L’omessa informazione del medico al paziente è punibile ex se, senza che sia necessario dimostrare che, se l’obbligo informativo fosse stato correttamente adempiuto, il paziente avrebbe probabilmente rifiutato l’intervento al quale invece si è sottoposto.
La Corte di cassazione lo ha ricordato nella recentissima sentenza numero 16503/2017 del 5 luglio (qui sotto allegata), ribadendo che l’obbligo del consenso informato rappresenta la legittimazione e il fondamento del trattamento sanitario il quale, ove esso manchi, è sicuramente illecito, anche se posto in essere nell’interesse del paziente. Tale affermazione trova il suo fondamento negli articoli 32, comma 2, e 13 della Costituzione e nell’articolo 33 della legge numero 833/1978.
L’acquisizione del consenso ha rilevanza autonoma ai fini della responsabilità
L’obbligo in parola, ancor più nel dettaglio, riguarda le informazioni circa le prevedibili conseguenze del trattamento cui viene sottoposto un paziente e l’acquisizione del consenso da parte di quest’ultimo rappresenta una prestazione “altra e diversa da quella dell’intervento medico”, in quanto tale idonea ad assumere una rilevanza autonoma ai fini dell’eventuale responsabilità risarcitoria.
Il danno
Del resto, il danno evento cagionato dall’omessa informazione è rappresentato dallo stesso compimento di un intervento medico sulla persona del paziente senza averne prima ottenuto il consenso. Si tratta, insomma, della conseguenza di una condotta omissiva seguita da una condotta commissiva.
Il danno conseguenza, invece, può estrinsecarsi in vari modi, ma uno in particolare corrisponde all’id quod plerumque accidit: la sofferenza e la contrazione della libertà di disporre di se stesso. In quanto tale, esso può considerarsi la regola esentata da prova specifica.