Il medico di base che rilasci falsa certificazione di malattia al suo assistito, benché non abbia un rapporto di servizio con l’ASL e non con l’amministrazione cui appartiene il dipendente, risponde comunque del danno all’immagine cagionato a quest’ultima, qualora concorra a cagionarlo con dolosa violazione dei suoi doveri di servizio, ai sensi dell’art. 1 comma 4 L. n. 20/1994 (c.d. responsabilità obliqua).
La condotta del medico, che predispone un certificato retrodatato, attestante una situazione solo riferita dal paziente, in assenza di una visita medica e, dunque, senza una verifica de visu sulle effettive condizioni di salute del proprio assistito e sull’esatto stato della sua malattia, risulta connotata da dolo e si pone come concausa necessaria della realizzazione dell’evento dannoso determinando la possibilità per il dipendente di beneficiare indebitamente del periodo di malattia retribuita.
In materia di responsabilità amministrativa non vige il principio di tassatività delle condotte e dell’illecito, e quindi la circostanza che la disposizione in esame (sul risarcimento del danno di immagine in presenza di falso certificato), sia espressamente riferita al solo lavoratore non implica l’esclusione della responsabilità amministrativa per altri soggetti che abbiano concorso dolosamente in questo danno (in presenza beninteso di loro precisi obblighi di servizio violati e degli altri presupposti della responsabilità amministrativa).

Corte dei Conti Calabria, Sez. giurisdiz., Sent., (data ud. 15/12/2021) 22/03/2022, n. 64

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE DEI CONTI

SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE CALABRIA

Composta dai seguenti magistrati:

Luigi Cirillo – Presidente

Carlo Efisio Marrè Brunenghi – Referendario

Guido Tarantelli – Giudice relatore

SENTENZA

Nel giudizio di responsabilità iscritto al n. 23019 del registro di Segreteria, promosso

da

Procura presso la Sezione giurisdizionale per la Regione Calabria della Corte dei conti, PEC: calabria.procura@corte-conticert.it

attore

nei confronti di

R.F. (C.F. (…)), nato a C. il (…) ed ivi residente in via A., n.1 ed elettivamente domiciliato in Catanzaro alla Via Milano, n.9, nello studio dell’avv. Aldo Aloi (C.F.:(…)) che lo rappresenta e difende, unitamente all’avv. Antonella Canino, per procura in calce alla comparsa di costituzione (fax: (…) p.e.c.: aldo.aloi@avvocaticatanzaro.legalmail.it);

R.A., nato a C. il (…) (C.F. (…)), residente in M. (C.), elettivamente domiciliato in Catanzaro presso lo studio dell’Avv. Emma Izzi (C.F. (…), tel. e fax: (…); pec: emma.izzi@avvocaticatanzaro.legalmail.it) che lo rappresenta e difende unitamente all’Avv. Francesco Iacopino (C.F. (…), pec: avvfrancescoiacopino@pec.giuffre.it), giusta procura in calce alla comparsa di costituzione con atto separato

convenuti

– esaminati gli atti e i documenti di causa;

– nella pubblica udienza del 15 dicembre 2021, data per letta la relazione sul consenso delle parti e uditi il S.P.G. dott.ssa F.P., per il convenuto R.A. i difensori costituiti Avvocati Francesco Iacopino e Emma Izzi e per il convenuto R.F. l’Avvocato Antonella Canino, per delega del difensore costituito Avv. Aldo Alo, che concludevano come da verbale di udienza.

Svolgimento del processo
1. Con atto di citazione depositato in data 22.6.2021 la Procura regionale citava in giudizio i signori F.R. e A.R. per sentirli condannare in solido tra loro al risarcimento del danno di Euro 6.489,43, in favore della Polizia di Stato – Questura di Catanzaro – Sezione Polizia Giudiziaria presso la Procura di Catanzaro, oltre alla rivalutazione monetaria dalla data dell’evento lesivo, agli interessi legali dalla data di pubblicazione dell’emananda sentenza di condanna e alle spese di giustizia.

1.1 A sostegno della domanda la Procura rappresentava che la Guardia di Finanza, in data 16 aprile 2019, aveva formulato una segnalazione di danno erariale emersa a seguito di indagini compiute in relazione al procedimento penale n. 3882/18 R.G.N.R., presso la Procura della Repubblica di Catanzaro, riferite a condotte assenteistiche fraudolente da parte del sig. F.R. – Sovrintendente capo coordinatore della Polizia di Stato in forza alla Sezione di Polizia Giudiziaria della Procura della Repubblica di Catanzaro – avvalendosi della predisposizione e produzione da parte del dott. A.R., suo medico di base, di due false attestazioni dello stato di malattia ai fini della giustificazione di assenze dal servizio.

Nella prospettazione della Procura Regionale, le indagini della Guardia di Finanza, anche mediante l’effettuazione di intercettazioni telefoniche, avevano consentito di riscontrare che nel periodo 31 ottobre – 31 dicembre 2018 il Sovrintendente F.R. si assentava dal servizio, per complessivi quindici giorni, in opportuna corrispondenza di festività o c.d. “ponti”, sulla scorta di certificazione sanitaria, ritenuta ideologicamente falsa, redatta dal medico di base A.R. su indicazione del R..

In particolare, il primo episodio – avvenuto in occasione del Ponte “di Ognissanti” dell’ottobre-novembre 2018 – emergeva da una captazione telefonica del 5 novembre 2018, ore 16.19, di una telefonata effettuata da F.R. al proprio medico di base, dott. R., per farsi rilasciare, senza alcuna visita, una certificazione medica retrodatata, in quanto relativa a un periodo antecedente la conversazione.

In tale colloquio il sig. R. indicava al medico sia la patologia da certificare (lombosciatalgia, artrosi cervicale e coxartosi) che i giorni (cinque) necessari per la risoluzione dell’asserita problematica sanitaria, concordando sul deposito del certificato presso un “tabacchino”. Tale circostanza trovava conferma in successiva captazione telefonica tra il sig. R. e la propria moglie, concernente una telefonata intercorsa alle ore 18.23 del 5 novembre 2018.

La rilevazione del c.d. “positioning” compiuta dalla Guardia di Finanza aveva poi evidenziato come nel lasso temporale menzionato (31 ottobre – 4 novembre 2018) il telefono cellulare del R. avesse agganciato, in corrispondenza di alcune conversazioni registrate, celle telefoniche site in varie località ben distanti dal domicilio dello stesso palesando – nella prospettazione della Procura contabile – la verosimile inesistenza di situazioni patologiche incompatibili con la presenza in servizio nel periodo di asserita “malattia”.

