Con riguardo alla perdita di “capacità di concorrenza” professionale, anche perché allegato in termini generici e non circostanziati dal ricorrente, il danno da perdita di chance non può essere in concreto ravvisato e risarcito, in quanto non provato, atteso che il potere del Giudice di ricorrere alla via equitativa ex art. 1226 cod. civ. attiene, come è noto, al “quantum”, ferma restando la prova, che incombe sull’attore, dell’esistenza di un danno (prova che nella specie non è stata fornita)-
In definitiva il ricorrente non ha allegato nè provato circostanze di fatto o elementi statistici/probabilistici atti a dimostrare quale sarebbe stata la sua prospettiva professionale post-specializzazione e/o i redditi che avrebbe potuto conseguire una volta avviata la vera e propria professione di medico-specialistica.
Non può inoltre trascurarsi, in via generale, che allontanandosi temporalmente dal verificarsi dell’evento perturbatore, assumono rilevanza anche le possibili scelte alternative di organizzazione della propria vita (personale e professionale) che il singolo ha comunque nella sua disponibilità e che ha la libertà, ma anche l’onere, di assumere per porre rimedio alla situazione di difficoltà lavorativa, pur addebitabile al fatto ingiusto altrui.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 15697 del 2016, proposto da:
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati Davide De Lungo e Gino Scaccia nonché dall’avvocato Federico Freni, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via degli Scipioni 281;
contro

Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, in persona del Rettore p.t., rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui Uffici è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Università degli Studi di Roma La Sapienza – -OMISSIS-non costituiti in giudizio;
nei confronti

-OMISSIS- non costituita in giudizio;
per l’annullamento

– del provvedimento in data -OMISSIS- dell’Università di Roma “La Sapienza” di annullamento di esami sostenuti dal ricorrente nonché per l’accertamento del diritto dell’istante ad essere ammesso a sostenere l’esame di laurea,

– e per la condanna al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 26 febbraio 2020 il dott. Claudio Vallorani e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:

FATTO

1. La vicenda per cui è causa è stata già esaminata da questa Sezione con la sentenza parziale -OMISSIS-, passata ormai in giudicato, a seguito della sua conferma in appello con sentenza del Consiglio di Stato, -OMISSIS-.

2. I fatti di causa possono sinteticamente esporsi nei termini seguenti, richiamando per il resto quanto già esposto da questa Sezione nella pronuncia parziale sopracitata:

i. il ricorrente, dopo aver sostenuto le prove di ammissione, si immatricolava nell’anno accademico 2002/2003, al corso di laurea in Medicina e Chirurgia dell’Università degli Studi “La Sapienza”, presso le strutture del polo pontino;

ii. egli sosteneva, negli anni compresi tra il 2008 ed il 2009, una serie di esami presso l’Università “-OMISSIS-), sulla base di un programma Erasmus concordato con l’Università “La Sapienza” e, in data -OMISSIS-, terminato il percorso di studi e completata la redazione tesi di laurea, presentava all’Università la domanda per poter sostenere l’esame di laurea;

iii. tuttavia, in esito a controlli di carattere amministrativo, emergeva che due professoresse dell’Ateneo (-OMISSIS-) non riconoscevano come proprie le firme apposte sul libretto universitario del ricorrente relativamente agli “esoneri” di Anatomia I e II, propedeutici al colloquio finale di Anatomia III;

iv. a seguito delle denunce presentate dall’Università all’Autorità Giudiziaria, veniva aperto un procedimento penale a carico del ricorrente che si concludeva però con sentenza di assoluzione “per non aver commesso il fatto” (Tribunale di Roma n. -OMISSIS-, passata in giudicato);

v. nonostante ciò l’Ateneo oggi resistente – in considerazione del fatto che la sentenza menzionata, pur avendo mandato assolto il ricorrente dall’imputazione di falso, dichiarava comunque la “falsità del documento di cui in imputazione…” (ovvero il libretto dello studente) e ne ordinava “la totale cancellazione” – adottava in data -OMISSIS- il provvedimento in epigrafe impugnato il quale disponeva l’annullamento “ex officio” di una serie di esami, vale a dire: – l’esame di Anatomia III; – tutti gli esami che presupponevano Anatomia III come propedeutico e quindi non sostenibili senza il previo superamento di esso; – diversi esami sostenuti dal ricorrente presso l’Università “-OMISSIS-, corrispondenti a quelli che eccedevano il limite consentito di 60 CFU conseguibili in università straniere (secondo le verifiche dell’Ateneo, il peso degli esami sostenuti all’estero era statio pari, invece, a 142 CFU); complessivamente gli esami annullati ammontavano a 18 e il loro azzeramento impediva definitivamente al ricorrente di accedere all’esame di laurea per il quale aveva presentato (invano) domanda fin dal lontano -OMISSIS-.

3. Con ricorso notificato in data -OMISSIS-e depositato il -OMISSIS-impugnava l’atto universitario di annullamento dei propri esami, spiegando, oltre alla domanda di annullamento, l’azione di condanna ex art. 30 c.p.a. volta ad ottenere dall’Università degli studi di Roma “La Sapienza” il risarcimento delle seguenti voci di danno (sulle quali vedi anche le precisazioni contenute nella più recente memoria in data -OMISSIS-e nella memoria conclusionale):

a) lesione, per sei anni (dal -OMISSIS-), delle proprie chances di carriera, avendo l’Università inibito al ricorrente di partecipare all’esame di laurea, per il quale era ormai pronto dal luglio del 2010, e, quindi, di accedere, subito dopo, al corso di specializzazione in Ortopedia, che era quello di proprio interesse; il danno de quo viene qualificato dal ricorrente come danno da perdita di “chances” lavorativo-professionali, il cui ammontare economico deve essere in primo luogo rapportato alla retribuzione media (recte “borsa di studio”) che spettava (con riguardo all’epoca di probabile accesso) ad uno specializzando nell’ambito della Scuola di specializzazione di Ortopedia presso il Policlincio universitario, pari ad Euro 1.800,00 mensili per 5 anni, a cui si deve aggiungere, ad avviso del ricorrente, una somma almeno uguale (1.800,00 per n. 12 mensilità) relativamente al sesto anno, cioè al primo anno da dottore specializzato; a tale titolo, il danno richiesto dal ricorrente, ammonta pertanto ad euro 129.600,00, fermo restando il potere di liquidazione/correzione equitativa spettante a questo Giudice;

