Un fumatore conveniva dinanzi al Giudice di Pace la società produttrice delle sigarette che era solito consumare per sentirla condannare al risarcimento dei danni, derivanti dall’ingannevolezza dei descrittivi – “Lights” ed “Extra Lights” apposti sul contenitore, per effetto dei quali egli, già fumatore di sigarette “normali”, era passato a questo tipo di più “leggero”, nella convinzione indotta che esse fossero meno dannose, raddoppiando il consumo del prodotto.
La Suprema Corte, cassando la sentenza del Giudice di Pace che aveva accolto la richiesta risarcitoria, ha indicato alcuni principi in materia affermando che:
- L’apposizione, sulla confezione di un prodotto, di un messaggio pubblicitario considerato ingannevole (nella specie il segno descrittivo “LIGHT” sul pacchetto di sigarette) può essere considerato come fatto produttivo di danno ingiusto, obbligando colui che l’ha commesso al risarcimento del danno, indipendentemente dall’esistenza di una specifica disposizione o di un provvedimento che vieti l’espressione impiegata.
- Il consumatore che lamenti di aver subito un danno per effetto di una pubblicità ingannevole ed agisca per il relativo risarcimento, non assolve al suo onere probatorio dimostrando la sola ingannevolezza del messaggio, ma è tenuto a provare l’esistenza del danno, il nesso di causalità tra pubblicità e danno, nonché (almeno) la colpa di chi ha diffuso la pubblicità, concretandosi essa nella prevedibilità che dalla diffusione di un determinato messaggio sarebbero derivate le menzionate conseguenze dannose.
- La pubblicità ingannevole non integra di per sé sola (in assenza di ipotesi di reato) la lesione di un valore della persona umana costituzionalmente protetto, dalla quale possa derivare un danno non patrimoniale, risarcibile ai sensi dell’art. 2059 c.c.”. [Avv. Ennio Grassini – www.dirittosanitario.net]
Cassazione Civile – Sezione III, Sent. n. 10120 del 30.04.2009
omissis
Svolgimento del processo
S.D. conveniva davanti al giudice di pace di Napoli la s.p.a. ETI, Ente tabacchi italiani, (attualmente B. A. Tobaco, B. Italia s.p.a.) per sentirla condannare al risarcimento dei danni, nei limiti del giudizio di equità, derivanti dall’ingannevolezza dei descrittivi – “Lights” ed “Extra Lights” apposti sul contenitore di sigarette Y. , per effetto dei quali egli, già fumatore di sigarette Y. normali, era passato a questo tipo di sigarette più “leggere”, nella convinzione indotta che esse fossero meno dannose; che egli aveva raddoppiato il consumo del prodotto.
Assumeva il ricorrente che tale convinzione era frutto della pubblicità ingannevole contenuta nel descrittivo Lights, come emergeva dal provvedimento dell’A.G.C.M. del 13.3.2003, mentre, come risultava scientificamente accertato, tale tipo di sigarette non comportava alcuna riduzione del rischio e del danno da fumo; che la vendita di tali sigarette con pubblicità ingannevole era avvenuta in violazione dei principi costituzionali di cui all’art. 41 Cost.; che esso attore aveva riportato seri danni alla salute, aggravati dal ragionevole timore di poter contrarre il cancro al polmone; che i danni subiti dovevano essere risarciti a norma dell’art. 32 Cost. e art. 2043 c.c..
Si costituiva la convenuta, che proponeva varie eccezioni.
Il Giudice di pace, con sentenza definitiva depositata il 1.9.2004, condannava la convenuta al pagamento della somma di Euro 1.000,00 a titolo di risarcimento del danno, oltre Euro 800,00 per spese processuali.
Riteneva il giudice di pace che era accertato che il descrittivo “Lights” o “leggere”, apposto sul contenitore delle sigarette costituisse una forma di pubblicità ingannevole sul fatto che tali sigarette comportassero un minor danno o rischio da fumo, rispetto alle sigarette normali, come emergeva anche dal provvedimento dell’A.G.C.M. del 13.3.2003; che era stato scientificamente provato che il danno ed il rischio erano, invece, inalterati; che il fatto che l’attore fosse passato a fumare da sigarette normali sigarette Y. Lights, ritenute meno dannose, gli aveva procurato il peggioramento dello stato di salute e della vita di relazione e la perdita di adottare nel periodo dedotto un diverso ed ulteriore rimedio o terapia per smettere di fumare. Quest’ultimo tipo di danno era assimilato dal giudice di pace a quello da perdita di chances.
Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione la Convenuta B. Italia s.p.a. Non ha svolto attività difensiva l’intimato.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dei principi ispiratori della responsabilità civile, con particolare riguardo all’illiceità del fatto, in quanto sia il provvedimento dell’autorità garante che la direttiva comunitaria vietavano la dicitura Lights solo dal 2003, mentre, quanto al periodo precedente,unico rilevante nella fattispecie, non poteva configurarsi nessuna ipotesi di inganno.
2.1. Il motivo è infondato.
E’ vero che a norma dell’art. 7 della direttiva 2001/37/CE, cui è stata data attuazione tramite il D.Lgs. n. 184 del 2003, solo dal 30 settembre 2003 sono vietate le diciture, denominazioni, marchi, immagini o altri elementi, che suggeriscono che un particolare prodotto del tabacco è meno nocivo di altri.
Sennonché la circostanza che solo dal 30/9/2003 la dicitura “lights” non possa essere apposta sulla confezione di sigarette non esclude che tale parola non possa costituire il fatto integrante la responsabilità aquiliana, antecedentemente a tale data.
Anzitutto nella struttura dell’art. 2043 c.c. non si richiede che il “fatto” sia “illecito”, ma solo che il “danno” sia “ingiusto”.
Per cui ciò che rileva è che il fatto (assistito almeno dalla colpa) dell’agente abbia prodotto la lesione di una posizione giuridica altrui, ritenuta meritevole di tutela da parte dell’ordinamento, lesione non altrimenti giustificata.
2.2. In ogni caso nella fattispecie la parte attrice ha fatto valere il diritto al risarcimento del danno da messaggio ingannevole (lights) esistente sul pacchetto di sigarette, indipendentemente dall’esplicito divieto all’utilizzo di tale dicitura.
L’ordinamento già con il D.Lgs. 25 gennaio 1992, n. 74 (abrogato dal D.Lgs. 6 settembre 2005, art. 146,) sanzionava la pubblicità ingannevole statuendo all’art. 2, lett. B) che per “pubblicità ingannevole”, dovesse intendersi qualsiasi pubblicità che in qualunque modo, compresa la sua presentazione, induca in errore o possa indurre in errore le persone fisiche o giuridiche alle quali è rivolta o che essa raggiunge e che, a causa del suo carattere ingannevole, possa pregiudicare il loro comportamento economico ovvero che,
3. Con il secondo motivo di ricorso la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dei principi ispiratori della responsabilità civile, avendo la sentenza impugnata affermato la sua responsabilità pur in mancanza di una condotta illecita, dolosa o colposa,non avendo essa svolto alcuna attività per ingenerare nel consumatore il convincimento della minore nocività delle sigarette lights.
4. Con il terzo motivo di ricorso la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dei principi informatori della responsabilità civile, con particolare riguardo al rapporto di causalità ed all’omessa valutazione della condotta del fumatore come fattore che interrompe il nesso causale, nonchè il vizio motivazionale dell’impugnata sentenza.
Lamenta la ricorrente che non risulta provato che il danno lamentato derivasse dalla condotta di essa ricorrente; che essa ricorrente non era tenuta ad apporre sui pacchetti di sigarette, che già contenevano le diciture (previste dalla legge) relative ai danni del fumo, ulteriori dichiarazioni aggiuntive per le sigarette lights, poichè il consumatore-fumatore era già avvertito di tali danni dalle diciture esistenti ed aveva consapevolmente accettato il rischio del fumo.
5.1. I due motivi di ricorso vanno esaminati congiuntamente, essendo connessi. Essi sono fondati, salvo che nel riferimento al comportamento del consumatore-fumatore, di cui al terzo motivo.
Va premesso che contro le sentenze del giudice di pace in cause di valore non superiore ad Euro 1.100,00, e perciò da decidere secondo equità, il ricorso per cassazione è ammesso solo per il mancato rispetto delle regole processuali, per violazione di norme costituzionali e comunitarie (in quanto di rango superiore alla legge ordinaria), ovvero per violazione dei principi informatori della materia, e per carenza assoluta o mera apparenza della motivazione o di radicale ed insanabile contraddittorietà, non essendo ammissibile il ricorso per violazione o falsa applicazione di legge, a norma dell’art. 360 c.p.c., n. 3 (S.U. 15 ottobre 1999, n. 716, coordinata con la sentenza additiva della Corte Cost. 14.7.2004, n. 206).
