Per poter configurare una responsabilità contrattuale della casa farmaceutica, occorre individuare un inadempimento (o inesatto adempimento) rispetto ad un’obbligazione che si possa ritenere assunta dalla stessa nei confronti del paziente, ancorchè eseguita per il tramite di ausiliari; in difetto, risulta predicabile unicamente una responsabilità extracontrattuale.
Nè un siffatto rapporto di ausiliarietà fra medici sperimentatori e casa farmaceutica può essere presunto per il solo fatto che tale ultima sia stata promotrice della sperimentazione, dovendosi accertare in concreto, in base alla concreta conformazione della convenzione di sperimentazione fra la casa farmaceutica produttrice del farmaco e la struttura ospedaliera nel cui ambito si è svolta la sperimentazione (mediante la somministrazione del farmaco ai pazienti), se vi sia stata partecipazione – anche mediata – della casa farmaceutica al reclutamento e alla gestione dei pazienti sottoposti alla cura sperimentale, tale da consentire di qualificare la struttura ospedaliera e i medici “sperimentatori” come ausiliari della prima, in modo da poter predicare la responsabilità della società farmaceutica ai sensi degli artt. 1218 e 1228 c.c..
SENTENZA
sul ricorso 18482/2018 proposto da:
ROCHE SPA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PO 43, presso lo studio dell’avvocato CESARE MASSIMO BIANCA, rappresentata e difesa dall’avvocato PIETRO SIRENA;
– ricorrente –
contro
AZIENDA OSPEDALIERA UNIVERSITARIA (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIOVANNI BETTOLO 52, presso lo studio dell’avvocato LEOPOLDO BRINDISI, rappresentata e difesa dall’avvocato STANISLAO GIAMMARINO;
– controricorrente –
ZURICH INSURANCE PUBLIC LIMITED COMPANY, RAPPRESENTANZA GENERALE PER L’ITALIA, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FABIO MASSIMO, 95, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI PIERI NERLI, che 1a rappresenta e difende;
– controricorrente –
e contro
I.R.;
– intimata –
nonchè da:
AZIENDA OSPEDALIERA UNIVERSITARIA (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIOVANNI BETTOLO 52, presso lo studio dell’avvocato LEOPOLDO BRINDISI, rappresentata e difesa dall’avvocato STANISLAO GIAMMARINO;
– ricorrente incidentale –
e contro
ROCHE SPA, ZURICH INSURANCE PUBLIC LIMITED COMPANY RAPPRESENTANZA GENERALE PER L’ITALIA, I.R.;
– intimati –
avverso la sentenza n. 1926/2018 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 27/04/2018;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 04/12/2020 dal Consigliere Dott. DANILO SESTINI;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PEPE Alessandro.
Svolgimento del processo
I.R. convenne in giudizio l’Azienda Ospedaliera (OMISSIS) e la casa farmaceutica Roche s.p.a. per sentirle condannare, in solido, al risarcimento dei danni (per “responsabilità precontrattuale, contrattuale ed extracontrattuale”) conseguiti alla partecipazione ad una sperimentazione medica a base di Herceptin sponsorizzata dalla Roche e svolta presso l’Azienda Ospedaliera – per il trattamento in fase adiuvante del carcinoma mammario.
Dedusse che, dopo essere stata trattata con intervento chirurgico di asportazione parziale e con terapia adiuvante mediante chemioterapici, nel mese di (OMISSIS) era stata invitata a partecipare alla sperimentazione da due dottoresse del Policlinico di (OMISSIS), ricevendo informazioni generiche e senza che le venisse adeguatamente rappresentata la portata dei rischi cardiologici; che già dopo due mesi dall’inizio del trattamento si erano presentate problematiche cardio-circolatorie; che nel mese di (OMISSIS) era stata sottoposta ad ecocardiogramma, a seguito del quale i sanitari avevano sospeso il trattamento; che nel mese di (OMISSIS), a seguito di un nuovo malore, le era stato diagnosticato uno scompenso cardiaco dovuto a patologia cardiovascolare; che tale patologia era diretta conseguenza della somministrazione dell’Herceptin, risultando come possibile effetto collaterale anche dal modulo illustrativo utilizzato per il rilascio del consenso informato.
