabilità per il sinistro che doveva essere ascritta a fatto e colpa esclusivi del conducente della Fiat Uno (Ca.Cr.).
Si è costituita la Ca.As. coop a r.l. per contestare l’appello proposto perché infondato e per chiederne il rigetto, ed avanzando appello incidentale per vedere riformata la sentenza in merito alla determinazione delle responsabilità del sinistro che dovevano essere attribuite in via esclusiva e/o prevalente al conducente della Mercedes Espana (Be.Ma.).
Sono rimasti contumaci anche in questo grado gli appellati Be.Ma., Be.An., Ca.Cr. e la curatela del fallimento Si. (medio tempore dichiarata fallita).
Quindi precisate le conclusioni all’udienza del 16.07.2010 (previa riconduzione della causa al rito ordinario in luogo di quello di lavoro) la causa è stata trattenuta per la decisione ex art. 352 c.p.c. con concessione dei termini di cui agli art. 190 c.p.c. e riserva del deposito della sentenza allo scadere dei termini di legge.
Motivi della decisione
I) E’ preliminare l’esame dei due appelli incidentali delle compagnie di assicurazione dei due veicoli coinvolti nel sinistro relativamente alfa responsabilità dei conducenti della Fiat e della Mercedes, che il tribunale aveva ritenuto obbligati, ex art. 2O54 comma 2 c.c. in via concorrente.
A tal riguardo la Corte ritiene di dover confermare la sentenza di primo grado poiché, in esito alla valutazione degli elementi probatori acquisiti in quel giudizio, che si sono condensati nel rapporto stilato dalla Polizia Urbana di Roma e nella dichiarazione testimoniale di Pa.Fr. (presente al momento del fatto), la responsabilità del sinistro deve essere attribuito a fatto e colpa concorrente dei due conducenti delle auto in questione.
In esito ai predetti elementi la Corte rileva che non è stata fornita prova alcuna atta a dimostrare che il sinistro ebbe a verificarsi per fatto e colpa esclusivi dell’appellato Ca. (conducente della Fiat Uno che seguiva la Mercedes guidata dai Be.); il medesimo, sebbene non abbia urtato l’autovettura che lo precedeva, fu costretto alla manovra di emergenza (chiaramente descritta dal teste Po. che viaggiava sulla sua auto dietro la Fiat Uno) che lo portò a sterzare verso destra ed urtare con il guard-rail laterale cagionando danni all’auto ed alla trasportata sig.ra Bo..
Nel contrasto tra le parti sulla dinamica esatta del sinistro, pur non potendosi applicare direttamente il criterio presuntivo di cui all’art. 2054 comma 2 c.c. (come erroneamente fatto dal tribunale) che trova applicazione solo ove vi sia stato uno “scontro” tra due autoveicoli, rimaneva applicabile il 1° comma dell’art. 2054 c.c. che obbliga ogni automobilista a risarcire i danni cagionati dalla sua circolazione salvo che riesca a dare la prova liberatoria di “aver fatto tutto il possibile per evitare ti danno” (cfr. Cass. civ., sez. III, 24-05-2006, n. 12370: “la presunzione di corresponsabilità prevista dall’art. 2054, 2° comma, c.c., è applicabile soltanto in ipotesi di scontro tra veicoli e non quando sia mancata la collisione tra gli stessi”, che, in un caso di decesso di un motociclista, slittato sul fondo stradale ghiaioso e schiacciato dalla ruota di un autocarro, la suprema corte ha tuttavia confermato, correggendo sul punto la motivazione, la sentenza di merito, che aveva condannato al risarcimento dei danni il proprietario dell’automezzo, in quanto fondata non solo sulla responsabilità ex art. 2054, 2° comma, ma anche sull’applicabilità del 1° comma di tale disposizione, per mancanza della prova liberatoria).
Infatti nessuno dei due conducenti (peraltro rimasti contumaci in 1° grado) ha fornito elementi probatori atti a dar prova dell’assenza di loro colpa, e tantomeno il Be.Ma. (guidatore della Mercedes) ha dimostrato di aver fatto tutto il possibile per evitare che l’altra auto si trovasse in una condizione che la costringesse ad una manovra di emergenza con le dannose conseguenze descritte dalla parte attrice in prime cure.