5.2. L’art. 2043 c.c. fissa i principi informatori della responsabilità civile, ai quali anche il giudice di pace nel giudizio di equità deve attenersi, quanto alla struttura del fatto dannoso (costituito da una condotta, almeno colposa, da un evento lesivo e da un lesso causale che unisca etiologicamente la prima al secondo) ed al danno risarcibile, inteso come danno consequenziale all’evento lesivo.
L’art. 2059 c.c. fissa, invece, i principi informatori della materia in tema di risarcimento del danno non patrimoniale, per cui tale danno è risarcibile (oltre che nelle ipotesi tipicamente previste dalla legge) solo allorché l’evento dannoso incida su valori della persona umana costituzionalmente garantiti (Cass. S.U. 11.11.2008, n. 26972).
6.1. Come rilevato da S.U. n. 794 del 15/01/2009, in ricorso avverso sentenza similare del giudice di pace di Napoli, la sentenza manca di qualsiasi motivazione in ordine alla natura ingannevole della pubblicità, sussistendo, in proposito, la mera citazione del provvedimento dell’Autorità Garante (del quale non sono riportate neppure le ragioni) ed il riferimento alle affermazioni dello stesso attore; manca, poi, la motivazione in ordine all’esistenza del nesso di causalità tra la propagazione del messaggio ingannevole ed il danno ingiusto lamentato.
Manca, altresì, qualsiasi argomentazione in ordine all’atteggiamento psicologico della società convenuta. Sul punto bisogna dire che la ricorrente ha, per un verso, ragione quando sostiene che tale elemento della fattispecie risarcitoria debba essere adeguatamente provato e motivato; tuttavia essa sbaglia, per altro verso, quando ritiene che sia necessaria la dimostrazione di avere essa mirato a presentare le sigarette in questione come meno dannose per la salute.
Così argomentando la società finisce con il pretendere la dimostrazione del dolo, ossia della volontà del comportamento diretto ad ingannare; laddove, invece, è sufficiente presupposto risarcitorio la dimostrazione della colposa diffusione di un messaggio prevedibilmente idoneo ad insinuare nel consumatore il falso convincimento intorno alle caratteristiche ed agli effetti del prodotto.
6.2. Il terzo motivo è invece, infondato nella parte in cui lamenta che il giudice non avrebbe tenuto conto del comportamento del fumatore, che, nonostante i “caveat” o ” health warnings”, sui danni da fumo, aveva continuato a fumare con una scelta autonoma che comportava l’interruzione del nesso causale tra il produttore delle sigarette ed il danno da fumo e l’esclusiva responsabilità del fumatore a norma dell’art. 1227 c.c., comma 1.
Nella fattispecie, infatti, non è prospettabile la questione della volontaria assunzione (freedom of choice) di rischio da parte del danneggiato,poiché non si fa questione del danno da fumo subito dal fumatore, che ne era avvertito, ma del danno da pubblicità ingannevole e cioè di quello subito da parte di un soggetto fumatore, che riteneva di ridurre il rischio di danno, proprio fumando tali sigarette lights.
7.1. Con il quarto motivo di ricorso la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dei principi ispiratori in tema di individuazione del danno risarcibile (ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4).
Assume la ricorrente che non risulta provato né l’assunto peggioramento delle condizioni di salute ed il danno alla vita di relazione né il danno non patrimoniale, quale danno esistenziale.
Nella fattispecie il giudice di pace ha ritenuto che la parte attrice, passando a fumare sigarette lights in luogo di quelle normali (che già fumava), sulla base dell’errata convinzione (a cui era stato indotto dalla dicitura “lights”) di ridurre i danni da fumo, proprio perché tale risultato non era stato conseguito, avesse subito “un danno alla salute, alla vita di relazione”. Sennonché il giudice di pace non indica il percorso argomentativo ed i supporti proB. ori sulla base dei quali ha ritenuto la sussistenza nella fattispecie del danno alla salute.
