Un medico in servizio presso il Pronto Soccorso dell’Ospedale è stato accusato di omicidio colposo a seguito del decesso di un paziente, poiché aveva omesso di effettuare esami strumentali (eco addome e rx diretta addomee o TAC con mezzo di contrasto) nonostante la presenza di dolori addominali e la precisazione che in precedenza era stato sottoposto ad un primo intervento chirurgico di bypass coronario e ad un secondo di dilatazione aneurismica e ripristino della continuità aortica con protesi aortica. Il sanitario ha diagnosticato dolore addominale e stipsi e non la presenza di una fistola aorto-enterica, inducendo il paziente ad allontanarsi dal nosocomio senza ricorrere alle cure necessarie. Successivamente, per l’aggravarsi delle condizioni di salute è stato sottoposto ad intervento chirurgico di duodenorrafia, che non ne ha impedito il decesso.
Corte d’Appello Napoli Sez. III, Sentenza del 20-11-2013
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
Avverso la decisione in epigrafe con atto del 12.9.2008 proponeva appello il p.m. invocando l’affermazione della penale responsabilità dell’imputato con condanna alla pena richiesta dal p.g. di udienza.
All’udienza del 2.11.2011 veniva svolta la relazione e il pg chiedeva la condanna alla pena di anni uno di reclusione, oltre la condanna al risarcimento dei danni nei confronti della parte civile. Per la discussione della difesa il processo veniva aggiornato al 15.12.2011.
In quell’udienza il processo veniva rinviato per concomitante trattazione da parte del collegio, di processi a carico di imputati detenuti in scadenza termini, al 28.2.2012.
Nella data indicata veniva rinnovato il dibattimento per diversa composizione collegiale; quindi svolta la relazione e raccolte le conclusioni delle parti, il pg a fronte della discussione difensiva chiedeva breve replica.
Nella successiva udienza, sulla base delle conclusioni rassegnate dalle parti, la Corte dopo aver deliberato in camera di consiglio, disponeva ai sensi dell’art. 603 c.p.p. la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale mediante l’escussione del Prof. G.B. aggiornando il dibattimento al 21.6.2012.
Quell’udienza veniva rinviata per assenza del teste al 9.10.2012. In quella data vista la diversa composizione del collegio, la Corte disponeva la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale con nuova relazione e rinnovando l’ordinanza ammissiva della prova ex art. 603 c.p.p. procedendo all’esame del Prof. B. G. presente alla successiva udienza del 12.2.2013 ( per essere state le udienze dell’11.12.2012 e del 23.1.2013 differite per assenza del perito) all’esito della quale il pg. concludeva chiedendo la condanna dell’imputato alla pena di anni uno di reclusione ed il processo veniva aggiornato per la discussione delle altre parti.
Le udienze del 19.3.2013, 14.5.2013 e del 9.7.2013 venivano rinviate per concomitanti impegni professioni di uno dei componenti del collegio in altra sezione o per l’ora tarda di chiamata del processo, ovvero per l’astensione dei penalisti dalle udienze.
All’udienza dell’1.10.2013 sulla base delle conclusioni rassegnate dalla parte civile e dalla difesa, la Corte dopo aver deliberato in camera di consiglio, decideva come da dispositivo letto ed allegato al verbale , assegnando per la stesura dei motivi il maggior termine ivi indicato, tenuto conto della complessità dei motivi di appello, del volume dell’incarto da esaminare per la stesura della motivazione e delle questioni da affrontare , ex art. 544 co III c.p.p.
