Sotto il profilo della valenza del giudicato penale in ambito civile, se la sentenza penale di assoluzione pronunciata a seguito di dibattimento fa stato nel giudizio civile – quando vi sia stata costituzione di parte civili (o le parti siano state citate) ed essa abbia accertato che il fatto non sussiste o l’imputato non lo ha commesso, permane sempre in capo al giudice civile il potere di accertare autonomamente con pienezza di cognizione i fatti dedotti e pervenire a soluzioni e qualificazioni non vincolate all’esito del processo penale : ciò alla luce anche della formula di assoluzione.
Diversa è infatti la valutazione dell’elemento soggettivo della colpa che in sede civile va considerato in termini di colpa obiettiva alla luce dei modelli di condotta vigenti al momento dell’evento; così come quello del nesso causale la cui sussistenza, se nel giudizio penale deve sussistere oltre ogni ragionevole dubbio, in ambito civilistico va rapportata al canone del “più probabile che non”.
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Tribunale Novara, sez. I, 28/02/2018, n. 220
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
Tribunale di Novara
il Giudice, Dr.ssa Maria Teresa Latella ha pronunciato la seguente
SENTENZA
Nella causa tra
Sa. Ci. (CF (omissis))
Sa. Seforha (CF (omissis))
Sa. Gi. ( CF (omissis))
Sa. My. (CF (omissis))
Sa. Nahomi (CF (omissis))
Con l’avv.to Paolo Bernardinetti e Angelo Porzioli del foro di Terni ed elett.dom presso l’avv.Chiara
Navarra del foro di Novara
attori
contro
Azienda Ospedaliera Universitaria Ma. della Ca. di Novara ( P.I. (omissis))
Con l’avv.Carla Zucco del foro di Novara
Convenuta
CONCLUSIONI DELLE PARTI
Per parte attrice: Piaccia all’Ill.mo Tribunale Civile di Novara, contraiiris reiectis, nel merito,
accertare la responsabilità civile, di natura contrattuale, della convenuta per i fatti e le
ragioni indicate in atti e, per l’effetto, condannarla al risarcimento di tutti i danni subiti e
subendi dall’attore e precisamente:
al risarcimento del danno non patrimoniale iure hereditario che si indica in 2.183.200,50 in
favore egli eredi
al risarcimento del danno non patrimoniale iure proprio come specificato in atti per
ciascuno degli attor in 327.990,00.
In via subordinata al danno per perdita di chanches che si indica nella somma di euro
1.500.000,00
Con vittoria di spese
In via istruttoria con richiesta di nomina di nuovo CTU
Per parte convenuta: voglia il Tribunale, contrrariis reiectis , assolvere la convenuta dalle domande
attoree. Con vittoria delle spese di giudizio.
MOTIVI IN FATTO
Gli attori hanno convenuto in giudizio l’Azienda Ospedaliera di Novara chiedendone la condanna ex art. 1218 c.c al risarcimento del danno non patrimoniale iure hereditatis per oltre 2000.000,00 di euro e del danno non patrimoniale iure proprio subito pro quota quali eredi di Ba. Fr. (ovvero in subordine del danno patrimoniale da perdita di chanches per 1.500.000,00 euro) deducendo che la propria congiunta si era rivolta all’azienda il 20.9.2009 per il riscontro di una dolenzia continua e diffusa in regione addominale;
che nel sospetto di una diverticolite lo specialista richiedeva TAC addominale ed il 22.9.09 era sottoposta a laparotomia mediana sopra e sottombelicale con reperto di diverticolite perforata.
Il successivo esame istologico evidenziava malattia diverticolare con diverticolite, perforazione intestinale e peritonite purulenta.
Il 29.9.2009 veniva dimessa nonostante lamentasse dolori e successivamente ripresentatasi alla struttura il 2.10.2009 si evidenziava che “in corrispondenza della sutura si apprezza soluzione di continuo della parete intestinale con fuoriuscita di aria e residui fecali aspetto collabito della parete addominale e delle anse intestinali numerosi linfonodi di aspetto reattivo diverticolosi del sigma “. Veniva quindi sottoposta il 2.10 a nuovo intervento “con applicazione di stomia” ed il 6.10 a terzo intervento di rilaparotomia mediana con posizionamento di un tubo di drenaggio. Dal diario clinico del 10.10.2009 si evidenziava suppurazione della ferita chirurgica e materiale fecaloide dal drenaggio inferiore. I sanitari effettuavano aspirazione nasogastrica.
