La legge “Gelli” (legge n. 24/2017) stabilisce che la responsabilità dell’esercente la professione sanitaria sia collocata nella responsabilità aquiliana pur prevedendo la clausola di salvezza rappresentata dall”assunzione di un’obbligazione contrattuale con il paziente” senza riconoscere l’applicazione retroattiva di tale disciplina prevalendo in tal caso la disciplina di cui all’art. 11 disp. prel. c.c., ne consegue che ai fatti verificatisi prima della sua entrata in vigore si applicano i principi del precedente quadro normativo e quindi la responsabilità contrattuale del medico fondata sulla teoria del contatto sociale.
La responsabilità della struttura sanitaria nei confronti del paziente è di natura contrattuale derivante dall’inadempimento dell’atipico contratto di spedalità. Risponde anche dei danni cagionati dal suo ausiliario ed anche in assenza di un rapporto di lavoro subordinato.
Tribunale Avellino, sez. II, 12/10/2017, (ud. 12/10/2017, dep.12/10/2017), n. 1806
R E P U B B L I C A I T A L I A N A
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE DI AVELLINO
SECONDA SEZIONE CIVILE
in composizione monocratica, in persona del giudice dott.ssa Maria
Cristina Rizzi, ha pronunciato la seguente
SENTENZA PARZIALE
nella causa civile iscritta al n. 1794 del Registro Generale Affari
Contenziosi dell’anno 2013, avente ad oggetto: “risarcimento danni
vertente
TRA
A. D. N., rappresentato e difeso dagli Avv.ti —-e —- ,
domiciliatari in —-, alla —— in virtù di mandato a margine
dell’atto di citazione
attore
E
F.C. rappresentato e difeso dall’Avv. —– e dall’Avv. —–
domiciliatari in Avellino, alla via —— ,in virtù di mandato a
margine della comparsa di costituzione;
P. S. (———-), rappresentato e difeso dall’Avv. —–
domiciliata ria in Avellino, alla——, in virtù di mandato a
margine della comparsa di costituzione e risposta;
Casa di Cura Privata “M., in persona del l.r.p.t., rappresentata e
difesa dall’Avv. —– domiciliatario in Avellino, alla via —— in
virtù di mandato a margine della comparsa di costituzione e risposta;
convenuti
NONCHÉ
A. Assicurazioni s.p.a., in persona del l.r.p.t., rappresentata e
difesa dagli Avv.ti ——- ed —– domiciliatari in Avellino, alla
via —–, in virtù di mandato in calce alla copia notificata
dell’atto di chiamata in causa;
Z. Insurance Public Limited Company, in persona del I.r.p.t.,
rappresentata e difesa dall’Avv. —-, domiciliatario in Avellino,
alla —– in virtù di mandato in calce alla copia notificata
dell’atto di chiamata in causa;
G. Assicurazioni s.p.a., in persona del l.r.p.t., rappresentata e
difesa dall’Avv. ——, elett.te dom.ta in Avellino, al presso lo
studio dell’Avv. —— in virtù di mandato a margine della comparsa
di costituzione e risposta;
U. già F. Ass.ni S.p.A., in persona del l.r.p.t., rappresentata e
difesa dall’Avv. —–, domiciliatario in Avellino al in virtù di
mandato in atti;
Terzi chiamati
E
P. C.
Convenuto contumace
Conclusioni:
le parti costituite hanno concluso come da atti e verbali di causa
Fatto
1. L’attore A D N affetto da morbo di Depujtren, ha prospettato in citazione un danno in conseguenza di un intervento chirurgico di aponeurectomia parziale eseguito dal dott. P.C. unitamente al dott. F. C. ed al dott. P. S.
presso la casa di cura Privata M conseguente, in particolare, ad una non diligente, perita e prudente condotta dei sanitari nella fase operatoria (per aver provocato l’interruzione del tendine flessore superficiale a livello
dell’articolazione interfalangea prossimale V dito mano). Sul punto l’attore ha dedotto che gli esiti permanenti del 3% e la incapacità lavorativa specifica del 50% erano già stati accertati dai consulenti di ufficio nominati
nell’ambito del procedimento per consulenza tecnica preventiva ex art. 696 bis c.p.c. svolto in contraddittorio con le odierne parti convenute. Si duole poi l’attore della mancanza di idoneo consenso informato sui rischi
correlati all’intervento.