In merito a questo specifico elemento la testimonianza del sig. Po. risulta rilevate ed attendibile in ordine alla manovra, repentina ed imprevedibile, posta in atto dalla Mercedes al fine di potersi immettere sulla rampa di accesso al GRA; testimone che dichiarò anche di non aver visto quell’autoveicolo segnalare la sua manovra di immissione nello svincolo e senza che tale dichiarazione possa ritenersi inficiata dallo posizione dell’auto del testimone (dietro la Fiat Uno), posto che, a fronte della precisa dichiarazione testimoniale, la valutazione di inattendibilità dei teste, formulata dai I giudice, appare dei tutto soggettiva ed immotivata.
A fronte dei predetti elementi valutativi e del contegno processuale dei due conducenti, pur in difetto dei presupposti di cui all’art. 2054 comma 2 c.c., non sarebbe stato possibile superare la presunzione di colpa di cui al comma 1° stante la mancata prova liberatoria che incombeva su entrambe le parti coinvolte nell’incidente stradale.
Gli appelli incidentali vanno respinti dovendosi confermare che entrambi i conducenti ebbero a determinare, paritariamente, l’insorgere del sinistro in questione e che per questo sono tenuti al risarcimento del danno subito dalla trasportata Ro.Bo.
II) Con unico ed articolato motivo di appello principale la sig.ra Bo. censura l’entità dei danni a lei riconosciuti dalla appellata sentenza lamentando che il Tribunale le avrebbe negato il risarcimento del “danno esistenziale” ed erroneamente calcolato il danno biologico, il danno estetico e il danno morale; peraltro senza una motivazione sufficiente sui criteri seguiti. In particolare, confermata la critica già sollevata alle conclusioni dei CTU (poi fatte proprie dal Tribunale), vengono mosse censure relativamente a mancata o scarsa considerazione delle lesioni incidenti sull’aspetto estetico della persona, oltre che dei danno esistenziale subito.
L’unica categoria di danno che deve ritenersi non risarcibile in quanto sicuramente non richiesta inizialmente dalla danneggiata (e non passibile di aggiunta in corso di causa) è quella del c.d. danno esistenziale per la diversità di tale danno dal semplice danno morale (confr., per tutte, Cass. sez. III, 24-08-2007, n. 17977; “la domanda di risarcimento del donno morale, ove specificamente proposta, non può essere intesa come implicitamente riferita anche al risarcimento dei ed, danno esistenziale, laddove non sia proposta anche una domanda di risarcimento di danni non patrimoniali e manchino specifiche allegazioni di fatto in ordine all’esistenza di pregiudizi, intesi come alterazione delle abitudini relazionali e delle scelte di vita del soggetto, del tutto distinti e diversi dal dolore e dalla sofferenza ulteriore, indipendentemente dalla autonoma configurabilità e dalla astratta collocazione sistematica del danno esistenziale nell’ambito della categoria del danno non patrimoniale”); e analizzato il contenuto della originaria citazione della sig.ra Bo. emerge, all’evidenza, che l’odierna appellante non aveva minimamente fatto cenno a tale categoria di danno non patrimoniale (avendo la stessa esplicitato che richiedeva la “salutazione economica del risarcimento del danno biologico, morale e patrimoniale subito” – a pag. 5 citazione del 15.5.2002).
Per il resto le censure possono ritenersi – astrattamente – fondate (salva verifica del quantum) fatta eccezione dell’ultima categoria di danno indicata.
Alla appellante, pertanto, spettava sicuramente il risarcimento dei danno biologico, del danno morale e del rimborso spese mediche (sostenute e da sostenere, queste ultime, quale danno futuro). Tutte voci riconosciute dal Tribunale nella appellata sentenza ma contestate dalla appellante nella loro concreta quantificazione.
Passando alla quantificazione dei danni subiti dalla appellante ritiene la Corte che le somme già liquidate dal tribunale vadano riviste alla luce della CTU del dr. Ia. e dei rilievi critici del CTP dr. Tu. per parte appellante, con specifico riferimento alle lesioni di natura fisica (danno biologico).