L.R. è stato assolto perché il fatto non sussiste dal primo giudice con la decisione impugnata dal p.m. , in relazione al delitto di omicidio colposo asseritamente posto in essere nell’esercizio delle sue funzioni di sanitario addetto al pronto soccorso dell’ospedale Cardarelli di Napoli, in data 11-7-2005. Il R. -secondo la tesi di accusa- aveva omesso di effettuare esami strumentali (eco addome, rx addome e Tac con mezzo di contrasto) sul paziente C.L., diagnosticando nei suoi confronti un dolore addominale con stipsi e non evidenziando la presenza di una fistola aorto-enterica, nonostante il C. avesse rappresentato al sanitario del pronto soccorso la presenza di dolori addominali e la intervenuta operazione nel 2001 di bypass coronarico e nel 2002 di dilatazione aneurismica e ripristino della continuità aortica con protesi aortica. Il C. dimesso dal nosocomio per aver rifiutato il ricovero, tornava al medesimo ospedale alcune ore più tardi con forti dolori addominali e veniva sottoposto , da altro personale sanitario , ad accertamenti strumentali a seguito dei quali emergeva che il paziente presentava tutti i criteri di sospetto della fistola aorto-enterica ( fuoriuscita di sangue delle feci e dallo stomaco, melena, vomito ematico, pallore ) veniva trasferito in rianimazione dove decedeva dopo qualche ora.
Il primo giudice pur avendo negato nella specie, la ricorrenza della connesso al del cd. rifiuto di ricovero, ha pronunciato assoluzione perché il fatto non sussiste nei confronti dell’imputato evidenziando che i sintomi lamentati dal paziente al momento del ricovero, non erano francamente indicativi della fistola aorto-enterica che avrebbe dovuto indurre ad intervenire chirurgicamente (addome acuto e polso femorale alterato), valorizzando che anche al secondo accesso presso il nosocomio che il paziente aveva lasciato al mattino, a distanza di qualche ora dalla visita operata presso il pronto soccorso, diversi sanitari avevano adottato una diagnosi del tutto simile a quella effettuata dal R. al momento del primo accesso, assegnando comunque al C. il cd. codice verde.
Valorizza il primo giudice poi la circostanza che il sintomo, riferito dalla moglie del C. al dibattimento, della presenza di vomito scuro indicativo della presenza di sangue nell’addome, non risultava dal referto della prima visita o dalla cartella clinica relativa alla seconda visita ed al ricovero del paziente. Conclude il primo giudice nel senso che alle ore 8 circa del mattino quanto il C. era stato visitato dal R., la patologia era ancora in fase di evoluzione e non presentava la franca sintomatologia che avrebbe potuto indirizzare il sanitario verso una corretta diagnosi, presentando anzi tutti gli aspetti della colica addominale che soltanto ulteriori accertamenti strumentali -successivamente praticati- avevano potuto diversamente qualificare. In ogni caso il primo giudice evidenzia l’elevata percentuale di mortalità pur in presenza di diagnosi precoce ( il 55 %) in caso di intervento chirurgico collegata alla patologia del C., circostanza dirimente per escludere la sussistenza del fatto ascritto all’imputato.
Deduce l’appellante che la tesi di accusa risulta confortata da tre perizie medico-legali. Inoltre assume l’appellante che il primo giudice ha dato risalto alla prova documentale del tutto trascurando gli esiti di quella dichiarativa. In particolare lamenta il p.m. che alla data ed all’ora del secondo ricovero, pur a fronte della stessa sintomatologia riscontrata al primo accesso, erano stati praticati esami urgenti, eco addominale e rx dell’addome, che avevano immediatamente evidenziato la presenza del versamento di fluido in addome prevalentemente localizzato in doccia parietocolitica sinistra, ove peraltro si osservava distensione fluida di anse intestinali con scarsa peristalsi. Con la conseguenza che se il ricovero fosse stato predisposto alle ore 8,15 il C. sarebbe stato sottoposto ad intervento chirurgico con molte ore di anticipo, con una percentuale di sopravvivenza stimata in circa il 45% in caso di diagnosi precoce.
Del resto la circostanza che i secondi sanitari, a fronte dell’identica sintomatologia, come evidenziato anche dal primo giudice nella sentenza appellata, avessero invece disposto subito accertamenti urgenti rende evidente che la seconda visita di diversi sanitari era stata più approfondita e meticolosa ed il paziente era stato subito considerato a rischio, anche a fronte di un banale codice verde assegnatogli al secondo ingresso al pronto soccorso.