Richiese pertanto l’affermazione della responsabilità di entrambe le convenute, con loro condanna solidale al risarcimento dei danni nell’importo di oltre 519.000,00 Euro.
Si costituirono in giudizio sia l’Azienda Ospedaliera che la Roche s.p.a., entrambe resistendo alla domanda e chiamando in causa, per l’eventuale manleva, la Zurich International Italia s.p.a..
Quest’ultima si costituì anch’essa in giudizio ed eccepì l’inammissibilità della chiamata da parte dell’Azienda (con la quale non aveva stipulato polizze assicurative) e l’inoperatività della copertura in favore della Roche.
Il Tribunale di Napoli accolse la domanda della I. per l’importo di 138.000,00 Euro (oltre accessori), con condanna solidale delle due convenute, rigettando invece le domande di manleva.
La Corte di Appello di Napoli ha confermato la sentenza, rigettando sia il gravame principale della Roche che quello incidentale dell’Azienda Ospedaliera, Ha affermato la Corte territoriale – per quanto di interesse in questa sede – che l’attività delle aziende farmaceutiche deve essere inquadrata, per le sue intrinseche caratteristiche, nell’ambito delle attività pericolose, ai sensi dell’art. 2050 c.c.. Tuttavia, nel caso specifico, il fatto che la società Roche si fosse fatta promotrice di un programma sperimentale di cura, da svolgere col farmaco da essa prodotto e somministrato alla I., “attraverso un protocollo attuato da medici indicati come sperimentatori delegati”, andava a mutare la natura del rapporto tra la casa farmaceutica e il paziente utilizzatore del farmaco. Confermando l’impostazione data dal Tribunale, la Corte d’appello ha pertanto ritenuto che la figura dello sperimentatore delegato consentisse di inquadrare nell’ambito contrattuale anche il rapporto tra la società Roche e la I., ravvisando nella specie gli estremi del “contatto sociale” (e ciò tanto più in quanto la casa farmaceutica non aveva dimostrato in alcun modo l’inesistenza di un rapporto o collegamento tra sè e i medici della struttura ospedaliera napoletana). Da tale impostazione, la Corte di merito ha quindi ritenuto di trarre la conclusione che i connotati della colpa medica dovevano essere valutati “nell’ambito del diverso schema giuridico contrattuale”.
Ciò premesso, la sentenza ha osservato che l’appellante principale aveva sostenuto che i danni riportati dalla I. non erano da ricondurre al principio attivo trastuzumab contenuto nel farmaco Herceptin (i cui effetti cardiotossici erano normalmente reversibili con la sola sospensione dell’assunzione del farmaco), quanto piuttosto ai farmaci chemioterapici antraciclinici a lei somministrati in precedenza. Esaminando tale censura, la Corte d’appello ha premesso che tale argomento “pretende di provare troppo” e che la responsabilità sia dell’Azienda ospedaliera che della società Roche era da ravvisare “non tanto e, comunque, non solo nella inadeguatezza delle informazioni somministrate prima della sottoposizione al programma sperimentale”, quanto invece nella “inadeguata valutazione della ben maggiore incidenza del rischio di insorgenza di gravi patologie cardiologiche” conseguente alla somministrazione di quel farmaco “in pazienti già affetti da cardiopatie e già sottoposti a chemioterapia con antibiotici antraciclinici”. In altri termini, gli appellanti si erano concentrati sul punto della correttezza e completezza delle informazioni fornite alla paziente anche in ordine ai possibili effetti cardiotossici del farmaco, ma non avevano in alcun modo superato la motivazione resa dal Tribunale che aveva mosso loro, essenzialmente, la contestazione di un’errata valutazione del rapporto costi-benefici ai fini dell’inserimento della I. nel programma sperimentale. Ha concluso che la correttezza del comportamento dei sanitari curanti nel periodo successivo alla manifestazione delle gravi patologie cardiologiche della paziente non poteva quindi incidere “sulla inadeguata valutazione della possibilità per la stessa di sottoporsi al protocollo sperimentale”.
