L’intervento riformatore del giugno ’09 ha abrogato l’Art. 184 – bis c.p.c. creando un nuovo assetto generale per la rimessione in termini, ora collocato in modo ben più appropriato sotto l’Art. 153 c.p.c. Prima la rimessione in termini era possibile soltanto per causa non imputabile, per il solo giudizio di primo grado. Ma, ora l’istituto assume le forme di congegno di carattere generale, applicabile anche alle fasi di gravame e, quindi, suscettibile perfino di influenzare il passaggio in giudicato di una pronuncia che già appariva cemento armato.
Non nascondiamo che sotto tale profilo l’attenzione dei magistrati dovrà essere massima, di analisi e di sintesi, al cospetto delle gravissime implicazioni che potrebbero insorgere dalla sua applicazione indiscriminata. Ma proprio per tale generalizzazione non vediamo ostacoli all’utilizzo della rimessione in termini anche nell’ambito del processo sommario di cognizione, che, in assenza della modifica, non sarebbe stato fruitore della salvifica chance. Pleonastico soggiungere che la parte dovrà allegare i fatti che hanno comportato e determinato la decadenza dando prova della loro non imputabilità. Il Tribunale di Mondovì con ordinanza del 19 febbraio 2010 offre una conferma dell’applicazione generalizzata dell’istituto della rimessione in termini. Di notevole pregio anche il richiamo che viene operato alla pronuncia della Corte Costituzionale che ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità degli Articoli 184 – bis c.p.c. e 644 c.p.c., sollevata avuto riguardo agli Articoli 3 e 24 della Costituzione ad opera del Tribunale di Milano.