Il 22.10.09 si verificava un’embolia cerebrale che determinava paresi dell’arto. Su. sinistro.
La signora veniva trasportata all’ospedale di Borgomanero ove il 21.12.2009 dopo progressivo miglioramento era eseguito intervento di ricanalizzazione intestinale. Dal diario clinico del 25.12 si registrava fuoriuscita di materiale enterico la signora era sottoposta ad un quarto intervento, le condizioni di sepsi peggioravano e la paziente decedeva il 17.1.2010 A seguito del decesso gli attori presentavano denuncia penale per asserita colpa medica ed eseguite CTU e nominati CTP in quella sede si perveniva,a seguito di dibattimento, ad una assoluzione ex art. 530 comma II cpp dei sanitari intervenuti dott.Messina Giuseppe e Di Lo. Be. .
Gli attori si rivolgevano pertanto ai medici legali dott.Lu. Ca. ed Al. Co. i quali giungevano alla conclusione che la condotta dei sanitari dell’azienda convenuta era da considerarsi non congrua, sotto il profilo della negligenza imprudenza ed imperizia in quanto ” nel caso della sig.Ba. le complicanze insorte in seguito al secondo intervento sono riferibili ad una serie di errate scelte tecniche e soprattutto di manovre chirurgiche impropriamente eseguite sia come azioni che come tempi..” Ciò sotto i seguenti profili:
l) un intervento d’urgenza, come quello praticato dai sanitari il 22.9 deve- secondo le linee guida in materia. effettuarsi solo in un quadro di peritonite diffusa non rispondente al trattamento medico, mentre la Ba. non versava in condizioni scadute e di peritonite diffusa; Il confezionamento dell’anastomosi avveniva su pareti intestinali flogosate aumentando il rischio di complicanze settiche e deiescenze di sutura.
Dunque l’intervento posto in essere in regime d’urgenza non appariva giustificato avendo esposto la paziente ad un rischio maggiore di mortalità 2) dal verbale dell’intervento 22.9.2010 non risultava presente l’effettuazione né di una detersione antisettica del campo operatorio né di un lavaggio addominale con antibiotico per ridurre la possibilità di infezione 3) il successivo intervento del 2.10.09 risultava censurabile essendosi i sanitari limitati ad una ileostomia con applicazione di due drenaggi, senza eseguire l’aspirazione ed il drenaggio della raccolta settica presente a livello retroperitoneale, ben evidente alla visione dell’esame tc del giorno stesso.
L’assenza di una manovra evacuativa aveva vanificato i benefici dell’intervento ed il quadro si aggravava per la persistenza dell’ascesso e la perdita enterica proveniente dai drenaggi applicati (come confermato dalla TAC 5.10.09);
4) la descrizione dell’intervento 6.10 indicava ulteriori errori nell’esecuzione di quello del 2.10: “lo scollamento dello spazio parieto colico laterale sinistro effettuato nell’intervento del 6.10 era reso necessario per controllare lo stato settico che la precedente operazione non aveva emendato.Inoltre nell’intervento del 2.10 non veniva eseguito il drenaggio della cavità ascessualizzata e si provocava una lesione di un’ansa digiunale che determinava quindi una peritonite diffusa. 5)Infine difettava un consenso informato completo degli interventi in assenza del primo e genericità dei successivi non essendo stato prospettato il rischio di complicanze e la eventuale necessità di ulteriori interventi.