Ha proposto ricorso per cassazione la Roche s.p.a., affidandosi a tre motivi; l’Azienda Ospedaliera Universitaria (OMISSIS) ha notificato controricorso con cui ha aderito al terzo motivo del ricorso, mentre ha resistito al primo e al secondo; la Zurich Insurance Public Limited Company, Rappresentanza Generale si è costituita per far rilevare l’intervenuta formazione del giudicato sul rigetto delle domande di garanzia; la lodo non ha svolto attività difensiva.
Il ricorso è stato rimesso alla pubblica udienza con ordinanza interlocutoria n. 16347/20.
Tutte le parti costituite hanno depositato memoria.
Motivi della decisione
IL RICORSO DELLA ROCHE S.P.A..
1. Con il primo motivo, la Roche denuncia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), la violazione o falsa applicazione dell’art. 1218 c.c., in relazione alla parte della sentenza impugnata nella quale la Corte d’appello ha riconosciuto a carico della società farmaceutica una responsabilità contrattuale da “contatto sociale”.
Sostiene la ricorrente che non si era instaurato “alcun contatto sociale qualificato tra la società appellante e la signora I., il quale possa costituire la fonte di reciproci rapporti obbligatori, posto che non è stato stipulato da Roche alcun contratto con la signora I., nè è ravvisabile un contatto sociale qualificato tra le parti”; tanto più che “il giudice di secondo grado, così come quello di primo grado, fonda il risarcimento del danno sulla negligenza, imprudenza, imperizia ascrivibile ai medici che hanno avuto in cura la lodo, per non averne adeguatamente valutato le condizioni pregresse, ai fini della sua idoneità alla sottoposizione del programma terapeutico sperimentale con il farmaco Herceptin”, ossia su un fatto che non è ascrivibile alla Roche o a soggetti da essa dipendenti.
La censura evidenzia, inoltre, che “la produzione e la commercializzazione di farmaci, ovvero il loro impiego nell’ambito di terapie anche sperimentali, non implica tecnicamente alcun tipo di immediata prossimità con il malato che li assume”, considerato che “il ruolo della casa farmaceutica consiste nel fornire alle strutture sanitarie i farmaci, anche sperimentali, lasciando al medico ogni scelta di somministrazione e/o, in caso di cure sperimentali, di valutazione di idoneità del paziente”.
In conclusione, quindi, la società Roche rileva che a suo carico potrebbe sussistere, in astratto, solo una responsabilità da fatto illecito e mai da contatto sociale.
1.2. Il motivo è fondato, nei termini seguenti.
Va premesso che la categoria della responsabilità da “contatto sociale” in ambito di responsabilità sanitaria venne elaborata (a partire da Cass. n. 589/1999) per inquadrare secondo il paradigma contrattuale la responsabilità dei medici dipendenti di strutture sanitarie che, pur in assenza di un rapporto propriamente contrattuale coi pazienti, entravano tuttavia in rapporto immediato con gli stessi, effettuando prestazioni in tutto sovrapponibili a quelle scaturenti da un contratto di prestazione di opera professionale; una siffatta categoria giuridica (ormai superata, nello specifico ambito sanitario, a seguito dell’entrata in vigore della L. n. 24 del 2017, art. 7, che ha ricondotto in ambito extracontrattuale la responsabilità del sanitario esercente la propria attività alle dipendenze di una struttura, “salvo che abbia agito nell’adempimento di obbligazione contrattuale assunta con il paziente”) presuppone dunque l’accertamento di un rapporto diretto fra due soggetti (il “contatto”, per l’appunto) che valga a far sorgere obblighi di condotta assimilabili a quelli derivanti dal contratto e che comporti una successiva valutazione in termini contrattuali dell’eventuale responsabilità conseguente alla prestazione svolta.