Il primo esame riguardagli esiti di natura “permanente” all’integrità psicofisica della sig.ra Bo. (quantificati nei 20% dal CTU che li aveva suddivisi nel 17 circa “per il danno oculare” e nei 3% circa “per tutti gli altri esiti complessivamente considerati”).
Il CTU ha chiarito e posto in evidenza le lesioni concretamente patite dalla periziando anche dal punto di vista estetico; danni incidenti sia sulla sfera umana che funzionale della persona che andavano considerati come complessivamente incidenti sulle capacità di vita del soggetto anche per gli esiti cicatriziali tali da configurare una menomazione dell’integrità fisionomica di notevole rilevanza medico legale ritenute non oltremodo emendabili; esiti cicatriziali che sono ben evidenti nelle allegate fotografie al fascicolo di parte appellante).
Si ritiene, pertanto, che la invalidità del 20% determinata dal CTU sia congrua e motivata in esito agli esiti invalidanti descritti ed incidenti sulla integrità psico-fisica del soggetto. Trattasi, come appare evidente, di esiti certamente non modesti e ben descritti nell’Esame Obiettivo della CTU, da cui si desume una difficoltà di visus sinistro che neanche una forte correzione con lenti potrà ripristinare.
Tuttavia non può essere trascurato che io stesso CTU aveva sicuramente tenuto distinto (anche se non lo aveva esplicitato in modo chiaro ed evidente nella relazione) il danno oculare dal danno incidente sull’aspetto estetico della giovane periziando, quantificando l’incidenza invalidante di tali diversi esiti in termini percentuali pari a “circa il 3%”; mentre il 1° giudice, sui presupposto che il ctu aveva “accertato l’esistenza di un danno estetico ipotizzando un intervento di chirurgia plastica” aveva liquidato solo la somma di Euro 3.000,00 in aumento del danno biologico.
E’ necessario verificare, in concreto, come potesse essere considerata tale lesione dell’integrità psico-fisica della giovane appellante (che all’epoca del sinistro aveva circa 19 anni), alla luce dei dati forniti dal ctu e dal ctp e della specifica posizione personale e sociale della appellante, non ritenendosi necessario procedere con un rinnovo della ctu (come pure richiesto, in via gradata, dalla appellante).
Infatti, il danno deve sempre essere valutato in misura congrua, personalizzando la liquidazione spettante per il danno biologico, tenendo conto della misura, della forma, della posizione e della profondità delle cicatrici, collocate sulla regione glabeliare e al canto interno dell’occhio destro (come è dato ricavare dalla visione delle fotografie allegate dalla appellante in I grado) di una ragazza di 19 anni all’epoca del fatto, oggi giovane donna di 28 anni.
Non si ritiene necessario rinnovare la CTU, anche perché, una volta accertato il danno, la c.d. personalizzazione dei risarcimento compete sempre al giudicante e non ai CTU.
E’ bene noto che nella categoria del danno biologico vanno compresi: – il danno estetico; – il danno alla vita di relazione; – il danno alla capacità sessuale; – il danno lavorativo generico; e di tutti i singoli danni si deve fare una valutatone globale, eventualmente considerando coesistenze e concorrenze, traducendola in una percentuale di danno alla validità, che corrisponde al solo danno alla salute.
Per la quantificazione del danno due sono le strade solitamente percorse: a) valore di base del punto: studi di liquidazione di danni da responsabilità civili su tutto il territorio nazionale hanno accertato che il valore medio di base del punto era di Lire 1.000.000 nel 1987, rivalutato può essere di Lire 1.180.000 alla fine del 1990, ed attuali Euro 1.500,00 (minimo). Tale valore base può essere aumentato fino al 50% per le fasce di età più giovani e per le percentuali di danno più elevate. b) capitalizzazione indicizzata: si moltiplica il triplo della pensione sociale annua (per il 2009 Euro 337,11 mensili) per la percentuale di danno ed il coefficiente d’età del soggetto, quindi si divide per 100.”