A ciò aggiunge il p.m. appellante che la vedova del C. aveva confermato quanto denunciato e cioè che la prima visita era stata breve e superficiale e che anche in denuncia e non solo al dibattimento la donna aveva riferito della circostanza del vomito scuro del coniuge . Il teste D.G. poi ha riferito delle condizioni del C. all’atto della prima dimissione in quanto lo aveva accompagnato a casa, evidenziando che era stanco e che non stava bene. Ciò a fronte di quanto esposto dall’imputato nel corso del suo esame il quale ha escluso che il C. al momento della sua visita, nonostante questi gli avesse consigliato il ricovero, presentasse sintomi della più grave patologia che dopo sei ore lo avrebbe portato alla morte ed anzi aveva firmato il rifiuto di ricovero essendo perfettamente cosciente. Valorizza l’appellante la credibilità dei testi L. e D.G. che hanno reso deposizione concordante e priva di atteggiamenti vendicativi ed evidenzia che il medico, nell’informare il paziente delle sue condizioni, aveva consigliato il ricovero ma tacendogli della eventualità di procedere in quello stesso momento ad ulteriori accertamenti diagnostici (ecografia e tac) senza dover procedere al ricovero ma ricorrendo alla cd. osservazione breve, tenuto conto che si trattava senz’altro di un caso dubbio.
Ciò a fronte di contraddittorie dichiarazioni dell’imputato che da una parte ha affermato di aver compreso che il caso sottopostogli meritava approfondimento, dall’altra assumendo che non avrebbe mai potuto sospettare che il paziente si trovasse a rischio di morire confermando quindi, di non aver fornito al paziente medesimo tutte le informazioni necessarie sullo stato di salute e sull’eventuale prognosi indicendo in errore il C. nel firmare una liberatoria.
Da ultimo assume l’appellante che il gm ha omesso di verificare se una volta intervenuta la tempestiva diagnosi, l’intervento chirurgico risolutivo avrebbe potuto avere un esito fausto e se la diagnosi poteva essere effettuata al momento del primo ricovero anche mediante la lettura della documentazione offerta dal paziente circa le sue condizioni di salute pregresse, senza peraltro valutare il significato del cd. rifiuto di ricovero sottoscritto dal C.. Evidenzia l’appellante che i sanitari che videro il paziente nel corso del secondo ricovero, decisero di trattenerlo pur in assenza di una patologia severa come evidenziato dall’assegnazione allo stesso del cd. codice verde; né il rifiuto di ricovero può operare nella specie come scriminante a fronte peraltro di deposizioni testimoniali dei familiari del C. che attengono alle condizioni di salute dello stesso e alle modalità della prima visita svolta dal R..
Tanto premesso rileva la Corte che la pronunciata assoluzione deve essere confermata. Va premesso che nel caso di specie la Corte è tenuta ad una valutazione rigorosa dei motivi di impugnazione, tenuto conto del tipo di sentenza -di condanna a fronte di una pronuncia assolutoria in primo grado- che viene invocata con l’impugnazione della parte pubblica ed in assenza di ulteriori atti di indagine successivi e diversi da quelli analizzati dal primo giudice se non la rinnovazione dell’esame del Prof. B. G. disposto dalla Corte a mente dell’art. 603 c.p.p.
Sul punto soccorrono infatti i rigidi principi già espressi dalla Suprema Corte a sez. Un. (cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n. 33748 del 12/07/2005 Ud. (dep. 20/09/2005 ) Rv. 231674, Mannino) che anche prima della cd. legge Pecorella, imponevano al giudice dell’appello, in caso di totale riforma della sentenza di primo grado, sostituendo alla pronuncia di assoluzione quella di condanna dell’imputato, una dimostrazione rigorosa dell’incompletezza o incoerenza della prima, senza trascurare le questioni sostanziali o processuali che l’imputato aveva il diritto di riproporre, pur se poste e disattese in primo grado (cfr. nel medesimo senso Cass. sez. VI 6221 del 20.4.2005).
Del resto che il mezzo d’impugnazione che qui interessa ponga al giudice del gravame un obbligo di motivazione rafforzato, deriva proprio dalla natura del giudizio medesimo, introdotto con appello del pubblico ministero contro una sentenza assolutoria di primo grado, mezzo di impugnazione eliminato per effetto dell’art. 1 della L. n. 46 del 2006, e reintrodotto a seguito della sentenza n. 26/07 della Corte costituzionale.