Gli attori rilevavano poi come le conclusioni dei propri CTP collimassero con quelle dei periti in sede penale sotto il profilo:
-dell’esistenza di una peritonite localizzata al momento del primo intervento;
-della sussistenza di un processo infettivo dopo il primo intervento -dell’assenza di drenaggio o lavaggio prima del secondo intervento Gli attori osservavano infine come viceversa avesse errato il dott.Fi., medico legale nominato nel procedimento per atp precedente il presente giudizio “utilizzando nell’effettuare valutazioni,un criterio ex post e non ex ante, oltre a prendere in considerazione un consenso informato datato 20.9.09 non presente in cartella clinica e depositato da controparte dopo l’inizio delle operazioni peritali e con data tale da far ritenere impossibile che la stessa Ba. fosse stata informata del trattamento che avrebbe subito” Dunque la CTU errava laddove:
-dava per avvenuto il lavaggio prima dell’intervento del 2.10 perché così avviene di prassi, pur non risultando dai dati della cartella clinica -sosteneva che i sanitari non si fossero resi conto della deiscenza anastomatica perché tale deiscenza non era presente (pur essendo documentata dalla TAC) -rilevava che pur essendo stato l’intervento del 22.9.09 effettuato in assenza dei presupposti delle linee guida esso era stato correttamente effettuato -pur rilevando che nel secondo intervento era stata effettuata una lesione iatrogena del digiuno essa non determinava responsabilità della struttura -non dava atto della produzione successiva del consenso informato del 20.9 ed appaltava i lavori ad un ausiliario Si è costituita l’azienda chiedendo il rigetto delle domande. Autorizzato lo scambio delle memorie ex art. 183 c.VI cpc gli attori si opponevano alla produzione della CTU resa in sede di ATP e chiedevano disporsi nuovo accertamento peritale sul presupposto delle seguenti contestazioni mosse alla stessa:
– Il mancato lavaggio con antibiotici del campo operatorio dell’intervento 2.10.2009- una delle cause del processo infettivo che ha condotto alla morte- veniva dato surrettiziamente per avvenuto sulla base della prassi pur non risultando dai verbali (tutti i consulenti in sede penale avevano concordato sul fatto che la toeletta non veniva effettuata) – Il CTU sostiene che i sanitari in occasione del secondo intervento non si erano resi conto della deiscenza anastomatica perché non era presente (non risultando da verbale operatorio), ma essa risultava da TAC, come è stata confermata da tutti i consulenti.
In ogni caso il CTU avrebbe in questo caso dato rilievo al verbale operatorio diversamente da quanto operato in relazione alla circostanza della “toeletta” – Il CTU, pur confermando l’esistenza di linee guida che nel caso della Ba. indicavano la terapia farmacologica e non l’intervento d’urgenza, valutava poi ex post la correttezza della scelta d’intervenire chirurgicamente. Tutti gli altri consulenti hanno viceversa rilevato come non si fosse tenuto conto di altri parametri come l’età della paziente il diabete la flogosi in atto.
– Nel corso dell’intervento del 2.10 i sanitari provocarono una lesione iatrogena del digiuno ma questa circostanza non è stata ritenuta sufficiente- da parte del CTU- a determinare la responsabilità del sanitario – Il CTU non da atto della produzione documentale avversaria, effettuata dopo l’inizio delle operazioni peritali, di una cartella difforme da quella prodotta in copia autentica dagli attori e con un consenso informato 20.9., antecedente alla diagnosi e generico.
Il Giudice istruttore, all’esito delle memorie, disponeva l’acquisizione della relazione di CTU nell’ATP rigettando quindi le richieste istruttorie degli attori di ulteriore consulenza tecnica All’udienza del 8.9.2017 le parti precisavano le conclusioni e la causa era assunta in decisione La domanda va parzialmente rigettata.
Si osserva in primo luogo, sotto il profilo della valenza del giudicato penale in questa sede, che se la sentenza penale di assoluzione pronunciata a seguito di dibattimento fa stato nel giudizio civile – quando vi sia stata costituzione di parte civili (o le parti siano state citate) ed essa abbia accertato che il fatto non sussiste o l’imputato non lo ha commesso, permane sempre in capo al giudice civile il potere di accertare autonomamente con pienezza di cognizione i fatti dedotti e pervenire a soluzioni e qualificazioni non vincolate all’esito del processo penale (Cass 16.12.2014 n. 6692, cass.25.9.2014 n. 20252;Cass.13.11.2013 n. 25538): ciò alla luce anche della formula di assoluzione. Diversa è infatti la valutazione dell’elemento soggettivo della colpa che in sede civile va considerato in termini di colpa obiettiva alla luce dei modelli di condotta vigenti al momento dell’evento; così come quello del nesso causale la cui sussistenza, se nel giudizio penale deve sussistere oltre ogni ragionevole dubbio, in ambito civilistico va rapportata al canone del “più probabile che non”.
