Sul piano più strettamente dogmatico, se è vero che la natura pacificamente contrattuale del rapporto che si instaura tra paziente, da un lato, e casa di cura privata o ente ospedaliero, dall’altro, comporta che la struttura risponde, ai sensi dell’art. 1218 del codice civile non solo dell’inadempimento delle obbligazioni su di essa tout court incombenti, ma, sulla base dell’art. 1228 cod. civ., anche dell’inadempimento della prestazione medico professionale svolta dal sanitario, quale ausiliario necessario dell’organizzazione aziendale, e ciò pur in assenza di un rapporto di lavoro subordinato o parasubordinato con lo stesso; il medico, a sua volta, in virtù della medesima norma, quale debitore della prestazione chirurgica e/o terapeutica promessa, è responsabile dell’operato dei terzi della cui attività si avvale
Cassazione Civile – Sez. III; Sent. n. 10616 del 26.06.2012
Svolgimento del processo
G.B.P., il giorno X., venne sottoposto presso la Casa di Cura Villa Y. della Congregazione delle Suore di Z. Z., a intervento chirurgico per correzione di deviazione del setto nasale. Durante l’operazione, eseguita dal professore G.B. , a causa del malfunzionamento del bisturi elettrico, il cui elettrodo era stato applicato sulla gamba destra del paziente, questi riportò ustioni di terzo grado, su una superficie di dodici centimetri, in regione terzo superiore anteriore dell’arto. La ferita, che determinò un’incapacità temporanea dell’infortunato di giorni sessanta, lasciò esiti cicatriziali di natura permanente.
Con citazione notificata il 19 settembre 1999 il P. convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Roma la Congregazione e il prof. G. , chiedendone la condanna in solido al risarcimento di tutti i danni derivati da tali fatti.
I convenuti, costituitisi in giudizio, contestarono le avverse pretese.
Con sentenza del 7 giugno 2002 il giudice adito accolse la domanda nei confronti della Congregazione, quantificando in lire sette milioni l’equivalente pecuniario dei pregiudizi subiti dall’attore. Rigettò invece le domanda proposta nei confronti del medico.
Su gravame principale dal P. e incidentale dalla Congregazione, la Corte d’appello, in data 23 febbraio 2006, in parziale accoglimento del primo, ha determinato in Euro 15.000,00, oltre interessi legali dalla data della pronuncia al saldo, la somma spettante al paziente a titolo di risarcimento.
Per la cassazione di detta pronuncia ricorre a questa Corte P.G.B. , formulando due motivi, illustrati anche da memoria.
Resistono con distinti controricorsi G.A. e la Congregazione Suore San Z. Z..
Motivi della decisione
1 Nel motivare il suo convincimento il decidente, premesso che l’eziologia delle lesioni riportate dal P. , posta a base della domanda risarcitoria azionata era pacifica in causa e che certamente il chirurgo ha un generale obbligo di controllo sugli strumenti utilizzati, ha tuttavia escluso che, nella fattispecie, potesse attribuirsi al sanitario un qualsivoglia negligenza, imprudenza o imperizia nell’esecuzione dell’intervento. Ha rilevato in proposito che il medico non era in condizione di percepire il malfunzionamento del bisturi elettrico perché la parte ustionata, coperta dall’elettrodo, non era visibile; che una preventiva verifica della funzionalità delle apparecchiature era inesigibile dal chirurgo, trattandosi di attività estranea alle sue competenze professionali; che, in definitiva, siffatto controllo spettava alla struttura, la quale coerentemente era stata condannata a risarcire i danni al P. .
