Relativamente al pagamento della imposta sulla pubblicità dovuta per l’esposizione della targa recante l’indicazione dello studio professionale, la Corte di Cassazione, ha affermato che non è ammissibile che il libero professionista in genere possa essere soggetto ad un regime fiscale differenziato – e più gravoso – rispetto a quello riservato a coloro che svolgono una qualsiasi altra attività economica in regime concorrenziale.
Da ciò si è estesa ai liberi professionisti la norma la quale statuisce che l’imposta non è dovuta per le insegne di esercizio di attività commerciali e produzione di beni o servizi che contraddistinguono la sede ove si svolge l’attività cui si riferiscono, di superficie complessiva fino a 5 metri quadrati
Cassazione Civile – Sez. Trib.; Sent. n. 16722 del 16.07.2010
omissis
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. G. e T.M. propongono ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania indicata in epigrafe, con la quale, rigettando l’appello dei contribuenti, avvocati, è stata confermata la legittimità dell’avviso di accertamento emesso nei loro confronti dalla Ausonia Servizi Tributari s.p.a. quale concessionaria per l’accertamento e la riscossione dell’imposta sulla pubblicità del Comune di Caserta – per imposta sulla pubblicità dovuta, per l’anno 2002, per l’esposizione della targa recante l’indicazione dello studio professionale.
Il giudice a quo, in particolare, da un lato, ha ritenuto che la targa, adiacente al portone di ingresso e riportante solo i nominativi, l’attività esercitata e l’ubicazione dello studio, senza specificazione di altre caratteristiche o peculiarità, fosse comunque assoggettata all’imposta, e, dall’altro, ha negato l’applicabilità della norma di esenzione di cui al D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 17, comma 1 bis, comma introdotto dalla L. 28 dicembre 2001, n. 448, art. 10, comma 1, lett. c).
2. Resiste con controricorso la San Giorgio s.p.a., incorporante la Ausonia Servizi Tributari s.p.a., mentre non si è costituito il Comune di Caserta.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con l’unico complesso motivo formulato, i ricorrenti, denunciando violazione di legge e vizio di motivazione, censurano la sentenza impugnata (in modo non del tutto lineare, ma tuttavia sufficiente ad individuare i motivi di doglianza e, quindi, a superare il vaglio della ammissibilità del ricorso, contestata dalla controricorrente) sostenendo, in generale, la non assoggettabilità ad imposta sulla pubblicità delle targhe – come quella oggetto di controversia – recanti unicamente l’indicazione dei nominativi, dell’attività professionale e dell’ubicazione dello studio, senza altre specificazioni, poichè in tali ipotesi mancherebbe la struttura e la finalità del messaggio pubblicitario; e, comunque, invocando l’applicazione della norma di esenzione sopra indicata, la quale si riferirebbe a qualsiasi insegna finalizzata a contraddistinguere il luogo di svolgimento di un’attività di offerta di servizi dietro corrispettivo, secondo l’interpretazione fornita dalla stessa Amministrazione finanziaria, in conformità alla giurisprudenza della Corte di giustizia.
2.1. Il ricorso è fondato nei termini appresso specificati.
Questa Corte, in conformità ad un indirizzo interpretativo già espresso in passato con riferimento al previgente D.P.R. n. 639 del 1972, ha recentemente ribadito, in generale, con riguardo alla disciplina di cui al D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, (e con riferimento a fattispecie sottratta, ratione temporis, all’applicabilità del citato art. 10 della legge n. 448 del 2001), il principio secondo il quale sono da considerare mezzi pubblicitari, e sono quindi assoggettate al tributo, le targhe e le insegne che rechino dei messaggi pubblicitari tali da sollecitare la domanda di beni e servizi, con la conseguenza che il presupposto d’imponibilità, di cui all’art. 5, del D.Lgs. citato, va ricercato nell’astratta possibilità che il messaggio, in rapporto all’ubicazione del mezzo, possa avere un numero indeterminato di destinatari, che diventano tali solo perchè vengono a trovarsi in un luogo determinato (nella specie è stata ritenuta soggetta ad imposta la targa indicativa di uno studio di un avvocato esposta in un cortile che, pur privato, era aperto al pubblico) (Cass. n. 22572 del 2008, che richiama Cass. n. 1930 del 1990; cfr., anche, sempre in tema di targhe di studi professionali, Cass. n. 9577 del 1992, e, nella vigenza del D.Lgs. n. 507 del 1993, in generale, Cass. n. 15654 del 2004, secondo la quale qualsiasi mezzo di comunicazione con il pubblico, il quale risulti – indipendentemente dalla ragione e finalità della sua adozione – obbiettivamente idoneo a far conoscere indiscriminatamente alla massa indeterminata di possibili acquirenti ed utenti il nome, l’attività ed il prodotto di una azienda, è soggetta ad imposta sulla pubblicità, restando irrilevante che detto mezzo di comunicazione assolva pure una funzione reclamistica o propagandistica).