Ciò premesso si osserva a questo punto che il materiale probatorio del presente giudizio, e principalmente la CTU deve essere valutato ed integrato alla stregua di un esame congiunto delle risultanze degli accertamenti peritali in sede penale, pure ampiamente e ripetutamente richiamati dagli attori a proprio vantaggio, oltre che delle altre risultanze in quella sede e financo della sentenza finale da considerarsi quali prove atipiche (cfr.Tribunale Reggio Emilia sent.917 del23.5.2013; Cass. 14.5.2014 n. 10599).
Si osserva a questo punto e in primo luogo che la sig.Fr. Ba. – per come emerge dalla documentazione medica e contrariamente a quanto riferito dai parenti in sede di operazioni peritali- presentava all’atto del primo accesso alla struttura ospedaliera disturbi addominali risalenti a qualche anno addietro (relazione dott.Ro.).
Con riferimento poi all’intervento del 22.9 il primo rilievo svolto dagli attori è quello del timing del medesimo, errato in relazione al presupposto rilevabile al momento (tutti i periti – sia in sede civile che penale hanno escluso l’esistenza di uno stato di peritonite diffuso) dovendosi in relazione alle linee guida esistenti al momento richiedersi dai sanitari sostanzialmente una preventiva e più lunga terapia antibiotica anziché un intervento urgente.
Il CTU dott.Fi. poi, nel concludere che la scelta dei medici di intervenire si dimostrò assolutamente idonea avrebbe effettuato una valutazione ex post, anziché ex ante ed in relazione appunto ai modelli e linee guida generalmente esigibili.
Il rilievo è infondato.
Premesso che, come anche accertato dal giudice penale, in relazione al caso di specie al momento esistevano diverse linee guida (e comunque in relazione alla diverticolite acuta del colonsigomoideo, non per quella in sede di fessura splenica), pur in presenza di uno stadio Hi. cd. I (su cui tutti i periti concordano ad eccezione del dott.Ro. che lo ha qualificato di stadio III), tutti gli esperti hanno ricondotto la scelta dell’intervento – diversamente da quanto gli attori sostengono ritenendoli una controindicazione – proprio a fattori quali l’età, il diabete da cui la Ba. era affetta, la sede del tutto inusuale della perforazione.
Una volta resisi conto nei due giorni di attesa dell’esistenza di una perforazione (consulente PM) l’intervento risultava corretto e necessario.
Ed ancora il dott.Sp. “l’esistenza della perforazione- successivamente accertata- è elemento a favore della prudenza dei chirurgi che hanno operato”.
Venendo quindi alle considerazioni del dott.Fi. lo stesso afferma: “sulla scorta dei dati clinici e strumentali disponibili ex ante la scelta chirurgica – pur non coincidente con le linee guida – non appare criticabile e si dimostrò assolutamente idonea ex post quando l’esame istologico del pezzo operatorio documentava una perforazione intestinale e peritonite purulenta..un atteggiamento di attesa ?avrebbe reso ancor più rischioso e complesso un intervento effettuato a distanza di giorni..” In definitiva se da un lato parrebbe rilevarsi un’apparente condotta contraria alle linee guida, le considerazioni dei consulenti,anche quello del PM, lasciano in realtà intravedere una situazione di fatto , presupposto dell’intervento, nel complesso valutabile, già ex ante, in senso differente da una condotta attendistica. Po. poi che le linee guida (per quanto quelle esistenti non si adattassero perfettamente al caso di specie) non possono fornire – come ritenuto dalla giurisprudenza – indicazioni di valore assoluto, deve ritenersi che anche ex ante l’intervento del 22.9.2009 risultasse corretto nella sua indicazione.
L’intervento poi veniva ritenuto correttamente eseguito sia con riferimento alla “sutura diretta del colon ” (cfr p.19 relazione Fi. come anche ritenuto dal Giudice penale cfr.p.6 della sentenza dibattimentale) sia con riferimento all’insorgere della deiscenza anastomotica (verificabile anche in presenza di un intervento in timing coretto e nella specie determinata piuttosto in relazione allo stato della paziente ed al processo infettivo piuttosto che dalla pratica chirurgica). Tutti i periti come già riferito hanno concordato che la deiscenza è una complicanza nota nella chirurgia colorettale soprattutto nei pazienti diabetici e ne hanno collegato l’evenienza al processo infettivo in atto. Deve dunque escludersi, sia sotto il profilo causale (del “più probabile che non “) sia sotto quello soggettivo dell’adeguamento ai modelli vigenti, ogni responsabilità dei sanitari Venendo all’ intervento del 2.10.2009 i rilievi degli attori si incentrano sulla mancata effettuazione di lavaggio antisettico, mancato drenaggio e mancata considerazione della tac che dava conto della deiscenza suturale.