Per ciò che concerne la PERCENTUALE, in difetto di elementi diversi è possibile far ricorso – in via puramente integrativa – alle tabelle emesse a seguito della legge 57/2001-57/2001 – ex decreto ministero Salute del 3.07,2003 (pubbl. su Gazz. Uff. 11.9.2003 n. 211) che così prevedono – nell’ambito delle c.d. micro permanenti da 1 a 9 punti percentuali – la valutazione del danno estetico (come di seguito definito):
“Danno-estetico”.
Il pregiudizio estetico lieve.
L’anormalità é limitata ad esiti rilevabili ad un’osservazione generica, ma che non mutano in assoluto l’espressività dei soggetto. Si tratta cioè di esiti di minime alterazioni delle strutture di supporto del volto e/o alterazioni cutanee limitate. Rientrano in quest’ambito: piccole cicatrici visibili e/o pigmentazione anomala al volto, modeste dismorfie in esito a fratture del massiccio facciale, perdita parziale di un padiglione auricolare, strabismo lieve (a parte il pregiudizio disfunzionale), lievi esiti di lesione dei nervo facciale, cicatrici lineari al collo bene evidenti, cicatrici lineari anche di grandi dimensioni al tronco o agli arti.
Il pregiudizio estetico da lieve a moderato.
Il pregiudizio estetico complessivo è più rilevante e si accompagna ad una coscienza della menomazione resa obiettiva dal giudizio negativo di chi osserva il soggetto. Si tratta cioè di esiti di perdite circoscritte di strutture di supporto al volto e/o alterazioni cutanee poco importanti. Rientrano in quest’ambito: cicatrici lineari piane di piccole dimensioni al volto, depressioni circoscritte della fronte o della guancia, modeste asimmetrìe facciali, marcata deformazione della piramide nasale, perdita di un padiglione auricolare, strabismo evidente (a parte il pregiudizio disfunzionale), evidenti esiti cicatriziali al collo, estese aree cicatriziali al tronco o agli arti.”
La Tabella ex d.m.30.7.2003 così prevede:
DANNO ESTETICO:
Il pregiudizio estetico complessivo è lieve = 5
Il pregiudizio estetico complessivo è da lieve a moderato 6-9
Nel caso in esame la Corte ritiene congruo determinare il danno estetico, unito a quello alla compromissione della vita di relazione (certamente sussistente trattandosi di giovane donna che, per effetto del sinistro, sarà costretta a portare occhiali con grosse lenti), in una percentuale entro il 9%, risultando adeguato al caso in esame (per come emerge dalla lettura ed analisi di tutti gli elementi messi a disposizione dalla parte appellante e dal primo grado di giudizio) determinare la compromissione estetica e relazionale della sig.ra Bo. in un totale deli’8%.
Con un totale di danno biologico (omnicomprensivamente considerato) del 25% (17 danno oculare + 8% danno estetico/relazionale).
Questo determina la necessità di una nuova liquidazione del danno (anche per la necessità di ricondurre il risarcimento ai valori del momento della decisione, v. Cass. n. 13666/2003: “La generica domanda di risarcimento del danno causato da illecito aquiliano deve ritenersi comprensiva sia del valore equivalente dei bene perduto, sia del danno causato dalla mancala disponibilità del bene perduto o del suo equivalente monetario, per il periodo di tempo che va dalla data dell’illecito alla data della sentenza; questa seconda componente del danno aquiliano (lucro cessante) può quindi essere liquidata d’ufficio dai giudice, anche in assenza di una domanda “ad hoc” (Cass. 8 gennaio 1999 n. 113, Cass. 4 agosto 2000 n. 10263). Nella specie, per quanto riguarda la rivalutazione non sussiste il vizio di ultrapetizione denunciato dal ricorrente, atteso che con la sentenza di primo grado ero stata calcolata la rivalutazione delle somme ritenute dovute e che nelle domanda di risarcimento dei donni riproposte in appello la rivalutazione doveva considerarsi, per quanto già detto, una componente dell’obbligazione risarcitoria”).
Applicando le note Tabelle in uso ai Tribunale di Roma (fatte proprie anche da questa Corte in precedenti decisioni), nella loro edizione aggiornata (anno 2010) si ottiene che:
I.T. = gg. 50 x 72,00 = Euro 3.600,00;
I.T. al 50% = gg. 20 x 36,00 = Euro 720,00;
Biologico 25% (età anni 19) = valore punto 2842,84 x 0,955 coefficiente età x 25 = Euro 67.872,73.