Dalla comunicazione della Sezione di Polizia Giudiziaria della Polizia dello Stato, presso cui era in organico il R., risultava effettivamente che nel periodo dal 31 ottobre al 4 novembre 2018 il Sovrintendente R. era stato assente dal servizio per congedo straordinario sulla base di una certificazione medica a firma del dott. A.R. con data del 31 ottobre 2018 che prescriveva cinque giorni di cura e riposo certificandolo affetto da coxartrosi sinistra, cervicoartrosi e lomboartrosi.

Il secondo episodio contestato atteneva all’assenza dal servizio del R. in occasione delle festività natalizie del 2018; rilevavano, al riguardo, quattro conversazioni telefoniche captate tramite intercettazione tra il R. e il dott. R. e tra il R. e la moglie, intercorse nei giorni 21 e 22 dicembre 2018.

In particolare, dalla conversazione telefonica captata alle ore 10.05 del 21 dicembre 2018 tra il R. e il medico R. emergerebbe come sia lo stesso R. a richiedere in modo esplicito un certificato, precisando al proprio medico curante che gli invierà un messaggio via whatsapp, per indicargli la diagnosi da attestare.

Al fine di acclarare la condotta fraudolenta contestata, venivano richiamate nell’atto introduttivo le conversazioni telefoniche intercettate il 22 dicembre e, in particolare, la conversazione delle ore 9.32 nella quale il R. “redarguisce il R., contestandogli di aver predisposto un certificato medico sbagliato rispetto a quanto richiesto (con il messaggio whatsapp)”, avendo indicato una diagnosi – contusione del piede e del collo del piede – diversa da quella pretesa dal R., ossia coxartrosi e lombosciatalgia, “atteso che quest’ultima patologia avrebbe permesso al R. di simulare con maggior plausibilità uno stato di malattia derivante da causa di servizio, sì da evitargli di ricevere una visita fiscale che avrebbe potuto smascherare il piano fraudolento (“tu in galera mi mandi”, così il R. apostrofava il dott. R. nell’intercettazione agli atti)”.

Secondo la Procura, inoltre, anche in questa circostanza emergeva che il R. aveva chiesto al R. di dargli indicazioni circa l’arco temporale da coprire con il certificato medico (di dieci giorni) e la diagnosi da attestare nel certificato stesso (coxartrosi, cervicoartrosi e lomboartrosi) e che, anche in questo caso, il Sovrintendente R. era poi risultato assente dal servizio per congedo straordinario nel periodo dal 22 dicembre 2018 al 31 dicembre 2018.

In base a tali elementi probatori veniva ravvisato un danno di Euro 1.489,43, pari alla quota parte di retribuzione lorda mensile del Sovrintendente R. per il numero di giorni di assenza coperti dai certificati medici falsi derivanti dalla condotta illecita contestata, ed evidenziato, altresì, il clamor fori della vicenda (ed in particolare tre articoli di stampa tratti da organi di informazione a carattere regionale, segnatamente “catanzaroinforma.it”, “corrieredellacalabria.it” e “Gazzetta del Sud”, trasmessi dalla Guardia di Finanza, che avevano anche dato conto della formulazione della richiesta di rinvio a giudizio dei due indagati nel procedimento penale che li vedeva coinvolti e della conseguente fissazione dell’udienza preliminare).

La Procura riferiva, altresì, che per tali vicende i convenuti “sono, fra l’altro, imputati del reato di falso in atto pubblico poiché, in concorso morale e materiale fra loro, R. quale medico chirurgo specialista in medicina dello sport e, dunque, pubblico ufficiale, profittando di una patologia della quale il R. – extraneus nel reato proprio, istigatore e beneficiario ultimo della condotta – realmente soffre, pur in assenza di un veritiero malessere determinato dalla malattia in quel frangente, attestava falsamente le condizioni di infermità del paziente nei due episodi sopra censiti” e che “il R. è indagato del reato di truffa aggravata ai danni dello Stato perché, con artifizi e raggiri consistiti nella produzione, presso la Sezione della Polizia di Stato ove prestava servizio le predette false certificazioni mediche, induceva in errore il datore di lavoro circa la propria condizione di malattia (e, dunque, circa la giustificazione per l’assenza dal servizio) così conseguendo un ingiusto profitto pari a 1.489,43 Euro (pari alla retribuzione percepita nel periodo di malattia falsamente attestata), con pari danno per l’amministrazione pubblica”.

Inoltre, veniva rappresentato che la Questura di Catanzaro, Ufficio del Personale, Sezione Disciplina aveva trasmesso il decreto di sospensione cautelare dal servizio nei confronti del Sovrintendente F.R. – in esecuzione dell’ordinanza del G.i.p. di Catanzaro n. 3882/2018 applicativa, nei suoi confronti, della misura cautelare interdittiva della sospensione dall’esercizio del pubblico ufficio o servizio e di emissione di decreto di sequestro preventivo della somma di Euro 1.489,23 – che successivamente veniva revocato e poi annullato in autotutela, con riammissione in servizio in ragione dell’ordinanza del 12 dicembre 2019 del Tribunale di Catanzaro (la quale, in sede di riesame, aveva annullato l’ordinanza del G.i.p. nella parte in cui applicava la misura interdittiva della sospensione dall’esercizio di pubblico ufficio); ordinanza che, nella prospettazione dell’accusa, confermerebbe la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in relazione alla commissione dei reati di falso in atto pubblico e di truffa ai danni dello Stato integrati dalle condotte di assenteismo fraudolento contestate al R. e al dott. R..

1.2. Sulla base di tali elementi la Procura regionale notificava dapprima invito a dedurre e, considerate le controdeduzioni presentate inidonee a superare le criticità riscontrate, citava in giudizio i convenuti ascrivendo i comportamenti loro contestati alla fattispecie dell’art. 55-quinquies del D.Lgs. n. 165 del 2001 e ritendendo pienamente comprovata l’illiceità fraudolenta delle condotte assenteistiche riscontrate dalle intercettazioni telefoniche, le quali evidenziavano l’esistenza di certificazioni rilasciate dal dott. R. senza sottoporre a visita il sig. R. (sul punto venivano richiamati, quali elementi qualificanti, la retrodatazione del certificato medico, le modalità con le quali il sig. R. indicava al proprio medico la patologia e il numero di giorni di cure e riposo da farsi prescrivere, la predisposizione nello stesso giorno di due certificati medici attestanti diagnosi completamente divergenti, nonché la rilevazione del sig. R. tramite c.d. positioning in luoghi distanti dal domicilio, attestando così l’inesistenza di situazioni incompatibili con la presenza in servizio).

