Ai fini della qualificazione del rapporto di lavoro, essendo l’iniziale contratto causa di un rapporto che si protrae nel tempo, la volontà che esso esprime ed il nomen iuris che utilizza non costituiscono fattori assorbenti, diventando l’esecuzione, per il suo fondamento nella volontà inscritta in ogni atto di esecuzione, la sua inerenza all’attuazione della causa contrattuale e la sua protrazione, non solo strumento d’interpretazione della natura e della causa del rapporto di lavoro (ai sensi dell’art. 1362 secondo comma cod. civ.), bensì anche espressione di una nuova eventuale volontà delle parti che, in quanto posteriore, modifica la volontà iniziale conferendo, al rapporto, un nuovo assetto negoziale.
Corte di Cassazione – Sezione lavoro – Sentenza del 4 maggio 2009, n. 10242
omissis
Svolgimento del processo
Con ricorso del 21-8-2000 Chiara P. conveniva in giudizio la C. Hospital s.p.a. chiedendo la declaratoria dell’esistenza di un intercorso rapporto di lavoro subordinato, con diritto all’inquadramento nella qualifica di assistente medico a tempo pieno, o in subordine a tempo definito, secondo il ccnl per il personale medico dipendente da case di cura private del 14-7-1999 ed ai sensi dell’art. 36 Cost., con la condanna della società al pagamento delle differenze retributive maturate per complessive lire 92.778.096 (rapporto a tempo pieno) o in subordine per complessive lire 67.875.690 (rapporto a tempo definito) derivanti dall’applicazione dei vari istituti retributivi di fonte contrattuale e dal conteggio dell’espletato straordinario.
A fondamento della domanda la ricorrente esponeva: che aveva prestato la propria attività di assistente medico cardiologo per conto della società convenuta, esercente attività di casa di cura e riabilitazione privata, nel reparto di neuro-fisio-riabilitazione della struttura ospedaliera, presso la sede di Eboli-C. , a far data dal 12-1-1998 e sino al 11-12-1999; che il rapporto era stato definito nel contratto del 12-1-1998 “consulenza con rapporto libero professionale” e che si era svolto con modalità diverse da quelle delineate nell’accordo intercorso tra le parti ed in modo da integrare un vero e proprio rapporto di lavoro subordinato.
Instauratosi il contraddittorio, la società convenuta contestava le avverse pretese deducendo che le parti avevano stipulato un contratto di prestazione libero professionale e a tale contratto avevano dato esecuzione, in applicazione del contratto collettivo per i medici a rapporto libero professionale presso case di cura private.
Il Giudice del lavoro del Tribunale di Salerno, con sentenza n. 4698/2004, rigettava il ricorso, ritenendo che il rapporto intercorso rientrava nella parasubordinazione.
Avverso la detta sentenza proponeva appello la P. chiedendone la riforma con l’accoglimento della domanda introduttiva.
La società appellata si costituiva e resisteva al gravame.
La Corte di Appello di Salerno, con sentenza depositata il 15-12-2005, in parziale accoglimento dell’appello, dichiarata la sussistenza tra le parti di un rapporto di lavoro subordinato a tempo definito per il periodo dal 12-1-1998 all’11-12-1999, condannava la società appellata al pagamento, in favore dell’appellante, della somma di euro 27.125,00 per i titoli spiegati, ad eccezione della indennità sostitutiva del preavviso e di quella delle ferie non godute, con accessori di legge, da calcolarsi con decorrenza dalla data di maturazione dei crediti e fino al soddisfo. Compensava altresì le spese del doppio grado.
In sintesi la Corte territoriale ravvisava nello svolgimento del rapporto gli elementi del lavoro subordinato e, inquadrata la P. nella figura di assistente a tempo definito, obbligata al rispetto di 28,5 ore settimanali basilari, con qualifica ex art. 7 ccnl 14-7-99, riconosceva le differenze indicate per lavoro ordinario, tredicesima mensilità, straordinario di guardia medica e TFR, rigettando le richieste di compensi per ferie ed ex festività (nulla essendo stato provato al riguardo) e di indennità sostitutiva del preavviso (essendo stata la P. a porre fine al rapporto).
Per la cassazione della detta sentenza ha proposto ricorso la C. Hospital s.p.a. con due motivi.
La P. ha resistito con controricorso ed ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c.
Motivi della decisione
Con il primo motivo la società ricorrente, denunciando violazione degli articoli 1362, 1363, 1366 e 1367 in relazione al ccnl del 16-5-97 (per la regolamentazione del rapporto di lavoro libero professionale dei medici nelle istituzioni sanitarie e nei centri convenzionati ex art. 26 legge 833/78) e al contratto individuale del 12-1-1998 nonché vizio di motivazione, lamenta che la Corte territoriale ha omesso ogni valutazione delle mansioni previste dal detto ccnl (comprendenti il “medico assistente”) e dei relativi profili, ignorando, nel contempo, il contenuto della lettera con la quale la stessa P. comunicava la “interruzione del rapporto di tipo libero professionale” che intratteneva con la società.