Tanto rilevato, va esclusa – nel caso specifico – la possibilità di fondare la responsabilità contrattuale della casa farmaceutica su un “contatto sociale” che certamente non vi è stato, giacchè è pacifico che la I. ha avuto rapporti diretti soltanto con i sanitari dell’Azienda Ospedaliera.
L’affermazione di una responsabilità (non “da contatto”, ma propriamente) contrattuale può pertanto conseguire soltanto all’accertamento dell’assunzione, da parte della Roche, di un’obbligazione nei confronti della I. a seguito del suo reclutamento nel programma sperimentale; e ciò sia direttamente che indirettamente e, in questo secondo caso, a condizione che tale reclutamento risulti riferibile (oltrechè alla struttura ospedaliera) anche alla casa farmaceutica, in modo che l’inadempimento individuato a carico dei sanitari (quale quello evidenziato dalla Corte territoriale) risulti imputabile anche alla società farmaceutica a norma dell’art. 1228 c.c..
Un siffatto accertamento non è stato compiuto dalla Corte di Appello, che si è limitata a affermare che la Roche non aveva fornito nessun elemento idoneo a contestare l’ipotesi del “contatto sociale”, “non avendo affatto dimostrato, ma invero neppure dedotto, che lo sperimentatore delegato che si è occupato di raccogliere tutti i dati significativi, ai fini della sottoponibilità della paziente I. alla cura sperimentale (…), non abbia con essa nessun rapporto o collegamento”.
Si tratta, tuttavia, di un assunto radicalmente viziato, giacchè predica l’esistenza del contatto sociale tra la Roche e la paziente sulla base di un rapporto intervenuto direttamente tra gli “sperimentatori delegati” e la I. (ossia in pacifica assenza di “contatto” tra la casa farmaceutica e la paziente), senza preoccuparsi di accertare compiutamente il contenuto del rapporto intercorso fra la Roche e l’Azienda Ospedaliera che consenta di qualificare i medici sperimentatori come ausiliari (non solo dell’Azienda, ma anche) della casa farmaceutica, della quale la stessa si sia valsa nell’adempimento di un’obbligazione assunta nei confronti della I..
Nè un siffatto rapporto di ausiliarietà fra medici sperimentatori e casa farmaceutica può essere presunto per il solo fatto che la Roche sia stata promotrice della sperimentazione, dovendosi accertare in concreto, in base alla concreta conformazione della convenzione di sperimentazione fra la casa farmaceutica produttrice del farmaco e la struttura ospedaliera nel cui ambito si è svolta la sperimentazione (mediante la somministrazione del farmaco ai pazienti), se vi sia stata partecipazione – anche mediata – della casa farmaceutica al reclutamento e alla gestione dei pazienti sottoposti alla cura sperimentale, tale da consentire di qualificare la struttura ospedaliera e i medici “sperimentatori” come ausiliari della prima, in modo da poter predicare la responsabilità della società farmaceutica ai sensi degli artt. 1218 e 1228 c.c.; ove non emerga una siffatta riconducibilità dell’attività degli sperimentatori alla casa farmaceutica (per la quale non è sufficiente la sola esistenza di un interesse ai risultati della sperimentazione), la responsabilità della casa farmaceutica non può essere affermata in termini contrattuali, ma, eventualmente a titolo extracontrattuale, in relazione alle fattispecie di cui all’art. 2050 c.c. o all’art. 2043 c.c., semprechè ne risultino provati tutti gli elementi.
