La Procura regionale presso la Corte dei conti ha chiamato in giudizio il medico che aveva svolto attività libero professionale incompatibile con la fruizione della borsa di studio connessa alla frequenza del corso di formazione in medicina generale.

Corte dei Conti – Sez. giurisd. Liguria, Sent. n. 208 del 02.12.2013

Svolgimento del processo

Con atto di citazione depositato in data 24 aprile 2013 la Procura Regionale ha convenuto in giudizio il dott. M.A. per sentirlo condannare al risarcimento in favore dell’Azienda Sanitaria Locale n. 2 Savonese della somma di Euro 31.909,68 o, in subordine, di Euro 26.059,55, oltre a rivalutazione monetaria, interessi legali e spese di giudizio, per il danno inferto alla predetta Azienda sanitaria in conseguenza dello svolgimento di attività libero-professionale incompatibile con la fruizione di borsa di studio connessa alla frequenza del corso di formazione in medicina generale negli anni 2003/2006.

Secondo l’esposizione fatta dal Requirente, in esito alle indagini svolte dal Nucleo Operativo della Guardia di Finanza – Gruppo di Savona è risultato che il dott. M.A. ha percepito dalla Regione Liguria in qualità di medico specializzando la borsa di studio di Euro 31.909,68, prevista dal D.M. 11.09.2003, per la frequenza del corso biennale di formazione professionale in medicina generale per gli anni 2003/2006 tenuto dalla A.S.L. Savonese n. 2.

Il predetto per usufruire della borsa di studio aveva l’obbligo di partecipare in via esclusiva alle attività didattiche, pratiche e teoriche.

Alla stregua della normativa di settore, la borsa in questione risultava, infatti, incompatibile con ogni attività lavorativa ulteriore, ad eccezione di quelle contemplate nell’art. 19, comma 11, della Legge 28 dicembre 2001, n. 448, il quale recita: “I laureati in medicina e chirurgia abilitati, anche durante la loro iscrizione ai corsi di specializzazione o ai corsi di formazione specifica in medicina generale, possono sostituire a tempo determinato medici di medicina generale convenzionati con il SSN ed essere iscritti negli elenchi della guardia medica notturna e festiva e della guardia medica turistica ma occupati solo in caso di carente disponibilità di medici già iscritti negli elenchi della guardia medica notturna e festiva e della guardia medica turistica”.

Dagli accertamenti effettuati dalla G.d.F. è, invece, risultato che il dott. M. nel periodo in cui aveva fruito della borsa di studio in argomento aveva svolto attività professionali incompatibili, percependo i relativi compensi economici.

L’indagine penale aperta per gli stessi fatti si è conclusa con il decreto di archiviazione del G.I.P. del Tribunale di Savona del 30.5.2012.

Il Procuratore Regionale, ritenuta, in relazione all’accertato svolgimento da parte del M. di attività professionale incompatibile, la sussistenza di sufficienti elementi per una imputazione di responsabilità amministrativa per danno all’Erario nei confronti del medesimo, previa rituale contestazione degli addebiti, ai sensi dell’art. 5, comma 1, del D.L. 15 novembre 1993, n. 453, convertito dalla Legge 14 gennaio 1994, n. 19, non avendo ritenuto le deduzioni presentate né le giustificazioni svolte dall’interessato in sede di audizione personale idonee a superare le contestazioni mosse, lo ha convenuto con il suindicato atto di citazione.

Il requirente, dopo avere premesso che nella specie ricorre la giurisdizione di questa Corte, sussistendo un rapporto di servizio tra il medico specializzando e la struttura pubblica nella cui organizzazione lo stesso è inserito, imputa al convenuto di avere svolto, durante la frequenza del corso biennale, attività professionale incompatibile, in quanto non rientrante nelle attività eccezionalmente consentite dall’art. 19, comma 11, della Legge 28 dicembre 2001, n. 448 (sostituzioni a tempo determinato di medici di medicina generale convenzionati con il SSN ed iscrizione negli elenchi della guardia medica notturna e festiva e della guardia medica turistica).