Spetta, inoltre, anche il risarcimento per il danno morale subito perché il fatto dannoso commesso corrisponde in astratto ad un fatto oggettivamente inquadrabile in una ipotesi delittuosa e comunque per la sofferenza morale soggettiva e il dolore intimo di vedere colpita l’integrità del proprio corpo (per una entità non trascurabile anche in termini estetici): danno morale liquidato in una somma pari a circa la metà dei biologico = Euro 30,000,00.
Spese mediche sostenute Euro 547,44 e da sostenere (per emendare in parte gli esiti cicatriziali) Euro 4,131,00; il tutto aumentato a Euro 6.000,00 all’attualità. Il totale attualizzato del risarcimento del danno ammonta a Euro 108.192,73. L’obbligazione di risarcire il danno è una tipica obbligazione di valore avendo la funzione, non di consegnare una determinata somma, ma quella di ricostruire integralmente il patrimonio del danneggiato, seppure elargendo, per equivalente, un somma di denaro.
Ne consegue che al creditore, a tale titolo, spettano sia la rivalutazione (per compensare il valore intrinseco del bene perduto) che il lucro cessante (per compensare il mancato uso del bene perduto) utilizzando la tecnica al un tasso di interesse da determinare equitativamente (vedi la celebre decisione di Cass. Sez. Un. 17/2/1995 n. 1712 e più di recente Cass. 10/3/2006 n. 5234, Cass. 2007/10884, nonché Cass. sez. un., 30-10-2008, n. 26008).
Per effettuare queste operazioni, seguendo un orientamento ormai consolidato si farà ricorso a due diversi tassi ove sia necessario calcolare entrambi gli accessori.
Dove il credito sia stato conteggiato già con rivalutazione (per liquidazione all’attualità come si è fatto nel caso in trattazione) il ricorso agli indici FOI (indici nazionali dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati) pubblicati dallo ISTAT vengono in rilievo per il calcolo della c.d. somma devalutata cui collegare il conteggio degli interessi.
Per calcolare il lucro cessante, invece, si fa ricorso al rendimento medio dei titolo di stato, sul presupposto che il creditore, se avesse potuto disporre della somma l’avrebbe investita in titoli di stato (c.d. “rendistato’, pubblicato dalla Banca d’Italia).
Poiché la su indicata somma è stata liquidata ai valori attuali il tasso di rendimento va applicato sulle somme devalutate dividendo la somma liquidata per i coefficienti F.O.I, così determinando anno per anno il reddito non percepito dal creditore.
I tassi di rendistato sono reperibili al seguente indirizzo internet (http://www.bancaditalia.it/banca mercati/operazioni/Utoli/tassi/readi).
Applicando i suddetti criteri si ottiene il seguente risultato:
FOI
somma devalut.
Rendistato Interessi
Euro 108.192.73
2001
1,1659
Euro 92.797.61
10.00
Euro 9.279.76
Euro 108.192.73
2002
1,1383
Euro 95.047.64
10,00
Euro 9.504.76
Euro 108.192,73
2003
1,1109
Euro 97.391.96
10.00
Euro 9.739.20
Euro 108.192.73
2004
1,0893
Euro 99.323.17
8.852
Euro 8.792.09
Euro 108.192.73
2005
1,0710
Euro 101.020,29
6.551
Euro 6.617.59
Euro 108.192,73
2006
1,0501
Euro 103.030.88
5.512
Euro 5.679,06
Euro 108.192.73
2007
1,0323
Euro 104.807.45
3.556
Euro 3.726.95
Euro 108.192,73
2008
1,0000
Euro 108.192.73
5.353
Euro 5.791.74
Euro 108.192.73
2009
1.1905
Euro 90.880.08
4.722
Euro 4.291.43
Euro 63.422,58
credito rivalutato Euro 108.192,73
interessi Euro 63.422,58
Totale Euro 171.615,31
Poiché si è utilizzata una tabella di calcolo ferma al 31.12.2009 sulla somma ora indicata devono essere conteggiati interessi al tasso legale sino al saldo effettivo.
