Il risarcimento del danno al veicolo in caso di sinistro stradale non può essere superiore al valore economico dello stesso al momento dell’incidente. È quanto di recente affermato dalla Suprema Corte di Cassazione, con ordinanza n. 9367 del 28 aprile 2014, rigettando il ricorso dell’utente danneggiato avverso la sentenza del Tribunale di Termini Imerese che, in parziale riforma della pronuncia del giudice di pace, aveva ridotto l’importo del risarcimento richiesto dalla parte ricorrente per le spese di riparazione del veicolo a seguito dell’incidente stradale che l’aveva visto coinvolto.
Considerando la decisione del giudice d’appello conforme alla giurisprudenza formatasi in materia, la VI sezione della S.C. statuiva che: “la domanda di risarcimento del danno subito da un veicolo a seguito di incidente stradale, quando abbia ad oggetto la somma necessaria per effettuare la riparazione dei danni, deve considerarsi come richiesta di risarcimento in forma specifica, con conseguente potere del giudice, ai sensi dell’art. 2058, secondo comma, cod. civ., di non accoglierla e di condannare il danneggiante al risarcimento per equivalente, ossia alla corresponsione di una somma pari alla differenza di valore del bene prima e dopo la lesione, allorquando il costo delle riparazioni superi notevolmente il valore di mercato del veicolo”.
Con la suddetta pronuncia la Corte richiama espressamente un orientamento ormai largamente condiviso nella giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 21012/2010; n. 2402/2008), in ordine al delicato tema dell’anti-economicità delle riparazioni nella determinazione del quantum del danno risarcibile nel caso di sinistro stradale, secondo il “risarcimento per equivalente” corrispondente al valore di mercato (ante-sinistro) del bene danneggiato (Cass. n. 4990/2008), escludendo, pertanto, “la legittimità del ricorso alla reintegrazione in forma specifica qualora, per le circostanze del caso concreto, le spese necessarie ad essa sarebbero superiori rispetto alla somma alla quale avrebbe diritto il danneggiato ex art. 2056 c.c., in quanto in tal caso il danneggiato riceverebbe dalla reintegrazione una ingiustificata locupletazione” (Cass. n. 8052/2003).
Da questo orientamento si discosta parte della giurisprudenza, soprattutto di merito, la quale, “basandosi una fondamentale idea di giustizia e su dati di fatto”, ammette il riconoscimento in forma specifica del danno (G.d.p. Milano 22.6.2012), anche “se questa risulti più onerosa” (G.d.p. Davoli n. 596/2004), in presenza di costi di riparazione antieconomici, superiori al valore del veicolo ante-sinistro, in ragione della “logica propria del risarcimento in forma specifica, che reintegra il valore d’uso e non quello di scambio” (G.d.p. Siracusa, n. 290/2004).
In generale, tuttavia, si può affermare che, nella concreta determinazione del danno risarcibile, il risarcimento in forma specifica è l’eccezione e quello per equivalente la regola, sulla base della ratio di assicurare un bilanciamento tra il danno e il risarcimento evitando che la reintegrazione del diritto offeso “vada oltre il risarcimento della situazione anteriore e produca un vantaggio economico al danneggiato” (Cass. n. 8062/2001), traducendosi in una indebita locupletazione (come nel caso dei vantaggi, seppur rari, che potrebbero derivare in termini di durata e prestazioni del veicolo, dalle riparazioni effettuate).
Tuttavia, partendo dal principio fondamentale secondo il quale il risarcimento del danno da responsabilità aquiliana ha la funzione di porre il patrimonio del danneggiato nello stesso stato in cui si sarebbe trovato se l’illecito non si fosse verificato (Cass. n. 3352/1989; 7389/1987), appare evidente come il criterio del risarcimento secondo il valore ante-sinistro del mezzo non possa costituire l’unico parametro di valutazione del giudice.
Se da un lato, infatti, il fine è quello di evitare che la riparazione del danno (nel caso, appunto, di riparazioni antieconomiche), vada a produrre un ingiusto vantaggio economico nel patrimonio del danneggiato, dall’altro, per una corretta determinazione del quantum, dovrà tenersi conto del pregiudizio effettivo dallo stesso subito.
Per cui, allo scopo di un’eventuale riduzione della misura del risarcimento, il giudice, oltre al valore ante-sinistro del mezzo, dovrà tenere conto anche di altri parametri (quali, la vetustà del veicolo, il deprezzamento subito a seguito dell’incidente, la natura e l’entità delle riparazioni effettuate, la maggiore funzionalità che le stesse potrebbero garantire al mezzo, ecc.), mentre, al fine di reintegrare il patrimonio ex ante del danneggiato, il danno dovrà essere “maggiorato della spesa di demolizione del relitto e di quella di immatricolazione del nuovo veicolo” (App. Roma, n. 809/2005) o del passaggio di proprietà ovvero delle spese per il noleggio di una vettura sostitutiva, per il soccorso, il traino e la custodia del mezzo incidentato, come anche delle voci relative al c.d. “fermo tecnico” (G.d.p. Milano, n. 4314/2011), al bollo e all’assicurazione non goduti “considerato il mancato utilizzo della vettura per la quale erano state anche pagate le relative tasse di circolazione e corrisposta l’assicurazione obbligatoria” (G.d.p. Milano, n. 100577/2012); nonché dell’Iva che “deve essere riconosciuta come parte integrante del risarcimento del danno da circolazione stradale solo, però, nel caso di effettivo avvenuto esborso, documentato attraverso l’esibizione di fattura in originale” (G.d.p. Milano 22.6.2012).