Il medesimo sostiene che il carattere esclusivo della formazione a tempo pieno deriva, oltre che dal suindicato art. 19, c. 1, L. 448/01, dall’allegato 1 alla Direttiva comunitaria n. 93/16/CEE, dall’art. 24 del D.Lgs. 17 agosto 1999, n. 368, come modificato dal D.Lgs. n. 277 dell’8.7.2003, dal D.M. 7 marzo 2006 e dalla circolare del Ministero della salute 16 settembre 2003, la quale, nell’interpretare le predette disposizioni, ha ribadito che “il concetto di formazione a tempo pieno comporta di per sé la totale inibizione da ogni attività lavorativa, dipendente, libero-professionale, convenzionale o precaria con il Servizio sanitario nazionale o enti e istituzioni pubbliche o private”.

Tanto considerato, il requirente contesta al convenuto l’illecita percezione della borsa di studio per avere svolto negli anni 2004, 2005 e 2006 prestazioni professionali in violazione delle suindicate norme di Legge imperative e inderogabili in materia di incompatibilità.

La responsabilità viene contestata al M. a titolo di dolo in quanto lo stesso “ha, da un lato, consapevolmente sottoscritto le dichiarazioni sostitutive di atto notorio, in data 29/12/2003 ed in data 18/10/2006, nelle quali dichiarava, all’inizio e a fine corso – prima che non sussistevano e poi che non erano subentrate – “cause di incompatibilità con la frequenza stessa”.e, dall’altro, invece, in netto contrasto con quanto dichiarato nei suddetti atti, esercitava, contemporaneamente, attività libero-professionale, percependo ulteriori compensi per prestazioni professionali dallo stesso effettuate a privati”.

L’accusa sostiene che non può sussistere alcun dubbio sull’intenzionale e, quindi, dolosa violazione degli obblighi assunti dal convenuto, per avere lo stesso consapevolmente svolto attività professionali incompatibili con la frequenza del corso di specializzazione in argomento. Il M. era infatti certamente consapevole della portata delle proprie dichiarazioni (considerato il suo ruolo e la sua istruzione) e se avesse avuto dubbi avrebbe dovuto chiedere chiarimenti all’Ufficio Regionale competente.

In conclusione, il Procuratore Regionale chiede, in via principale, la condanna del convenuto all’integrale risarcimento dei costi sostenuti per l’erogazione dell’intera borsa di studio, quantificati dalla ASL n. 2 Savonese in Euro 31.909,68, nella considerazione che ogni attività incompatibile determina la rottura ex tunc dell’equilibrio tra prestazione erogata (la borsa di studio) e controprestazione resa (la partecipazione a tempo pieno al programma formativo), nonché uno sviamento delle risorse pubbliche.

In via subordinata, qualora il collegio dovesse ritenere che la rottura del sinallagma contrattuale si è verificata a partire dal compimento del primo atto incompatibile con la frequenza al corso di formazione, chiede la condanna del convenuto nella misura di Euro 26.059,55 (Euro 31.909,68 – 5.850,13 borsa di studio e costi connessi, relativi al periodo gennaio/giugno 2004), oltre alla rivalutazione, nella considerazione che le prime attività medico-professionali incompatibili sono state poste in essere dal convenuto a partire dal mese giugno del 2004.

Detto danno deve essere risarcito nella sua interezza, in quanto non vi sarebbe alcun margine per valutare l’utilitas conseguita dall’Amministrazione.

L’incompatibilità prevista dalla Legge darebbe infatti vita, ad avviso del requirente, “ad una praesumptio iuris et de iure secondo cui qualunque attività professionale diversa da quella formativa influirebbe negativamente sul risultato pubblico perseguito, vanificandolo interamente”, con un evidente “sviamento di risorse pubbliche che si verifica qualora venga assunto un soggetto non meritevole (in quanto titolare di attività incompatibili e dunque infedele rispetto agli obblighi assunti) a scapito di altri”.

Il convenuto si è costituito a mezzo dell’avv. Claudia Pasqualini Salsa con comparsa di costituzione e risposta depositata in data 26 settembre 2013.

Preliminarmente il difensore eccepisce l’avvenuta prescrizione dell’azione erariale, ai sensi dell’art. 1, comma 2, della L. n. 20 del 1994 e succ. modifiche, non potendosi nella specie configurare alcun occultamente doloso del danno.