b) un secondo danno patrimoniale rivendicato dal ricorrente, come connesso ma distinto dal precedente, consiste nel ridimensionamento della sua “capacità di concorrenza” a causa del provvedimento impugnato, vale a dire della possibilità di inserirsi proficuamente nel mondo del lavoro nell’assenza (protrattasi fino ad oggi) della laurea in Medicina (impedita dalle illegittime determinazioni dell’Ateneo); il ricorrente espone che, in questo lungo tempo egli ha dovuto dedicarsi ad occupazioni alternative e poco remunerative, ben diverse da quelle a cui avrebbe potuto con ogni probabilità dedicarsi sulla base del prestigioso titolo accademico che gli è stato, fino ad oggi, negato; in generale le possibilità lavorative e di carriera che avrebbe avuto nella “giusta età” di un neo laureato in Medicina e, quindi, di uno specializzato in Ortopedia, sono assolutamente diverse – e risultano, ormai, perdute – rispetto a quelle, del tutto deteriori, che possono riconoscersi ad una persona che si affacci nel mondo della professione medica in età ormai matura; il possedere un titolo di laurea, e anche l’averlo conseguito in tempi stretti, sono parametri assolutamente decisivi nelle valutazioni di chi deve assumere; il danno in questione, secondo il ricorrente, può quantificarsi in almeno Euro 100.000,00;

c) dalla vicenda sopra esposta e dall’atto gravato il ricorrente ha subito anche un danno all’immagine, alla reputazione, all’onore e alla vita di relazione: l’accusa di aver falsificato gli statini, di aver violato le regole relative agli esami Erasmus e, quindi, la sottoposizione a un lungo e impegnativo procedimento penale (durato circa 6 anni), avrebbero segnato in profondità la sfera esistenziale, emotiva e relazionale del ricorrente; il danno esistenziale deriva anche dall’ingiusta sottoposizione del ricorrente a procedimento penale, promossa dall’Amministrazione universitaria che avrebbe cercato di “..rovesciare su -OMISSIS- le proprie negligenze”; sullo stato di sofferenza psichica in cui ha versato il ricorrente negli anni in discorso, viene allegata relazione psicologica (doc. 10 ric.); tale danno dovrebbe quantificarsi quanto meno in Euro 80.000,00;

d) si chiede infine il rimborso delle spese vive sostenute dal ricorrente, negli anni di impegno universitario rimasti, purtroppo, infruttuosi, a titolo di tasse universitarie pagate, acquisto di testi, soggiorni e viaggi all’estero nell’ambito dell’Erasmus.

4. Si costituiva in giudizio l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, chiedendo il rigetto del ricorso perché infondato nel merito; il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, pure evocato, tuttavia chiedeva di essere estromesso dal giudizio, ritenendo di essere estraneo ai fatti di causa.

5. Con istanza depositata in giudizio nel mese di agosto 2017, il ricorrente chiedeva l’adozione di una misura cautelare, ai sensi dell’art. 55 c.p.a..

Con ordinanza n. -OMISSIS-, veniva fissata al 24 gennaio 2018 la pubblica udienza per la definizione della controversia.

6. In prossimità della trattazione del merito, il ricorrente depositava memoria, insistendo nell’accoglimento del ricorso.

7. Alla pubblica udienza del 24 gennaio 2018, la causa veniva trattenuta in decisone dal Collegio che, con la già citata sentenza non definitiva -OMISSIS-, dopo avere disposto l’estromissione dal giudizio del MIUR per difetto di legittimazione passiva, nel merito ha dato pieno accoglimento alla domanda caducatoria del ricorrente e annullato il provvedimento del -OMISSIS- dell’Università di Roma “La Sapienza” che aveva annullato gli esami sostenuti dal ricorrente.

8. La sentenza ha invece ritenuto che la causa non fosse ancora matura per la decisione con riguardo alle richieste risarcitorie avanzate, e per tali profili, l’ha rimessa in istruttoria disponendo in particolare quanto segue (v. par. 5):

“…il Collegio, al fine di valutare la sussistenza di una probabilità di successo maggiore del 50% (nel superamento del concorso per la scuola di specializzazione in Ortopedia) statisticamente valutabile con giudizio prognostico ex ante secondo l’id quod plerumque accidit sulla base di elementi di fatto (cfr Cons. Stato, sez. VI, 7 febbraio 2002, n. 686), ritiene di dover chiedere notizie e chiarimenti al Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca ed all’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, per la parte di rispettiva competenza, in ordine ai seguenti profili:

– quanti candidati, a livello nazionale, hanno fatto domanda di partecipazione presso le scuole di specializzazione di ortopedia, negli anni compresi tra il 2010 ed il 2016 (distinti per singolo anno), e quanti di essi sono stati ammessi a partecipare ai relativi corsi (in questo caso, si chiede di indicare una media percentuale dei vincitori per singolo anno, rispetto alla totalità dei candidati che hanno partecipato alle selezioni);

– quanti candidati hanno fatto domanda di partecipazione alla scuola di specializzazione di ortopedia presso l’Università degli Studi “La Sapienza”, negli anni compresi tra il 2010 ed il 2016 (distinti per singolo anno), e quanti di essi sono stati ammessi a partecipare al relativo corso (in questo caso, si chiede di indicare la media percentuale dei vincitori per singolo anno rispetto ai candidati che hanno partecipato alla selezione presso l’Ateneo);

– a quanto ammontava, tra il 2010 ed il 2016, il trattamento economico medio annuo (lordo) di uno specializzando della scuola di ortopedia”.

Le risposte ai quesiti così posti dalla Sezione (sui contenuti dei quali si tornerà nel prosieguo della presente pronuncia) sono state fornite sia dell’Università (con i depositi documentali del 3 aprile e del 15 maggio 2018) che dal MIUR (con il deposito documentale in data 11.5.2018).