Sul quantum debeatur, in conclusione, l’appello è fondato in gran parte dei motivi esposti, ed essendosi proceduto alla liquidazione del danno in questo giudizio di appello le somme liquidate devono essere adeguate al momento della presente decisione con aggiunta dei ristoro del danno da ritardo liquidato con il criterio degli interessi secondo i principi fissati dalle S.U. della Suprema Corte (sent. n. 1712/1995 e successive); a tal riguardo va osservato che detti interessi c.d. compensativi nei debiti originariamente di valore, sono dovuti fino al momento in cui il debito di valore si converte in debito di valuta, e cioè fino al momento in cui sta divenuta definitiva la liquidazione del danno. La liquidazione diventa definitiva solo quando la sentenza, che l’ha effettuata, è divenuta definitiva, per cui solo da quel momento vi è l’assoggettamento del debito ai principio nominalistico, regolato dall’art. 1224 c.c. (cfv. tra le prime Cass. 24 ottobre 1986, n. 6231; e Cass. civ., sez. III, 11-03-2004, n. 4993: “gli interessi c.d. compensativi riconosciuti nei debiti originariamente di valore – quali l’obbligazione risarcitoria da fatto illecito – sono dovuti sino al momento in cui il debito si converte in debito di valuta, coincidente con quello in cui diventa definitiva la liquidazione del danno e, quindi, sino a che passa in giudicato la sentenza che ha effettuato la liquidazione definitiva, con la conseguenza che solo da tale momento il debito è assoggettato al principio nominalistico ai sensi dell’art. 1224 c.c.”).
Non è quindi la sola sentenza di appello che rende (a decisione definitiva, ma il passaggio in giudicato di detta sentenza, mentre fino a quel momento il debito rimane di valore e deve essere trattato come tale ai fini della liquidazione.
Va, pertanto, condiviso il principio, secondo cui, poiché la liquidazione che segna la conversione del debito di valore in debito di valuta è quella operata con la pronuncia definitiva di merito, la quale non sempre coincide con fa sentenza di appello, nonostante le caratteristiche di tale decisione, ove la sentenza di appello sia cassata sul punto della rivalutazione monetaria, non ne deriva che il debito di valore si è definitivamente tradotto in debito di valuta, restando invece la relativa determinazione rimessa alla nuova decisione di merito, la quale deve tenere conto della svalutazione verificatasi medio tempore sino alla liquidazione finale, salve le somme eventualmente già riscosse in esecuzione spontanea o coatta della decisione di 1° grado o di appello (ove poi annullata), rispetto alle quali il riferimento va fatto al momento della conseguita disponibilità della somma da parte del creditore (cfr. Cass. 16 febbraio 1984, n. 1167).
Deve, quindi, disporsi la corresponsione in favore della appellante degli interessi compensativi sul suo credito di valore come sopra determinato per un totale di Euro 171.615,31.
Le parti appellate, ciascuna per il 50% di responsabilità attribuito al singolo conducente ed assicurato e in solido tra assicuratore ed assicurati, sono tenute a pagare la somma di Euro 85.807,66 alla appellante, ognuna detraendo le somme di cui alla appellata sentenza ove già corrisposte.
A tal fine, poiché non si è in grado di riscontrare se e quando sia avvenuto il pagamento, si tratterà di procedere tenendosi conto che anche sugli acconti versati alla danneggiata deve essere applicato io stesso criterio di rivalutazione e di calcolo di interessi compensativi che trova applicazione per il calcolo della somma da liquidare al danneggiato per la sua integrale restituito in integrum (come sopra dettagliatamente esposto).
