È legittimo che la misura del risarcimento del danno subito dal bambino per accertata responsabilità del ginecologo – sia con riferimento alla conduzione del parto sia in relazione alla successiva fase di assistenza – venga rideterminato in riduzione considerando la morte del soggetto offeso avvenuta a distanza di 11 anni.
Cassazione civile – Sez. III; Sent. n. 19864 del 22.09.2014
Svolgimento del processo
1. La CORTE DI APPELLO Di NAPOLI con sentenza n. 3112 del giorno otto ottobre 2007, quale giudice del rinvio, fatto da questa CORTE con sentenza n. 11316 del 2003, ha riformato la sentenza del tribunale di NAPOLI n. 647 del 1999 accertando la responsabilità professionale del prof. GA., ginecologo, sia con riferimento alla conduzione del parto, che in relazione alla successiva fase di assistenza; provvedeva alla rideterminazione delle varie voci di danno, con la indicazione degli interessi compensativi da ritardato pagamento, e condannando il Ga. a rifondere i due terzi delle spese del giudizio di appello, di legittimità e di rinvio, liquidate come in dispositivo.
2. CONTRO la decisione hanno proposto ricorso gli S. in proprio e quali eredi di G., deducendo tre motivi di censura e relativi quesiti.
RESISTE con controricorso il prof. Ga.
chiedendone il rigetto per inammissibilità e infondatezza. Memorie sono state prodotte per conto dei ricorrenti.
Motivi della decisione
3. Il ricorso, ratione temporis, è soggetto al regime dei quesiti, e non merita accoglimento in ordine alle dedotte censure. Per chiarezza espositiva se ne offre una sintesi dei motivi, ed a seguire la confutazione in diritto.
PRELIMINARMENTE i tre motivi di ricorso prospettano identica questione per error in iudicando e violazione degli artt.99 e 112 c.p.c. sul rilievo che il prof. GA. CON LA COMPARSA del 14 LUGLIO 2004 ha delimitato la propria domanda in relazione all’an debeatur senza contestare il quantum già riconosciuto dal tribunale di NAPOLI con la sentenza n. 647 del 1999. LE CONCLUSIONI DELLA CITATA COMPARSA sono citate in esteso al ff. 27 del ricorso S. ed in effetti contestano l’an debeatur, senza mai contestare il quantum già riconosciuto dalla sentenza del tribunale n. 647 del 1999. LA TESI è che il giudice del rinvio, nel confermare la sentenza di primo grado nella parte in cui il tribunale aveva accertato la responsabilità del professionista, avrebbe dovuto confermare la predetta sentenza anche nella parte in cui lo stesso tribunale aveva proceduto alla quantificazione dei danni patiti dagli odierni ricorrenti, non potendo procedere ad una diversa valutazione e quantificazione dei predetti danni in assenza di una specifica domanda sul punto. REPLICA sul punto il controricorrente rilevando che il giudice adito in riassunzione, in relazione al devolutum originario è tenuto a pronunciarsi su tutta la domanda, sia per la responsabilità che per la liquidazione dei danni.
3.1. SINTESI DEI MOTIVI. Nel primo motivo si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 99 e 112 c.p.c. e dei principi e norme che disciplinano la disponibilità dello oggetto del processo, che comporta il potere della parte, anche in sede di rinvio, di delimitare le proprie domande, non riproponendo una o alcuna di quelle formulate nella precedente fase del merito, art. 360 c.p.c., n. 3.
Quesito in termini a ff 33.
Nel secondo motivo, cumulativo, si deduce:
a. violazione e falsa applicazione degli artt. 99 e 112 c.p.c. e art. 360 c.p.c., n. 3.
b. violazione e falsa applicazione dell’art. 1226 c.c. come richiamato dallo art. 2056 c.c. nonchè degli artt. 2043 e 2059 c.c. e dei principi e norme che impongono, in tema di risarcimento del danno non patrimoniale, in ipotesi di lesioni personali gravissime, la ed personalizzazione del danno, ONDE GARANTIRNE IL RISARCIMENTO INTEGRALE, art. 360 c.p.c., n. 3;
c. insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia: art. 360 c.p.c., n. 5. QUESITI in termini a ff 46.