9. Nelle more, la sentenza parziale veniva impugnata dalla Sapienza che promuoveva dinnanzi al Consiglio di Stato il giudizio n.r.g. -OMISSIS-, succesivamente definito con la sentenza n. -OMISSIS-, che ha respinto il gravame, giungendo, mediante ampia argomentazione, alle seguenti conclusioni: “[…] alla luce di tali considerazioni, deve confermarsi che la conseguenza che l’Ateneo appellante ha voluto far discendere dalla declaratoria di falsità del libretto universitario, ritenendo nulli gli esoneri di Anatomia umana I e II, si fonda su un assunto non provato, né ricavabile dalla sentenza penale n. -OMISSIS-, dal che deriva che un tale effetto, ovvero l’annullamento degli esami, non poteva non essere preceduto da un’attenta verifica circa il sostenimento o meno degli stessi, tanto più che gli esami erano stati sostenuti in un epoca ben antecedente (più di sei anni) all’adozione del provvedimento impugnato. 2.5 – Tale conclusione travolge anche l’annullamento di n. 10 esami in ragione del fatto che sarebbero stati sostenuti in assenza di quello di Anatomia umana III, ad essi propedeutico. 3 – Le circostanze già riferite valgono a confermare anche la decisone del T.A.R. in riferimento all’annullamento di altri 7 esami, in ragione del supposto superamento del limite massimo di 60 CFU per quelli esami sostenuti nell’ambito del progetto Erasmus. Più precisamente, non risulta smentito che l’Università aveva approvato ex ante (in data -OMISSIS-(da cui emergono, in maniera analitica, gli esami che il ricorrente avrebbe dovuto sostenere presso quell’Ateneo) e, in un secondo tempo, aveva riconosciuto, in data -OMISSIS-, quelli stessi esami sostenuti all’estero, ai fini del completamento del corso di studi presso l’Università La Sapienza. Non può nutrirsi alcun dubbio sul fatto che tale condotta dell’Ateneo abbia ragionevolmente ingenerato un legittimo affidamento dello studente circa il programma di esami da sostenere al fine di ultimare il corso di studio. Tale evenienza implica un’attenta applicazione dell’art. 21 nonies della legge n. 241 del 1990 laddove si intende operare un annullamento in via di autotutela, sia in ordine alla necessità di rispettare un termine ragionevole (prescindendo, peraltro, da quello di 18 mesi, introdotto dalla legge n. 124 del 2015), sia in ordine corretto bilanciamento dei diversi interessi implicati nella vicenda, tra cui quello dello studente alla stabilità della propria carriera universitaria così come previamente programmata, e poi approvata, dalla stessa Università. Sul punto, il T.A.R. ha correttamente rilevato che nella motivazione del provvedimento impugnato non risulta effettuato alcun contemperamento tra l’affidamento del ricorrente e l’interesse pubblico in grado di far ritenere prevalente il secondo rispetto al primo. 4 – Il rigetto delle censure innanzi esaminate – e la conseguente conferma della sussistenza, nel provvedimento impugnato, dei vizi di natura sostanziali dedotti con il ricorso – esclude la necessità di esaminare il primo ed il terzo dei motivi di appello che attengono alla contestazione della ravvisata incompetenza del -OMISSIS-all’adozione del provvedimento impugnata ed all’accertata violazione delle regole partecipative di cui alla l. 241/90.[…]”.

10. Successivamente al deposito della documentazione da parte delle Amministrazioni interessate, avvenuto in esecuzione dell’incombente istruttorio disposto dalla menzionata sentenza parziale, il ricorrente ha prodotto ulteriori documenti e memorie, insistendo nella propria domanda di condanna dell’Ateneo resistente all’integrale risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti, nei termini sopra rilevati (vedi par. 3).

11. Alla pubblica udienza del giorno 26 febbraio 2020 la causa è stata trattenuta dal Collegio per la decisione.

DIRITTO

1. Viene oggi all’esame del Collegio la domanda di risarcimento dei danni occorsi al ricorrente in conseguenza della illegittima condotta inibitoria tenuta dall’Università resistente e, quindi, dell’illegittimo provvedimento, adottato dall’Ateneo resistente nel 2016, di annullamento di numerosi esami (18 in totale) sostenuti dallo stesso, l’“azzeramento” dei quali gli ha impedito di poter sostenere l’esame di laurea (per il quale, avendo completato tutti gli esami del corso di laurea, aveva presentato apposita domanda alla Segreteria universitaria nel luglio del 2010) e, quindi, di accedere a una scuola di specializzazione medica, prima, e alla carriera di medico ortopedico, poi.

L’illegittimità del provvedimento impugnato è stata confermata dal Giudice di secondo grado, sicché il relativo accertamento costituisce ormai cosa giudicata. Gli effetti del provvedimento impugnato, pertanto, in conseguenza dell’annullamento giurisdizionale dello stesso, debbono ritenersi definitivamente rimossi “ex tunc” con conseguente ripristino “ab origine” della originaria validità ed efficacia degli esami universitari sostenuti, già oggetto dell’annullamento amministrativo voluto dall’Ateneo resistente. L’effetto ripristinatorio del giudicato parziale deve infatti assumersi come automatica conseguenza di esso, stante la natura “self executing” della pronuncia (parziale) che ha determinato la rimozione giuridica del provvedimento impugnato.

