Il Direttore generale – datore di lavoro e il Responsabile del Servizio di prevenzione e protezione (RSPP) venivano chiamati in giudizio per rispondere del reato di lesioni personali colpose commesso con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro in connessione ad un infortunio occorso ad un dipendente.
Il datore di lavoro ha patteggiato la pena, mentre la RSSP ha sostenuto il dibattimento ed è stata assolta per non aver commesso il fatto.
Tribunale di Rovereto – Sent. n. 209 del 27.06.2012
Imputati
del reato p. e p. dall’art. 590 comma 3 CP avendo affidato
all’operaio B.N.A. l’incarico di manovrare la macchina che riempie i sacchi di materiale plastico e li pesa contemporaneamente ed avendo previsto tra le operazioni di lavoro anche quella di ripulire gli organi in movimento prima di ogni cambio di colore della materia prima, affidava all’operaio medesimo il compito di bloccare la macchina prima di effettuare la suddetta pulizia, senza dotare la protezione amovibile dei suddetti organi lavoratori di un autonomo dispositivo di blocco, come previsto dall’art. 72 del DPR 547/55 e senza nemmeno, altresì, proteggerli con una apposita rete metallica che impedisse comunque il contatto con le mani, come previsto dall’art. 68 del citato DPR; e così per colpa consistita in imprudenza, negligenza ed imperizia nonché nella violazione delle citate norme antinfortunistiche, X. X. , nella sua qualità di Direttore generale, datore di lavoro della ditta Z.
Y. Spa, sita in Arco Via L. 9 e M.G. nella qualità di Responsabile del Servizio di Prevenzione e protezione della medesima ditta, cagionavano a B.N.A. lesioni personali consistite nella subamputazione P3 4^ dito della mano destra in quanto l’operaio apriva la scatola di protezione, penetrava con le mani all’interno dell’organo lavoratore che azionava accidentalmente ponendo il piede sul piatto della bilancia.
In Arco il giorno 1.2.2008 Con l’intervento del Pubblico Ministero Dott. Rodrigo Merlo e dell’Avv. X. del Foro di Trento, difensore di fiducia dell’imputata.
Le Parti hanno concluso come segue:
Il PM chiede la condanna dell’imputata alla pena così determinata: pena base euro 300 di multa, ridotta per le attenuanti generiche ed il rito ad euro 200 di multa; il difensore chiede l’assoluzione per non aver commesso il fatto e in subordine perché il fatto non costituisce reato.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con decreto di citazione del Procuratore della Repubblica di Rovereto dell’08.09.2011, regolarmente notificato agli imputati, ai difensori e alla persona offesa, i nominati in oggetto erano tratti a giudizio del Tribunale di Rovereto per rispondere del reato in rubrica indicato. A seguito dell’astensione di entrambi i Giudici dibattimentali ai quali il processo era originariamente attribuito e alla designazione del sottoscritto Giudice, all’udienza del 19.04.2012 il coimputato C. avanzava istanza di applicazione pena a norma degli artt. 444 ss. c.p.p. Eseguito lo stralcio della relativa posizione ed aperto il dibattimento per l’imputata G.M., prodotte dalle parti prove documentali ed esperite prove testimoniali, all’udienza del 21.06.2012, PM e difesa hanno concluso come da verbale.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Ritiene questo Giudice di dover assolvere l’imputata dal reato ascrittole per non aver commesso il fatto.
L’imputata è accusata del reato di lesioni colpose in riferimento all’infortunio sul lavoro accorso il 01.02.2008 presso lo stabilimento della Z. T. S.p:A. di Arco (TN), al dipendente B.N.A., il quale entrava in contatto con la mano destra con gli organi in movimento della macchina c.d. insaccatrice, durante le operazioni di pulizia della stessa.
Pacifico e documentalmente accertato è che l’imputata, quale libera professionista estranea all’impresa, ha nella specie rivestito la qualifica di semplice responsabile del servizio di prevenzione e protezione, a norma dell’art. 8 d.lvo n. 626 del 1994 e, dunque, a prescindere da qualsiasi disquisizione in merito alla concreta dinamica del sinistro, emerge in tutta evidenza che lo specifico profilo di colpa ad essa addebitato dal capo di imputazione non le può essere ascritto.