E con riferimento all’elaborato del dott.Fi. rilevano come lo stesso apoditticamente giustifichi il mancato lavaggio con antibiotici del campo operatorio dell’intervento 2.10.2009 quale risulta dal verbale – una delle cause del processo infettivo che ha condotto alla morte – dandolo surrettiziamente per avvenuto sulla base della prassi in sala operatoria; neghi alcuna rilevanza nel determinismo mortale alla perforazione dell’ansa verificatasi a seguito di lesione iatrogena verificatasi nel corso dell’intervento. Sotto il primo profilo si osserva in primo luogo che il dott.Fi. riferisce la mancata indicazione in verbale operatorio di una detersione antisettica al primo intervento, e quanto al lavaggio addominale con antibiotico, precisi come esso appariva in quel frangente non indicato (cfr.p.19 della relazione).
Quanto al mancato rilievo della deiscenza suturale, fiorentino rileva che i dati clinici erano nel senso di uno stato infettivo risultante dalla tac mentre il verbale operatorio tace in tal senso.
Ma non nega affatto che tale stato vi fosse.Rileva solo che “nei termini descritti l’intervento non appare criticabile..in realtà tale reperto compare nella successiva tac del 5.10 e venne trattato nella rilaparatomia del 6.10” Su tale punto la relazione appare effettivamente sintetica. Peraltro i consulenti in sede penale, pur dando atto della mancata adozione di cautele e drenaggi sotto il profilo settico (probabilmente non avendo tenuto conto della TAC), e rilevato poi che l’intervento era stato correttamente eseguito, hanno comunque escluso che il mancato drenaggio avesse avuto un ruolo causale nel decesso (cfr.dott.Ma.: non ha fatto bene alla paziente..ma non è stata quella la causa del decesso).
Il dott.Ba. ha precisato che la scelta in tal senso fu forse dovuta alla convinzione che la TAC avesse sovrastimato il processo infiammatorio mentre il prof,Sp. ha affermato che in tale situazione la trattazione con drenaggio risultasse indifferente “non è stato il mancato drenaggio la causa della morte..la paziente ha avuto un’evoluzione sfavorevole non perché l’ascesso non è stato trattato ma perché un’ansa si è perforata..” Venendo dunque alla “perforazione di un’ansa del tenue nel corso delle manovre di dissociazione intestinale nel corso dell’intervento del 2.10.” tutti i sanitari hanno concordato nel ritenerla “inevitabile anche usando la massima attenzione.. (cfr.relazione Fi. a p.21).. Fu questa lesione del tenute, di certo iatrogena ma non colposa a determinare la diffusione del quadro peritonitico e a perdere progressivamente la paziente ” causandone la morte. Lo stesso Ma. afferma: “è probabile che in questi interventi il chirurgo di fatto provochi tali lesioni ma non abbia neppure modo di rendersene conto..” In definitiva anche in tal caso, se è escluso che il mancato drenaggio abbia avuto un’efficacia causale nella produzione dell’evento morte,, la lesione dell’ansa del tenue (fattore uniformemente ritenuto determinante il decesso) è invece ritenuta evento incolpevole ed inevitabile nel corso di siffatti interventi Anche sotto tali profili deve dunque escludersi l’integrazione dei presupposti (causale e soggettivo di cui sopra) per la sussistenza di responsabilità medica.
L’esaustività dei risultati probatori raggiunti comporta poi la non necessità di nuova CTU già affermata nel corso del giudizio.
Quanto all’ulteriore motivo di richiesta dei danni, vale a dire l’asserito mancato consenso informato,in materia è ormai pacifico in giurisprudenza che il rilascio del consenso informato costituisca elemento di validità del contratto, volto ad assicurare l’autodeterminazione del paziente nella scelta delle cure.