Più precisamente, considerato che il danno contestato si è verificato tra il 2004 e il 2006, alla data 20 dicembre 2012, in cui è intervenuto il primo atto interruttivo rappresentato dalla notifica dell’invito a dedurre, la prescrizione si era interamente compiuta per essere trascorso oltre un quinquennio dal pagamento dell’ultima rata della borsa di studio.

Né vi sarebbe stato nella specie alcun occultamento doloso, non essendo stati posti in essere atti ulteriori, rispetto all’attività antigiuridica pregiudizievole contestata, volti ad occultare il danno ancora in fieri o già prodotto.

Ciò sarebbe del resto comprovato anche dalla circostanza che ciascuna delle attività incompatibili è stata fatturata. E neppure la volontà di occultare sarebbe desumibile dalla mera sottoscrizione delle dichiarazioni sostitutive dell’atto di notorietà, per essere state le stesse sottoscritte dal dott. M. “in assoluta buona fede, nella convinzione di non avere espletato alcuna attività incompatibile”.

Nel merito, parte convenuta eccepisce l’insussistenza di danno per l’erario, in quanto il denaro pubblico erogato per il finanziamento del corso non è stato illecitamente utilizzato; il dott. M. ha, infatti, frequentato il corso di formazione in modo proficuo, raggiungendo tutti gli obiettivi prefissati, come risulta dalle numerose (ventidue) certificazioni relative agli anni 2004, 2005 e 2006 e dal certificato conclusivo sull’attività didattica e teorica del dott. Ugo Briatore, Coordinatore regionale.

Oltre a mancare il danno erariale, il difensore sostiene che nella condotta del proprio assistito non sarebbe neppure ravvisabile il dolo richiesto per l’affermazione della sua responsabilità, in quanto lo stesso non era consapevole del regime di incompatibilità esistente tra la frequenza del corso e le attività lavorative svolte.

Peraltro, il fatto che il M. abbia regolarmente dichiarato all’Amministrazione finanziaria i redditi derivanti dallo svolgimento di tali attività, dimostrerebbe che lo stesso in assoluta buona fede riteneva di non essere in condizioni di incompatibilità.

La difesa nega anche che possa configurarsi la colpa grave, stante l’oggettiva fraintendibilità del quadro normativo di riferimento, come riconosciuto dal G.I.P. del Tribunale di Savona nel decreto di archiviazione della parallela indagine penale.

In ogni caso sostiene nel merito che “le attività poste in essere dal dott. M. non sono incompatibili, poiché in parte svolte in sostituzioni a tempo determinato di colleghi e in parte svolte una volta terminato il corso di specializzazione”.

La difesa conclude, quindi, chiedendo:

“IN VIA PRELIMINARE: accertare e dichiarare l’intervenuta prescrizione del diritto al risarcimento del presunto danno erariale e, conseguentemente, dichiarare improcedibile la domanda attrice.

NEL MERITO: respingere, perché infondata, la domanda attrice.

IN VIA DI SUBORDINE: accertare e dichiarare che il convenuto è incorso in errore scusabile e che pertanto è esente dalla responsabilità per cui è causa.

Con ogni consequenziale pronuncia ed effetto e con vittoria di spese ed onorari”.:

In via istruttoria, chiede di essere ammesso a provare per testi

1) che le attività svolte durante la frequenza al corso consistevano in sostituzioni a tempo determinato.

2) che dal 10 giugno 2006 il Corso di formazione era di fatto terminato ed i corsisti potevano considerarsi “liberi”, secondo l’espressione usata dal Responsabile.

3) che l’istituto denominato “Casa di Cura della Riviera srl” di Savona in via Giordano, attualmente denominato “La Gioiosa” con sede in via Giordano, nell’anno 2004 era già convenzionato con I’A.S.L. 2 Savonese.

All’odierna pubblica udienza, l’Avv. Pasqualini Salsa, intervenendo per il convento, ha illustrato le argomentazioni svolte nella memoria di costituzione, ribadendone tutte le conclusioni preliminari e di merito. Il Pubblico Ministero, in persona del Vice procuratore generale, dott. Gabriele Vinciguerra, ha replicato alle eccezioni sollevate dalla difesa, sottolineando, in particolare, con riferimento all’eccezione di prescrizione, che, nella specie, essendovi stato occultamento doloso del danno, la prescrizione decorre dalla sua scoperta. Ha quindi concluso per la condanna del convenuto, come richiesto in citazione.