La società, inoltre, deduce che la situazione della P. era esattamente quella prevista dal detto ccnl e che non poteva confondersi il necessario coordinamento da parte della Direzione sanitaria con il potere direttivo e disciplinare del datore di lavoro e con il vincolo della subordinazione, laddove, peraltro, il contratto individuale aveva un contenuto chiaro ed inequivoco sulla natura libero-professionale del rapporto.
Con il secondo motivo la società, denunciando violazione dell’art. 1375 c.c. e vizio di motivazione, in sostanza rileva di aver dato esecuzione al contratto in buona fede e deduce che la stessa P. durante il rapporto non ha contestato né eccepito alcunché. Aggiunge, poi, che la motivazione sul concreto svolgimento del rapporto e sulle effettive modalità di esecuzione dello stesso sarebbe insufficiente e contraddittoria.
I due motivi, che strettamente connessi possono essere esaminati congiuntamente, risultano in parte inammissibili e in parte infondati.
Come questa Corte ha più volte affermato “requisito fondamentale del rapporto di lavoro subordinato – ai fini della sua distinzione dal rapporto di lavoro autonomo – è il vincolo di soggezione del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro, il quale discende dall’emanazione di ordini specifici, oltre che dall’esercizio di una assidua attività di vigilanza e controllo dell’esecuzione delle prestazioni lavorative. L’esistenza di tale vincolo va concretamente apprezzata con riguardo alla specificità dell’incarico conferito al lavoratore e al modo della sua attuazione, fermo restando che ogni attività umana economicamente rilevante può essere oggetto sia di rapporto di lavoro subordinato sia di rapporto di lavoro autonomo. In sede di legittimità è censurabile solo la determinazione dei criteri generali e astratti da applicare al caso concreto, mentre costituisce accertamento di fatto – incensurabile in tale sede, se sorretto da motivazione adeguata e immune da vizi logici e giuridici – la vantazione delle risultanze processuali che hanno indotto il giudice ad includere il rapporto controverso nell’uno o nell’altro schema contrattuale” (v. fra le altre Cass. 21-11-2001 n. 14664, Cass. 12-9-2003 n. 13448, Cass. 6-6-2002 n. 8254, Cass. 4-4-2001 n. 5036, Cass. 3-4-2000 n. 4036, Cass. 16-1-1996 n. 326).
“Elemento indefettibile – quindi – del rapporto di lavoro subordinato – e criterio discretivo, nel contempo, rispetto a quello di lavoro autonomo – è la subordinazione, intesa come vincolo di soggezione personale del prestatore al potere direttivo del datore di lavoro, che inerisce alle intrinseche modalità di svolgimento delle prestazioni lavorative e non già soltanto al loro risultato, mentre hanno carattere sussidiario e funzione meramente indiziaria altri elementi del rapporto di lavoro (quali, ad esempio, la collaborazione, l’osservanza di un determinato orario, la continuità della prestazione lavorativa, l’inserimento della prestazione medesima nell’organizzazione aziendale e il coordinamento con l’attività imprenditoriale, l’assenza di rischio per il lavoratore e la forma della retribuzione), i quali – lungi dal surrogare la subordinazione o, comunque, dall’assumere valore decisivo ai fini della prospettata qualificazione del rapporto – possono, tuttavia, essere valutati globalmente, appunto, come indizi della subordinazione stessa, tutte le volte che non ne sia agevole l’apprezzamento diretto a causa di peculiarità delle mansioni, che incidano sull’atteggiarsi del rapporto. Inoltre, non è idoneo a surrogare il criterio della subordinazione nei precisati termini neanche il “nomen iuris” che al rapporto di lavoro sia dato dalle sue stesse parti (cosiddetta “autoqualificazione”), il quale, pur costituendo un elemento dal quale non si può in generale prescindere, assume rilievo decisivo ove l’autoqualificazione non risulti in contrasto con le concrete modalità del rapporto medesimo” (v. Cass. 27-2-2007 n. 4500).
Del resto “ai fini della qualificazione del rapporto di lavoro, essendo l’iniziale contratto causa di un rapporto che si protrae nel tempo, la volontà che esso esprime ed il nomen iuris che utilizza non costituiscono fattori assorbenti, diventando l’esecuzione, per il suo fondamento nella volontà inscritta in ogni atto di esecuzione, la sua inerenza all’attuazione della causa contrattuale e la sua protrazione, non solo strumento d’interpretazione della natura e della causa del rapporto di lavoro (ai sensi dell’art. 1362 secondo comma cod. civ.), bensì anche espressione di una nuova eventuale volontà delle parti che, in quanto posteriore, modifica la volontà iniziale conferendo, al rapporto, un nuovo assetto negoziale” (v. Cass. 5-7-2006 n. 15327).