Si vuol dire, in altri termini) che, per poter configurare una responsabilità contrattuale della casa farmaceutica, occorre individuare un inadempimento (o inesatto adempimento) rispetto ad un’obbligazione che si possa ritenere assunta dalla stessa nei confronti del paziente, ancorchè eseguita per il tramite di ausiliari; in difetto, risulta predicabile unicamente una responsabilità extracontrattuale.
Nè, in relazione all’inquadramento della responsabilità del promotore di una sperimentazione clinica, possono desumersi elementi univoci dal D.Lgs. n. 211 del 2003, recante “attuazione della direttiva 2001/20/CE relativa all’applicazione della buona pratica clinica nell’esecuzione delle sperimentazioni cliniche di medicinali per uso clinico”.
Dopo aver individuato (all’art. 1) il “campo di applicazione” ed aver fornito (all’art. 2) le “definizioni” necessarie (comprese quelle di “promotori della sperimentazione”, di “sperimentatore” e di “soggetto” che partecipa alla sperimentazione), il D.Lgs., prevede (all’art. 3, comma 1, lett. f) che lo sperimentatore provveda alla copertura assicurativa relativa al risarcimento dei danni cagionati ai “soggetti” dall’attività di sperimentazione, a copertura della responsabilità dello sperimentatore e dello stesso promotore; stabilisce altresì (all’art. 6, commi 2 e 6) che il rapporto fra il promotore e il centro sperimentale sia disciplinato da un contratto e prevede l’eventualità che siano previsti compensi in favore degli sperimentatori e indennità a favore dei soggetti inclusi nella sperimentazione.
Con ciò, non risulta tuttavia sciolto il nodo della qualificazione del rapporto fra il promotore della sperimentazione e il “soggetto” che vi viene sottoposto dal centro sperimentale e, con esso, quello della natura (se contrattuale o extracontrattuale) della eventuale responsabilità del promotore nei confronti del soggetto medesimo. Un tale esito consegue – a ben vedere – alla variabilità della posizione che può essere assunta dal promotore (che l’art. 2, definisce come colui che “si assume la responsabilità di avviare, gestire e/o finanziare una sperimentazione clinica”) e dei possibili contenuti del contratto fra il promotore e il centro sperimentale, che possono – di volta in volta – comportare oppure escludere una ingerenza del promotore nella fase di esecuzione (che l’art. 2, affida alla responsabilità dello sperimentatore).
Deve pertanto ritenersi che, anche a fronte della disciplina di cui al D.Lgs. n. 211 del 2003, l’inquadramento dell’eventuale responsabilità del promotore della sperimentazione nei confronti del soggetto che vi si sia sottoposto comporti la necessità di verificare caso per caso – se la sperimentazione sia stata demandata integralmente allo sperimentatore o se il promotore abbia conservato una gestione della stessa che consenta, per i suoi concreti contenuti, di imputargli direttamente o indirettamente (per il tramite dell’attività svolta da ausiliari) anche i danni conseguenti ad errori verificatisi nella fase di esecuzione (come quello di “reclutamento” individuato dal giudice di merito nel caso in esame).
Deve dunque affermarsi, in termini generali, che la casa farmaceutica che abbia promosso, mediante la fornitura di un farmaco, una sperimentazione clinica – eseguita da una struttura sanitaria a mezzo dei propri medici – può essere chiamata a rispondere a titolo contrattuale dei danni sofferti dai soggetti cui sia stato somministrato il farmaco, a causa di un errore dei medici “sperimentatori”, soltanto ove risulti, sulla base della concreta conformazione dell’accordo di sperimentazione, che la struttura ospedaliera e i suoi dipendenti abbiano agito quali ausiliari della casa farmaceutica, sì che la stessa debba rispondere del loro inadempimento (o inesatto adempimento) ai sensi dell’art. 1228 c.c.; in difetto, a carico della casa farmaceutica risulta predicabile soltanto una responsabilità extracontrattuale (ai sensi dell’artt. 2050 c.c. o, eventualmente, dell’art. 2043 c.c.), da accertarsi secondo le regole proprie della stessa.