2. Con riguardo alle domande risarcitorie, il Collegio ritiene che le prime due voci di danno lamentate dal ricorrente (vedi lettere a) e b) del paragrafo 3 della superiore narrativa in fatto) debbano in effetti inquadrarsi nella categoria di elaborazione dottrinaria e giurisprudenziale del “danno da perdita di chance”, come peraltro mostra di ritenere lo stesso ricorrente. Il sig. -OMISSIS-, infatti, si riferisce alle “possibilità perdute” (nel senso che erano ancora possibilità al momento dell’illegittimo intervento caducatorio) – possibilità di accedere alla scuola di specializzazione medica di proprio interesse (Ortopedia presso il Policlinico universitario di Roma) e quella, conseguente, di potersi avviare in modo proficuo e “a tempo debito” alla professione di medico specialista – le quali:

i. si ponevano come “future” (non rispetto al momento presente, ma) rispetto al momento in cui si è avuta l’adozione dell’illegittimo provvedimento di annullamento degli esami da parte dell’Ateneo, che ha travolto illegittimamente una parte significativa (18 esami ed i corrispondenti CFU) della carriera universitaria dello studente;

ii. configurandosi come potenzialità di realizzazione professionale, così come prospettate dal ricorrente, sono connotate da “insanabile incertezza rispetto all’eventualità dei benefici allegati come perduti, che, per la loro configurazione oggettiva, appaiono soltanto possibili” alla luce della concreta vicenda oggetto di causa, da leggere in rapporto con: la normativa di riferimento, le comuni massime di esperienze e gli elementi statistici che sono stati raccolti in fase istruttoria (cfr. Cass. Civ., III, 9 marzo 2018, n. 5641);

iii. tali possibilità (chances) vanno intese quindi in termini di “incertezza eventistica (che è la sola che consenta di discorrere legittimamente di chance perduta)” e saranno risarcibili equitativamente, alla luce di tutte le circostanze del caso, come possibilità perduta a condizione che sia provato il nesso causale (certo ovvero “più probabile che non”), tra la condotta e l’evento incerto (la possibilità perduta) nella sua necessaria dimensione di apprezzabilità, serietà, consistenza (Cass civ. cit., sub 3.6.);

iv. “la chance patrimoniale presenta le stimmate dell’interesse pretensivo (mutuando tale figura dalla dottrina amministrativa), e cioè postula la preesistenza di un quid su cui andrà ad incidere sfavorevolmente la condotta colpevole del danneggiante impedendone la possibile evoluzione migliorativa (il partecipante ad un concorso è portatore di conoscenze e preparazione che preesistono all’intervento “soppressivo” del preposto all’esame; l’azienda che prende parte ad una gara ad evidenza pubblica è portatrice di professionalità e strutture operative che preesistono all’intervento “eliminativo” della stazione appaltante)…” (Cass. Civ. ult. cit.);

v. anche nella specie viene in considerazione un articolato interesse pretensivo del ricorrente – alla laurea, all’ammissione ad una scuola di specializzazione medica, alla svolgimento della professione di medico ortopedico – il quale è rimasto frustrato a causa dell’illegittimo intervento demolitorio posto in essere dall’Università resistente (e, prima ancora, dalla sospensione “di fatto” del corso universitario, in pendenza del giudizio penale sopra citato); anche nella specie, invero, il ricorrente aveva maturato un bagaglio di conoscenze e preparazione (costituito dal superamento dell’ intero percorso di esami universitari) che preesisteva all’intervento “soppressivo” disposto dall’Università e che lo poneva nella condizione di potere, con probabilità vicina alla certezza, conseguire la laurea in Medicina e di avviare subito dopo l’usuale percorso di specializzazione;

vi. quanto precede configura la sostanzialità che è propria del danno da perdita di “chances” in quanto, nella impostazione ricorsuale, la domanda di danno (con riguardo quanto meno alle voci sub a) e sub b), mira al risarcimento della “perdita della possibilità di un risultato utile” e non la “perdita pura e semplice del risultato vantato” come spettante in modo certo: è infatti solo la prima alternativa a configurare propriamente la figura della perdita di “chance”;

vii. in ordine ai presupposti per la risarcibilità di danno siffatto, il Collegio si colloca lungo quella linea interpretativa che è in genere definita come teoria “ontologica” (in contrapposizione alla c.d. teoria “eziologica”): come osservato dalla sentenza del Consiglio di Stato, sez. V, 11 gennaio 2018, n. 118 (par. VI.6), “nell’ambito della dicotomia dei danni risarcibili ex art. 1223 Cod. civ., la teoria della chance ontologica configura tale posizione giuridica come un danno emergente, ovvero come bene giuridico già presente nel patrimonio del soggetto danneggiato, la cui lesione determina una perdita suscettibile di autonoma valutazione sul piano risarcitorio. La teoria eziologica intende invece la lesione della chance come violazione di un diritto non ancora acquisito nel patrimonio del soggetto, ma potenzialmente raggiungibile, con elevato grado di probabilità, statisticamente pari almeno al 50%. Si tratta dunque di un lucro cessante.” Si collocano nel primo indirizzo (“chance” ontologica), condiviso dal Collegio, le seguenti sentenze:

– Cons. Stato, V, 2 novembre 2011, n. 5837, in cui si è affermato che la chance si sostanzia «nella mancata possibilità per la ricorrente di partecipare ad una gara per l’affidamento della commessa in questione»;

– Cons. Stato, V, 8 aprile 2014, n. 1672, relativa ad un caso di mancata apertura delle buste in seduta pubblica, che ha qualificato chance non come «perdita di un risultato utile sicuro» ma come «il semplice venire meno di un’apprezzabile possibilità di conseguirlo, in particolare per essere stato l’interessato privato della stessa possibilità concreta di aggiudicarsi un appalto»;

– Cons. Stato, V, 1° agosto 2016, n. 3450, che ha affermato che «la dimostrazione della rilevante probabilità di aggiudicazione non è concretamente esigibile in caso di selezione comparativa non svolta», ed ha pertanto confermato il risarcimento già riconosciuto in primo grado, sulla base della teoria della «c.d. chance ontologica», consistente nell’aspettativa giuridica «già presente nel patrimonio dell’impresa danneggiata», correlata al «rispetto degli obblighi di evidenza pubblica e/o concorsualità imposti dalla legislazione in materia di contratti pubblici» (vedi l’ampia rassegna contenuta nella già citata sent. Cons. Stato, V, n. 118 del 2018).

3. Partendo dalle coordinate che precedono ed applicandole al caso di specie il Collegio ritiene che meriti parziale accoglimento la domanda risarcitoria svolta dal sig. -OMISSIS- con riguardo alla possibilità da lui perduta di accedere “a tempo debito” alla scuola di specializzazione di suo interesse, fattispecie che coincide con la perdita della possibilità di conseguire la borsa di studio quale momento di essenziale formazione specialistica, accompagnata peraltro da una retribuzione di durata quinquennale (vedi voce “a” delle voci risarcitorie articolate dal ricorrente).