L’attore lamenta, dunque, una condotta dei sanitari non conforme all’arte medica che aveva provocato esiti permanenti; ha chiesto, quindi, il risarcimento di tutti i danni patiti (biologico, morale, alla vita di relazione,
all’autodeterminazione per difetto di consenso e patrimoniale per spese sostenute e perdita della capacità di guadagno).
2. La presente causa va in decisione per esaminare la posizione dei sanitari dott. C. e dott. S. ritualmente costituiti, che contestano di aver mai eseguito l’intervento in esame ed escludono ogni rapporto con il D N
In citazione, invero, l’attore prospetta di essersi recato dal dott. P C specialista ortopedico, ad eseguire una prima visita, all’esito della quale il predetto gli prospettò la necessità di eseguire il descritto intervento presso il
reparto di ortopedia della casa di cura convenuta, del quale era responsabile.
Non vi è dubbio, pertanto, sul rapporto tra il D M ed il dott. C , documentato in atti (il dott. C è indicato nella cartella clinica come unico operatore) ed è pacifico in ragione dell’avvenuta esecuzione dell’intervento da parte
del predetto ma anche della sua posizione di responsabile del reparto.
Del tutto diversa è la posizione del dott. S e del dott. C
Prospetta l’attore che l’intervento fu eseguito dal C unitamente ai predetti, a loro volta dipendenti della casa di cura, e che i controlli successivi furono effettuati dal dott. C
Richiama a sostegno della prospettazione la cartella clinica (doc. n. 10 allegato) che, tuttavia, come già accennato, indica come medico operatore solo il dott. C
Il Di Napoli, in sede di interrogatorio formale, ha riferito di essersi rivolto allo specialista dott. C.; che in sala operatoria erano presenti anche S e C ma che non aveva certezza su chi lo avesse operato.
F C, e P S. nel rendere gli interrogatori formali, hanno dichiarato di non avere mai preso parte all’intervento.
V D’A madre dell’attore, ha riferito che il figlio si era rivolto allo specialista dott. C che aveva accompagnato l’istante in clinica per l’intervento; ha poi aggiunto: “alle ore 13,30 entrarono in camera i dottori S e C, , con
indosso i camici operatori e comunicarono a me e a mio figlio che l’intervento, eseguito insieme al dott. C , era andato bene”. Ha poi specificato che i controlli successivi furono effettuati tutti dal dott. C:
Nella cartella clinica è poi presente il nome solo del dott. C, nella parte relativa al consenso informato che il D N non ha però sottoscritto.
Orbene, l’esame congiunto e critico delle prove orali e documentali richiamate non consentono con certezza di ritenere che l’intervento sia stato eseguito anche dal dott. C e dal dott. S
Occorre a questo punto chiarire gli oneri probatori sul punto e ciò comporta il previo inquadramento giuridico della fattispecie in esame.
3. Preliminarmente, va richiamata la giurisprudenza consolidatasi in materia di responsabilità sanitaria, nonché valutata l’incidenza che sulla stessa può assumere la legge del 17.03.2017 n. 24 (cd. legge Gelli), entrata in
vigore il 1° aprile 2017, che a breve distanza dalla cd. legge Balduzzi (art. 3, comma 1, del Decreto Legge 13 settembre 2012, n. 158, come modificato dalla legge di conversione 8 novembre 2012, n. 189) ha ridisegnato
il regime della responsabilità sia delle strutture sanitarie sia degli esercenti la professione sanitaria.
Ed invero, nessun problema si pone ai fini dell’accertamento della responsabilità della struttura sanitaria, in quanto il relativo regime che, sin della sentenza a Sezioni Unite della Corte di Cassazione, n. 577/2008, è stata
strutturato come responsabilità contrattuale da inadempimento dell’atipico “contratto di spedalità” e che può conseguire, ai sensi dell’art. 1218 c.c., oltre che all’inadempimento delle obbligazioni direttamente a suo
carico, anche, ai sensi dell’art. 1228 c.c. all’inadempimento della prestazione medico professionale svolta direttamente dal sanitario, quale suo ausiliario necessario, anche se in assenza di un rapporto di lavoro
subordinato (cfr. tra le ultime pronunce quella di Cass., sez. III, 05/12/2013, n. 27285).