1.3. Il motivo va pertanto accolto, con cassazione della sentenza e rinvio alla Corte territoriale, che dovrà riesaminare la vicenda alla luce dei principi sopra individuati e facendo specifico riferimento alla concreta conformazione della convenzione disciplinante la sperimentazione.
2. Con il secondo motivo, la ricorrente denuncia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione o falsa applicazione dell’art. 2050 c.c. e dell’art. 2697 c.c., contestando in particolare l’affermazione della Corte territoriale secondo cui l’attività di produzione e vendita di farmaci costituirebbe un’attività pericolosa (della quale, peraltro, non era “più dato discorrere”, una volta inquadrata la fattispecie in ambito contrattuale) e il rilievo che “neppure la parte appellante (aveva) specificato come la diversa qualificazione secondo lo schema della responsabilità extracontrattuale di cui all’art. 2050 c.c., avrebbe inciso sulla decisione censurata”.
Osserva la società ricorrente di non aver mai qualificato l’attività posta in essere dalla stessa quale attività pericolosa ai sensi dell’art. 2050 c.c. (e, anzi, di aver sempre ritenuto non applicabile la suddetta disciplina) ed aggiunge di aver dedotto, con l’atto di appello, che doveva essere esclusa l’applicabilità dell’art. 2050 c.c., alla casa farmaceutica, dato che la stessa aveva affidato la sperimentazione alla Azienda Ospedaliera “senza che sia sussistito alcun vincolo di subordinazione tra committente ed esecutore”. Conclude che la vicenda avrebbe dovuto essere esaminata alla luce del paradigma dell’art. 2043 c.c., “con conseguente violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c.”, dato che la Toro non aveva provato il nesso causale fra il danno subito ed un illecito commesso dalla Roche, nè aveva dimostrato la sussistenza della colpa in capo alla società farmaceutica.
2.1. Il motivo, di per sè inammissibile, è comunque assorbito a seguito dell’accoglimento del primo:
è inammissibile poichè, non investendo una statuizione che abbia affermato la responsabilità della Roche ai sensi dell’art. 2050 c.c. o dell’art. 2043 c.c. (avendo, al contrario, la sentenza affermato la responsabilità esclusivamente a titolo contrattuale), difetta l’interesse della ricorrente alle censure;
è comunque assorbito, in quanto la questione della eventuale responsabilità della Roche e, in ipotesi, quella della sua esatta qualificazione dovranno costituire oggetto di riesame nel giudizio di rinvio disposto in esito all’accoglimento del primo motivo.
3. Col terzo motivo, la Roche lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione o falsa applicazione dell’art. 2043 c.c. e dell’art. 115 c.p.c., sostenendo che la Corte d’appello avrebbe omesso di accertare e valutare, ai fini della responsabilità, l’incidenza causale del pregresso uso di farmaci chemioterapici antraciclinici da parte della paziente.
Osserva la ricorrente che la patologia lamentata dalla I. sarebbe da ricondurre, come ampiamente dimostrato dalla relazione del c.t. di parte, non tanto al principio attivo trastuzumab contenuto nel farmaco Herceptin, quanto piuttosto ai farmaci chemioterapici antraciclinici a lei somministrati in precedenza, notoriamente cardiotossici come da costante letteratura sull’argomento; con il che nessuna responsabilità risarcitoria potrebbe essere posta a carico della società farmaceutica.
Oltre a ciò, la ricorrente rileva – in punto di adeguatezza delle informazioni fornite alla I. – che, nel momento in cui la sperimentazione ebbe luogo, non vi erano farmaci altrettanto validi e alternativi rispetto all’Herceptin, per cui non sarebbe ragionevole dire che la I., ove fosse stata meglio informata sulle controindicazioni, non avrebbe consentito a sottoporsi alla terapia sperimentale.
