Integra il delitto di rifiuto di atti d’ufficio la condotta del sanitario in servizio di guardia medica che non aderisca alla richiesta di intervento domiciliare urgente e si limiti a consigliare per via telefonica la somministrazione di un farmaco, nonostante l’iniziale diagnosi sia stata confermata all’esito del successivo controllo ospedaliero del paziente. [Avv. Ennio Grassini – www.dirittosanitario.net]
Svolgimento del processo
Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di Appello di Caltanisetta ha confermato la sentenza in data 27-4-2005, con la quale il Tribunale di Enna ha dichiarato B.A. colpevole del reato di cui all’art. 328 c.p., comma 1 e, concesse le attenuanti generiche, lo ha condannato alla pena di mesi quattro di reclusione, nonché alla pena accessoria della interdizione dai pubblici uffici per la durata di mesi quattro, oltre al risarcimento dei danni in favore delle costituite parti civili, da liquidarsi in separata sede.
L’addebito mosso all’imputato è di avere, nella qualità di guardia medica in servizio nella notte tra il X. presso il presidio di continuità assistenziale di X. , indebitamente rifiutato di visitare a domicilio – come espressamente richiestogli per telefono dalla madre D.M.M.C. – il minore M.S. di due anni che, affetto da gastroenterite, manifestava sintomi di vomito continuo ed era febbricitante, limitandosi a consigliare alla D.M. di effettuare una iniezione inframuscolo di Plasil, nonostante la donna gli avesse fatto presente di non essere in grado di effettuarla personalmente, nonostante l’ora tarda e la tenera età del minore; sicché i genitori del piccolo S. si vedevano costretti a chiedere l’intervento del 112.
Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del suo difensore, lamentando la contraddittorietà e illogicità della motivazione, nella parte in cui, pur dando atto che è nella discrezionalità del medico non aderire alla richiesta dell’intervento domiciliare ove non lo ritenga urgente e che, nella specie, il B. ha esattamente individuato la diagnosi di cui ai malesseri accusati dal minore (gastroenterite), ha ritenuto la scelta di non effettuare la visita domiciliare come inadempimento degli obblighi contrattualmente assunti. Il difensore delle parti civili ha depositato memoria, con la quale ha chiesto il rigetto del ricorso e la conferma delle statuizioni civilistiche.
Motivi della decisione
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La sentenza impugnata risulta immune dai vizi denunciati dal ricorrente.
La Corte di Appello ha accertato, in punto di fatto, che nella notte tra il X. D.M.C. aveva richiesto telefonicamente l’intervento a domicilio dell’odierno imputato, quale sanitario della guardia medica, in quanto il figlio S., di due anni e mezzo, vomitava ininterrottamente da più di mezz’ora. Il B., ritenendo che i sintomi descrittigli per telefono dalla madre del bambino non avessero i connotati dell’estrema urgenza e gravità, si era rifiutato di effettuare la visita domiciliare ed aveva consigliato, sempre per via telefonica, una terapia farmacologia consistente nella somministrazione di una fiala di Plasil; e tale rifiuto aveva ribadito a fronte delle insistenze della D.M., che gli aveva rappresentato la propria incapacità a praticare la detta iniezione e la preoccupazione per eventuali reazioni del bambino al farmaco, che non gli era mai stato in precedenza somministrato, e persino a seguito della sollecitazione all’intervento effettuata dai Carabinieri, ai quali la donna si era rivolta dopo il secco rifiuto del sanitario, allorché si era trovata nella necessità di portare il bambino presso l’ospedale di X. , che era quello più vicino al luogo di residenza. -
Alla stregua di tale ricostruzione fattuale della vicenda, correttamente i giudici di merito hanno ravvisato nella condotta del prevenuto gli estremi integrativi del reato di cui all’art. 328 c.p., comma 1, il quale punisce, tra l’altro, il rifiuto di un atto dovuto per ragioni di sanità, allorché questo debba essere compiuto senza ritardo.
Nella specie, come è stato evidenziato nell’impugnata sentenza, l’obbligo del B. di effettuare la visita domiciliare richiestagli trova la sua fonte normativa nel D.P.R. n. 41 del 1991, il quale all’art. 13 dispone che il medico che effettua il servizio di guardia deve rimanere a disposizione "per effettuare gli interventi domiciliari a livello territoriale che gli saranno richiesti" e, durante il turno di guardia, "è tenuto ad effettuare al più presto tutti gli interventi che gli siano richiesti direttamente dagli utenti".