7.2. Osserva questa Corte che, anche in tema di risarcimento del danno da responsabilità aquiliana (sia esso patrimoniale che non patrimoniale) occorre che sia provata l’esistenza di questo danno di cui si chiede il risarcimento, non potendo ritenersi che il danno sia in re ipsa, cioè coincida con l’evento, poiché il danno risarcibile è pur sempre un danno conseguenza anche nella responsabilità aquiliana, giusti i principi di cui agli artt. 2056 e 1223 c.c. e non coincide con l’evento, che è invece un elemento del fatto, produttivo del danno.
Invero il danno risarcibile, nella struttura della responsabilità aquiliana, non si pone in termini di automatismo, con il fatto dannoso.
La linea logica che sostenesse il contrario ed a cui pare ispirarsi la sentenza impugnata, si fonderebbe essenzialmente sul presupposto che, una volta verificatosi il fatto dannoso, la dimostrazione del danno ingiusto risarcibile sarebbe “in re ipsa”, per cui non ricadrebbe sull’attore originario l’onere della dimostrazione delle singole situazioni di pregiudizio subite e risarcibili.
Questa impostazione non è accettabile.
Ed invero sostenere ciò significa affermare la sussistenza di una presunzione in base alla quale, una volta verificatosi il fatto, appartiene alla regolarità causale la realizzazione del danno ingiusto oggetto della domanda risarcitoria, per cui la mancata conseguenza di tale pregiudizio debba ritenersi come eccezionale.
Così operando si pone a carico del convenuto danneggiante l’onere della prova contraria all’esistenza del danno in questione, senza che esso sia stato provato dall’attore.
7.3. Occorre, quindi, che l’attore-danneggiato fornisca la specifica prova del danno lamentato.
Quanto al danno alla salute, esso deve essere provato attraverso l’accertamento medico-legale (D.Lgs. n. 209 del 2005, art. 138 e 139;
Cass. S.U. 26972/2008) e non attraverso la prova testimoniale.
Ciò vale tanto più nella fattispecie in esame in cui l’attore assume di essere già un fumatore e come tale già esposto coscientemente ai rischi e danni da fumo, ma lamenta che il passaggio alle sigarette più “leggere”, che secondo il messaggio subliminalmente “ingannevole” nel predetto descrittivo avrebbe dovuto comportargli una riduzione del rischio e del danno da fumo, in effetti non gli ha dato il risultato sperato, essendo danno e rischio da fumo rimasti inalterati.
Sennonché la statuizione risarcitoria dell’impugnata sentenza non ha ad oggetto questo danno per cosi dire “differenziale” tra la situazione precedente e quella seguente l’induzione all’uso delle sigarette lights, ma un generico danno da peggioramento della salute ed alla vita di relazione, non altrimenti precisato né provato, ma ritenuto in re ipsa.
7.4. Egualmente è fondato il motivo di ricorso nella parte in cui censura il risarcimento per un generico danno non patrimoniale conseguente a tale pubblicità ingannevole.
Come sopra detto, a seguito dello specifico arresto delle S.U. n. 26972/2008, il danno non patrimoniale di cui all’art. 2059 c.c. è risarcibile, oltre che nei casi specificamente previsti dalla legge, solo nel caso di danno conseguente a lesione di valori della persona umana, costituzionalmente garantiti.
La S.U. – inoltre – hanno escluso che possa sussistere una generica categoria di danno esistenziale.
Nella fattispecie il danno da pubblicità ingannevole (salvo che non si risolva in un danno alla salute da accertarsi nei termini suddetti) ha come referente costituzionale più prossimo solo l’art. 41 Cost., il quale garantisce la libertà dell’iniziativa economica privata e l’autodeterminazione delle scelte in materia.
Tale norma tuttavia appartiene alla sfera dei rapporti economici e non dei diritti inviolabili della persona, con la conseguenza che l’evento lesivo che attinge la posizione tutelata dall’art. 41 Cost. non può dar luogo, in assenza di una specifica norma, a danno non patrimoniale.
Quanto al diritto all’autodeterminazione, esso può essere tratto dal Codice del consumo che, all’art. 2, riconosce come fondamentali i diritti del consumatore ad una adeguata informazione e ad una corretta pubblicità, nonché all’esercizio delle pratiche commerciali secondo principi di buona fede, correttezza e lealtà.