L’art. 7 della cd. Legge Gelli, infatti, ha pienamente recepito tale indirizzo giurisprudenziale prevedendo, al primo comma, che “la struttura sanitaria o sociosanitaria pubblica o privata che, nell’adempimento della propria
obbligazione, si avvalga dell’opera di esercenti la professione sanitaria, anche se scelti dal paziente e ancorchè non dipendenti della struttura stessa, risponde, ai sensi degli articoli 1218 e 1228 del codice civile, delle
loro condotte dolose o colpose”, ed estendendo, al secondo comma, tale disciplina anche alle ipotesi di prestazioni sanitarie svolte in regime di libera professione intramuraria ovvero nell’ambito di attività di
sperimentazione e di ricerca clinica ovvero in regime di convenzione con il Servizio sanitario nazionale nonché attraverso la telemedicina.
Da ciò deriva che non essendo intervenuto il legislatore in senso innovativo, non si pone alcuna questione di diritto intertemporale in materia di responsabilità della struttura sanitaria.
Più complessa è, invece, l’operazione ermeneutica richiesta all’interprete in relazione al regime di responsabilità dell’esercente la professione sanitaria, alla luce di quanto previsto dal comma terzo dell’art. 7 della legge
succitata.
Tale norma prevede, infatti, che “l’esercente la professione sanitaria di cui ai commi 1 e 2 risponde del proprio operato ai sensi dell’articolo 2043 del codice civile, salvo che abbia agito nell’adempimento di obbligazione
contrattuale assunta con il paziente”, prescrivendo poi anche i criteri di determinazione del danno che devono essere seguiti dal giudice in sede di liquidazione (dunque, sinteticamente e in astratto, nella specie solo il C.
ha assunto sicura obbligazione contrattuale con il paziente che si è a lui espressamente rivolto; gli altri sanitari, ai sensi della nuova normativa dovrebbero rispondere ex art. 2043 c.c.).
Ed invero, già il testo della precedente legge Balduzzi conteneva il riferimento all’art. 2043 c.c., stabilendo che “l’esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e
buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve”, fermo restando, in tali casi, “l’obbligo di cui all’articolo 2043 c.c.”, ma tale innovazione normativa era stata accolta
unanimemente dalla giurisprudenza come espressione della sola preoccupazione del legislatore di escludere l’irrilevanza della colpa lieve in ambito di responsabilità extracontrattuale, senza prendere alcuna posizione
sulla qualificazione della responsabilità medica come responsabilità di quella natura. La norma, dunque, non induceva affatto al superamento dell’orientamento tradizionale sulla responsabilità da contatto e sulle sue
implicazioni (Cass. civ., sez. VI, ord. 24 dicembre 2014, n. 27391, nonché Cass. civ., sez. VI, ord. 17 aprile 2014, n. 8940 e Cass. n. 4792 del 2013).
La recente e ultima riforma, salutata dai primi commenti dottrinali come assai incisiva all’interno del microsistema della responsabilità sanitaria, invece, pare definitivamente collocare la responsabilità del sanitario nel
perimetro della responsabilità aquiliana, pur prevedendo la clausola di salvezza rappresentata dalla “assunzione di un’obbligazione contrattuale con il paziente”, ma non può riconoscersi l’applicabilità retroattiva di tale
disciplina, prevalendo in tal caso la regola generale sancita dall’art. 11 disp. prel. c.c.
Se è vero, infatti, che il principio di irretroattività della legge in materia civile non assurge alla dignità di una norma costituzionale e l’osservanza del principio è rimessa “alla prudente valutazione del legislatore”, qualsiasi
intervento legislativo destinato a regolare situazioni pregresse deve essere conforme ai principi costituzionali della ragionevolezza e della tutela del legittimo affidamento nella certezza delle situazioni giuridiche, nonché al
rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario, anche se finalizzato alla necessità di riduzione del contenzioso o di contenimento della spesa pubblica o a far fronte ad evenienze eccezionali
(Cass., sez. VI, 19/12/2014, n. 27121).
Sul punto è stato chiarito dalla giurisprudenza che “il principio dell’irretroattività della legge comporta che la legge nuova non possa essere applicata, oltre che ai rapporti giuridici esauriti prima della sua entrata in vigore,
a quelli sorti anteriormente ed ancora in vita se, in tal modo, si disconoscano gli effetti già verificatisi del fatto passato o si venga a togliere efficacia, in tutto o in parte, alle conseguenze attuali e future di esso”, dovendosi
propendere per l’applicazione retroattiva della nuova normativa ai fatti, agli status e alle situazioni esistenti o sopravvenute alla data della sua entrata in vigore, ancorché conseguenti ad un fatto passato, solo allorquando
essi, ai fini della disciplina disposta dalla nuova legge, debbano essere presi in considerazione in se stessi, prescindendosi totalmente dal collegamento con il fatto che li ha generati, in modo che resti escluso che,
attraverso tale applicazione, sia modificata la disciplina giuridica del fatto generatore (Cass., 27 maggio 1971, n. 1579; Cass., 3 marzo 2000, n. 2433; Cass., 3 luglio 2013, n. 16620).