Al termine della discussione, la causa è stata trattenuta per la decisione.

 

Motivi della decisione

 

Oggetto del presente giudizio è la domanda di risarcimento del danno patito dall’Azienda Sanitaria Locale n. 2 Savonese in conseguenza dell’avvenuto svolgimento da parte del convenuto di attività libero-professionale incompatibile con il corso biennale di formazione in medicina generale tenutosi nel triennio 2004/2006 per la cui frequenza lo stesso ha fruito di borsa di studio.

Preliminarmente il Collegio deve farsi carico dell’eccezione di prescrizione sollevata dalla difesa nella considerazione che, essendosi verificata l’indebita percezione della borsa di studio tra il 2004 e il 2006, alla data 20 dicembre 2012, in cui è intervenuto il primo atto interruttivo rappresentato dalla notifica dell’invito a dedurre, la prescrizione si era interamente compiuta per essere trascorso oltre un quinquennio dal pagamento dell’ultima rata della borsa.

Né nella specie vi sarebbe stato, secondo l’assunto di parte convenuta, alcun occultamento doloso, non essendo stati posti in essere atti ulteriori, rispetto all’attività antigiuridica pregiudizievole contestata, volti ad occultare il danno ancora in fieri o già prodotto.

L’eccezione è infondata e deve pertanto essere respinta.

In merito si osserva che, ai sensi dell’art. 1, comma 2, della L. 20/94, “Il diritto al risarcimento del danno si prescrive in ogni caso in cinque anni decorrenti dalla data in cui si è verificato il fatto dannoso ovvero, in caso di occultamento doloso del danno, dalla data della sua scoperta”.

Tale doloso occultamento, come chiarito da consolidata giurisprudenza della Corte dei Conti, “non può coincidere, puramente e semplicemente, con la commissione (dolosa) del fatto dannoso., ma richiede un’ulteriore condotta, indirizzata ad impedire la conoscenza del fatto: occorre, in altri termini, un comportamento che, pur se può comprendere la causazione stessa del fatto dannoso, deve tuttavia includere atti specificamente volti a prevenire la scoperta di un danno ancora in fieri oppure a nascondere un danno ormai prodotto” (Corte conti, Sez. Prima, 2.2.2009, n. 40. In termini, Corte dei Conti, Sez. giurisd. Liguria 11.6.2009, n. 287).

Tanto premesso, osserva però il collegio che nel caso di specie la volontà di occultare il danno deve ritenersi in re ipsa, cioè insita nelle stesse modalità di perpetrazione dell’illecito, concretizzatesi nel dare all’Amministrazione, attraverso la presentazione di dichiarazioni non veritiere, una falsa rappresentazione della realtà (cfr., ex plurimis, SS.RR., sentenza 25.10.1996, n. 63; Sezione Prima, 18.3.2003, n. 103; Sezione Seconda, 2.2.2004, n. 29; Sezione Terza, 16.1.2002, n. 10; Sezione App. Sicilia, 22.4.2004, n. 66).

Ed invero, il fatto che il M. abbia falsamente dichiarato in data 18/10/2006 – nelle forme della dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà ex art. 4 della L. 4 gennaio 1968, n. 15 – di non avere svolto attività incompatibili, oltre a provare – per i motivi che saranno infra specificati – la consapevolezza e volontarietà della illecita condotta tenuta, dimostra anche l’intenzionalità dell’occultamento di quelle attività incompatibili che sono state, invece, concretamente svolte (Cfr., Sez. Liguria sentt. n. 254 del 2012 e n. 25 del 2013).

Sulla base di tali considerazioni il dies a quo della prescrizione deve essere spostato dalla data in cui si verificò il fatto dannoso all’epoca della sua scoperta, in data 27.12.2011, allorché la Guardia di Finanza comunicò alla Procura della Corte dei Conti la notitia damni relativa ai fatti per cui è causa.

Passando all’esame del merito in senso stretto, deve anzitutto respingersi la suindicata richiesta di prova testimoniale avanzata dal convenuto, non essendo le circostanze che si intendono provare con tale mezzo (temporaneità del rapporto, convenzionamento della struttura esterna, data esatta in cui il corso ha avuto termine) rilevanti ai fini della decisione da assumere per i motivi che saranno infra sviluppati.