2 Di tale giudizio il ricorrente si duole nel primo motivo, con il quale lamenta violazione degli artt. 1176, secondo comma, 1218 e 1228 cod. civ., anche in relazione agli artt. 2697 cod. civ. e 116 cod. proc. civ., nonché vizi motivazionali. Ricordato che, per un verso, spetta al medico dimostrare che l’insuccesso dell’operazione non è dipeso da un suo inadempimento, ma dall’intervento di fattori straordinari, da soli idonei a determinarlo, e, per altro verso, che la prestazione del chirurgo non si esaurisce nel compimento del solo atto operatorio, nella diagnosi, nella prognosi, nella scelta della cura e nell’esecuzione della stessa, ma comprende un complesso di obbligazioni accessorie volte a garantire che l’intervento venga praticato con il minimo rischio possibile, rileva l’esponente che nella fattispecie il G. non aveva in alcun modo dimostrato che l’ustione era stata provocata da fattori eccezionali e imprevedibili, avendo anzi ammesso che il controllo dell’apparecchiatura spettava alla caposala, e cioè a una componente dell’equipe.
3 Le critiche sono fondate.
Occorre muovere dalla considerazione che, in via di principio, pur quando manchi un rapporto di subordinazione o di collaborazione tra clinica e chirurgo, sussiste comunque un collegamento tra i due contratti stipulati, l’uno tra il medico ed il paziente, e l’altro, tra il paziente e la Casa di cura, contratti aventi ad oggetto, il primo, prestazioni di natura professionale medica, comportanti l’obbligo di abile e diligente espletamento della prestazione chirurgica e/o terapeutica (e, a volte, anche di raggiungimento di un determinato risultato) e, il secondo, prestazione di servizi accessori di natura alberghiera, di natura infermieristica ovvero aventi ad oggetto la concessione in godimento di macchinari sanitari, di attrezzi e di strutture edilizie specificamente destinate allo svolgimento di attività terapeutiche e/o chirurgiche.
Siffatto collegamento, per così ontologico, che dal piano fattuale assume inevitabilmente rilevanza su quello giuridico, può discendere da eventi contingenti ovvero anche dalla determinazione volitiva delle parti. È sufficiente al riguardo considerare che, di norma, l’individuazione della Casa di cura dove il medico eseguirà la prestazione promessa costituisce parte fondamentale del contenuto del contratto stipulato tra il paziente ed il professionista, nel senso che ciascun medico opera esclusivamente presso determinate cliniche e che, a sua volta, ciascuna Casa di cura accetta solo i pazienti curati da determinati medici (confr. Cass. civ. 14 giugno 2007, n. 13953).
Ciò comporta che deve ritenersi consustanziale al dovere di diligente espletamento della prestazione l’obbligo del medico di accertarsi preventivamente che la Casa di cura dove si appresta ad operare sia pienamente idonea, sotto ogni profilo, ad offrire tutto ciò che serve per il sicuro e ottimale espletamento della propria attività; così come, reciprocamente, la Casa di cura è obbligata a vigilare che chi si avvale della sua organizzazione sia abilitato all’esercizio della professione medica in generale e, in particolare, al compimento della specifica prestazione di volta in volta richiesta nel caso concreto.
4 In sostanza, sul piano più strettamente dogmatico, se è vero che la natura pacificamente contrattuale del rapporto che si instaura tra paziente, da un lato, e casa di cura privata o ente ospedaliero, dall’altro (confr. Cass. civ., sez. un. 1 luglio 2002, n. 9556; Cass. n. 14 giugno 2007, n. 13953), comporta che la struttura risponde, ex art. 1218 cod. civ., non solo dell’inadempimento delle obbligazioni su di essa tout court incombenti, ma, ai sensi dell’art. 1228 cod. civ., anche dell’inadempimento della prestazione medico-professionale svolta dal sanitario, quale ausiliario necessario dell’organizzazione aziendale, e ciò pur in assenza di un rapporto di lavoro subordinato o parasubordinato con lo stesso; il medico, a sua volta, in virtù della medesima norma, quale debitore della prestazione chirurgica e/o terapeutica promessa, è responsabile dell’operato dei terzi della cui attività si avvale.