Rileva la Corte infatti (cfr. nel medesimo senso Cass. Sez. V sent. n . 35762 del 5.5.2008 , Aleski) che pur a fronte della sentenza della Corte Costituzionale sopra richiamata, permane nell’ordinamento, in ossequio al principio dell'”oltre ogni ragionevole dubbio” ex primo alinea del co I dell’art. 533 c.p.p., l’onere del giudice dell’appello di dimostrare specificamente l’insostenibilità sul piano logico e giuridico, degli argomenti più rilevanti della sentenza di primo grado, con rigorosa e penetrante analisi critica, seguita da convincente motivazione che dia ragione delle scelte operate e della maggiore considerazione accordata ad elementi di prova diversi o diversamente valutati.
Analoghi limiti al giudice del gravame sono stati imposti dalla recente prevalente impostazione assunta dalla Suprema Corte in numerose pronunce (cfr. Cass. sez. VI n. 8705 del 24.1.2013, Farre; sez. VI n. 40159 del 3.11.2011, Galanted e Cass. sent. sez. VI n. 4996 del 26.10.2011, Abbate; nel medesimo senso sez. VI n. 46847 del 10.7.2012 , Aimone, n. 1266 del 10.10.2012, Andrini, in conformità agli ancora più estremi orientamenti della Corte EDU, come nella recente sentenza 5.7.2011 Dan c/ Moldavia) proprio con il richiamo al principio dell’oltre ogni ragionevole dubbio, secondo le quali, pur nell’attuale, prevista appellabilità delle sentenze assolutorie da parte del p.m., l’eventuale rivisitazione del giudice dell’appello può avvenire in senso peggiorativo per l’imputato, solo per effetto di argomenti dirimenti e tali da evidenziare oggettive carenze o insufficienza della decisione assolutoria che deve apparire, per effetto della rivisitazione richiesta nell’impugnazione, non più sostenibile risultando anzi, il diverso apprezzamento ritenuto in sede di gravame, quale unico ricostruibile al di là di ogni ragionevole dubbio, presupponendo la condanna la certezza della colpevolezza.
Tanto premesso in merito ai limiti di tale giudizio di appello, si osserva che nella specie pur a fronte della rinnovazione dell’istruttoria svolta ex art. 603 c.p.p., non è possibile addivenire ad una rivisitazione della decisione impugnata in senso peggiorativo per l’imputato, non essendo emersi argomenti dirimenti e tali da evidenziare oggettive carenze della decisione del primo giudice, tanto da risultare non più sostenibile; né il diverso apprezzamento proposto dalla parte pubblica e dalla parte civile che si è associata alla richiesta di condanna, appare all’esito della compiuta rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, quale unico ricostruibile al di là di ogni ragionevole dubbio, presupponendo la condanna come detto, la certezza della colpevolezza dell’imputato ; di qui la conferma della sentenza assolutoria non essendo certa la sussistenza del fatto ascritto al R. al di là di ogni ragionevole dubbio.
Concorda la Corte con la prospettazione contenuta nei motivi di appello circa l’efficacia non scriminante nel caso di specie del cd. rifiuto di ricovero, peraltro ritenuta anche nella sentenza appellata. Correttamente il primo giudice sul punto, in base all’analisi delle risultanze dell’istruttoria dibattimentale di primo grado, ha ritenuto che seppure correttamente e coscientemente manifestato dal C., il rifiuto era stato determinato dell’indirizzo diagnostico-terapeutico rappresentato dal sanitario, come normalmente avviene quando questi orienta il paziente verso il rifiuto ovvero diagnostica una patologia che non comporta alcuna necessità di approfondimento o comunque di terapia da somministrare in regime di ricovero. A fronte della diagnosi operata dal sanitario, allo stato della visita e degli accertamenti ematici effettuati ed alla luce di questi, appare evidente che il paziente si sia orientato in base alla stessa informativa del sanitario, a lasciare il nosocomio presso il quale per la verità era giunto con l’espressa volontà di ricoverarsi (come si evince dalla circostanza emersa che il C. era munito anche di valigia ed autorizzando il suo accompagnatore a lasciare l’ospedale per poi richiamarlo all’atto delle dimissioni) , evidentemente seguendo l’indicazione proveniente dallo stesso sanitario .