Infatti, in tema di obbligazione risarcitoria da fatto illecito, che costituisce tipico debito di valore, è dovuto al danneggiato anche il risarcimento del danno da ritardo conseguente alla mancata disponibilità per impieghi remunerativi della somma di denaro in cui il suddetto debito viene liquidato, da corrispondersi mediante interessi compensativi (da calcolarsi secondo i criteri fissati dalla citata Cass. s.u. 1712/1995, secondo cui gli interessi – ad un tasso non necessariamente corrispondente a quello legale – vanno calcolati alla data del fatto non già sulla somma rivalutata bensì con riferimento ai singoli momenti riguardo ai quali la somma – equivalente al bene perduto – si incrementa nominalmente in base ad un indice medio, in quest’ultimo caso risultando corretti sia il metodo di calcolo degli interessi dalla data del fatto sull’importo costituito dalla media tra il credito originario e quello risultato dalla rivalutazione, sia quello che pone come base di calcolo il credito originario rivalutato secondo un indice medio), e in caso di versamento di acconti anteriormente alla liquidazione, il giudice deve tenerne conto (senza che trovi nel caso applicazione la regola posta dall’art. 1194 c.c. secondo cui il debitore non può imputare il pagamento al capitale piuttosto che agli interessi, valevole esclusivamente per le obbligazioni di valuta), devalutando alla data dell’evento dannoso sia il credito risarcitorio rivalutato che l’acconto versato, e detraendo quest’ultimo dal primo, sulla differenza residua computando quindi gli interessi calcolati secondo i richiamati criteri (così Cass. sez. III, 23-02-2005, n. 3747).
In fase esecutiva della presente sentenza dovranno essere applicati tali criteri agii acconti versati, con riferimento all’epoca del sinistro (2001) ed alla data di pagamento (a Seconda che si sia pagata solo la sorte o che sia avvenuto il pagamento di somme liquidate ai valori allora correnti).
In ragione dell’esito del presente giudizio le spese dell’appello debbono gravare su tutti gli appellati, in via solidale, poiché si è accertata una loro effettiva soccombenza nei confronti della domanda di parte appellante sin dal 1° grado; spese liquidate (d’ufficio, in difetto di notula) come da dispositivo, in base alla tariffa vigente ed alte attività compiute dal procuratore della appellante.
P.Q.M.
La Corte di Appello di Roma Terza Sezione Civile
definitivamente pronunziando, sull’appello proposto da Bo.Ro. nei confronti di Al. S.p.A. + 5, avverso la sentenza – n. 1190/2006 – emessa dal Tribunale di Roma ti 13.01.2006, depositata il 19.01.2006, e sugli appelli incidentali di Al. S.p.A. e di Soc. Ca.As. coop. a r.l., così provvede;
a) Rigetta gli appelli incidentali e, in conseguenza, conferma la sentenza appellata in ordine alla responsabilità concorrente e paritaria (al 50% ciascuno) dei signori Be.Ma. e Ca.Cr. relativamente al sinistro stradale avvenuto in Roma il 1° gennaio 2001;
b) in accoglimento dell’appello principale ed in parziale riforma della sentenza appellata, CONDANNA Be.An., Be.Ma. e Al. S.p.A., quest’ultima in persona del suo legale rapp.te p.t., tutti in solido tra loro, a pagare alla signora Bo.Ro., la somma di Euro 85.807,66, da maggiorarsi con gli interessi al tasso legale decorrenti dal 1.01.2010 sino al saldo effettivo; con detrazione delle somme di cui alla sentenza di primo grado ove già corrisposte;
c) per l’effetto dell’accoglimento dell’appello principale, CONDANNA Ca.Cr., SI. soc. coop. a r.l. e Soc. Ca.As. Coop. a r.l., quest’ultima in persona del suo legale rapp.te p.t., tutti in solido tra loro, a pagare alla signora Bo.Ro., la somma di Euro 85.807.66 da maggiorarsi con gli interessi al tasso legale decorrenti dal 1.01.2010 sino al saldo effettivo; con detrazione delle somme di cui alla sentenza di primo grado ove già corrisposte;
d) Condanna, infine, la Soc. Ca.As. coop. a r.l. e la Al. S.p.A., in solido tra loro, ed in solido con Be.Ma., Be.An., Ca.Cr. e SI. coop. a r.l., alla rifusione delle spese di giudizio sostenute dalla appellante nel presente giudizio liquidandole in Euro 700,00 per spese, Euro 1.450,00 per diritti ed Euro 2.500,00 per onorari (oltre al forfettario, IVA e CAP come per legge).
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della terza sezione del 26 novembre 2010.
Depositata in Cancelleria il 21 dicembre 2010.