3.1. Il motivo, di per sè inammissibile, resta comunque assorbito -come il precedente – dall’accoglimento del primo:
esso è basato, infatti, sull’assunto dell’applicabilità dell’art. 2043 c.c. (testualmente: “in accoglimento dei primi due motivi di ricorso, ritenendo applicabile la disciplina di cui all’art. 2043 c.c. e ai fini della decisione nel merito si rileva quanto segue”) e, senza investire statuizioni della sentenza integranti erronea ricognizione o falsa applicazione dell’art. 2043 c.c., si limita a contestare la configurabilità della responsabilità anche ai sensi di tale norma (per insussistenza di nesso causale fra la somministrazione dell’Herceptin e la patologia cardiaca); il motivo è pertanto privo di concreto interesse in quanto la violazione dell’art. 2043 c.c. non è dedotta in relazione a specifiche affermazioni della sentenza impugnata, ma è soltanto postulata per l’ipotesi che si valutasse la vicenda in chiave di responsabilità extracontrattuale;
il motivo è inammissibile anche in relazione alla censura di violazione dell’art. 115 c.p.c., giacchè la stessa non risulta dedotta in conformità ai parametri individuati dalla giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass., S.U. n. 16598/2016, Cass. n. 11892/2016 e Cass. n. 27000/2016): infatti, un’eventuale erronea valutazione del materiale istruttorio non determina, di per sè, la violazione o falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., che ricorre solo allorchè si deduca che il giudice di merito abbia posto alla base della decisione prove non dedotte dalle parti o disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali (salva la possibilità di ritenere provati i fatti non specificamente contestati e di far ricorso alle nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza);
come anticipato, il motivo resta comunque assorbito dall’accoglimento del primo motivo, giacchè la questione del nesso di causa e dell’adeguatezza dell’informazione fornita alla I. potranno acquisire rilevanza nell’ambito della nuova valutazione diretta ad accertare l’eventuale responsabilità contrattuale o extracontrattuale della casa farmaceutica.
IL CONTRORICORSO DELLA AZIENDA OSPEDALIERA. 4. L’Azienda ospedaliera, pur avendo depositato un atto intestato semplicemente come “controricorso”, ha resistito all’accoglimento del primo e del secondo motivo della Roche, mentre ha prestato adesione all’accoglimento del terzo; rispetto a quest’ultimo, pertanto, l’Azienda è in effetti ricorrente incidentale adesiva (cfr. Cass. n. 12764/2003, Cass. n. 26505/2009 e Cass. n. 24155/2017).
4.1. Ma l’Azienda non si è limitata a tanto, perchè nel proprio atto difensivo (v. pp. 13-21) ha svolto una serie di ulteriori considerazioni che costituiscono, in effetti, un autonomo motivo di ricorso incidentale (consentito alla luce delle pronunce di legittimità sopra richiamate, fatta salva la necessità del rispetto del termine di cui all’art. 327 c.p.c., comma 1).
In particolare, l’Azienda ha ricostruito le modalità con le quali la I. fu inserita nel programma sperimentale e ha lamentato che la sentenza impugnata abbia incolpato i sanitari dell’ospedale di non aver adeguatamente informato la paziente dei possibili effetti collaterali del farmaco. Ciò non risponderebbe a verità, perchè l’informazione era stata completa (con espressa indicazione dei rischi cardiologici conseguenti all’uso del farmaco) e il modulo sottoscritto dalla I. era chiaro e conteneva la previsione della possibilità che la terapia venisse sospesa in caso di problemi cardiaci sopravvenuti. Dal che consegue, nell’assunto dell’Azienda ospedaliera, che la sentenza impugnata, svalutando del tutto la portata del consenso della paziente, si porrebbe “in aperto contrasto con il consolidato orientamento giurisprudenziale che individua nel consenso consapevole ed informato il vero e proprio presupposto di liceità dell’attività del medico”.