Nel terzo motivo, cumulativo, si deduce error in procedendo per la violazione e falsa applicazione degli artt. 99 e 112 c.p.c. in relazione allo art. 360 c.p.c., n. 3, quindi l’error in iudicando per la violazione degli artt. 1123 e 1226 c.c. come richiamati dallo art. 2056 nonchè degli artt. 2043 e 2059 c.c. in relazione allo art. 360 c.p.c., n. 3, e quindi ancora error in motivando su punto decisivo in relazione alla rideterminazione dei danni in considerazione della morte del soggetto offeso avvenuta a distanza di 11 anni, senza considerare la contraddizione tra la sostanziale riduzione del ristoro a vantaggio del danneggiante, mentre il danno ingiusto prescinde dalla durata della vita.
Quesiti in termini a ai ff 55 a 59.
Nulla aggiunge la memoria alla linea difensiva come articolata.
3.2. CONFUTAZIONE IN DIRITTO. In ordine al rilievo preliminare comune dell’error in procedendo, si osserva che in relazione al tema decidendum, che appartiene al devolutum in sede di rinvio, la valutazione della domanda attiene alla cognizione del giudice del rinvio, il quale ha escluso che la difesa del professionista, fondata essenzialmente sulla richiesta di esenzione della responsabilità professionale, implicasse anche una presunzione di abbandono della valutazione eventuale delle pretese risarcitorie, posto che sin dall’origine tale modulazione difensiva presupponeva un doppio argomentare, di guisa che il quesito proposto, peraltro con un insistito error in iudicando, non appare congruo rispetto alla fattispecie in concreto accertata, tenendo conto della complessiva condotta processuale della parte e dello interesse concreto ad una delimitazione del risarcibile. SI tratta allora di una interpretazione della domanda e del devolutum in sede di rinvio, che di per sè non attiene ad un error in procedendo, ma alla cognizione propria di quel giudice, che sul punto ha congruamente motivato. VEDI le recenti CASS. 3 FEBBRAIO 2012 N. 1603 E 29 MAGGIO 2012 N. 8576 e la meno recente CASS. 14964 DEL 2006.
Cade dunque per tutti e tre i motivi la deduzione della ultrapetizione.
IL PRIMO motivo che contiene unico quesito è dunque inammissibile in relazione alla incongruità rispetto alla fattispecie considerata con chiara ratio decidendi in relazione al tema del decidere sia per l’an che per il quantum. INFONDATI risultano il secondo ed il terzo motivo nella parte in cui impugnano la ed riduzione del danno, sostenendo che il considerare nel quantum il danno reale, come danno permanente che dura quanto dura la vita del menomato, implica la violazione del principio primo, costituzionalmente protetto, della personalizzazione del danno.
Le sezioni unite civili della CASSAZIONE, nella sentenza 11 novembre 2008 n. 26973, nel preambolo sistematico, ai punti 4.8 e 4.9 stabiliscono due principi che si integrano logicamente, il primo, generale, secondo cui il risarcimento del danno alla persona deve essere integrale, e la persona è l’essere vivente che viene leso, anche mortalmente, ed il secondo principio di coerenza esprime la necessità che il risarcimento equo del danno ingiusto non ecceda il danno reale.
In questo senso il principio di personalizzazione è intrinseco od ontologicamente conformato alla lesione della salute come circostanziata e valutata nella sua gravità secondo i criteri della medicina legale e della scienza medica, mentre il criterio del contenimento, ad evitare generose liquidazioni, appare come criterio estrinseco, che è diretto ad evitare proprio nel campo della categoria del danno non patrimoniale l’introduzione di voci atipiche che ampliano la tutela, senza alcun riferimento ad interessi della persona o a beni della vita rilevanti.
Orbene nella fattispecie in esame il delimitare alla vita reale la misura del danno non patrimoniale, non attiene alla personalizzazione, ma ad un dato obbiettivo, che influisce sul quantum, mentre altri aspetti di questa vita menomata possono venire in considerazione se dedotti e provati, e non solo per la vittima primaria ma come danno parentale.
IN QUESTO senso i quesiti proposti non valgono ad evidenziare nè errores in iudicando nè vizi della motivazione e dunque resta ferma la valutazione dei giudici del merito, nell’ambito di una valutazione equitativa e circostanziata, che non ha compresso il principio primo della personalizzazione.
SUSSISTONO giusti motivi in relazione alla natura delle questioni trattale, per compensare le spese del giudizio di cassazione tra le parti in lite.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di cassazione tra le parti in lite.
Così deciso in Roma, il 22 maggio 2014.
Depositato in Cancelleria il 22 settembre 2014