La nuova previsione introdotta dal cd. ‘decreto Balduzzi’, incentra sulla colpa lieve del sanitario un’ipotesi che ne esclude la responsabilità penale; ma – secondo la puntualizzazione già operata dalla stessa Corte di Cassazione – solo per i comportamenti imperiti e non anche per quelli negligenti.

Cassazione Penale – Sez. IV; Sent. n. 36347 del 28.08.2014

Svolgimento del processo

1. La mattina del X.  T.C. rimase coinvolto in un sinistro stradale nel quale riportò gravi lesioni da politrauma. Giunto alle ore 10,06 presso l’ospedale X. , il T. venne sottoposto dal medico di guardia, Dott. F., ad una prima visita sommaria e ad un’ecografia che individuò un possibile pneumotorace a destra, in concordanza con quanto già rilevato dal medico del 118 che aveva eseguito un primo soccorso in strada. Vennero richieste alcune consulenze specialistiche ed esami strumentali, tra le quali anche la consulenza rianimatoria della dottoressa C., medico anestesista, e la consulenza chirurgica del dr. P.. Quest’ultimo diagnosticò la presenza di un enfisema sottocutaneo della parete laterale dell’emitorace destro, sicchè venne eseguita una radiografia urgente del torace, che confermò la diagnosi, evidenziando l’iniziale deviazione a sinistra del mediastino, in assenza di falde di pneumotorace nei segni di contusione polmonare.

Il T. venne quindi trasferito presso il locale CTO per l’esecuzione di una Tac, accompagnato dalla dr.ssa C..

Nell’esecuzione dell’esame il T. ebbe un primo e poi un secondo arresto cardiaco, letale, che i successivi accertamenti hanno posto in relazione causale con un pneumotorace iperteso insorto quando il paziente si trovava presso il CTO. 2. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di appello di Cagliari ha confermato la pronuncia emessa dal Tribunale di Cagliari, sezione distaccata di Iglesias, con la quale la C. è stata giudicata responsabile del decesso del T..

Secondo il giudizio concorde dei giudici di merito, la condotta della C. fu conforme alle legis artis e a regole di generica prudenza, diligenza e perizia sin quando il paziente era stato presso l’ospedale X. . All’inverso, durante la successiva permanenza presso il CTO, la dr.ssa C. aveva omesso di effettuare una tempestiva diagnosi di pneumotorace iperteso e di eseguire delle semplici manovre terapeutiche, quali l’introduzione di un tubo di drenaggio, che sarebbero valse a salvare il T., così cagionandone la morte.

In particolare, la Corte di Appello ha convenuto con il primo giudice sul fatto che le condizioni del paziente, soggetto afflitto da plurime fratture costali scomposte e da enfisema sottocutaneo a destra, richiedessero una particolare vigilanza in relazione alla possibile insorgenza di un pneumotorace, anche nella grave forma ipertesa. Il Collegio distrettuale ha quindi fatto proprio la seguente ricostruzione: il paziente giunse presso il CTO alle ore 11,15 ove ebbe un episodio di forte tachicardia e, a causa della instabilità emodinamica, gli venne eseguita una trasfusione di emazie concentrate; quindi, durante un primo tentativo di eseguire la Tac il T. ebbe una improvvisa desaturazione. Alle 12,25 venne iniziata la procedura di intubazione oro-tracheale accompagnata da terapia farmacologica e la C. richiese l’ausilio della anestesista del CTO dr.ssa M.I.. Solo a questo punto si fece l’auscultazione del paziente, che ad avviso della Corte territoriale già permetteva di formulare la diagnosi di pneumotorace iperteso a destra. Ciò nonostante si persistette nell’infusione di emazie e ad attendere l’esito della Tac. Sopraggiunse il primo arresto cardiaco.

Alla ripresa del ritmo con frequenza bassa la M. procedette ad un tentativo di drenaggio con l’utilizzo di aghi da biopsia e da vertebroplastica. Alle 13,05 si ebbe un secondo arresto cardiaco;

venne quindi posizionato un bulau a destra da parte di chirurghi ed eseguite manovre rianimatorie; ma dopo 35 minuti venne constatato il decesso del T..

Conclusivamente alla C. si è ascritto di aver sottovalutato la gravità della situazione, omettendo negligentemente di considerare i dati convergenti verso l’insorgenza di un pneumotorace iperteso.