Ebbene, nel caso di specie, appare evidente che, a differenza di quanto previsto dalla precedente legge Balduzzi, l’applicazione della c.d. legge Gelli a fatti già verificatesi al momento della sua entrata in vigore
inciderebbe negativamente sul fatto generatore del diritto alla prestazione, ledendo, così, ingiustificatamente il legittimo affidamento dei consociati in ordine al regime contrattuale della responsabilità del medico.
Da ciò deriva che le fattispecie perfezionatesi in epoca antecedente all’entrata in vigore della riforma de qua dovranno continuare ad essere regolate dai principi del previgente quadro normativo e giurisprudenziale,
sicché si dovrà applicare la normativa della responsabilità contrattuale anche al medico – a prescindere da un formale rapporto di dipendenza – in quanto fondata sulla ormai ben conosciuta teoria del contatto sociale.
I presupposti per la configurabilità del contatto sociale individuati dalla giurisprudenza e dalla dottrina civilistica sono, infatti, i seguenti: a) una relazione tra sfere giuridiche di parti determinate; b) uno “status”
professionale in capo al danneggiante, tale che possa configurarsi una “culpa in faciendo” prevista nell’ordinamento giuridico; e) l’affidamento in capo al danneggiato che viene ingenerato sia dall’appartenenza del
danneggiante ad una categoria professionale cd. “protetta” (cioè una professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione da parte dello Stato: cfr. l’art. 348 c.p.), sia dalla situazione relazionale che si è
previamente instaurata tra i due soggetti (Cass., sez. III, 22/01/1999, n. 589).
D’altronde, non vi sono ragioni per discostarsi dal consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui, quando è richiesta per lo svolgimento di una professione una speciale abilitazione da parte dello Stato ed in
particolare quando detta professione abbia ad oggetto la tutela di beni costituzionalmente garantiti, come avviene per la professione medica, è la coscienza sociale prima e l’ordinamento giuridico poi a richiedere che il
sanitario renda la sua prestazione con diligenza, a prescindere, quindi, dalla conclusione di un contratto direttamente tra il paziente ed il medico, ma semplicemente in considerazione del fatto che il paziente, entrando in
una struttura sanitaria, ha fatto affidamento anche sulla professionalità dei medici dipendenti entrando con gli stessi “in contatto”.
Ne consegue che gli aspetti pubblicistici che connotano l’attività medica non consentono di fare distinzioni tra l’ipotesi in cui il sanitario sia contrattualmente tenuto alla prestazione dell’attività medica direttamente verso il
paziente ovvero sia semplicemente alle dipendenze di una struttura sanitaria pubblica o privata (v. Cass. 1999, n. 589: “La responsabilità del medico dipendente ospedaliero deve qualificarsi contrattuale, al pari di quella
dell’ente gestore del servizio sanitario non già per l’esistenza di un pregresso rapporto obbligatorio insorto tra le parti, bensì in virtù di un rapporto contrattuale di fatto originato dal “contatto sociale”).
4. Individuate, dunque, le coordinate normative e giurisprudenziali da applicare nel caso di specie per l’accertamento della responsabilità della struttura sanitaria e del medico dipendente, se ne devono trarre le
conclusioni in ordine al regime dell’onere della prova dell’illecito e del danno.
Dalla natura contrattuale della responsabilità discende l’applicazione dei più generali principi affermati dalle Sezioni Unite nella nota sentenza n. 13533 del 2001, secondo cui il creditore che agisce per la risoluzione del
contratto, per il risarcimento del danno o per l’adempimento, ha l’onere di provare la fonte (legale o negoziale) del proprio diritto, mentre può limitarsi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento dell’altra
parte, gravando su quest’ultima (ovvero sul debitore convenuto) l’onere di provare l’esistenza di un fatto estintivo, ovvero dell’avvenuto adempimento. La Suprema Corte, a Sezioni Unite, ha, poi, confermato, con la nota
sentenza n. 577 dell’11/01/2008 l’applicabilità di questi principi anche alla responsabilità medica prevedendo che “in tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria e di responsabilità professionale da
contatto sociale del medico, ai fini del riparto dell’onere probatorio l’attore, paziente danneggiato, deve limitarsi a provare l’esistenza del contratto (o il contatto sociale) e l’insorgenza o l’aggravamento della patologia ed
allegare l’inadempimento del debitore, astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato, rimanendo a carico del debitore dimostrare o che tale inadempimento non vi è stato ovvero che, pur esistendo, esso non è
stato eziologicamente rilevante”.