Quanto alla paura di ammalarsi, in dottrina è stato fatto riferimento al danno da pericolo già elaborato da queste Sezioni Unite, quando, a proposito del disastro di X. , è stato ritenuto risarcibile il danno morale soggettivo lamentato da coloro che avevano subito un turbamento psichico (non tradottosi in malattia) a causa dell’esposizione a sostanze inquinanti ed alle conseguenti limitazioni del normale svolgimento della loro vita (Cass. sez. un. 21 febbraio 2002, n. 2515). Tuttavia, non si può omettere di considerare che siffatta soluzione è stata accolta in un caso in cui il danno lamentato era posto in collegamento causale con un fatto costituente il reato di disastro colposo e, dunque, in riferimento all’art. 185 c.p..
8. Con il quinto motivo di ricorso la ricorrente lamenta la violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione alla pronunzia del risarcimento del danno da perdita di chances.
Assume la ricorrente che erroneamente il giudice di pace ha liquidato il danno in relazione alla perdita di possibilità di adottare nel periodo dedotto un diverso ed ulteriore rimedio o terapia, qualificandolo come danno da perdita di chances, mentre nessuna domanda in tal senso era stata proposta dall’attore, con conseguente violazione del principio di cui all’art. 112 c.p.c..
9.1. Il motivo è fondato e va accolto.
Osserva questa Corte che la chance o concreta ed effettiva occasione favorevole di conseguire un determinato bene o risultato, non è una mera aspettativa di fatto, ma un’entità patrimoniale e sé stante, giuridicamente ed economicamente suscettibile di autonoma valutazione, onde la sua perdita, id est la perdita della possibilità consistente di conseguire il risultato utile del quale risulti provata la sussistenza, configura un danno concreto e attuale. Tale danno, non meramente ipotetico o eventuale (quale sarebbe stato se correlato al raggiungimento del risultato utile), bensì concreto e attuale (perdita di una consistente possibilità di conseguire quei risultato) non va commisurato alla perdita del risultato ma alla mera possibilità di conseguirlo.
La domanda per perdita di chances è, quindi, ontologicamente diversa dalla domanda di risarcimento del danno da mancato raggiungimento del risultato sperato: ne consegue che, se è stato richiesto solo questo danno, non può il giudice esaminare il danno da perdita di chances, neppure intendendo questa domanda come un minus rispetto a quella proposta, costituendo invece domande diverse non ricomprese l’una nell’altra. Pertanto il risarcimento da perdita di chance presuppone una domanda specifica ed autonoma rispetto a quella di risarcimento da mancato raggiungimento del risultato sperato (Cass. 04/03/2004, n. 4400; Cass. 18/01/2006, n. 852).
9.2. Mancando nella fattispecie tale autonoma domanda, la pronunzia in merito al danno da perdita di chances viola il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunziato, ex art. 112 c.p.c..
10. Pertanto va rigettato il primo motivo di ricorso, vanno accolti i restanti motivi, nei termini suddetti. Va cassata la sentenza impugnata, con rinvio, anche per le spese del giudizio di cassazione, ad altro giudice di pace di Napoli, che si uniformerà ai seguenti principi di diritto:
1) “L’apposizione, sulla confezione di un prodotto, di un messaggio pubblicitario considerato ingannevole (nella specie il segno descrittivo “LIGHT” sul pacchetto di sigarette) può essere considerato come fatto produttivo di danno ingiusto, obbligando colui che l’ha commesso al risarcimento del danno, indipendentemente dall’esistenza di una specifica disposizione o di un provvedimento che vieti l’espressione impiegata.
2) Il consumatore che lamenti di aver subito un danno per effetto di una pubblicità ingannevole ed agisca, ex art. 2043 c.c. per il relativo risarcimento, non assolve al suo onere proB. orio dimostrando la sola ingannevolezza del messaggio, ma è tenuto a provare l’esistenza del danno, il nesso di causalità tra pubblicità e danno, nonchè (almeno) la colpa di chi ha diffuso la pubblicità, concretandosi essa nella prevedibilità che dalla diffusione di un determinato messaggio sarebbero derivate le menzionate conseguenze dannose.
3) La pubblicità ingannevole non integra di per sè sola (in assenza di ipotesi di reato) la lesione di un valore della persona umana . costituzionalmente protetto, dalla quale possa derivare un danno non patrimoniale, risarcibile ai sensi dell’art. 2059 c.c.”.
P.Q.M.
Rigetta il primo motivo di ricorso, accoglie i restanti motivi, nei termini di cui in motivazione. Cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di cassazione, ad altro giudice di pace di Napoli.
Così deciso in Roma, il 25 marzo 2009.
Depositato in Cancelleria il 30 aprile 2009