4. Il Collegio, al riguardo, ritiene di dover preliminarmente evidenziare due elementi rilevanti ai fini del riconoscimento e della quantificazione del danno in discorso.

In primo luogo non entra nel discorso risarcitorio per equivalente monetario la perduta possibilità di conseguire il titolo di laurea in quanto, con riguardo alla laurea, il ricorrente ha domandato a questo Tribunale nel ricorso e ribadito nei successivi scritti difensivi, ivi compresa la memoria conclusionale del -OMISSIS-(vedi le conclusioni ivi formulate), di accertare il proprio “diritto a essere ammesso a sostenere l’esame di laurea”.

La mancata ammissione alla laurea dovrà dunque essere risarcita dall’Università in forma specifica, mediante ammissione del ricorrente, che lo richieda, a sostenere l’esame relativo, ammissione che, a ben vedere, più che un risarcimento ai sensi dell’art. 2058 cod. civ. costituisce una conseguenza connessa all’effetto conformativo della sentenza parziale già emessa da questo Tribunale, con statuizione che, poiché invano appellata dall’Università resistente, costituisce ormai cosa giudicata e ha annullato il provvedimento demolitorio dell’università, così ripristinando con efficacia “ex tunc” l’intera carriera del ricorrente che, in tal modo, è di nuovo nella condizione di poter accedere all’esame di laurea a sua semplice richiesta, con vincolo per l’Ateneo di considerare come validi ed efficaci tutti gli esami sostenuti durante il Corso di laurea in Medicina Chirurgia (ivi compresi quelli ingiustamente annullati nel 2016 con il provvedimento impugnato). Così ricostruita la pretesa del ricorrente di sostenere l’esame di laurea, quale effetto conformativo derivante dalla stessa statuizione di annullamento contenuta nella sentenza parziale, essa prescinde dalla necessità di accertare la sussistenza dell’elemento soggettivo della “colpa” in capo all’Amministrazione danneggiante che, altrimenti, avrebbe dovuto essere accertato al fine di integrare la fattispecie aquiliana ex art. 2043 cod. civ..

5. In secondo luogo, con riferimento all’istruttoria disposta dal Collegio con la precedente sentenza, si osserva che, come evidenziato dalla nota depositata dal MIUR, fra il 2010 e l’a.a. 2013/2014 i concorsi si svolgevano a livello di singolo ateneo; a partire dal 2013/2014, invece, si sono svolte procedure concorsuali uniche su base nazionale.

Stando a quanto riportato nei documenti prodotti dall’Università, nel periodo 2010-2013 (durante il quale si sono svolti concorsi locali presso l’Ateneo resistente), sono state presentate al concorso alla scuola di specializzazione in Ortopedia della Sapienza 73 domande; gli ammessi sono stati 48, pari al 65,75% del totale delle domande.

A partire dall’a.a. 2013/2014, invece, nell’ambito del nuovo concorso nazionale, i dati relativi alle Scuole di Ortopedia sono stati i seguenti (dep. MIUR 11.5.2018, Allegato 2):

Anno acc.mico Candidati Ortop. Ammessi Ortop. Percentuale

2013/2014 1521 219 14,40

2014/2015 972 251 25,82

2015/2016 1056 254 24,05

2016/2017 1055 267 25,31

Con riguardo al dato relativo al concorso nazionale 2013/2014 è lo stesso MIUR che, nel documento allegato, ammette che “nel 2013/2014, i candidati che concorrevano su posti SSN, non indicavano l’eventuale intenzione di concorrere su una sede SSN in maniera separata dalla sede ordinaria e quindi non sono scorporabili, il valore 1521 può quindi essere parzialmente sovradimensionato dalla presenza di candidati interessati in realtà ai soli posti SSN”.

Tenuto conto di questo elemento che ha “perturbato” il calcolo del rapporto tra candidati ed ammessi ad Ortopedia nell’a.a. 2013/2014, si può quindi convenire con il ricorrente secondo cui negli anni sopra considerati del concorso unico nazionale, la media degli ammessi a scuole di Ortopedia italiane si sia sempre attestata attorno al 25% del totale nazionale dei laureati interessati a tale Specializzazione.

E’ inoltre convincente quanto dedotto dal ricorrente in merito al fatto che non sia particolarmente significativo, sul piano statistico, il dato relativo agli studenti iscrittsii alla scuola della Sapienza che sarebbe stato soltanto del 2% circa: è noto infatti che in sede di domanda ogni candidato poteva esprimere 6 preferenze: 2 per scuole chirurgiche, 2 cliniche e 2 dei servizi. Corrisponde poi ad una diffusa prassi e all’“id quod plerumque accidit” che in genere, per avere maggiori possibilità di successo, i partecipanti al concorso nazionale si avvalgano di tutte le scelte a disposizione e non indichino nella domanda la sola prima preferenza (scuola + sede).

Da ciò consegue che il dato rilevante per gli anni di concorso unico sia quello nazionale e non quello locale, con conseguente individuazione del valore della chance, avuta dal ricorrente, di accedere ad una scuola pari al 25 %, con riferimento al periodo 2013-2016.

A ciò il Collegio aggiunge la seguente considerazione: poiché non è possibile stabilire, in un contesto che negli anni sopra riferiti è stato comunque seriamente concorrenziale, se il ricorrente sarebbe entrato alla Scuola di suo interesse nel primo triennio successivo alla laurea (2010-2013) o negli anni successivi, è opportuno che il dato percentuale venga normalizzato con riguardo all’intero periodo considerato 2010-2016 e, pertanto, considerando la percentuale media delle possibilità di successo nel primo triennio (65% circa) e quella afferente al triennio successivo (25% circa), si perviene ad una percentuale media, rapportata all’intero sessennio (quale orizzonte temporale massimo in cui presumibilmente il ricorrente sarebbe riuscito ad entrare in una scuola di suo interesse) pari al 45%.