La Procura, dunque – ponendo l’accento sull’aspetto fondamentale della visita medica, richiamando il rapporto di servizio dei convenuti e ravvisando l’elemento psicologico del dolo – configurava due distinte poste di danno; un danno diretto patrimoniale da indebita retribuzione stipendiale di Euro 1.489,43, pari alla retribuzione percepita e non spettante perché relativa ad assenza giustificata mediante la produzione dei riferiti certificati medici, da quantificare al lordo delle prestazioni patrimoniali imposte dalle leggi in materia fiscale e/o previdenziale, e un danno di immagine per la condotta assenteistica, anche in assenza di una sentenza penale, prospettato nella misura di Euro 5.000,00.

L’atto di citazione contestava poi i rilievi contenuti nelle controdeduzioni.

In particolare, per la Procura la circostanza che il R. fosse in cura da circa trent’anni presso il dott. R. (sì da poter redigere certificati medici in favore del suo paziente “in assenza di visita”) o il fatto che la veridicità dei certificati medici emergerebbe anche dall’intervento chirurgico all’anca sinistra con applicazione di protesi non incidono sul ruolo fondamentale della visita medica preventiva, i cui esiti vengono riportati nel conseguente certificato e che risulta rivestire carattere imprescindibile, atteso che la visita medica è l’unica modalità idonea a consentire al medico di base di accertarsi dell’effettivo stato patologico in cui il paziente asserisce di versare e di individuare l’esatta diagnosi e la precisa latitudine temporale del periodo di astensione dal lavoro da prescriversi. La Procura, poi, contestava l’eccepita pregiudizialità penale nel processo contabile attesa l’autonomia dei giudizi, caratterizzati da differenti elementi costitutivi e finalità, con la libera ed autonoma valutazione degli elementi probatori provenienti dal giudizio penale.

Da ultimo, sull’eccezione di quantificazione del danno “sproporzionata in eccesso” in ragione del sequestro preventivo disposto dal giudice penale relativamente alla somma di Euro 1.489,43, la Procura richiamava le differenti finalità del sequestro preventivo in sede penale e quelle perseguite dal giudizio di responsabilità amministrativa per danno erariale.

2. A seguito della notifica della citazione e del decreto presidenziale di fissazione d’udienza, veniva depositata comparsa di costituzione per R., nella quale egli rappresentava di essere in cura presso il dott. R. sin dal 1991 per “artrosi lombare-cervicale”, già riconosciuta dall’Ospedale Militare di Catanzaro prima e confermata dal Centro Medico Legale di Messina poi, e che il dott. R., a seguito di una delle tante visite aveva rilasciato, per mero errore, un certificato con una diagnosi errata, ma che seguiva una visita già effettuata e per una patologia da lui ampiamente conosciuta e per la quale il R. aveva subito un intervento chirurgico all’anca sinistra, con applicazione di protesi.

Rappresentava, inoltre, che l’esistenza della malattia emergeva dalla visita effettuata il 9 gennaio 2019 presso il Dipartimento militare di Medicina Legale di Messina, a seguito della quale la Commissione medica ospedaliera, con giudizio espresso all’unanimità, rilasciava un certificato di inidoneità al servizio per 180 giorni; attestazione poi reiterata il 9 luglio 2019, allorquando il R. era stato messo in aspettativa d’ufficio.

Su tali premesse il convenuto articolava le proprie difese e affermava l’assenza del delitto di truffa e di falso, visto che l’esistenza della malattia non sarebbe in discussione, incidendo tale elemento sulla stessa esistenza di un danno, mentre sull’elemento psicologico richiamava la circostanza che in presenza di necessità dei colleghi si era reso disponibile a rientrare dalla malattia e questo “di certo non può non significare l’assoluta assenza di volontà del R. di compiere alcuna truffa ovvero di beneficiare di un profitto ingiusto”.

Il convenuto eccepiva, poi, l’inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche, tra l’altro in quanto autorizzate per fattispecie diverse da quelle poi contestate e prive di collegamento probatorio e finalistico (ex art. 12 c.p.p.) con i delitti di falso contestati anche al R., per come emersi nel corso delle intercettazioni; inoltre rilevava che il delitto di falso ideologico non è inserito nel catalogo delle fattispecie di reato per le quali è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza, né in quello di cui all’art. 266 c.p.p.

Sotto altro profilo eccepiva l’inutilizzabilità, al di fuori del processo penale, delle prove acquisite in violazione dei divieti di legge, richiamando l’orientamento espresso dalle SS.UU. n. 13426/2010 (secondo cui “le intercettazioni dichiarate inutilizzabili a norma dell’art. 271 c.p.p. (nella specie, per mancata osservanza delle disposizioni previste dall’art. 268, comma 3, dello stesso codice), così come le prove inutilizzabili a norma dell’art. 191 c.p.p., perché acquisite in violazione dei divieti stabiliti dalla legge, non sono suscettibili di utilizzazione agli effetti di qualsiasi tipo di giudizio, ivi compreso quello relativo alla applicazione di misure di prevenzione”) e richiedeva, inoltre, la sospensione del giudizio ex art. 106 c.g.c. Infine, il R. richiamava il proprio stato di servizio, con i diversi encomi e lodi, e concludeva chiedendo in via preliminare la sospensione del procedimento ex art. 106 c.g.c e 295 c.p.c. sino alla definizione del procedimento penale e “nel merito ed in via definitiva, rigettare la domanda avanzata dalla Procura Regionale presso la Sezione Giurisdizionale della Corte dei Conti per la Regione Calabria nei confronti di R.F. perchè inammissibile ed infondata, mandando assolto il R. da ogni addebito per responsabilità contabile, con tutte le conseguenze di legge anche in ordine alle spese”.

3. Con memoria del 25 novembre 2021 si costituiva in giudizio il dott. A.R., il quale preliminarmente eccepiva l’inutilizzabilità delle intercettazioni “poste a fondamento probatorio (anche) dell’incolpazione erariale”, per l’inosservanza dell’obbligo motivazionale dei decreti di autorizzazione con conseguente inutilizzabilità del risultato delle intercettazioni di carattere assoluto (in quanto il fatto ivi contestato “non può infatti, essere astrattamente ricondotto né alla Concussione ipotizzata dal PM, né alla Induzione indebita a dare o promettere utilità, riqualificata dal GIP, potendosi, al contrario, ipotizzare esclusivamente un tentativo di violenza privata”).