Anche dopo l’auscultazione operata dalla M., che dava indicazione della compromissione della funzionalità polmonare e pur disponendo dei dati concernenti la saturazione, indicativi di un pneumotorace iperteso, la C. non chiese l’intervento dei chirurghi con l’attrezzatura richiesta (il c.d. balau) e proseguì in attività non congruenti, al fine di rendere possibile l’esecuzione della Tac. In sostanza, l’imputata non si preoccupò di trattare il pneumotorace, pur essendo questa la priorità e pur avendone avuto il tempo necessario. Trattamento che le sarebbe stato possibile perchè consistente in una semplice manovra eseguibile anche con strumentazione di fortuna (46) e che sarebbe stato certamente risolutivo, garantendo la sopravvivenza del paziente.

3. Avverso tale decisione ricorre per cassazione l’imputata a mezzo del difensore di fiducia, avv. Alberto Filippini.

3.1. Con un primo motivo deduce che la Corte di Appello non ha dato adeguata risposta ai rilevi che si erano mossi alla sentenza di primo grado nella parte in cui recepiva acriticamente le prove documentali, senza sottoporle al vaglio che aveva condotto alla svalutazione della prova dichiarativa.

Premesso il dato incontroverso dell’esistenza di un contrasto tra quanto risultante dai contributi dichiarativi e quanto evincibile dalla documentazione costituita da consulenze e relazioni dei sanitari – contrasto rilevante sul piano della ricostruzione della tempistica degli avvenimenti -, l’esponente lamenta che la Corte di Appello non ha adeguatamente preso in considerazione i rilievi difensivi che rimarcavano la mancata valutazione dell’attendibilità della prova documentale da parte del primo giudice, valutazione da condursi avuto riguardo alla natura della documentazione e alle condizioni di contesto nella quale essa venne formata, caratterizzato dall’urgenza e dal carico emotivo dell’autore.

Rinviene quindi l’esponente una carenza di motivazione sul punto.

Assume, inoltre, che la Corte di Appello ha fatto erronea applicazione del principio dell’oltre ogni ragionevole dubbio, stante la incertezza e la contraddittorietà del riscontro probatorio sulla tempistica degli avvenimenti, come fatta propria dalla Corte distrettuale.

Il Collegio cagliaritano ha erroneamente ritenuto che la C. avesse avuto il tempo necessario a valutare l’insorgenza del pneumotorace e a trattarlo adeguatamente, sicchè essa non si attivò per colpevole negligenza e assunse iniziative non pertinenti ed adeguate. Ma ciò ha affermato in forza di un’anticipazione del momento del peggioramento delle condizioni di salute del T. e non tenendo conto del fatto che la C. si trovò ad operare in un presidio ospedaliero a lei sconosciuto.

Nel caso concreto, l’esistenza di una valida ipotesi alternativa a quella dell’accusa avrebbe dovuto condurre all’assoluzione.

3.2. Con un secondo motivo la ricorrente lamenta violazione di legge e vizio motivazionale in merito alle argomentazioni espresse dalla Corte di Appello in tema di nesso causale, ritenuto sulla scorta di un riscontro probatorio insufficiente, contraddittorio ed incerto.

Assume l’esponente che non è stata accertata con certezza la presenza o meno di una emorragia interna e che non è stato determinato con certezza il momento in cui insorse il pneumotorace iperteso, stante la divergenza tra i pareri degli esperti.

Per quanto il dato della disorganizzazione sanitaria sia stato riconosciuto dalla Corte di Appello, esso non è stato preso in debita considerazione, risultandone una motivazione carente e priva dell’apparato argomentativo che dovrebbe giustificare la preferenza accordata ad una delle diverse ricostruzioni tecniche; nè la Corte ha disposto una perizia.

3.3. Con un terzo motivo l’imputata lamenta violazione di legge in relazione all’art. 603 c.p.p..

3.4. Con un quarto motivo deduce violazione di legge in relazione alla L. n. 189 del 2012, art. 3, e vizio motivazionale.

La Corte di Appello ha ritenuto che non possa trovare applicazione al caso in esame la novella legislativa perchè ricorrente un comportamento negligente, mentre le linee guida di cui alla ricordata normativa contengono solo regole di perizia. Per l’esponente, l’emergenza terapeutica assume rilievo ai fini dell’accertamento del grado della colpa, che va parametrata non solo alla difficoltà tecnico-scientifica dell’intervento richiesto ma anche al contesto in cui esso si è svolto.