5 Ne deriva che, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di merito, il quale, dopo aver riconosciuto la sussistenza di un generale obbligo del medico di controllare gli strumenti utilizzati, ha poi contraddittoriamente ritenuto inesigibile la previa verifica tecnica dell’apparecchiatura necessaria all’esecuzione dell’intervento, il chirurgo operatore ha un dovere di controllo specifico del buon funzionamento della stessa, al fine di scongiurare possibili e non del tutto imprevedibili, eventi che possano intervenire nel corso dell’operazione (confr. Cass. civ. n. 13953 del 2007, cit.).
6 Passando all’esame del secondo mezzo, con esso il ricorrente denuncia violazione degli artt. 1218, 1223, 1226 e 1228 cod. civ., anche in relazione agli artt. 3, 24 e 111 Cost., 2697 cod. civ. e 116 cod. proc. civ., nonché vizi motivazionali.
Le critiche hanno ad oggetto l’affermazione della Corte d’appello secondo cui correttamente il giudice di prime cure non aveva riconosciuto il costo di un’eventuale operazione di riparazione estetica della cicatrice, non apparendo credibile che l’infortunato, che per nove anni non vi si era sottoposto, avrebbe deciso in futuro di affrontarlo, e ciò anche in ragione della complessità e del carattere non risolutivo della stessa. Sostiene l’esponente che la motivazione del giudice a quo sarebbe del tutto arbitraria e giuridicamente errata, posto che l’attualità del danno sussiste nel momento in cui esso viene provocato, non già in quello in cui viene eliminato o emendato.
7 Anche tali rilievi sono fondati.
La circostanza che l’infortunato non abbia, fino a questo momento, ritenuto di sottoporsi a un intervento riparatore è del tutto neutra ai fini del riconoscimento degli esborsi necessari alla sua esecuzione, quale pregiudizio patrimoniale futuro (confr. Cass. civ. 21 gennaio 2006, n. 1215), rilevante essendo solo, per quanto qui interessa, la non ipotizzabilità, in assoluto, che l’eliminazione o anche solo la riduzione della cicatrice possa avvenire a costo zero.
A ciò aggiungasi che gli incerti esiti e la difficoltà dell’intervento sono elementi che, lungi dall’elidere il diritto al ristoro del danno emergente costituito dalle spese mediche non ancora sostenute, possono semmai incidere, in una valutazione a carattere necessariamente equitativo, sulla quantificazione della relativa posta, che andrà liquidata tenendo conto dei prezzi normalmente praticati da centri altamente specializzati.
8 Deriva da quanto sin qui detto che, in accoglimento del ricorso, la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione che, nel decidere, si atterrà ai seguenti principi di diritto:
1) anche quando manchi un rapporto di subordinazione o di collaborazione tra clinica e chirurgo, sussiste comunque un collegamento giuridicamente rilevante tra il contratto medico/paziente e il contratto paziente/Casa di cura, costituendo il secondo (la cui conclusione implica anzitutto l’individuazione della Casa di cura), parte fondamentale del primo, posto che ciascun. medico opera esclusivamente presso determinate cliniche mentre, a sua volta, ciascuna clinica accetta esclusivamente i pazienti curati da determinati medici;
2) il medico, quale debitore della prestazione chirurgica e/o terapeutica promessa, è responsabile, ex art. 1228 cod. civ., dell’operato dei terzi della cui attività si avvale; in particolare il chirurgo operatore ha un dovere specifico di controllo del buon funzionamento delle apparecchiature necessarie all’esecuzione dell’intervento;
3) in caso di lesioni personali con postumi permanenti costituiti da esiti cicatriziali eliminabili solo con un nuovo intervento, non incide sul diritto all’attribuzione dei relativi costi, quali spese mediche future, la circostanza che, a notevole distanza di tempo dal verificarsi dell’evento, l’infortunato non abbia ancora affrontato il nuovo intervento.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione.