Dati allarmanti sul «burnout» nei dottori e sulle possibili conseguenze per i pazienti. Molti arrivano ad ammettere il ricorso ad alcol e a droghe
MILANO – La malasanità può dipendere anche dal malessere dei medici: più della metà di loro ammette che stress e fatica finiscono per incidere sul trattamento del malato; quelli maggiormente provati si rendono conto due-tre volte più spesso degli altri di aver mancato in qualche modo nei confronti dei pazienti. Le “confessioni” dei dottori emergono da una serie di indagini condotte in diversi Paesi, riassunte ora sulle pagine di Lancet da tre ricercatori canadesi dell’Università di Calgary. «La salute fisica e psichica dei medici si riflette sull’attività professionale ed è quindi un importante indicatore di qualità delle cure» sostengono gli estensori dell’articolo. E Jean Wallace, prima firmataria dell’articolo, sottolinea: «Molti medici lavorano 50-60 ore la settimana, ma il sovraccarico non è solo di fatica: c’è quello emozionale e, sempre di più, c’è il peso della burocrazia e dei conflitti tra colleghi ». «A tutto ciò si sommano fattori culturali che rendono più difficile per i dottori chiedere aiuto — dice Beniamino Palmieri, coordinatore del progetto “Medico cura te stesso”. Secondo la Canadian Medical Association, il 18% dei suoi soci è riconosciuto come depresso, ma solo in 1 caso su 4 prende in considerazione l’idea di farsi aiutare e soltanto il 2% si cura. Così, nel corso della carriera almeno un dottore su quattro “scoppia”. Anzi, gli studi più pessimistici arrivano a capovolgere questo rapporto, calcolando che solo uno su quattro sfugge a quella che è stata chiamata “sindrome da burnout”.
DALL’ESAURIMENTO AL CINISMO – Spiega Francesco Tomei, docente di medicina del Lavoro all’Università La Sapienza di Roma: «Prima compare un esaurimento emotivo; poi subentra un distacco che può arrivare fino al cinismo; infine, si giunge alla totale sfiducia nelle proprie capacità». Ci sono forme depressive che, come riferito da Lancet, portano al suicidio i medici sei volte più spesso di chi fa un altro mestiere; altre che si manifestano con rabbia e irritabilità; casi in cui prevalgono mal di testa, nausea, disturbi del sonno. Le conseguenze della stanchezza si fanno sentire a livello personale, perché aumenta il rischio di ferirsi con un bisturi, pungersi con una siringa, o di provocare incidenti stradali. A rimetterci poi è la famiglia, con una percentuale superiore alla norma di separazioni e divorzi. E ne fanno le spese anche i pazienti: il medico stressato non solo è meno disponibile al dialogo, ma rischia più facilmente di commettere errori, anche fatali. «Molti di coloro che hanno una sindrome di burnout non sono neppure consapevoli della propria sofferenza — aggiunge Ferdinando Pellegrino, psichiatra autore di diversi libri sull’argomento — e la scaricano nel gioco d’azzardo, nell’alta velocità, nelle perversioni sessuali, alla ricerca di qualcosa che possa riaccendere le emozioni». La valvola di sfogo più comune è costituita però da alcol, droghe e farmaci, a cui i medici hanno più facile accesso. Gli studi condotti in diversi Paesi sono abbastanza omogenei e indicano che a farne uso è circa il 12% per cento dei medici. Sulla base di questo dato, in Italia sarebbero circa 42 mila.
I PROGETTI – Commenta Paola Mora, segretario generale dell’Associazione per la difesa delle professionalità mediche: «All’estero sono nati programmi specifici per dare aiuto ai medici, come quello di Barcellona, da cui abbiamo preso spunto per il Progetto helper, che vorremmo far partire in Piemonte». Garantendo la privacy, si offre una fase di disintossicazione con un periodo di ricovero in un apposito centro, poi un supporto di mantenimento. «In Spagna, il 78% dei medici che hanno usufruito del sostegno, dopo 5 anni non ha ripreso a fare uso di sostanze e il 72% continua a esercitare la professione — prosegue Mora — con un vantaggio anche economico per la società. Per questo il Governo ha finanziato all’80% l’iniziativa, i cui costi restanti sono stati coperti dagli Ordini dei medici locali ». Finora in Italia non esiste nulla del genere. «Ma nei centri oncologici, gli psicologi affiancano anche il personale— dice Roberto Labianca, presidente dell’Associazione italiana di oncologia medica. «E molti sono i gruppi di medici che, sotto la guida di un esperto, imparano ad affrontare gli aspetti emotivi dei diversi casi » precisa Pellegrino. Un altro lavoro citato da Lancet conferma l’efficacia dei programmi di riduzione dello stress nei medici: negli ospedali in cui sono stati applicati si è osservato un calo significativo degli errori e delle denunce per malpractice, rimaste invariate in altre strutture di controllo.