Infatti, come correttamente sottolineato dalla difesa, il c.d. responsabile del servizio di prevenzione e protezione, previsto dagli artt. 8 ss. d.lvo n. 626 del 1994, non solo non è in alcun modo destinatario degli obblighi di sicurezza, come invece deve dirsi per il datore di lavoro, i preposti e i lavoratori, ma anche non ha alcuna competenza in ordine alle fasi di lavorazioni. Trattasi di un soggetto avente una mera funzione di consulenza del datore di lavoro, onde migliorare l’adempimento degli obblighi di valutazione dei rischi inerenti all’attività di lavoro e di progettazione delle misure di sicurezza che restano, tuttavia, sicuramente obblighi del datore di lavoro. Ne deriva che, in linea generale, non appare ipotizzabile alcuna responsabilità, in sede penale o amministrativa, per l’inosservanza della normativa prevenzionale del responsabile del servizio di prevenzione e protezione. Ciò emerge da inequivoci riscontri normativi e, precisamente: a) l’art. 1, comma 4-ter d.lvo n. 626 cit. esclude che il datore di lavoro possa delegare ad altri gli adempimenti previsti dall’art. 4, commi 1 , 2, 4 lett. a) e 11, primo periodo, ossia i principali compiti di valutazione dei rischi e di programmazione del sistema di prevenzione; b) l’art. 4, commi 1 e 2 attribuisce al datore di lavoro il compito di redigere il documento di valutazione dei rischi ed il comma 6 precisa che nell’esecuzione di questi compiti il datore di lavoro si avvale della mera “collaborazione” del responsabile del servizio, a dimostrazione della funzione meramente di consulenza del medesimo; c) l’art. 8, comma 10 precisa che “qualora il datore di lavoro ricorra a persone o servizi esterni egli non è per questo liberato dalla propria responsabilità in materia”; d) dagli artt. 89 ss. si evince che il responsabile del servizio non risponde mai, né sotto il profilo penale né sotto quello amministrativo, della violazione degli obblighi di sicurezza, come invece è previsto non solo per il datore di lavoro, ma anche per i preposti, i progettisti, i fabbricanti e gli installatori, il medico competente e i lavoratori.
Tutto ciò, evidentemente, non significa che il responsabile del servizio goda di una assoluta impunità, perché, a parte la possibile responsabilità disciplinare (se soggetto dipendente dell’impresa) o civile (se soggetto estraneo all’impresa), una sua eventuale condotta colposa potrà integrare i reati di cui agli artt. 589 e 590 c.p., qualora sussista il nesso causale tra condotta posta in essere e lesioni subite dal lavoratore. Si pensi ad una consulenza del tutto errata sulla necessità di adottare una misura di sicurezza, in realtà radicalmente inidonea rispetto al tipo di lavorazione e la cui adozione sia in concreto all’origine del verificarsi dell’infortunio sul lavoro. Resta tuttavia escluso che si possa ascrivere al responsabile del servizio, come invece si legge nel capo di imputazione, profili di colpa per aver affidato ai lavoratori concrete mansioni lavorativi con istruzioni errate od ordini contrari agli obblighi di sicurezza sul lavoro.
Anche a voler considerare i profili di colpa astrattamente attribuibili al responsabile del servizio, sia pure nella specie in concreto non contestati, si deve comunque osservare che dalle univoche prove assunte in dibattimento, è emerso che:
– l’infortunio non si è verificato durante una normale fase di produzione, ma durante la fase di pulizia della macchina c.d. “insaccatrice”, sia pure normalmente svolta più volte al giorno;
– gli organi della macchina in questione erano segregati da una barriera con 4 bulloni e non erano certamente accessibili durante la fase produttiva;
– le procedure ufficiali ordinate dall’impresa, così come riscontrato anche da un foglio posizionato sulla macchina, erano nel senso di disattivare tassativamente la corrente elettrica nel caso si debba procedere alle opere di pulizia;
– nel caso di specie l’operaio non ha ottemperato a questa direttiva provvedendo a smontare la protezione degli organi in movimento, senza disattivare la corrente elettrica e determinando l’automatica attivazione dei suddetti organi, mentre li stava pulendo con la mano, poggiando inavvertitamente un piede sulla bilancia con un peso superiore ai 25 KG.
Anche ad ammettere, come attendibilmente sostenuto dalla persona offesa, che questa scorretta procedura gli sia stata consigliata dai suoi superiori gerarchici (in particolare da G.E.) ovvero che era una procedura usuale, con conseguente chiara responsabilità del datore di lavoro, ossia dell’originario coimputato X. C., che non a caso ha patteggiato la pena, resta il fatto che nulla può essere ascritto al responsabile del servizio di prevenzione e protezione, al quale non compete alcun obbligo di sorveglianza sulle concrete procedure di lavorazione (latu sensu intese) ma valuta i rischi secondo le procedure ufficiali comunicate dall’impresa (nella specie obbligo di staccare la corrente prima di procedere alla pulizia della macchina).
Al riguardo l’art. 9, comma 2 d.lvo n. 626 del 1994 precisa che spetta al datore di lavoro fornire ai servizi di prevenzione e protezione informazioni in merito alla natura dei rischi, all’organizzazione del lavoro, alla programmazione e all’attuazione delle misure preventive e protettive nonché alla descrizione degli impianti e dei processi. E’ evidente che se la mancata valutazione del macchinario è conseguente ad una errata informazione fornita dal datore di lavoro non può essere ascritta alcuna colpa al responsabile del servizio, neppure sul piano meramente disciplinare o civile.
D’altra parte dalle prove acquisite non vi è neppure sicurezza sul concreto incarico conferito alla M. e, in particolare, se la macchina in questione sia stata oggetto della sua valutazione dei rischi (circostanza negata, sia pure solo dubitativamente, dal teste a discarico N.F., collaboratore dell’imputata).
P.Q.M.
Letto l’art. 530 c.p.p.;
assolve G.M. dal reato ascrittole per non aver commesso il fatto.
Rovereto, 21 giugno 2012.
IL GIUDICE
(dr. Riccardo Dies)