4.2. A prescindere dalle questioni di rito individuate dall’ordinanza interlocutoria di rimessione alla pubblica udienza (attinenti alla “tardività o meno di tale impugnazione e alla possibilità di usufruire della regola di cui all’art. 334 c.p.c., comma 1”), ritiene il Collegio che il ricorso incidentale possa essere definito – secondo il criterio della ragione più liquida – nel senso della inammissibilità.
4.2.1. In punto di validità del consenso, esso svolge censure che non risultano pertinenti al contenuto della sentenza impugnata o, comunque, a rilievi della stessa aventi carattere decisivo; sentenza che -si badi- non afferma in modo univoco l’inadeguatezza dell’informazione fornita alla I. (“la responsabilità delle appellanti è da ravvisarsi non tanto e, comunque, non solo per l’inadeguatezza delle informazioni somministrate prima della sottoposizione al programma sperimentale”; “rilievo del tutto secondario e marginale assumeva il consenso della I., seppur validamente reso e correttamente informata”), ma si limita a considerare che la paziente, “seppure adeguatamente informata”, non era in grado di “soppesare il rapporto rischi/benefici”; rilievo che, senza postulare la necessità che venissero fornite ulteriori informazioni, risulta funzionale all’affermazione della necessità che i medici prestassero maggiore attenzione alle condizioni pregresse della donna prima di effettuarne il reclutamento nella sperimentazione (testualmente: “ciò che viene imputato a responsabilità delle appellanti è proprio l’inadeguata valutazione della ben maggiore incidenza del rischio di insorgenza di gravi patologie cardiologiche, allorchè il farmaco sperimentale in argomento fosse stato somministrato in pazienti già affetti da cardiopatie e già sottoposti a terapia chemioterapica con antibiotici antraciclinici”); dal che emerge chiaramente come la responsabilità non sia stata affermata per l’inadeguatezza delle informazioni finalizzate all’espressione del consenso della paziente, ma per il diverso inadempimento costituito dall’aver omesso di considerare, ai fini del reclutamento, l’esistenza di controindicazioni al trattamento sperimentale.
4.2.2. Le ulteriori censure relative alla erronea individuazione del nesso eziologico fra la somministrazione dell’Herceptin e la patologia cardiaca, quand’anche considerate a prescindere dalle ragioni di inammissibilità evidenziate in relazione al terzo motivo del ricorso Roche, risultano inammissibili in quanto non evidenziano errori di diritto, ma sollecitano una rivalutazione di merito che non è consentita in sede di legittimità.
4.2.3. Il ricorso incidentale dell’Azienda Ospedaliera va dunque dichiarato inammissibile poichè, quanto ai profili relativi al consenso della paziente, risulta privo di concreto interesse per non essere pertinente al tenore della sentenza e, quanto al resto, involge accertamenti di fatto.
5. Non spetta il rimborso delle spese in favore della Zurich Insurance in quanto la stessa non aveva interesse a resistere al ricorso della Roche, che non ha impugnato la statuizione con cui la Corte di Appello ha ribadito l’inoperatività della garanzia assicurativa (rispetto alla quale la Zurich si è, in effetti, limitata a rilevare l’avvenuto passaggio in giudicato).
6. Ogni altra questione sulle spese di lite va rimessa al giudice del rinvio.
7. Sussistono, in relazione al ricorso incidentale, le condizioni per l’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo del ricorso della Roche s.p.a., dichiarando assorbiti gli altri due; cassa in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di Appello di Napoli, in diversa composizione, anche per le spese di lite, che compensa fin d’ora nei rapporti fra la Roche s.p.a. e la Zurich Insurance;
dichiara inammissibile il ricorso incidentale della Azienda Ospedaliera Universitaria (OMISSIS);
ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma 1-bis dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 4 dicembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 20 aprile 2021