Per la difesa, inoltre, osterebbe alla loro utilizzazione l’art. 270 c.p.p., atteso che si tratta di fatti diversi e ulteriori (falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici e truffa consumati nei mesi di novembre e dicembre 2018, concernenti le assenze dal servizio del R. fondate su una falsa certificazione medica) rispetto alla originaria ipotesi di reato per la quale era stato attivato il mezzo di ricerca della prova (le rivelazioni di segreti d’ufficio e la tentata concussione) e si tratta, comunque, di fatti non connessi ai sensi dell’art. 12 c.p.p., e di delitti non rientranti nel catalogo dell’art. 266, comma 1, c.p.p., e per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza.

Secondo la difesa del dott. R., inoltre, la trattazione sull’inutilizzabilità delle intercettazioni metterebbe in luce anche il carattere pregiudiziale della definizione del processo penale rispetto al giudizio contabile, in ragione del quale chiedeva la sospensione ex art. 106 c.g.c. in combinato disposto con l’art. 295 c.p.c.

Il convenuto contestava poi l’ elemento psicologico del dolo, argomentando sulla circostanza che egli fosse medico curante del sig. R. sin dal 1993 e di essere pienamente consapevole della patologia afflittiva del paziente per la quale, in data 29 agosto 2018, la Struttura di Ortopedia dell’Azienda O. di C. aveva ravvisato la necessità di un intervento chirurgico di artroprotesi e per la quale, a seguito della visita del 9 gennaio 2019, la Commissione medica ospedaliera, con giudizio espresso all’unanimità, aveva rilasciato un certificato di inidoneità al servizio per 180 giorni, poi reiterata per altri 180 giorni fino alla collocazione, a tempo indeterminato, in aspettativa di ufficio ai sensi dell’art.1 del D.P.R. n. 51 del 2009.

Pertanto, nella prospettazione del dott. R., i certificati non conterrebbero alcuna mistificazione della realtà e sarebbero stati sempre preceduti da visita, richiamando sul punto lo stesso tenore letterale delle intercettazioni in atti, laddove il sig. R. chiede al dott. R. “me lo faresti QUEL certificato”, e il fatto che non siano state allegate altre captazioni telefoniche tra i due prima di quella del 5 novembre 2018, nonostante il R. fosse oggetto di intercettazioni già dal 23 settembre 2018, indicherebbe che “se i due non si sono sentiti prima, è chiaro che si erano incontrati prima e quindi il dr R. aveva avuto modo di constatare le condizioni di salute del paziente ben prima del rilascio del certificato” e poiché la constatazione della malattia “era avvenuta nei giorni antecedenti il 5 novembre, correttamente il dr R. ha rilasciato un certificato con una data antecedente alla telefonata”.

Inoltre, il convenuto contestava, per assenza dei presupposti, il danno diretto (che non terrebbe comunque conto di due giorni in cui ha prestato servizio e di un giorno di riposo settimanale) ed il danno di immagine ascritto, in quanto non sarebbe applicabile al medico (richiamando sul punto la Circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento funzione pubblica 28/4/2010 n.5, dalla cui esegesi si dovrebbe escludere la responsabilità del medico) e rispetto al quale eccepisce l’inammissibilità ed improcedibilità per assenza della previa condanna con sentenza passata in giudicato per un reato contro la pubblica amministrazione.

Sempre sul danno da immagine il convenuto eccepiva che la richiesta di risarcimento avrebbe individuato, quale creditore, la Polizia di Stato-Questura di Catanzaro – Sezione Polizia Giudiziaria presso la Procura di Catanzaro e non anche l’A.S.P. di C. (Amministrazione con cui il dott. R. ha un rapporto di convenzione) e che, pertanto, sulla base della stessa vocatio la domanda risulterebbe inammissibile e improcedibile.

Concludeva, pertanto, chiedendo “Preliminarmente disporre la sospensione del presente procedimento ex art. 106 c.g.c e 295 c.p.c. sino alla definizione del procedimento penale a carico del dr R. pendente, allo stato, davanti al Tribunale penale di Catanzaro- Giudice monocratico. – In via definitiva, rigettare la domanda avanzata dalla Procura Regionale presso la Sezione Giurisdizionale della Corte dei Conti per la Regione Calabria nei confronti di R.A. perchè inammissibile ed infondata, mandando assolto il R. da ogni addebito per responsabilità contabile, con tutte le conseguenze di legge anche in ordine alle spese”.

4. All’ udienza del 15 dicembre 2021, il Pubblico Ministero contestava le avverse eccezioni di inutilizzabilità delle intercettazioni sopra precisate, attesa la non applicabilità al giudizio contabile dell’art. 270 c.p.p. per il differente regime probatorio (Sez. II app. n.318/2020), opponendosi anche alla richiesta di sospensione del giudizio, posto che la decisione della causa non dipenderebbe dalla problematica sulle intercettazioni.

Nel merito, rispetto alle eccezioni formulate, la Procura rappresentava l’esistenza di una fattispecie plurisoggettiva dolosa a partecipazione necessaria, in cui viene contestato ad entrambi i convenuti il concorso solidale nell’unico danno all’immagine (ai sensi dell’art. 55 quinquies del TUPI), cioè quello subito dalla Polizia di Stato (si richiamava a titolo esemplificativo la sentenza n. 47/2017 della Sezione Umbria, confermata dalla sentenza n. 391/2018 della Sezione Prima Centrale d’Appello), fatta salva una diversa valutazione del Collegio sulla qualificazione dell’elemento soggettivo.

Quindi la Procura si riportava all’atto di citazione.

L’Avvocato Antonella Canino ribadiva le proprie difese, a cui si riportava, e, in particolare, escludeva l’assenteismo fraudolento, in quanto l’esistenza della patologia del R. sarebbe un dato di fatto mai messo in discussione, nonché il danno all’immagine della Polizia di Stato, anche in ragione del reintegro nel posto di lavoro.

Inoltre, la difesa insisteva per la sospensione del processo contabile, o per una valutazione autonoma in sede contabile sulla utilizzabilità del dato intercettivo alla luce degli artt. 267 e 271 c.p.p..

L’Avvocato Iacopino, rappresentava la necessità di superare l’orientamento prevalente della giurisprudenza contabile circa l’utilizzabilità delle intercettazioni telefoniche acquisite nel processo penale, evidenziando che nella concreta fattispecie il P.M. penale aveva aggirato i divieti normativi di intercettazione (e quindi ad una violazione degli artt. 267 e 270 c.p.p.), riqualificando senza valido motivo la condotta del R. come tentata concussione; e che le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (sentenza Cagnazzo) hanno indicato il principio della irrecuperabilità probatoria, anche in un giudizio diverso da quello di cognizione; concludeva pertanto con la richiesta di sospensione del processo contabile in attesa della definizione di quello penale, riportandosi, nel merito, alle conclusioni rassegnate nella memoria depositata.