Orbene la Corte di Appello, dopo aver riconosciuto che il contratto individuale del 12-1-98 qualificava la attività come “libero professionale” ai sensi dell’art. 2229 c.c. e dell’accordo nazionale tra le case di cura e i medici liberi professionisti e prevedeva lo svolgimento dell’attività stessa in regime di autonomia, nell’ambito dei criteri direttivi generali indicati dalla direzione sanitaria, con possibilità della P. “di farsi sostituire da altro professionista, comunicando preventivamente il nominativo”, ha accertato che il rapporto nel suo concreto svolgimento si è svolto nel tempo con il vincolo della subordinazione e con i caratteri propri del rapporto di lavoro subordinato.
Al riguardo, in sostanza, la Corte di merito ha rilevato che la P. svolgeva l’attività di medico assistente nel reparto di neuro-fisio-riabilitazione con mansioni e, soprattutto, con modalità, eteroregolamentate, identiche a quelle svolte dagli altri medici legati da vincolo di subordinazione (vedi: direttive professionali del responsabile di reparto e ordini di servizio; turni di reparto prestabiliti dal detto responsabile di concerto con la direzione sanitaria; turni di guardia fissati dalla direzione sanitaria; medesima messa a disposizione delle energie lavorative in modo organico e continuato nel tempo; stessa retribuzione a parte per i turni di guardia medica, con la sola differenza formale della ritenuta d’acconto; obbligo di firma del registro delle presenze all’entrata e all’uscita; necessità, come gli altri, di avvertire la direzione di eventuali assenze e di concertare eventuali sostituzioni con altri colleghi, senza possibilità concreta, però, di farsi sostituire da un medico esterno alla struttura (come invece previsto nel contratto); inserimento della P. nella struttura in modo organico ed organizzato dall’alto; esercizio del potere direttivo non solo in semplici direttive generali, bensì anche in ordini specifici e reiterati, comunque inerenti alla prestazione lavorativa; remunerazione in base alla quantità del lavoro prestato e a cadenze mensili, non collegata al raggiungimento di obiettivi o alla realizzazione di progetti; monitoraggio continuo dell’attività svolta ed altresì controllo anche disciplinare (come documentato da una nota del direttore sanitario – “vero monito scritto”).
La Corte di appello, poi, dopo aver rilevato che il ccnl richiamato nel contratto individuale prevedeva anche che i medici liberi professionisti svolgessero la loro attività in orari non predeterminati e piuttosto secondo le esigenze assistenziali dei pazienti e dopo aver accertato che nella struttura de qua neppure era stata istituita la commissione mista prevista dall’art. 9 dello stesso ccnl, ha affermato che “l’inserimento nell’organizzazione aziendale, pacificamente acquisito, supera in ogni caso il dato formale e non è certamente il solo elemento qualificante il rapporto di lavoro subordinato nel caso di specie, avendosi inoltre la prova certa del fatto che l’intera organizzazione derivava dal datore di lavoro e che il contenuto e la modalità della prestazione era etero regolamentato, pur nel rispetto della discrezionalità e dell’autonomia, necessariamente connesse all’espletamento delle elevate e qualificate mansioni”.
Tale accertamento, fondato sulla verifica del vincolo della subordinazione nel concreto svolgimento del rapporto, in relazione alla particolare attività espletata, attraverso la attenta valutazione complessiva di tutti gli elementi di fatto, rivelatori di tale vincolo, rispetta pienamente i principi sopra richiamati e resiste ampiamente alle censure della ricorrente, essendo, altresì, sorretto da motivazione congrua e priva di vizi logici.
In particolare, tra l’altro, legittimamente la Corte territoriale ha escluso che la qualificazione attribuita dalle parti nel contratto individuale (ed il relativo richiamo all’accordo nazionale dei medici liberi professionisti) potesse assumere rilievo assorbente.
Del pari, con valutazione di fatto sorretta da idonea motivazione, la Corte di merito ha accertato che la P. non ha in concreto svolto la propria attività in regime autonomo, come previsto dal contratto individuale e dall’accordo collettivo richiamato, bensì con il vincolo della subordinazione e con le modalità proprie del rapporto di lavoro subordinato.
Seppure, quindi, la attività di assistente medico, nella sua materialità, fosse, ovviamente, quella stessa contemplata anche dal rapporto libero professionale formalmente previsto in origine, è evidente che è il successivo svolgimento concreto di tale attività, con le particolari modalità emerse, che ha integrato i caratteri propri del rapporto di lavoro subordinato (oggettivamente e senza che fossero necessarie ulteriori indagini sull’elemento soggettivo delle parti).
Il ricorso va, pertanto, respinto.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento in favore della P. delle spese liquidate in euro 31,00 oltre euro 3.000,00 di onorari, oltre spese generali, IVA e CPA.