Ciò premesso, la Procura contesta al convenuto di avere esercitato attività libero-professionale incompatibile con la frequenza a tempo pieno del corso di formazione professionale in medicina generale, in quanto l’art. 24, comma 3, del D.Lgs. 17/08/1999, n. 368, come modificato dall’articolo 9 del D.Lgs. 8 luglio 2003, n. 277, statuisce che “La formazione a tempo pieno, implica la partecipazione alla totalità delle attività mediche del servizio nel quale si effettua la formazione, comprese le guardie, in modo che il medico in formazione dedichi a tale formazione pratica e teorica tutta la sua attività professionale per l’intera durata della normale settimana lavorativa e per tutta la durata dell’anno”.

Solo eccezionalmente, ai sensi dall’art. 19, comma 11, della Legge 28 dicembre 2001, n. 448, “I laureati in medicina e chirurgia abilitati, anche durante la loro iscrizione ai corsi di specializzazione o ai corsi di formazione specifica in medicina generale, possono sostituire a tempo determinato medici di medicina generale convenzionati con il Servizio sanitario nazionale ed essere iscritti negli elenchi della guardia medica notturna e festiva e della guardia medica turistica ma occupati solo in caso di carente disponibilità di medici già iscritti negli elenchi della guardia medica notturna e festiva e della guardia medica turistica”.

La domanda è fondata.

Ed invero, non sembra possano esservi dubbi sul carattere vincolante del regime di incompatibilità posto dall’invocata normativa in tema di corsi di specializzazione. La disciplina positiva delle incompatibilità posta dal D.Lgs. n. 368/1999 e successive modifiche, è stata anche confermata dal D.M. 7 marzo 2006 del Ministero della salute che con disposizioni di carattere ricognitivo delle ricordate norme primarie ha ribadito che “è inibito al medico in formazione l’esercizio di attività libero-professionali ed ogni rapporto convenzionale, precario o di consulenza con il Servizio sanitario nazionale o enti e istituzioni pubbliche o private, anche di carattere saltuario o temporaneo”, fatte salve “le sostituzioni a tempo determinato di medici di medicina generale convenzionati con il Servizio sanitario nazionale, nonché le sostituzioni per le guardie mediche notturne, festive e turistiche”.

Dunque, il medico partecipante al corso a tempo pieno di formazione in medicina generale, al di fuori dell’attività di formazione, poteva svolgere solo le attività espressamente individuate dall’art. 19, comma 11, Legge n. 448/2001, dalla Legge n. 448/2001, senza che fosse possibile estendere tale deroga ad altri rapporti di lavoro di tipo convenzionali, atteso il carattere eccezionale della stessa (art. 11 D.M. 7 marzo 206, cit.).

Di conseguenza, posto che durante la formazione il dott. M. ha svolto attività come libero professionista che non rientravano tra quelle ammesse dalla Legge n. 448/2001 (in particolare: prestazioni professionali svolte presso la struttura Casa di Cura della Riviera Srl, ricevute n. 11 del 28.06.2004 e n. 38 del 27.09.2004; a favore di “R.N. S.s.d.a.r.l. “, ricevute n. 3 e n. 21 del 2006; a favore della “Sportin Club Quinto”, ricevuta n. 22 del 2006), risulta evidente che lo stesso ha percepito la borsa di studio in violazione delle norme regolatrici dei corsi di specializzazione che ne condizionavano la partecipazione all’assenza di attività incompatibili. A tale riguardo, va sottolineato che la tempestiva scoperta dello svolgimento di attività incompatibili avrebbe comportato l’espulsione del medico tirocinante dal corso (art. 11, comma 4, D.M. 7 marzo 2006, cit).

L’avvenuta violazione del regime delle incompatibilità rende dunque illecita e fonte di danno erariale la percezione della borsa di studio e fa sorgere in capo al percettore l’obbligo della sua restituzione.

A quest’ultimo riguardo deve respingersi l’eccezione della difesa circa la mancanza di danno per essere stati ammessi al corso un numero di medici inferiore rispetto ai posti messi a concorso. La borsa di studio poteva, infatti, essere legittimamente corrisposta solo a chi si trovava nelle condizioni normativamente previste e la sua erogazione in assenza delle stesse è illegittima e, come detto, costituisce danno per l’Erario.

