Un professore ordinario di radiologia presso una facoltà di medicina e direttore della scuola di specializzazione in radiodiagnostica presso la medesima università, sistematicamente svolgeva la sua attività professionale anche presso una casa di cura privata, struttura convenzionata ed accreditata presso il Servizio sanitario nazionale, in violazione delle disposizioni di legge che definiscono le incompatibilità tra il ruolo di docente universitario a tempo pieno equiparato ai medici del servizio sanitario e l’esercizio di attività libero professionali in strutture private convenzionate. Nella struttura sanitaria l’imputato si faceva accompagnare da medici specializzandi ai quali però era preclusa, per la convenzione tra l’Asl e l’Università, l’attività di formazione al di fuori degli ospedali indicati nella convenzione stessa.
Cassazione Penale – Sez. II; Sent. n. 29109 del 21.07.2011
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
1 – M.G. ricorre per cassazione avverso la sentenza, datata 9/24.3.2011, della corte di appello di Y. che, in parziale riforma della pregressa decisione appellata – sent. tribunale della stessa città in data 21.7.2010 – dichiarava prescritta la serie delle truffe ai danni dell’ASL n. X. del capoluogo sardo commesse fino al X. , confermando la condanna per le truffe commesse in data successiva e riducendo la pena inflitta in primo grado da un anno, quattro mesi di reclusione e Euro 1000 di multa ad un anno ed un mese di reclusione e Euro 700 di multa.
2 – In breve i fatti di causa secondo la ricostruzione dei giudici di merito: l’imputato, professore ordinario di radiologia presso la facoltà di medicina dell’Università degli studi di Y. e direttore della scuola di specializzazione in radiodiagnostica presso la stessa Università, sistematicamente svolgeva la sua attività professionale anche presso la casa di cura privata X. , struttura convenzionata ed accreditata presso il SSN (Servizio sanitario nazionale), in violazione delle disposizioni di legge che definiscono le incompatibilità tra il ruolo di docente universitario a tempo pieno equiparato ai medici del servizio sanitario e l’esercizio di attività libero professionali in strutture private convenzionate. Nella struttura sanitaria oristanese l’imputato si faceva accompagnare da medici specializzandi ai quali però era preclusa, per la convenzione tra l’Asl n. X. e l’Università, l’attività di formazione al di fuori degli ospedali indicati nella convenzione. Gli artifici e raggiri, elementi costitutivi della condotta truffaldina, erano costituiti dall’emissione da parte del M., in un primo tempo di fatture a titolo personale per “collaborazioni occasionali”, dal Gennaio 1999 le fatture erano emesse “dall’associazione radiologica sarda verso il futuro” con la predetta causale “vostro dare per ricerca sulla incidenza delle problematiche epatiche nell’oristanese”.
L’ingiusto profitto, infine, era costituito dal pagamento all’imputato della speciale indennità prevista dal D.P.R. n. 761 del 1979, art. 31 e successive disposizioni che spettava per l’appunto al personale medico legato da un rapporto di esclusiva a tempo pieno.
Indennità che per l’anno 2003 ammontava a poco meno di Euro 3000 mensili e che di certo non sarebbe stata pagata se l’ASL fosse stata a conoscenza della violazione delle disposizioni in materia di incompatibilità da parte dell’imputato.
3 – Tre i motivi costitutivi del ricorso presentato dalla difesa dell’imputato, correlati sia pur implicitamente alla violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b) ed e):
a) erronea applicazione della L. n. 412 del 1991, art. 4 e D.P.R. n. 382 del 1980, art. 102, nella misura in cui le predette norme vengono richiamate dal giudici di merito anche per affermare l’incompatibilità tra il ruolo rivestito dall’imputato nell’ambito universitario e la sua attività, non di assistenza, ma di consulenza prestata nella fattispecie. La norma di riferimento sarebbe,secondo la difesa, rappresenta dal D.Lgs. n. 517 del 1999, art. 5, che ha riferimento, ai fini della parificazione delle incompatibilità tra medici universitari e medici ospedalieri, solo alla attività assistenziale. b) violazione di legge per travisamento dei fatti, nella misura in cui si qualifica assistenziale, e non di consulenza l’attività prestata dal ricorrente presso la casa di cura privata X. , che, in concreto si traduceva in una attività di “refertazione delle radiografie”, per porsi l’attività residuale e marginale costituita da due biopsie in epoca anteriore al X. e quindi in un periodo ampiamente prescritto. c) Violazione, infine, del D.P.R. n. 761 del 1979, art. 31 e del D.Lgs. n. 502 del 1992, per non potersi configurare l’Asl persona offesa del reato, in quanto, secondo la normativa richiamata, in relazione alla indennità speciale versata, unitamente allo stipendio, al medico universitario a tempo pieno il rapporto contrattuale si instaura tra quest’ultimo e l’Università, rimanendo il medico universitario al di fuori del rapporto contrattuale tra l’Asl e l’università. 4 – Il ricorso non può essere accolto perché inammissibile.
Ai fini della più corretta ed appropriata decisione, occorre subito dire – in relazione ai primi due motivi – che è del tutto fuori luogo la posizione da parte della difesa del ricorrente del tema relativo alla disciplina normativa in merito alla attività di consulenza e non di assistenza del personale universitario a tempo pieno, per il fatto che l’attività dell’imputato è stata correttamente, e con ragionamento congruo ed esaustivo, qualificata quale assistenza. Una serie imponente di dati testimoniali è richiamata nel contesto motivazionale della decisione, per nulla considerata dai motivi di ricorso che si limitano a sottolineare, come peraltro già in sede di appello, il carattere di refertazione della attività prestata dall’imputato, ma omettendo di precisare che l’attività precipua del radiodiagnostico è per l’appunto la diagnosi in base a fotografie e lastre materialmente effettuate di norma dal personale non medico tecnico di laboratorio. A troncare ogni eventuale residuo dubbio sul punto vale la pena di richiamare, come hanno fatto i giudici di merito, la deposizione, tra le tante, del direttore sanitario della clinica dr S.A.L. che ha attestato che circa l’80% dell’attività di radiologia era svolto nel contesto dell’attività interna alla clinica dal prof. M..
Manifestamente infondata, poi, è la terza doglianza mossa dalla difesa del ricorrente. A confutarla, è sufficiente riportare testualmente il disposto del D.P.R. n. 731 del 1979, art. 31, comma 2: “le somme necessarie per la corresponsione della indennità di cui al presente articolo sono a carico dei fondi assegnati alle regioni ai sensi della L. 23 dicembre 1978, n. 833, art. 51 e sono versate, con le modalità previste dalle convenzioni, dalla Regioni alle Università, su documentata richiesta, per la corresponsione”. Non ha alcun rilievo, quindi, che le somme relative alla indennità de qua, costitutiva del profitto ingiusto e del danno al SSN, e, per esso, alla ASL n. X. , siano state versate all’imputato dall’Università che ha svolto e svolge il ruolo per l’incombenza, di mera cinghia di trasmissione del denaro sottratto alla azienda ospedaliera per via dell’artificiosa fatturazione presentata dall’imputato con la conseguente induzione in errore della Università ed insieme dell’Azienda sanitaria.
5- Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonché – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost. n. 186/2000; Cass. S.U. 27.6.2001, Cavalera Rv. 219532) – al pagamento a favore della cassa delle ammende della somma di Euro mille, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille alla cassa delle ammende.