Deduce il p.m. appellante che tre accertamenti medici impongono di reputare la responsabilità del R..
Sul punto osserva la Corte che le consulenze e perizie in atti invero, non giungono tutte a conclusioni senz’altro univoche sia sulla possibilità da parte del sanitario di pervenire ad una corretta diagnosi all’atto del primo ricovero, sia in ordine alla percentuale di sopravvivenza che il C. avrebbe avuto in caso di diagnosi tempestiva, se sottoposto quindi, al mattino alle ore 8,15 e comunque subito dopo gli accertamenti strumentali necessari per una corretta diagnosi, ad intervento chirurgico.
In primo luogo si osserva che anche per il consulente tecnico del p.m. all’atto del primo ricovero ed in base alle risultanze della documentazione sanitaria in atti, non era del tutto manifesta la patologia che avrebbe condotto il C. al decesso. La fistola aorto-enterica secondaria a precedente intervento ricostruttivo, condizione gravata in sé da altissima mortalità in quanto rappresentata dalla comunicazione tra la parete dell’aorta e parte del tratto enterico e che nel volgere di breve tempo porta ad inondare di sangue il tubo gastro-enterico, secondo il ct del P.M. Dott. P. è patologia di difficile diagnosi a meno di una sintomatologia evidente ed ingravescente, quali melena e vomito scuro , sangue nelle feci. Si osserva che in fatto detti sintomi in base alle risultanze della documentazione acquisita all’atto del primo ricovero non apparivano francamente , in particolare il paziente presentava l’addome modicamente dolente ed anche trattabile contrariamente al fenomeno del cd. addome acuto collegato normalmente alla condizione clinica relativa al versamento nel tratto gastro-enterico, in cui normalmente si verifica una condizione clinica in cui l’intestino va incontro ad una paralisi.
In definitiva il c.t. del p.m. ha concluso rilevando che i segni prodromici manifestati nel corso del primo ricovero erano stati troppo deboli per poter porre un sospetto clinico (dolenzia addominale e addome trattabile con polsi normosfigmici in paziente non shockato) della patologia poi diagnosticata in base ai praticati esami strumentali. Ciò comporta che in base alla relazione di ct. svolta dal consulente del p.m. permane il dubbio che, soltanto in base ai sintomi lamentati al primo ricovero e sulla scorta della visita praticata dal R. ed agli eamii ematici, si sarebbe potuti giungere ad una corretta diagnosi.
Detto dubbio permane anche in base a quanto emerso dal dibattimento, valorizzato dal p.m. nell’impugnazione e cioè al dato, riferito dalla moglie del C. al dibattimento e denunciato tempestivamente all’atto del primo ricovero del paziente, relativo al vomito scuro del marito. In primo luogo si osserva che la L. ( cfr. folii 5 e sgg. del verbale stenotipico ud. 30.6.2008) per quella mattina del ricovero riferisce che il marito aveva solo mal di pancia e che quattro giorni prima era caduto dal letto ed aveva rimesso marrone scuro. Non risulta tuttavia che detto sintomo che ricordava la donna si riferisse anche alla mattina del primo ricovero ed a quel momento o fosse intervenuto successivamente; ma ciò che più conta non risulta se detto sintomo sia stato o meno comunicato ai sanitari. In secondo luogo detto sintomo – come evidenziato dal primo giudice – non risulta senz’altro riportato nella documentazione sanitaria in atti, relativa al primo accesso al pronto soccorso (cfr. verbale di pronto soccorso e accettazione del Cardarelli delle ore 8,10 dell’ll.7.2005 , presenta dolore addominale stipsi in operato di A.A.A. E.O. addome ben trattabile , poco dolente. Polsi femorli normosfigmici . Rifiuto ricovero; foglio ricettario dell’U.O.C. accettazione del Cardarelli del 11.7.2005 : dolore addominale, stipsi, . Alimentazione leggera, sp Mepral -Debridat; scheda Triage dell’ll.7.2005 ore 12,50 , sintomi riferiti : dolore addominale : codice attribuito verde non urgente) e neppure in relazione al secondo ricovero del C..
