Una paziente si sottoponeva a cure odontoiatriche presso uno studio dentistico gestito da una società di persone e più specificamente da una società in accomandita semplice (s.a.s.), successivamente, avvertendo sintomatologia dolorosa e difficoltà alla masticazione, conveniva in giudizio tanto il rappresentante legale che aveva eseguito una parte delle prestazioni e che si era rilevato non essere dentista, ma odontotecnico, quanto il direttore sanitario.
Quest’ultimo si era difeso sostenendo che la sua effettiva presenza era stata affermata dall’odontotecnico ma non provata.
Nel corso del giudizio era tuttavia emersa una non occasionale presenza del direttore sanitario con conseguente affermazione di responsabilità. [Avv. Ennio Grassini – www.dirittosanitario.net]
Cassazione Civile – Sezione III, Sent. n. 18914 del 31.08.2009
omissis
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con citazione avanti al Tribunale di Roma, D.G.M. esponeva che nel periodo 1989/90 si era sottoposta a cure odontoiatriche presso lo studio dentistico gestito dalla D. s.a.s. di I. X. & C. s.a.s., di cui era direttore sanitario il dott. C.M.; che tutte le prestazioni sanitarie, ad eccezione delle estrazioni, erano state eseguite da I.M.;
che era successivamente emerso che quest’ultimo, qualificatosi dentista, era invece odontotecnico; che nel 1995 aveva iniziato ad avvertire sintomatologia dolorosa e difficoltà alla masticazione e che da successivi accertamenti era emerso che tali inconvenienti erano derivati dalla cattiva esecuzione delle cure dentistiche.
Conveniva quindi in giudizio il C. e lo I., quest’ultimo in proprio e quale rappresentante della D. s.a.s., e ne chiedeva la condanna al risarcimento dei danni, che quantificava in L. 100 milioni, comprensive della somma corrisposta per le cure in questione.
I convenuti contestavano la fondatezza della domanda; in particolare, lo I. negava di aver prestato attività di cura, riservata a medici .
In esito a prova per testi e a consulenza tecnica d’ufficio, con sentenza del 19 giugno 2000 il Tribunale di Roma, disattesa l’eccezione di prescrizione, condannava convenuti in solido al risarcimento del danno in favore della parte attrice, liquidato in L. 15.400.000, oltre alfa restituzione di quanto corrisposto dalla stessa, maggiorato degli interessi.
La Corte d’ Appello di Roma, con sentenza del 25 novembre 2004, in parziale accoglimento dell’appello principale proposto da I. M. e da C.M., condannava gli stessi al pagamento dell’importo di Euro 10.225,85, e compensava parzialmente le spese di entrambi i gradi.
Propone ricorso per cassazione C.M. con cinque motivi.
Resiste con controricorso D.G.M..
Il C. e la D.G. hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si denuncia la violazione di legge (art. 115 c.p.c., comma 1) nonché l’omessa motivazione su un punto decisivo della controversia, in quanto la Corte d’Appello aveva erroneamente ritenuto che il ricorrente fosse direttore sanitario dello studio, mentre in realtà non aveva mai avuto a che fare con detta struttura, né aveva mai operato sui pazienti che si erano rivolti alla D. s.a.s.; anzi aveva sporto formale denuncia ai Carabinieri di It. per essere stato indicato dallo I. come direttore sanitario di detta struttura. Il relativo procedimento sarebbe ancora pendente. In nessun atto risulterebbe peraltro il nome del C..
Con il secondo motivo si denuncia la contraddittoria e illogica motivazione su un punto decisivo della controversia, posto che la circostanza della funzione di direttore sanitario sarebbe stata confermata da due testi, mentre in realtà si tratterebbe di deposizioni quanto mai vaghe e contraddittorie.
Con il terzo motivo si denuncia la violazione di norme di diritto e cioè dell’art. 2697 c.c., poiché la presenza del C. quale direttore sanitario era stata affermata dallo I., senza però che questi fornisse alcun elemento di prova sul punto.
Con il quarto motivo di denuncia la contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia e cioè la valutazione di non decisività della veridicità della firma del C. sulla fatture, in ordine alle quali era stata proposta querela di falso Con il quinto motivo di denuncia la insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, posto che in primo grado la posizione del C. era stata valutata proprio in relazione alle firme risultanti dalle fatture e al fatto che esse non fossero state tempestivamente disconosciute.
I motivi indicati debbono essere trattali unitariamente, in quanto tutti volti a prospettare una diversa lettura dei dati probatori acquisiti nel corso dei primi due gradi di giudizio senza individuare specifiche valutazioni erronee o incongrue applicazioni dei canoni della logica: la motivazione assunta nella sentenza impugnata supera quindi in modo limpido il vaglio di legittimità demandato a questa Corte. Secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite il giudice di legittimità non ha il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico – formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando, così, liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge). Ne consegue che il preteso vizio di motivazione, sotto il profilo della omissione, insufficienza, contraddittorietà della medesima, può legittimamente dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato (o insufficiente) esame di punti decisivi della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile di ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico – giuridico posto a base della decisione. (Cass. SS.UU. 27 dicembre 1997 n. 13045). Nella specie, i giudici del merito hanno invece valutato in modo coerente e completo le risultanze agli atti, pervenendo al convincimento, adeguatamente e compiutamente motivato, della non occasionale presenza del ricorrente C., in qualità di responsabile, nella struttura sanitaria presso la quale la sig. D.G. si rivolse per le cure dentarie.
Il ricorso merita quindi il rigetto: segue la condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione, Terza Sezione Civile, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 3.200,00, dei quali Euro 3.000,00, per onorari, oltre spese generali e accessori come per legge.
Così deciso in Roma, il 23 giugno 2009.
Depositato in Cancelleria il 31 agosto 2009