L’Avv. Izzi si riportava alla memoria ed insisteva per la sospensione del giudizio, evidenziando che la circolarità della prova in altri plessi giurisdizionali sarebbe preclusa dal vizio genetico nella sua acquisizione.

La difesa si soffermava poi sull’elemento psicologico ed evidenziava l’assenza di replica della Procura rispetto alle patologie gravi di cui era affetto il R., richiamando sul punto la documentazione dell’Ospedale Militare che assegnava, otto giorni dopo la fine del periodo di comporto stabilito dal dott. R., ulteriori 180 giorni per le stesse patologie fino ad arrivare al collocamento in aspettativa.

Sul danno all’immagine la difesa contestava l’estensibilità al medico della disciplina speciale, prevista dagli artt. 55 quater e quinques, riferibile al solo dipendente assenteista e non al medico, ed eccepiva l’inammissibilità della domanda nei confronti del R. per il risarcimento del danno all’immagine della Polizia di Stato, cui egli non apparteneva, in mancanza di previa condanna penale passata in giudicato.

L’avvocato Izzi concludeva insistendo per l’accoglimento dell’eccezione di inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche e per tutte le richieste formulate con la memoria di costituzione.

La causa veniva trattenuta in decisione.

Motivi della decisione
5. L’eccezione preliminare di sospensione del giudizio contabile ex artt. 106 c.g.c. e 295 c.p.c. in attesa di definizione del giudizio penale, formulata da entrambi i convenuti, è infondata e deve essere respinta.

Infatti, è questione giurisprudenziale pacifica la piena autonomia del giudizio contabile rispetto a quello penale, atteso che diversi sono i beni giuridici tutelati e le finalità perseguite.

La circostanza che i medesimi elementi di fatto siano oggetto di entrambi i giudizi non preclude in alcun modo al giudice contabile di valutare autonomamente, ossia in applicazione dei principi che governano il processo contabile e per il perseguimento delle finalità di tutela erariale che lo sovraintendono, elementi posti all’esame anche di altro plesso giurisdizionale.

In tal senso, acclarato che “in tema di responsabilità erariale, la giurisdizione civile e quella penale, da un lato, e la giurisdizione contabile, dall’altro, sono reciprocamente indipendenti nei loro profili istituzionali, anche quando investono un medesimo fatto materiale” (ex plurimis Cass., sez. un., n. 5848 del 2015), la giurisprudenza contabile ha evidenziato come la vigente normativa, scaturente dal riformato codice di procedura penale e da quello di giustizia contabile, “ha ridisegnato i rapporti tra processo contabile e processo penale, improntandoli al principio di separatezza e ponendo fine alla c.d. pregiudizialità penale” (Sezioni Riunite, Ord. n. 2/2020); ebbene, poiché la ratio dell’autonomia del processo contabile rispetto a quello penale è da individuare proprio nel diverso oggetto del giudizio e nei peculiari presupposti necessari per la configurabilità di un illecito di natura amministrativo-contabile, ne consegue che “per pacifica giurisprudenza contabile, prima il PM e poi il collegio possono trarre anche dalle sole risultanze istruttorie del procedimento penale autonomi apprezzamenti e convincimenti, anche quando i fatti rilevanti ai fini della pronuncia coincidano, in tutto od in parte, con quelli oggetto del giudizio penale dal momento che il giudice contabile deve valutare la sussistenza o meno di un danno erariale e dell’elemento soggettivo minimo della responsabilità amministrativa” (Sez. Giur. Lazio, n. 396/2021).

Per quanto attiene, specificamente, alla sospensione del giudizio contabile in attesa del giudizio penale, la giurisprudenza, alla luce dei criteri esposti, ha chiarito che “non è possibile identificare nel giudizio penale, ancorché inerente all’accertamento in ordine agli stessi fatti oggetto del giudizio di responsabilità amministrativa, una causa pregiudiziale che imponga la sospensione del secondo processo a norma dell’art. 106 c.g.c., atteso che la controversia penale non è pregiudiziale in senso tecnico, non costituendo l’antecedente da cui dipende la definizione del giudizio contabile” (Corte dei conti, Sezioni Riunite, n. 9/2018).

6. Sempre in via preliminare, risulta infondata e deve essere rigettata l’eccezione di inutilizzabilità delle intercettazioni acquisite in sede di indagine penale (questione che per i convenuti rileverebbe anche ai fini della richiesta di sospensione di cui sopra).

Entrambe le difese, con argomentazioni sostanzialmente sovrapponibili tra di loro, ascrivono l’inutilizzabilità a pretese violazioni di legge commesse nel procedimento penale, in quanto:

a) da un lato, vi sarebbe stato un “aggiramento” delle norme delle intercettazioni (tramite una richiesta del P.M. penale di autorizzazione per una “tentata concussione”, seguita da una autorizzazione del GIP per una tentata induzione indebita, laddove si sarebbe trattato, al limite, di una tentata violenza privata), poste a tutela della libertà di comunicazione; condotta che darebbe luogo a illiceità della prova e quindi ad una inammissibilità della stessa in ogni processo;

b) dall’altro, si tratterebbe di intercettazioni aventi ad oggetto fatti diversi e ulteriori rispetto alla originaria ipotesi di reato per la quale era stata autorizzata l’intercettazione (in violazione dell’art. 267 c.p.p., e con difetto di motivazione del provvedimento autorizzativo) e dunque inutilizzabili in altri procedimenti ai sensi dell’art. 270 c.p.p., perché (oltre a non essere ricompresi nell’elencazione dell’art. 266 c.p.p.) oggetto dell’intercettazione erano reati per i quali non era obbligatorio l’arresto in flagranza, e non connessi ex art. 12 c.p.p. con quelli per cui era stata concessa l’autorizzazione (cfr. Cass. Pen. Sez. Un. n. 32697 del 26/06/2014 e n. 51 del 28/11/2019).