Ciò comporta che “l’allegazione del creditore non può attenere ad un inadempimento, qualunque esso sia, ma ad un inadempimento, per così dire, qualificato, e cioè astrattamente efficiente alla produzione del danno”,
gravando sul debitore la prova o che tale inadempimento non vi è proprio stato ovvero che, pur esistendo, non è stato nella fattispecie causa del danno.
5. Era, dunque, onere dell’attore dimostrare la fonte del suo diritto e, dunque, il contatto sociale con i dottori S, e C trattandosi di fatto costitutivo della domanda; e tale prova, in ragione delle conseguenze connesse
all’esistenza di tale rapporto, deve essere rigorosa.
Come accennato, l’istruttoria non consente di ritenere raggiunta la prova certa del coinvolgimento dei predetti nell’intervento descritto.
Solo un teste ha riferito dell’evenienza ma, al di là del rapporto di parentela con l’attore, che impone l’esame della testimonianza con assoluto rigore, manca la deposizione di un testimone diretto, che abbia assistito alla
esecuzione dell’intervento. Non sono sufficienti i controlli post operatori (peraltro effettuati solo dal dott. C; a dimostrare anche l’esecuzione dell’intervento, poiché i sanitari indicati sono alle dipendenze della casa di cura
nel reparto interessato; così come non è determinante la presenza del nominativo del C. in cartella nella parte riferibile al consenso informato che, peraltro il D N non ha firmato, trattandosi sicuramente di attività
delegabile dal responsabile del reparto.
Si vuol dire cioè che dalla istruttoria sono emersi solo elementi indiziari che non assurgono a dignità di prova certa della esecuzione dell’intervento anche da parte dei predetti.
Né l’attore può invocare a suo favore la incompletezza della cartella clinica.
Va evidenziato che è stata prodotta in atti una cartella clinica sicuramente lacunosa in più parti; tuttavia, nell’indicato documento è indicato come unico operatore il dott. C ed è indicato lo strumentista.
Parte attrice richiama copiosa giurisprudenza che dalla omessa o incompleta compilazione della cartella fa discendere la responsabilità dei sanitari (per tutte Cass. 2016 n. 22639), ma la giurisprudenza richiamata,
peraltro del tutto condivisibile, non è conferente, trattandosi di giurisprudenza che attiene alla diversa verifica del nesso di causalità e della colpa, ma non dei fatti costitutivi della domanda (esistenza del contratto o del
contatto sociale), che è pur sempre l’attore a dover dimostrare in ossequio alla distribuzione degli oneri probatori in ambito contrattuale.
Va, dunque, rigettata ogni domanda nei confronti di F C e p S così come dei rispettivi istituti assicurativi Z, Insurance e A i Ass.ni s.p.a..
Il giudizio dovrà proseguire nei confronti degli altri convenuti (Casa di cura M P C, Gi Ass.ni, U, già F Ass.ni S.p.A) come da separata ordinanza, che si pronunzia in pari data, e che contiene anche una proposta
conciliativa da sottoporre alle parti.
6. Le spese tra parte attrice da un lato e lato e F, C P S, Z Insurance e A Ass.ni s.p.a. dall’altro, vanno interamente compensate tra le parti. Infatti, la difficile ricostruzione in fatto della vicenda integra grave motivo per
compensare le spese alla luce della disciplina della soccombenza applicabile ratione temporis.
P.Q.M.
Il Tribunale, definitivamente pronunciando solo sulle domande proposte dall’attore nei confronti di P S. P e F C, nonché sulle domande di garanzia proposte nei confronti della Z Insurance e dell’Ass.ni s.p.a., così provvede:
1. rigetta ogni domanda;
2. compensa le spese;
3. dispone la prosecuzione del giudizio nei confronti di Casa di Cura Privata M P. C G Ass.ni e U, già F Ass.ni S.p.A., come da separata ordinanza in pari data.
Così deciso in Avellino il 12.10.2017.
Depositata in Cancelleria il 12/10/2017