La sua corretta acquisizione da parte del medico curante è prestazione differente da quella terapeutica e quindi la relativa mancanza dà diritto ad un’autonoma voce di risarcimento del danno.
In particolare, fatti propri tali principi, una recente ed importante sentenza della Cassazione ha precisato che il consenso informato deve assumere i caratteri della completezza, specificità ed attualità : ” ?deve contenere tutte le informazioni scientificamente possibili riguardanti le terapie che il medico intende praticare con l’indicazione delle eventuali modalità e conseguenze, col solo limite dei rischi imprevedibili o degli esiti anomali al limite del fortuito..” (cfr.cass. 20.5.2016 n. 10414).
Di talchè per il raggiungimento degli scopi informativi sopra riassunti non è sufficiente la firma di un generico modulo prestampato occorrendo se del caso un colloquio col sanitario.
Quanto alle modalità di liquidazione del danno derivante dal mancato rispetto dell’obbligo di acquisizione del consenso, è stata affermata in primo luogo la sua risarcibilità ai sensi dell’art. 2059 c.c., quale disposizione che appresta tutela ad ogni pregiudizio di natura non patrimoniale che derivi dalla lesione di diritti e valori della persona di rango primario (Cfr.Tribunale di Milano sent. 4.3.2008 n. 2847 est.Spera).
E’ stato però ed altresì stabilito, sulla base del principio che oggetto di risarcimento non è l’inadempimento in sé ma il danno che ne derivi, che ai fini della liquidazione occorre pur sempre l’allegazione dello stesso – e delle relative circostanze da cui ricavarlo- e la relativa prova (cfr. Appello Milano sent.7.3.2017 n. 894 est.Bo.) Ciò premesso si osserva in primo luogo che era onere della convenuta dimostrare l’avvenuta acquisizione del consenso informato producendo la relativa documentazione.
In ogni caso, quanto all’istanza 7.7.2017 di parte attrice la relativa produzione risulta in questa fase irrilevante (avendo a fini penalistici gli attori comunque promosso altre iniziative).
Si ritiene infatti che – sulla base della documentazione prodotta dalla convenuta, il consenso non sia stato validamente acquisito. Vi è agli atti del fascicolo di parte convenuta, in allegato alla prima cartella clinica un modulo datato 20.9.09 del tutto generico e sicuramente privo dei caratteri di cui sopra si è detto, oltre chè ottenuto in un tempo in cui ancora non era prevedibile il decorso clinico, in difetto dunque del requisito dell’attualità. Analoghe considerazioni valgono per il consenso all’anestesia 21.9 anch’esso assolutamente generico Nella seconda cartella compare un consenso all’anestesia 2.10..2009 del tutto generico e privo di indicazioni specifiche circa gli interventi da effettuare e poi un modulo di consenso per rilaparotomia privo di data, dunque del tutto inidoneo non essendo individuabile la riferibilità.
L’Azienda non ha validamente adempiuto alla relativa obbligazione.
Si osserva peraltro a questo punto che gli attori nulla deducono in citazione, ai fini della relativa risarcibilità, né chiedono di provare in seconda memoria. Come già s’è detto pur in presenza della prova di tale inadempimento non è possibile presumere il relativo danno ed è onere di chi lo invoca allegare i relativi elementi a sostegno, e non solo circa un diverso orientamento della volontà in caso di precisa enunciazione di tutte le conseguenze possibili.
La relativa domanda di risarcimento non può dunque comunque essere accolta Alle luce dela reciproca soccombenza tra le parti, sotto il profilo dell’accertato inadempimento dell’azienda all’acquisizione del consenso, dell’oggetto della causa e della qualità delle parti pare equa la integrale compensazione delle spese e quelle della CTU in sede di ATP possono essere poste al 50 % al carico delle due parti
P.Q.M.
IL GIUDICE, disattesa ogni diversa istanza istruttoria, eccezione, deduzione definitivamente pronunciando, previo accertamento dell’esatto adempimento della prestazione medica e mancato adempimento all’obbligo di acquisizione del consenso informato da parte dei sanitari, RIGETTA la richiesta di risarcimento danni avanzata dagli attori COMPENSA integralmente le spese di lite tra le parti e condanna le due parti al 50%-ciascuna delle spese di CTU Così deciso in Novara il 23.2.2018
IL GIUDICE Dott.ssa Maria Teresa Latella