Pertanto, si conclude, la vicenda in esame sarebbe riconducibile alla fattispecie di cui all’art. 3 cit..

Motivi della decisione

4. Il ricorso è infondato, per le ragioni di seguito precisate.

4.1. Le censure mosse con il primo motivo lambiscono l’inammissibilità.

Ripetutamente l’esponente lamenta l’inadeguatezza della motivazione e segnala che la Corte di Appello ha omesso di ulteriormente argomentare in ordine alle ragioni per le quali ha ritenuto di condividere la valutazione del primo giudice circa la valenza della prova documentale; e ciò in quanto non avrebbe correttamente valorizzato tutti gli elementi e le circostanze del caso. Mette conto rammentare, quindi, che i vizi della motivazione che possono essere fatti valere per mezzo del ricorso per cassazione sono rappresentati dalla mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione (art. 606 c.p.p., lett. e).

Già la prospettazione difensiva evidenzia come la Corte di Appello abbia preso in esame i rilievi mossi con l’atto di appello, fornendo una risposta che non soddisfa l’esponente ma che ciò non di meno non è censurabile in questa sede perchè nè apparente nè manifestamente illogica. Quanto alla inconferenza e alla incompatibilità della motivazione con atti del processo, esse vengono semplicemente enunciate dall’esponente, che d’altronde asserisce esplicitamente di non intendere denunciare il travisamento della prova (nel caso di specie privo di diritto di accesso al giudizio di legittimità, trattandosi di ipotesi di c.d. “doppia conforme”).

Del tutto aspecifica, quindi, è tal ultima censura; come pure aspecifica è l’evocazione della violazione della regola dell’oltre ogni ragionevole dubbio; regola che non ha mutato la natura del sindacato della Corte di cassazione sulla motivazione della sentenza e che non può, quindi, essere utilizzata per valorizzare e rendere decisiva la duplicità di ricostruzioni alternative del medesimo fatto, eventualmente emerse in sede di merito e segnalate dalla difesa, una volta che tale duplicità – come nel caso di specie – sia stata oggetto di attenta disamina da parte del giudice dell’appello (Sez. 5, n. 10411 del 28/01/2013 – dep. 06/03/2013, Viola, Rv.

254579), la quale abbia fatto risultare la non razionalità del dubbio derivante dalla prospettazione alternativa, non potendo detto dubbio fondarsi su un’ipotesi del tutto congetturale, seppure plausibile (Sez. 4, n. 22257 del 25/03/2014 – dep. 29/05/2014, Guernelli e altri, Rv. 259204).

Ciò rilevato, appare comunque opportuno precisare che il principale rilievo critico, indirizzato alla diversità di approccio alla valutazione rispettivamente delle dichiarazioni e della documentazione, e quindi concretizzatosi nel lamentare che la Corte di Appello non avrebbe tenuto conto che anche la formazione del documento può “incorporare” errori o inesattezze derivanti dalla situazione di fatto e dalle condizioni psicologiche dell’autore all’atto della redazione risulta formulato in linea meramente teorica e peraltro appare non tener conto che la documentazione della quale si discorre è rappresentata dalla consulenza rianimatoria effettuata dalla C. e dalla certificazione medica relativa alle attività compiute sul T. presso il CTO. Ovvero da documentazione redatta da soggetti del tutto consapevoli della estrema rilevanza di quanto si andava annotando, sia ai fini dell’adeguatezza del trattamento sanitario che ai fini di una ricostruzione ex post delle condizioni del paziente e delle attività dispiegate dai sanitari; e che tali soggetti sono titolari di specifica competenza professionale per l’approccio a situazioni di emergenza.

Ne deriva che l’appunto che si muove alla Corte distrettuale, di aver anticipato il momento del peggioramento delle condizioni di salute del T. e comunque di aver ritenuto che la C. avesse avuto il tempo di valutare la situazione e di operare in modo risolutivo, risulta formulato su elementi privi di reale concretezza e specificità.