Quest’ultima percentuale costituisce, dunque, il valore della “chance” intesa, nella specie, come possibilità di successo del ricorrente ai fini dell’accesso alla scuola di specializzazione di suo interesse.

Tale valore è quantificato dal Collegio partendo dai dati reali e statistici forniti dalle Amministrazioni intimate, esercitando però, in via correttiva e di adattamento alla vicenda concreta, i poteri di valutazione equitativa che competono al Giudice quando il danno non può essere provato nel suo preciso ammontare (artt. 1226 e 2056 cod. civ.).

La possibilità di frequentare la scuola di specializzazione di sua pertinenza, pertanto, costituiva per il ricorrente, nel 2010, una possibilità (pari al 45%) notevole, consistente ed effettiva, suscettibile cioè di tradursi in risultato concreto. Seguendo l’impostazione ontologica di cui sopra deve ritenersi che tale possibilità era una posta attiva nel patrimonio del ricorrente, la quale si innestava sul bagaglio formativo posseduto sulla base dei sei anni di formazione universitaria, ormai completata. La possibilità, per rilevare, non richiede necessariamente superamento della soglia del 50 %, come ingiustamente preteso dalla teoria c.d. “eziologica”. La perdita di tale possibilità costituisce pertanto un danno emergente ex art. 1223 cod. civ, il quale consiste nella compromissione di una potenzialità che era, in sé stessa, una utilità meritevole di tutela e apprezzamento, sebbene diversa dalla utilità finale. La perdita va causalmente imputata all’illegittima condotta dell’Ateneo che si è poi “consolidata” nel provvedimento impugnato che ha impedito al ricorrente di laurearsi, come sarebbe invece potuto avvenire, con ampia probabilità, nel corso dell’anno 2010.

Giova precisare che, con riguardo al nesso causale tra l’illegittima attività dell’università (provvedimento impugnato e condotta ad esso anteriore) ed evento dannoso (= perdita della possibilità di accedere al corso di specializzazione negli anni immediatamente successivi al 2010), la ricostruzione probabilistica di tale nesso, induce a ritenere che l’incidenza causale della prima sul secondo sia stata ben superiore al 45% – questa percentuale è, per così dire il “valore” della chance perduta – atteso che la condotta tenuta dall’Università risulta essere stata, all’evidenza, determinante per la “distruzione” di tale possibilità. L’elevata probabilità (perduta) di successo la si può ricavare, tra l’altro, dalla capacità dimostrata dal ricorrente durante il corso di laurea, dove egli aveva mantenuto una media molto elevata, superiore a 28, dei voti riportati agli esami.

6. Risulta dunque perfezionata, per il danno emergente consistito nella perdita della possibilità di accedere alla Scuola di Specializzazione, la fattispecie di cui all’art. 30, comma 3, c.p.a. la cui struttura si conforma al generale paradigma aquiliano di cui all’art. 2043 cod. civ. essendo nella specie ravvisabili: a) un provvedimento che ha illegittimamente statuito sull’interesse pretensivo della parte privata negandone il soddisfacimento; b) un danno come poc’anzi perimetrato nell’an; c) un nesso di causalità tra il primo ed il secondo. Quanto all’elemento soggettivo, anch’esso necessario per il perfezionarsi della fattispecie aquiliana, il Collegio osserva che la colpa dell’Amministrazione si presume, in relazione alla illegittimità del provvedimento impugnato (e ormai irreversibilmente annullato), tenendo anche conto dei diversi elementi sintomatici di negligenza degli Uffici universitari nella complessiva gestione della vicenda, già accertati dalla duplice pronuncia (di primo e di secondo grado) che ha riconosciuto le ragioni del sig. -OMISSIS-.

7. Può dunque pervenirsi ad una prima conclusione sulla domanda risarcitoria svolta dal ricorrente: a quest’ultimo spetta il risarcimento del danno emergente consistito nella lesione, negli anni successivi al 2010 (data in cui egli si sarebbe con ogni probabilità laureato in Medicina e Chirurgia), delle proprie chances di carriera, avendo l’Università illegittimamente inibito al ricorrente di partecipare all’esame di laurea e, quindi, di accedere successivamente al corso di specializzazione in Ortopedia, che era quello di proprio interesse. Il danno, in adesione alle deduzioni ricorsuali, deve qualificarsi come danno da perdita di “chances” lavorativo-professionali, il cui ammontare economico deve essere, in primo luogo, rapportato alla retribuzione media (rectius “borsa di studio”) che sarebbe spettata ad uno specializzando, nell’ambito della Scuola di specializzazione di Ortopedia, il quale fosse entrato nel 2012/2013 presso il Policlincio universitario. Da quanto riferito dal MIUR con nota -OMISSIS-), nell’anno menzionato (peraltro senza differenze di rilievo negli anni successivi), il trattamento economico medio annuo (lordo) per uno specializzando era pari a quello previsto dal Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 7 marzo 2007 (“Costo contratto formazione specialistica dei medici”), ovvero Euro 25.000 per il primo e secondo anno, ed Euro 26.000 per i tre anni successivi al secondo, per una durata totale di 5 anni.

Trattandosi di danno da perdita di chances non spetterà, ovviamente, al ricorrente l’intero ammontare delle retribuzioni perdute ma una quota percentuale dell’ammontare totale di esse (ammontare pari a quanto uno specializzando avrebbe conseguito in totale nel quinquennio di riferimento, individuabile nel periodo 2012-2016). La quota spettante al ricorrente corrisponde al valore della “chance” che, come visto, è pari al 45%, sulla base delle argomentazioni sopra ampiamente svolte. Pertanto il risarcimento dovuto è pari al 45% dell’ammontare totale quinquennale delle retribuzioni che sarebbero state versate dall’Università al ricorrente, in esecuzione del contratto di specializzazione.

L’importo come sopra determinato dovrà essere rivalutato, anno per anno, in base all’indice ISTAT, a partire dalla prima (teorica) annualità di specializzazione, individuata in via convenzionale nel 2012, fino al dì del soddisfo.