In merito a queste eccezioni, anzitutto si osserva che le violazioni di legge lamentate non comportano la illiceità della prova e, dunque, la sua genetica nullità (da cui discenderebbe una inammissibilità anche in processi diversi, come quello contabile o civile), ma eventualmente la semplice inutilizzabilità, peraltro relativa al solo giudizio penale e irrilevante ai fini dell’utilizzazione dell’intercettazione nel processo contabile, soggetto alle sue proprie norme di utilizzabilità delle prove (e non a quelle processualpenalistiche). Infatti, la sanzione processuale per la violazione delle disposizioni sulle intercettazioni (ovvero ogni ipotesi di abuso dello strumento da parte del pubblico ministero, avallata o meno dal G.I.P.) non è la nullità/inammissibilità, ma la mera inutilizzabilità della prova (art. 191 c.p.p.); in particolare, tale sanzione è espressamente prevista tanto per la richiesta e concessione della intercettazione al di fuori dei casi previsti o in violazione delle norme degli artt. 267 e 268 c.p.p. (cfr. art. 271 c.p.p.), quanto per l’utilizzo in altri processi delle intercettazioni illegittimamente assunte (art. 270 c.p.p.).

In ordine, poi, alla rilevanza nel processo contabile della “inutilizzabilità penale” della prova, è costante l’orientamento giurisprudenziale secondo cui la Corte dei conti è chiamata a valutare gli elementi probatori offerti dal Pubblico Ministero contabile, a seguito dell’attività di indagine, prescindendo dagli esiti dell’eventuale giudizio penale sull’utilizzabilità delle intercettazioni, costituenti parte delle prove, vista la richiamata autonomia del giudizio contabile e la portata “circoscritta” dell’eventuale loro inutilizzabilità, ove dichiarata in sede penale (come è pacifico anche per la giurisprudenza civile: cfr. Sez. Lav. Sentenza n. 5317 del 02/03/2017, Sez. 3, Ordinanza n. 32784 del 13/12/2019). In particolare, la Seconda Sezione di appello della Corte dei conti, con sentenza n. 593/2017, ha evidenziato come “Proprio per la rimarcata autonomia dei due giudizi non si vede come il tema dell’appello penale sulla inutilizzabilità delle intercettazioni, ovvero sulla loro idoneità probatoria nel processo penale (che è ben altra cosa dalla esistenza della prova), possa essere rilevante per l’eventuale preclusione all’accesso del materiale probatorio nel processo innanzi alla Corte dei conti, che, del resto, il giudice penale non potrebbe disporre”; e con la sentenza n. 318/2020 (richiamata dalla Procura regionale) ha altresì chiarito:

a) che la Corte dei conti, nella sua attività di accertamento delle responsabilità delle persone fisiche e giuridiche evocate, può ritualmente e legittimamente “fare ricorso a “qualsivoglia elemento e acquisizione probatoria avente valore indiziario, come per le intercettazioni telefoniche disposte nel corso delle indagini preliminari, che unitamente alle altre emergenze che consentono al Collegio di ritenere comprovati gli addebiti per i quali è giudizio” senza che possa ritenersi “ampliabile, oltre i confini tracciati dal processo penale, l’ambito di operatività della inutilizzabilità (art. 268, co. 3 c.p.p., in relazione all’art. 191 c.p.p.)”. (Corte dei conti, Sez. III, n. 172/2019)”;

b) che non è applicabile, al giudizio di responsabilità amministrativa, l’art. 270 c.p.p. (sull’utilizzo dei risultati delle intercettazioni in procedimenti diversi da quelli nei quali sono stati disposti), in quanto tale previsione “si riferisce, infatti, ai soli procedimenti penali e non certo a quelli extrapenali, come nella specie. E la ragione è evidente, essendo in gioco, nei primi, l’applicazione di pene detentive con conseguente massima garanzia a salvaguardia della libertà personale di cui all’art. 13 della Costituzione” (in tal senso ex plurimis, Corte dei conti, Sez. I app., n. 492/2017)”.

In particolare, va precisato che la decisione della Cassazione Sez. Un. penali n. 13426/2010 (citata dalla difesa) afferma l’applicabilità dell’art. 270 c.p.p. (divieto di utilizzazione della prova in procedimenti diversi) ai soli procedimenti relativi alle misure di prevenzione, non a qualsivoglia procedimento civile, amministrativo o contabile; al contrario, la Cassazione penale ha chiarito che tale norma non si applica nel procedimento disciplinare contro magistrati (Sez. Un. Sentenza n. 9390 del 08/04/2021), e la Cassazione civile ha evidenziato che tale norma non si applica, ad esempio, nel giudizio civile riguardante la incandidabilità (Sez. 1, Sentenza n. 1948 del 02/02/2016).

Peraltro, ferme restando le considerazioni che precedono, risulta assorbente la considerazione che – allo stato – la lamentata nullità/inutilizzabilità delle intercettazioni, oltre a non essere rilevante in astratto, non risulta accertata in concreto. Infatti, le difese dei convenuti si sono limitate a evocare l’inutilizzabilità di tali intercettazioni nel giudizio contabile, senza indicare alcun provvedimento in sede penale che si sia pronunciato in tal senso, ma anzi riferiscono espressamente che la dedotta inutilizzabilità “è oggetto di eccezioni che saranno ritualmente avanzate dalla difesa davanti al Giudice del dibattimento nel processo penale, sussistendo una palese violazione di legge che ne inficia la validità sì da renderle processualmente inutilizzabili nello stesso processo penale”. Né può effettuarsi in questa sede un accertamento incidentale dell’asserita illiceità/inutilizzabilità della acquisizione della prova per asserite violazioni del c.p.p. (come richiesto dalla difesa), per affermare la conseguenziale nullità/inammissibilità della prova nel presente giudizio; sia perché la sentenza delle Sezioni Unite n. 13426/2010, più volte richiamata dalle difese e oggetto di ampia esposizione in sede di discussione orale, fa riferimento esplicito ad una “dichiarata” inutilizzabilità – elemento allo stato assente -, sia per l’ovvia considerazione che tale accertamento esorbita dalla cognizione di questa Corte (spettando al giudice penale verificare tali profili), laddove non risulta (allo stato) alcuna pronunzia sul punto da parte dell’Autorità Giudiziaria Ordinaria.

Da ultimo, si evidenzia che gli eventuali limiti sull’utilizzabilità delle intercettazioni non sarebbero certamente riferibili al c.d. “positioning” che, invece, costituisce aspetto probatorio portante rispetto alla contestazione mossa dalla Procura contabile relativamente al primo periodo di assenza.

7. Nel merito, la domanda della Procura è parzialmente fondata e deve essere accolta nei termini che seguono.

Occorre premettere che la Procura ha correttamente inquadrato la condotta dei convenuti quale fattispecie plurisoggettiva dolosa a partecipazione necessaria, atteso che la giustificata assenza dal servizio da parte del Sovrintendente R. in tanto è stata possibile, in quanto il dott. R., suo medico curante, ha rilasciato un certificato medico attestante lo stato di malattia del proprio assistito.

