In seguito ad un incidente sportivo, un uomo ha sviluppato una sintomatologia dolorosa in corrispondenza del rachide lombare, irradiantesi all’arto inferiore destro e sinistro; sottopostosi ad una TAC vertebrale è emersa “a livello dello spazio intersomatico L5-S1 lieve protusione discale posteriore mediana che impronta modicamente il sacco durale”. Stante il persistere della patologia, non regredita nonostante la terapia farmacologica e fisioterapica, si è reso necessario un intervento chirurgico per la liberazione delle radici nervose lombari, mediante una laminectomia e foraminotomia bilaterale, in quanto la diagnosi di ingresso in Ospedale è stata “stenosi foraminale lombare multilivello” (degli ultimi 4 forami di coniugazione lombari).
Il CTU incaricato nel corso del giudizio ha evidenziato che i sanitari sono incorsi in un errore diagnostico con conseguente non corretta scelta dell’intervento da eseguire; inoltre, all’interno della cartella clinica non si è rinvenuto alcun modulo di consenso scritto alla prestazione chirurgica.
Durante il giudizio, la difesa del sanitario ha cercato di supplire alla omissione documentale attraverso le prove testimoniali, ma il giudice ha ritenuto che non fosse possibile trarre elementi di prova dalla deposizione dei testi, attesa la loro estrema genericità in ordine all’oggetto delle informazioni rese al paziente. Infatti, affermare di aver reso “tutti i chiarimenti del caso”, comporta l’uso di una locuzione talmente soggettiva da essere inutilizzabile al fine del decidere, in quanto il grado di esaustività delle informazioni non può essere valutato dal teste, ma deve poter emergere dai fatti da esso riferiti.
Altrettanto inutile è stata considerata la testimonianza di un collaboratore del medico che si è limitato a dichiarare che il sanitario è solito mettere a conoscenza i pazienti sul tipo di intervento da eseguire ed ha riferito di aver assistito ad un colloquio con un parente in cui spiegava l’esatta natura dell’intervento. Circostanza del tutto irrilevante, tenuto conto che il dovere di informazione deve essere assolto nei confronti del paziente e non di un suo congiunto.