Comunque si osserva che le conclusioni del c.t. del p.m. risultano parzialmente difformi a quelle cui è giunto il perito del Gup dott. A. il quale ha esposto che, a prescindere dal quadro clinico, ad un paziente con una storia clinica come quella rappresentata dal C., sottoposto circa due anni prima ad intervento chirurgico aortico , la fistola aortico – enterica doveva essere sempre messa in cima alla lista delle possibili diagnosi in un paziente con sanguinamento gastro-intestinale che segue di poco o di molto tempo l’intervento in questione e che andava indagato con Tac. Anche in questo caso tuttavia si osserva che i sintomi lamentati dal C. all’atto del primo ricovero e riportati nella documentazione sanitaria in atti, non evidenziano il sanguinamento cui si riferisce il perito medico-legale e che avrebbe imposto il citato accertamento strumentale.
Il perito del Gip Prof. B. G. (specialista tra l’altro in cardiochirurgia) ha sottolineato decisamente la scorrettezza dell’operato del sanitario intervenuto in prima battuta evidenziando l’errore diagnostico in cui era incorso il R., pur a fronte del rilievi anamnestici e del quadro clinico, sostanziatosi nell’aver omesso gli esami strumentali, con valore di concausa dell’esito letale sopravvenuto nella stessa giornata. In definitiva secondo il perito del Gup l’omessa realizzazione tempestiva di esami strumentali non aveva consentito la corretta diagnosi, la quale con elevata probabilità avrebbe condotto ad un successo terapeutico anche alla luce della possibile scelta open-endovascolare, rispetto all’intervento chirurgico cui successivamente il C. era stato sottoposto dopo diverse ore con esito infausto.
In definitiva a fronte del quadro clinico emerso, secondo il perito il sanitario avrebbe dovuto in ogni caso procedere agli esami strumentali necessari a giungere ad una corretta diagnosi -come del resto a fronte dei medesimi sintomi avevano fatto più tardi diversi sanitari- cui pure avrebbe dovuto pensare in considerazione della sola storia clinica del paziente.
Osserva la Corte peraltro, che oltre a quanto affermato dai due periti del Gup, alla luce della medesima sintomatologia lamentata dal paziente al secondo ricovero, come risulta da cd. triage ( cfr. documentazione acquisita in atti sopra richiamata espressamente), a fronte dell’avvenuta prescrizione di farmaci che non avevano dato alcun esito, diversi sanitari avevano reputato in base all’anamnesi del paziente ed n base alla sintomatologia riferita, di procedere a eco addominale e rx addominale, oltre al rinnovo degli esami ematici, accertamenti che poi avevano condotto alla diagnosi corretta, con successivo intervento chirurgico con esito infausto.
Tuttavia anche il perito del Gup Prof. B. espressamente riesaminato dalla Corte sul punto, non ha chiarito in che misura anche una tempestiva diagnosi a fronte di un diverso comportamento del sanitario rispetto agli esami diagnostici poi eseguiti, avrebbe impedito l’evento o avrebbe reso senz’altro l’evento morte meno probabile. Ciò tenuto conto che pacificamente tutti i consulenti e periti – che soltanto in questo convergono senz’altro- hanno sottolineato come la patologia da cui era affetto il C., pur a fronte di una diagnosi precoce , non sempre è risolvibile chirurgicamente oltre a non essere facilmente diagnosticabile.