Con riguardo al periodo considerato (2012-2016) dovranno essere decurtati, a titolo di “compensatio lucri cum damno” tutti i redditi da lavoro autonomo e/o dipendente che siano stati percepiti dal ricorrente in detto arco temporale. A tale scopo il ricorrente avrà l’onere di fornire a semplice richiesta dell’Ateneo, ove presentate al Fisco, le proprie dichiarazioni dei redditi afferenti agli anni di imposta 2012, 2013, 2014, 2015, 2016.

Pertanto, visto l’art. 34, comma 4, c.p.a., Università degli studi di Roma “La Sapienza”, entro gg. 60 dal giorno della comunicazione ovvero, se anteriore, della notificazione della presente sentenza, sarà tenuta a proporre al ricorrente il pagamento di una somma a titolo di risarcimento del danno emergente patito (per perdita di chance), nei limiti di quanto riconosciuto dalla presente pronuncia e nel rispetto dei criteri e parametri sopra fissati. Ai sensi dello stesso art. 34, comma 4 (ultimo periodo) se le parti non giungeranno, nel termine anzidetto, ad un accordo sull’ammontare dovuto ovvero non adempieranno agli obblighi scaturenti dall’accordo risarcitorio, con il ricorso di cui al Titolo I, Libro IV, c.p.a. potrà essere chiesta a questo TAR la determinazione della somma dovuta o, altrimenti, domandato l’adempimento degli obblighi contratti e rimasti ineseguiti.

8. Quanto all’ulteriore danno economico, sempre ricondotto dal ricorrente alla perdita di “chance” e definito come perdita (in conseguenza dell’impedimento frapposto dall’Università al conseguimento della laurea e della specializzazione) della capacità di concorrenza rispetto ai medici dello stesso settore specialistico, che hanno potuto entrare in tempi fisiologici e normali nel mercato del lavoro, il Collegio ritiene che il danno da perdita di chance può essere ravvisato e risarcito solo con specifico riguardo al grado di probabilità (che deve essere consistente), che in concreto il richiedente avrebbe avuto di conseguire il bene della vita. Deve quindi aversi una possibilità che, seppur non raggiunga la probabilità elevata (quindi superiore al 50%), costituisca comunque un elemento positivo e consistente già presente, come potenzialità di successo rispetto all’utilità avuta di mira, nel patrimonio del danneggiato. Diversamente dalla (perduta) possibilità di accedere alla scuola di specializzazione che, sulla base di quanto sopra esposto, aveva tali caratteristiche di concretezza e di prossimità rispetto al fatto lesivo, ciò non sembra deducibile con riguardo alle generiche “chances” lavorative dedotte, le quali sono allegate come una mera possibilità astratta e non circostanziata di conseguire l’utilità sperata e sono da ritenere, per questo, “chances irrisarcibili”.

Pertanto, con riguardo alla perdita di “capacità di concorrenza” professionale, anche perché allegato in termini generici e non circostanziati dal ricorrente, il danno da perdita di chance non può essere in concreto ravvisato e risarcito, in quanto non provato, atteso che il potere del Giudice di ricorrere alla via equitativa ex art. 1226 cod. civ. attiene, come è noto, al “quantum”, ferma restando la prova, che incombe sull’attore, dell’esistenza di un danno (prova che nella specie non è stata fornita)-

In definitiva il ricorrente non ha allegato nè provato circostanze di fatto o elementi statistici/probabilistici atti a dimostrare quale sarebbe stata la sua prospettiva professionale post-specializzazione e/o i redditi che avrebbe potuto conseguire una volta avviata la vera e propria professione di medico-specialistica.

Non può inoltre trascurarsi, in via generale, che allontanandosi temporalmente dal verificarsi dell’evento perturbatore, assumono rilevanza anche le possibili scelte alternative di organizzazione della propria vita (personale e professionale) che il singolo ha comunque nella sua disponibilità e che ha la libertà, ma anche l’onere, di assumere per porre rimedio alla situazione di difficoltà lavorativa, pur addebitabile al fatto ingiusto altrui (arg. ex art. 1227 cod. civ.).

Non è pertanto risarcibile il danno allegato riassuntivamente dal ricorrente come perdita della capacità di concorrenza (lett. b) par. 3 della narrativa in fatto).

9. Quanto al danno all’immagine, alla reputazione, all’onore e alla vita di relazione, il Collegio osserva che esso viene riferito causalmente ai seguenti “fatti” imputabili all’Ateneo resistente: “[…] l’accusa di aver falsificato gli statini, di aver violato le regole relative agli esami Erasmus e addirittura la sottoposizione a un lungo e impegnativo procedimento penale (durato circa 6 anni), hanno segnato in profondità la sfera esistenziale, emotiva e relazionale del ricorrente; tanto più che questo, beffardamente, versava in una situazione di piena ragione e buona fede, come accertato dall’assoluzione piena pronunciata dal Tribunale di Roma.

È facile a intuirsi come l’amministrazione, con la sua condotta illegittima e accanita, abbia cagionato radicali sconvolgimenti nell’equilibrio psicologico, nelle abitudini di vita e nelle relazioni interpersonali del ricorrente” (vedi memoria conclusionale, pag. 14, la quale peraltro non si discosta sul punto da quanto era già stato esposto nel ricorso).

Orbene, deve osservarsi che le condotte prese di mira da parte ricorrente, per come rappresentate negli scritti difensivi, concernono in modo pressoché esclusivo comportamenti e scelte dell’Università che riguardano: la determinazione della stessa di presentare una denuncia penale contro il ricorrente all’Autorità Giudiziaria, i contenuti di tale denuncia e la conseguente apertura di un procedimento penale, la sottoposizione al quale ha comportato per il ricorrente i (dedotti) danni non patrimoniali sopra elencati. Trattasi di condotte (in particolare il ricorrente si riferisce alla esposizione di fatti lesivi per la propria reputazione e per la propria immagine esposti nella denuncia penale, rivelatisi infondati) attinenti alla vicenda processuale penale e non al procedimento amministrativo che ha condotto, prima, alla sospensione della carriera universitaria del ricorrente e, poi, all’annullamento dei numerosi esami oggetto del provvedimento impugnato.