Le condotte dei convenuti, pertanto, ancorché autonome e distinte devono essere necessariamente lette in termini unitari rispetto alla fattispecie di danno erariale contestata, ponendosi ciascuna di esse quale concausa necessaria alla produzione dell’evento.

Tuttavia, la contestazione attiene a due distinti episodi di assenza dal servizio, unitariamente contestati dalla Procura regionale e ascritti alla fattispecie dell’art. 55-quinquies del D.Lgs. n. 165 del 2001, ma che presentano condotte diverse incidenti sulla responsabilità intestata ai convenuti.

7.1. Il primo episodio posto all’esame del Collegio – ossia l’assenza durante il ponte di ognissanti del 2018 – presenta elementi, debitamente provati, che sorreggono la tesi della Procura di assenza dal servizio in difetto dei presupposti.

In particolare, quanto alla condotta del Sovrintendente R. assume rilievo fondamentale il c.d. positioning, ovvero la circostanza acclarata – e non contestata – che in quei giorni di malattia il convenuto si fosse recato in luoghi ben distanti dalla propria residenza, rendendo verosimile l’insussistenza, in quello specifico momento storico, della certificata esistenza di uno stato di malattia preclusivo dell’attività di servizio.

Né la difesa ha offerto elementi idonei a ritenere compatibili tali spostamenti con la patologia lamentata.

Rileva anzi, a sostegno della tesi accusatoria, la circostanza che successivamente il convenuto si sia recato al lavoro, lasciando presumere l’esistenza di uno stato di salute (sia pure non perfetto ma) compatibile con l’attività lavorativa svolta.

Pertanto, gli elementi descritti presentano un quadro in cui il comportamento del R. gli ha consentito di usufruire di un periodo di congedo retribuito per malattia in mancanza dei presupposti, presentando un certificato medico attestante uno stato di malattia tale da non consentire la prestazione del servizio, non riscontrato con una preventiva (e necessaria) visita medica e che la parte convenuta non ha dimostrato essere presente in quel momento, a fronte di elementi che invece rendono verosimile la sua assenza.

Quanto all’ elemento psicologico, dalla documentazione in atti emerge che il R. avesse piena contezza della necessità del certificato medico per giustificare l’assenza e che lo abbia presentato alla propria amministrazione pur sapendo del suo rilascio (avvenuto a posteriori) in assenza dei presupposti (preventiva visita medica, patologia e giorni per la risoluzione del problema indicati dallo stesso paziente).

Per quanto attiene, invece, alla posizione del dott. R. la sua condotta ha determinato la possibilità per il Sovrintendente di beneficiare indebitamente del periodo di malattia retribuita , predisponendo – in assenza di una visita medica e, dunque, senza una verifica de visu sulle effettive condizioni di salute del proprio assistito e sull’esatto stato della sua malattia – un certificato retrodatato, attestante una situazione solo riferita dal paziente, che si è posto quale concausa necessaria per la realizzazione dell’evento dannoso.

Inoltre, anche a prescindere dalle intercettazioni da cui emergono tali circostanze (la “retrodatazione” del certificato medico e la mancanza di previa visita), il fatto che la presunta patologia del R. non fosse preclusiva del servizio (tanto che quest’ultimo si recava, in quei giorni, in località diverse dalla residenza) fa presumere univocamente che non vi sia stata una preventiva visita medica, attesa la mancanza di indizi contrari (la difesa si limita solo a riferire che i certificati “sono stati sempre preceduti da visita” senza dimostrare l’effettivo espletamento di tale adempimento in questa circostanza). Ovviamente, in tale condotta è ravvisabile l’elemento psicologico del dolo, poiché il medico ha scientemente redatto il proprio certificato in assenza della necessaria visita accertando una patologia sulla cui persistenza e sintomatologia, in quel dato momento storico, non aveva alcuna contezza.

A nulla rileva, sotto tale profilo, la circostanza che in passato (in data 29 agosto 2018), la Struttura di Ortopedia dell’Azienda O. di C. avesse ravvisato la necessità di un intervento chirurgico di artroprotesi, poiché già il giorno 5.11.2018 il convenuto ritornava al lavoro, escludendo dunque una persistente cronicità e comunque uno stato di malattia incompatibile con il servizio.

Ciò che assume rilievo ai fini del danno contestato, dunque, non è la circostanza che il convenuto fosse stato affetto dalla patologia descritta in epoche precedenti o successive, considerato anche che l’esistenza di per sé della patologia preesistente da diversi anni non viene messa in discussione (risultando tuttavia non invalidante e pienamente compatibile con il servizio, effettivamente svolto sia prima, che successivamente al periodo di ferie), quanto la circostanza che essa fosse presente nel periodo indicato nel certificato; aspetto questo che doveva essere debitamente riscontrato dal medico curante, tramite un’apposita visita idonea a valutare le effettive condizioni di salute del paziente e la impossibilità di prestare la propria attività lavorativa in quel periodo preciso e nel caso concreto.

Pertanto, le diverse condotte contestate al Sovrintendente R. (presentazione di un certificato medico attestante una patologia non verificata e incompatibile con i movimenti effettuati in tale periodo come rilevati dal positionig) e al dott. R. (predisposizione di un certificato medico retrodatato attestante una patologia in assenza di visita medica) sono state causa determinante del danno patrimoniale all’amministrazione di appartenenza del Sovrintendente pari alla retribuzione corrisposta per le giornate di malattia usufruite e non spettanti, il cui risarcimento è dovuto in solido dai convenuti.

Tale danno patrimoniale va quantificato nella misura di Euro 496,48, pari al pro die dei cinque giorni di malattia non spettanti, rispetto allo stipendio mensile (calcolato dalla Procura “dividendo la retribuzione lorda mensile (Euro 3.078,17) con il numero di giorni componenti il mese (individuato cautelativamente con 31); tale calcolo ha esitato l’importo di 99,2958 euro”).

7.2 Per quanto attiene invece alla parte di danno contestato relativo al secondo periodo di assenza (durante le feste natalizie, dal 22 al 31 dicembre 2018) vengono in rilievo considerazioni diverse.

Infatti, durante tale arco temporale non si registra il c.d. positioning e, pertanto, non risultano dimostrati comportamenti idonei a sconfessare l’esistenza della patologia certificata.

Rileva anzi, sotto tale profilo, la circostanza che pochi giorni dopo il termine del periodo di assenza la Commissione medica militare riconobbe al R. ben 180 giorni di congedo (a cui poi seguirono altri 180 giorni, sino al congedo a tempo indeterminato a causa della malattia stessa).