Orbene, è vero che, in linea di principio, non può negarsi al sanitario il compito di valutare, sulla base della sintomatologia riferitagli, la necessità o meno di visitare il paziente. E’ anche vero, tuttavia, che una tale discrezionalità può essere sindacata dal giudice, alla luce degli elementi acquisiti agli atti e sottoposti al suo esame, onde accertare se la valutazione del sanitario sia stata correttamente effettuata, oppure se la stessa costituisca un mero pretesto per giustificare l’inadempimento dei propri doveri (Cass. Sez. 6, 7-4-2008 n. 20056; Cass. Sez. 6, 15-5- 2007 n. 34471). -
Nel caso in esame, la Corte di Appello, nel disattendere le argomentazioni difensive volte a sostenere la legittimità della scelta dell’imputato di non effettuare la visita domiciliare richiestagli, ha ritenuto che il B. era tenuto a recarsi a visitare il bambino, per apprezzare direttamente il quadro clinico e prestargli eventualmente la dovuta assistenza. Tale giudizio è stato espresso sulla base di una motivazione non contraddittoria e non manifestamente illogica, con la quale è stato sottolineato, in particolare:
che la sintomatologia (vomito) riferita dalla madre del bambino era di per sè inidonea a consentire una corretta diagnosi, dato il carattere aspecifico del vomito, il quale può correlarsi sia a patologie banali che a patologie gravi; sicché si rendeva quanto mai opportuna l’osservazione diretta del paziente, al fine di rilevare l’eventuale presenza di altri fenomeni che rendessero possibile distinguere tra le molteplici diagnosi correlabili al suddetto sintomo;
che la visita domiciliare appariva tanto più necessaria, in quanto si trattava di un paziente che, per la sua tenera età, non era in grado di riferire con esattezza la condizione di malessere in cui versava; con la conseguenza che sussisteva il concreto pericolo che il sanitario, affidandosi unicamente al sintomo riferitogli dalla madre, potesse incorrere in un errore diagnostico, con gravi ripercussioni sulla salute del paziente;
che, secondo le indicazioni fornite in sede testimoniale dalla dott.ssa Ba. (responsabile del servizio di medicina di base presso l’ASL di X. ), il farmaco (Plasil) di cui il B. aveva consigliato telefonicamente la somministrazione era un prodotto farmaceutico "dispensabile solo dietro presentazione di ricetta medica e prescrivibile, io immagino, sempre dietro la visita del paziente". 4) Contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente, d’altro canto, non vale ad intaccare il rigore logico delle argomentazioni poste a sostegno dell’impugnata decisione la circostanza – di cui si è dato atto in sentenza – che la diagnosi di gastroenterite effettuata dal B. per telefono sia stata poi confermata dai medici dell’ospedale dove il bambino fu accompagnato nella stessa notte. -
La fattispecie criminosa prevista dall’art. 328 c.p., infatti, è concepita come reato di pericolo, nel senso che prescinde dalla causazione di un danno effettivo e postula semplicemente la potenzialità del rifiuto a produrre un danno o una lesione (Cass. Sez. 6, 7-4-2008 n. 20056; Cass. Sez. 6, 15-5-2007 n. 34471).
Correttamente, pertanto, il giudice territoriale ha ritenuto privo di rilievo il fatto che, nella specie, il bambino non abbia subito alcuna conseguenza dannosa, e reputato invece sufficiente, ai fini della integrazione del reato in esame, il fatto che il piccolo sia rimasto comunque esposto al rischio di subire gravi conseguenze per la sua salute a causa della condotta omissiva del medico, che, per le ragioni innanzi esposte, aveva l’obbligo di intervenire senza ritardo. -
Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Lo stesso ricorrente, inoltre, va condannato alla rifusione delle spese sostenute nel presente grado dalla parte civile, alla cui liquidazione si procede in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè a rifondere le spese sostenute dalla parte civile in questo grado, che liquida in Euro 1.200,00, oltre IVA e CPA. Così deciso in Roma, il 11 febbraio 2009.
Depositato in Cancelleria il 19 marzo 2009