Accertato l’avvenuto svolgimento da parte del convenuto di attività incompatibili con la partecipazione al corso formazione, deve affermarsi il carattere doloso della violazione delle disposizioni che regolano l’accesso ai corsi e la loro fruizione, dal momento che l’assenza di cause di incompatibilità è stata attestata dal M. con dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà, ex art. 4 della L. 4 gennaio 1968, n. 15, non solo al momento dell’ingresso al corso di formazione, ma anche al termine dello stesso (dichiarazione del 18/10/2006).

Come sottolineato dall’accusa, infatti, il M. era certamente consapevole della portata delle proprie dichiarazioni, considerato il suo ruolo, la sua istruzione e la frequentazione dell’ambiente medico nel quale il regime delle incompatibilità costituiva certamente fatto notorio. E’ significativo che solo quattro dei numerosi partecipanti al corso siano incorsi in violazioni analoghe a quelle commesse dall’odierno convenuto (Cfr., Sez. Liguria sent. n. 254 del 2012, cit.).

Né il fatto che il dott. M. abbia, comunque, fatturato e dichiarato all’Amministrazione finanziaria le prestazioni lavorative incompatibili può essere considerato prova della sua buona fede, dal momento che tali comportamenti rappresentano l’adempimento di obblighi fiscali; inoltre, la fatturazione, come efficacemente evidenziato dal requirente, è da porre in relazione con l’interesse del datore di lavoro a scaricare le spese per prestazioni ricevute da terzi.

Quanto alla quantificazione del danno, la Procura, in via principale, ha chiesto che il convenuto sia condannato al pagamento di Euro 31.909,68, corrispondente alla somma erogata come borsa di studio in tutto il periodo del corso tenutosi negli anni 2003/2006.

Il collegio ritiene tuttavia di accogliere la domanda di condanna avanzata dalla Procura in via subordinata, ossia la domanda di risarcimento del danno di Euro 26.059,55 (ventiseimilacinquantanove/55), corrispondente all’importo della borsa di studio erogata dal giugno 2004 alla fine del corso, dopo il compimento della prima attività incompatibile (nel giugno 2004) presso la Casa di Cura Riviera Srl, oltre a rivalutazione monetaria a decorrere dalle date degli indebiti esborsi.

La Sezione reputa in proposito che soltanto nel momento in cui il dott. M. ha iniziato a svolgere attività non compatibili con il corso di formazione siano venuti meno i presupposti necessari per poter legittimamente continuare la frequenza del corso stesso e per avere titolo a fruire della borsa di studio.

Tutte le somme percepite dal convenuto dopo tale data, ivi comprese quelle corrisposte dopo la fine del corso, risultano essere state erogate indebitamente e devono, pertanto, essere restituite.

La Sezione ritiene, infine, che nella specie non possa trovare applicazione il principio della compensatio lucri cum damno, ai sensi dell’art. 3, comma 1 bis del D.L. n. 543/1996, convertito nella Legge n. 639/96, in mancanza della prova dei concreti vantaggi avuti dall’Amministrazione, laddove è invece certa l’utilitas (ulteriore rispetto all’indebita percezione della borsa di studio) ricevuta dal convenuto, che ha conseguito il diploma di specializzazione; nonostante avesse posto in essere fatti, che, se conosciuti in pendenza del corso, ne avrebbero determinato l’interruzione (In tal senso, Sez. Liguria sent. n. 254 del 2012, cit.).

Le spese seguono la soccombenza.

 

P.Q.M.

 

La Corte dei Conti – Sezione giurisdizionale per la Regione Liguria, definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza, eccezione e deduzione disattesa, condanna il signor M.A. al pagamento in favore dell’Azienda Sanitaria n. 2 Savonese della somma di Euro 26.059,55 (ventiseimilacinquantanove/55), oltre a rivalutazione monetaria a decorrere dai singoli indebiti esborsi.

Dalla data di deposito della presente sentenza su detta somma, come sopra rivalutata, sono dovuti gli interessi legali fino al pagamento.

Condanna, inoltre, lo stesso al pagamento delle spese di giudizio che vengono liquidate in Euro 785,56 (settecentottantacinque/56).

Così deciso in Genova, nella camera di consiglio del 16 ottobre 2013.

Depositata in Segreteria il 2 dicembre 2013.