La stretta sequenza cronologica degli eventi, in questo caso, rende verosimile (e, comunque, non consente di escludere con certezza) che la patologia descritta nel certificato, quale causa giustificativa dell’assenza dal servizio, rispondesse effettivamente ad una precaria condizione di salute del paziente, non compatibile con il servizio, con la naturale conseguenza di precludere la configurabilità stessa di un danno per l’assenza dal servizio nel periodo indicato.

8. Per la Procura le condotte indicate hanno determinato anche un danno non patrimoniale, rappresentato dal danno di immagine subito dall’amministrazione di appartenenza del Sovrintendente R., il cui risarcimento viene richiesto in solido ai convenuti.

8.1. Rispetto a tale voce di danno è necessario soffermarsi sulle eccezioni formulate dal dott. R. nelle proprie difese sulla inammissibilità dell’azione per risarcimento del danno non patrimoniale alla Polizia di Stato:

a) da un lato, per mancanza di rapporto di servizio tra il medico e la Polizia di Stato (il danno da contestare al medico sarebbe al più all’immagine della ASL di riferimento);

b) dall’altro, per la mancanza di una previa condanna con sentenza passata in giudicato per un reato contro la pubblica amministrazione ex art. 17 comma 30 ter del D.L. n. 78 del 2009, stante l’applicabilità dell’art. 55 quinquies D.Lgs. n. 165 del 2001 (che consente di prescindere da tale condizione) esclusivamente nei confronti del dipendente “assenteista” e non anche del medico.

In ordine al primo profilo di inammissibilità, ovvero alla circostanza che la richiesta venga formulata in favore solo della Polizia di Stato-Questura di Catanzaro e non anche dell’A., si osserva che tale ipotesi risponde alla previsione dell’art. 1, comma 4, della L. n. 20 del 1994 sul c.d. danno obliquo, ossia la risarcibilità del pregiudizio arrecato ad una P.A. diversa da quella di appartenenza.

In ordine al secondo profilo di inammissibilità (improponibilità) dell’azione per danno all’immagine, occorre premettere che il danno da immagine, trova sì la disciplina generale nell’art. 17, comma 30 ter D.L. n. 78 del 2009, (con tutte le evoluzioni giurisprudenziali, comprese le pronunce della Corte costituzionale, che ne hanno definito il perimetro, limitando la sua configurabilità alle fattispecie in cui si ha una sentenza di condanna passata in giudicato per un reato contro la pubblica amministrazione del soggetto ad essa legato da un rapporto di dipendenza); tuttavia il legislatore è intervenuto configurando, accanto a tale fattispecie, un’ipotesi specifica di danno da immagine connesso all’ipotesi di “assenteismo”, con il citato art. 55 quinquies D.Lgs. n. 165 del 2001 il, cui risarcimento è azionabile prescindendo dalla preventiva sentenza penale definitiva di condanna.

Sul punto si richiama la giurisprudenza “secondo cui l’ipotesi di danno all’immagine per assenteismo fraudolento, prevista (ora) dall’art. 55-quinquies, comma 2, del D.Lgs. n. 165 del 2001, costituisce una fattispecie (speciale) distinta ed autonoma di danno all’immagine, cui non si applica la (previgente) disciplina (generale) del danno all’immagine, derivante dalla commissione di un reato contro la pubblica amministrazione.

Nelle ipotesi (specifica) di assenteismo fraudolento (ex art. 55-quinquies, comma 2, del D.Lgs. n. 165 del 2001), la risarcibilità del danno all’immagine opera, dunque, indipendentemente da qualsivoglia condizione sostanziale o processuale di procedibilità” (Prima Sez. Centr. App. n. 345/2021).

In tale sistema di doppio binario la Procura ha contestato il danno da immagine nei confronti di entrambi i convenuti ai sensi del citato art. 55 quinquies D.Lgs. n. 165 del 2001. La difesa del R. eccepisce che tale disposizione, essendo espressamente riferita al solo lavoratore dipendente dell’amministrazione danneggiata e non anche al medico redigente il certificato, non consentirebbe la contestazione al secondo del danno all’immagine.

Il Collegio ritiene che la lettura interpretativa offerta dalla difesa appare parziale e non rispondente alla disciplina tracciata dalla norma e dai principi generali. Infatti, in materia di responsabilità amministrativa non vige il principio di tassatività delle condotte e dell’illecito, e quindi la circostanza che la disposizione in esame (sul risarcimento del danno di immagine in presenza di falso certificato), sia espressamente riferita al solo lavoratore non implica l’esclusione della responsabilità amministrativa per altri soggetti che abbiano concorso dolosamente in questo danno (in presenza beninteso di loro precisi obblighi di servizio violati e degli altri presupposti della responsabilità amministrativa). Pertanto, la fattispecie contabile speciale dell’art. 55 quinquies risulta estensibile anche a soggetti diversi dal lavoratore che abbiano dolosamente concorso a cagionare il danno, in particolare al medico che ha predisposto il falso certificato.

8.2. Tanto premesso, gli elementi indicati dalla Procura regionale hanno evidenziato il clamor fori della vicenda, tenuto conto dei relativi articoli di stampa, e rispetto al quale, alla luce della giurisprudenza in materia, si ritiene sussista un danno di immagine che il Collegio, alla luce di tutti gli elementi sin qui analizzati, ritiene congruo quantificare nella somma di Euro 2.003,52 con condanna in solido a carico dei convenuti.

9. Le somme oggetto di condanna (complessivamente Euro 2.500,00) dovranno essere maggiorate di rivalutazione monetaria calcolata secondo gli indici ISTAT dal momento del verificarsi del danno alla data di pubblicazione della presente sentenza, nonché di interessi legali sulla somma rivalutata da tale data al soddisfo.

10. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.
La Corte dei conti, Sezione Giurisdizionale per la Calabria, definitivamente pronunciando, con riferimento al giudizio iscritto al n. 23019 del Registro di Segreteria:

– condanna entrambi i convenuti al pagamento in solido di Euro 2.500,00 (duemilacinquecento/00) per danno patrimoniale e non patrimoniale in favore della Polizia di Stato – Questura di Catanzaro – Sezione Polizia Giudiziaria presso la Procura di Catanzaro;

– condanna i convenuti al pagamento in solido delle spese di giudizio in favore dell’Erario, che si quantificano come da nota a margine.

Manda alla Segreteria per adempimenti di competenza.

Conclusione
Così deciso in Catanzaro nella camera di consiglio del 15 dicembre 2021.

Depositata in Cancelleria il 22 marzo 2022.