Senonchè il perito del giudice specialista nella materia officiato dal Gup proprio sul punto ed escusso dalla Corte ex art. 603 c.p.p., non ha saputo chiarire in che misura percentuale l’eventuale diagnosi tempestiva del sanitario avrebbe inciso evitando la morte del paziente. In particolare il Prof. B. ha esposto che le condizioni del C. erano già compromesse all’atto del primo accesso al pronto soccorso (cfr. folio 7 del verbale stenotipico dell’udienza del 12.2.2013), indicando come soltanto ipotetico che il C. avrebbe avuto più chance di sopravvivenza nel caso di diagnosi tempestiva e immediato intervento chirurgico, comunque, indicando come già elevatissima e pari a circa l’80 % la percentuale di mortalità anche in caso di intervento tempestivo, con il 20% di probabilità di un esito fausto. Il perito comunque non si è espresso in termini di elevata probabilità tanto da poter collegare senz’altro al comportamento corretto del sanitario e ad una diagnosi precoce, l’assenza di ogni rischio connesso all’intervento chirurgico cui il C. era stato sottoposto e comunque non ha saputo indicare se le percentuali di mortalità , in sé già così elevate (e pari a circa l’80%) potessero in qualche misura scendere per effetto della tempestività della diagnosi, precisando che forse si sarebbero potute aggirare intorno all’80 % come media in caso di intervento tempestivo e che comunque dette percentuali andavano incrementandosi senz’altro, giungendo fino al 98% nel caso di inutile trascorrere del tempo, senza tuttavia riuscire a precisare nella specie, in che misura queste si erano incrementate.
Il perito in ogni caso ha aggiunto che le condizioni del paziente potevano essere già compromesse anche all’atto del primo ricovero, pur essendo riuscito il C. ad allontanarsi dal nosocomio con i propri mezzi, tenuto conto che la complicanza che si era manifestata presenta un esordio “sordo” (cfr. folio 8 vebale ud. cit.) anche con mera dolenzia addominale e discanalizzazione, posto che l’aorta è retroperitoneale e quindi, estremamente profonda. Del resto che il paziente anche all’atto del primo ricovero non stesse bene risulta dalla deposizione valorizzata anche dal p.m. appellante resa dal teste D.G. che ha riferito delle condizioni del C. all’atto della prima dimissione in quanto lo aveva accompagnato a casa, evidenziando che non stava bene e si presentava stanco.
Ancora il perito ha escluso che anche la scelta opzionale indicata nella sua relazione peritale, cui poteva accedersi in caso di diagnosi tempestiva, avrebbe potuto modificare l’alto tasso di rischio chirurgico in ogni caso connesso all’intervento nel caso della patologia riscontrata all’imputato.
Orbene alla luce degli approfondimenti istruttori disposti ai sensi dell’art. 603 c.p.p. va confermata la pronunciata assoluzione dell’imputato non risultando dall’istruttoria svolta anche con la disposta rinnovazione se, pur in caso di tempestiva diagnosi, ritenuta dal perito del Gup esigibile nei confronti del sanitario in base alla storia clinica del paziente ed ai sintomi lamentati, come del resto effettuato dai sanitari del pronto soccorso intervenuti con accertamenti strumentali – in base ai medesimi sintomi – in seconda battuta e comunque pur a fronte della tempestiva effettuazione di esami strumentali e alla immediata tempestiva diagnosi ed a intervento chirurgico , l’esito mortale si sarebbe evitato. Né l’istruttoria svolta ha evidenziato in che misura l’inutile trascorrere delle ore ha aggravato incrementandolo il già tanto elevato rischio di esito infausto connesso all’intervento chirurgico poi praticato. In definitiva non è emerso oltre ogni ragionevole dubbio che la tempestiva diagnosi cui si poteva pervenire attraverso gli esami strumentali effettuati soltanto all’atto del secondo accesso, con immediata sottoposizione del C. ad intervento chirurgico avrebbe senz’altro impedito l’evento mortale, o comunque avrebbe aumentato in modo significativo la già scarsa probabilità di riuscita del delicato intervento chirurgico praticato.
Di qui nel rigettare l’appello proposto , la conferma della sentenza di assoluzione pronunciata ed oggetto di impugnazione , pronuncia che inibisce ogni valutazione delle richieste formulate dalla parte civile costituita nelle conclusioni rassegnate .
P.Q.M.
Letto l’art. 605 c.p.p. conferma la sentenza emessa in data 30.6.2008 dal g.m. del Tribunale di Napoli sez. V nei confronti di R.L. ed appellata dal p.m.
Fissa in giorni cinquanta il termine per il deposito dei motivi della sentenza.
Così deciso in Napoli, il 1 ottobre 2013.
Depositata in Cancelleria il 20 novembre 2013.