4.2. L’esponente si duole della motivazione resa dalla Corte di Appello in merito alla dimostrazione dell’esistenza dell’efficienza eziologica della condotta colposa della C.; e ciò fa richiamando da un verso l’opzione operata dal giudice di secondo grado a favore della ricostruzione prospettata dal consulente tecnico del p.m. (in merito al momento di insorgenza del pneumotorace iperteso) e dall’altro le condizioni di disorganizzazione che avrebbero caratterizzato il CTO. Ma, sotto il primo profilo, va annotato come la Corte di Appello abbia tenuto conto di quanto ritenuto dal consulente della difesa – per il quale il pneumotorace iperteso si manifestò pochi minuti prima del decesso, non lasciando spazio ad interventi risolutivi – ed abbia motivatamente aderito alla diversa ricostruzione del consulente del p.m., dando esplicita indicazione dei dati fattuali che le permettevano di affermare che la complicanza era stata diagnosticabile quanto meno dal momento dell’auscultazione eseguita dalla dr.ssa M.; ma, soprattutto, ha chiaramente evidenziato – e si è ampiamente riportato nella superiore parte narrativa – come quel che è rapportato al decesso non è la mancata diagnosi di un evento oramai conclamato bensì l’omesso monitoraggio e la corretta gestione dell’intera situazione sin dall’arrivo presso il CTO. Ciò rende palese l’irrilevanza nel caso concreto della evocata disorganizzazione del CTO. 4.3. Quanto alla lamentata violazione dell’art. 603 c.p.p., la Corte di Appello si è attenuta ai principi di diritto espressi da questa Corte in tema di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale in grado di appello – sui quali conviene la stessa ricorrente -, facendo corretta e motivata applicazione del criterio della irrilevanza della prova (cfr. pg. 45) e della non decisività della rinnovata escussione della M., avendo la prima deposizione già trattato esaustivamente il tema per il quale quella ripetizione era stata richiesta.

4.4. Con l’ultimo motivo l’esponente evoca quella tesi giurisprudenziale secondo la quale nell’accertamento della responsabilità del medico non trova applicazione la previsione dell’art. 2236 c.c. – e quindi l’addebito per colpa non è escluso in caso di colpa lieve -, ma da tale norma discende un criterio di valutazione del comportamento del sanitario, quale regola di esperienza cui attenersi nel valutare l’addebito di imperizia, qualora il caso concreto imponga la soluzione di problemi di speciale difficoltà ovvero qualora si versi in una situazione di emergenza, in quanto la colpa del terapeuta deve essere parametrata alla difficoltà tecnico-scientifica dell’intervento richiesto ed al contesto in cui esso si è svolto (Sez. 4, Sentenza n. 4391 del 22/11/2011, P.C. in proc. Di Lella. Rv. 251941). Tuttavia l’evocazione è strumentale all’affermazione della ricorrenza nel caso di specie dell’ipotesi disciplinata dal D.L. 13 settembre 2012, n. 158, art. 3, (conv. in L. 8 novembre 2012, n. 189).

Orbene, la relazione che in tal modo si pretende di stabilire tra la regola di diritto espressa dal ricordato indirizzo giurisprudenziale e la norma di ancor recente introduzione è in realtà insussistente.

L’incidenza delle condizioni di speciale difficoltà e di urgenza nelle quali può trovarsi ad operare il medico va colta sul piano della misura della colpevolezza e non già su quello della sussistenza della violazione della regola cautelare, a meno che quelle condizioni non siano in grado di influenzare la stessa formazione della regola cautelare applicabile nel caso concreto (si tratterà, quindi, di colpa generica). A riguardo della vicenda in esame ciò non è affermato neppure dall’esponente.

La nuova previsione, per contro, incentra sulla colpa lieve del sanitario un’ipotesi che ne esclude la responsabilità penale; ma – secondo la puntualizzazione già operata da questa Corte – solo per i comportamenti imperiti e non anche per quelli negligenti (Sez. 4, n. 11493 del 24/01/2013 – dep. 11/03/2013, Pagano, Rv. 254756).

Sicchè, non è possibile, oggi, richiamare la linea interpretativa espressa ad esempio dalla sentenza Di Lella, pretendendo di conseguire in forza di questa gli effetti previsti dal c.d. D.L. Balducci senza che sussistano tutti gli elementi della fattispecie delineata dal legislatore.

Correttamente, quindi, la Corte di Appello ha precisato che il comportamento ascritto alla C. va ascritto al novero delle condotte negligenti e pertanto non vi è luogo all’applicazione del menzionato art. 3.

5. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato e la ricorrente va condannata al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 23 maggio 2014.

Depositato in Cancelleria il 28 agosto 2014