Non è infatti da quest’ultimo che il ricorrente fa discendere direttamente il danno non patrimoniale (all’immagine, alla reputazione, alla vita di relazione) lamentato, bensì da condotte anteriori non aventi il carattere del “comportamento amministrativo” (cfr. art. 7, copmma 1, c.p.a.).

I comportamenti contestati, invero, non possono essere qualificati come “amministrativi” ai sensi dell’art. 7, comma 1, c.p.a..

Trattasi, altresì, di condotte anteriori al provvedimento che, come visto, è stato assunto dall’Università resistente soltanto dopo la sentenza penale di assoluzione del ricorrente.

Deve pertanto ritenersi che le domanda del ricorrente volta al risarcimento del danno non patrimoniale (rilevante, dunque, ex art. 2059 cod. civ.) esuli dalla giurisdizione di questo Giudice Amministrativo in quanto non riferibile ad un’attività amministrativa, come invece richiesto dall’art. 30, comma 2, c.p.a. a mente del quale “2. Può essere chiesta la condanna al risarcimento del danno ingiusto derivante dall’illegittimo esercizio dell’attività amministrativa o dal mancato esercizio di quella obbligatoria.[…]”, mentre ai sensi dell’art. 7, comma 1, dello stesso c.p.a. “1. Sono devolute alla giurisdizione amministrativa le controversie, nelle quali si faccia questione di interessi legittimi e, nelle particolari materie indicate dalla legge, di diritti soggettivi, concernenti l’esercizio o il mancato esercizio del potere amministrativo, riguardanti provvedimenti, atti, accordi o comportamenti riconducibili anche mediatamente all’esercizio di tale potere, posti in essere da pubbliche amministrazioni….”.

La domanda diretta al risarcimento dei danni non patrimoniali, in conclusione, è inammissibile per difetto di giurisdizione.

10. Quanto, infine, alla domanda volta al rimborso delle spese universitarie sostenute per la frequenza del corso universitario di Medicina, il Collegio la ritiene infondata in quanto incompatibile con la domanda contestualmente svolta in ricorso (e non rinunciata) con la quale si chiede a questo Giudice di “a) accertare il diritto del ricorrente a essere ammesso a sostenere l’esame di laurea” (vedi, da ultimo la memoria conclusionale, pag. 17). Il diritto rivendicato non può che presupporre il riconoscimento degli esami sostenuti il quale è in contraddizione con la contemporanea deduzione di inutilità delle spese sostenute dal ricorrente per la frequenza dell’Università.

11. In conclusione merita parziale accoglimento la domanda risarcitoria per perdita di chance nei limiti e secondo le modalità di cui al superiore paragrafo 7.

Pertanto, visto l’art. 34, comma 4, c.p.a., l’Università degli studi di Roma “La Sapienza”, entro gg. 60 dal giorno della comunicazione ovvero, se anteriore, della notificazione della presente sentenza, sarà tenuta a proporre al ricorrente il pagamento di una somma a titolo di risarcimento del danno emergente patito (per perdita di chance), nei limiti di quanto riconosciuto dalla presente pronuncia e nel rispetto dei criteri e parametri sopra fissati (cfr. par. 7). Ai sensi dello stesso art. 34, comma 4 (ultimo periodo) se le parti non giungeranno, nel termine anzidetto, ad un accordo sull’ammontare dovuto ovvero non adempieranno agli obblighi scaturenti dall’accordo risarcitorio, con il ricorso di cui al Titolo I, Libro IV, c.p.a. potrà essere chiesta a questo TAR la determinazione della somma dovuta o, altrimenti, domandato l’adempimento degli obblighi contratti e rimasti ineseguiti.

Deve invece essere dichiarata inammissibile della domanda di risarcimento del danno non patrimoniale, per difetto di giurisdizione di questo Giudice.

Sono da respingere le ulteriori richieste risarcitorie avanzate dal ricorrente.

Le spese del giudizio seguono la soccombenza e riguardano l’intero primo grado di giudizio in quanto la sentenza parziale depositata aveva rimesso “al definitivo” la liquidazione delle spese stesse. L’importo liquidato in dispositivo tiene conto, peraltro, dell’accoglimento soltanto parziale delle istanze risarcitorie del ricorrente definite con la presente pronuncia.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto:

1) dichiara inammissibile per difetto di giurisdizione del Giudice adito la domanda del ricorrente volta alla condanna dell’Amministrazione al risarcimento del danno esistenziale, del danno all’immagine, alla reputazione, all’onore, alla vita di relazione, “quantificabile in euro 80.000,00, ovvero nella somma maggiore o minore che sarà ritenuta di giustizia”. Indica, ai sensi dell’art. 11 c.p.a., nel Giudice Ordinario quello munito della giurisdizione su tale domanda;

2) accerta e dichiara il diritto del ricorrente a essere ammesso, ove di suo interesse, a sostenere l’esame di laurea;

3) in parziale accoglimento della domanda di risarcimento dei danni patrimoniali articolata dal ricorrente, accertata la responsabilità dell’ente resistente per la causazione dei danni nei limiti definiti in motivazione, condanna l’Università degli studi di Roma “La Sapienza” al pagamento delle somme che risulteranno dovute sulla base dell’applicazione delle misure e dei criteri esposti in motivazione (par. 7);

4) ai sensi dell’art. 34, comma 4, c.p.a. onera l’Università stessa di proporre al ricorrente il pagamento di una somma congrua, ai sensi dei medesimi criteri, a titolo di risarcimento del danno, entro gg. 60 (sessanta) dal giorno dalla comunicazione o notificazione della presente sentenza;

5) respinge le restanti domande;

6) condanna l’Università degli studi di Roma “La Sapienza” al pagamento degli onorari del giudizio in favore di parte ricorrente che liquida, per l’intero primo grado, nella misura di Euro 3.000,00 (tremila/00) oltre Iva, Cassa Avvocati e rimborso del contributo unificato anticipato.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare la persona del ricorrente.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 febbraio 2020 con l’intervento dei magistrati:

Giuseppe Daniele, Presidente

Ugo De Carlo, Consigliere

Claudio Vallorani, Primo Referendario, Estensore