2.2. La L. 28 dicembre 2001, n. 448, art. 10, comma 1, lett. c), ha aggiunto (con effetto dal 1 gennaio 2002) al D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 17, dopo il comma 1, il comma 1 bis, il quale stabilisce, per quanto qui interessa, che “l’imposta non è dovuta per le insegne di esercizio di attività commerciali e produzione di beni o servizi che contraddistinguono la sede ove si svolge l’attività cui si riferiscono, di superficie complessiva fino a 5 metri quadrati”.
Inoltre, in tema di canone per l’installazione di mezzi pubblicitari, che i comuni, ai sensi del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 62, possono istituire in sostituzione dell’imposta sulla pubblicità (e che costituisce una mera variante di quest’ultima e conserva, quindi, la qualifica di tributo propria di essa: Cass., Sez. un., nn. 23195 del 2009 e 11090 del 2010), il D.L. 22 febbraio 2002, n. 13, art. 2 bis, (aggiunto dalla legge di conversione 24 aprile 2002, n. 75), ha stabilito, “analogamente a quanto previsto” dalla citata L. n. 448 del 2001, art. 10, una identica fattispecie di esenzione, precisando ulteriormente, con disposizione di evidente natura interpretativa anche di quest’ultima norma, che “si definisce insegna di esercizio la scritta di cui al regolamento di cui al D.P.R. 16 dicembre 1992, n. 495, art. 47, comma 1, che abbia la funzione di indicare al pubblico il luogo di svolgimento dell’attività economica”.
Infine, la Circolare del Ministero dell’economia e delle finanze, Dipartimento per le politiche fiscali, n. 3 del 3 maggio 2002 ha ritenuto che “devono essere ricomprese tra le fattispecie che godono del beneficio in questione (….) i mezzi pubblicitari esposti dai professionisti ( medici , avvocati, commercialisti, architetti, ingegneri, ecc), che possono rientrare nella definizione di cui al citato D.P.R. n. 495 del 1992, art. 47, in quanto assolvono al compito di individuare la sede dove si svolge un’attività economica”.
2.3. Ritiene il Collegio che la tesi esposta dall’Amministrazione nell’anzidetta circolare debba essere condivisa.
È pur vero che la norma di esenzione in esame, richiamando le “attività commerciali” e quelle di “produzione di beni o servizi”, sembra riferibile, in senso letterale, alle attività esercitate dall’imprenditore e non anche a quelle svolte dal libero professionista.
Tuttavia, deve considerarsi che, secondo la consolidata giurisprudenza della Corte di giustizia, nell’ambito del diritto della concorrenza, la nozione di impresa abbraccia qualsiasi entità che eserciti un’attività economica, a prescindere dallo status giuridico della detta entità e dalle sue modalità di finanziamento (cfr., ad es., sentenze 23 aprile 1991, causa C-41/90, Hofner e Elser; 11 dicembre 1997, causa C-55/96, Job Centre), e costituisce un’attività economica qualsiasi attività consistente nell’offrire beni o servizi su un mercato determinato (sentenze 16 giugno 1987, causa 118/85, Commissione/Italia; 18 giugno 1998, causa C-35/96, Commissione/Italia, sugli spedizionieri doganali).
Si è, pertanto, in particolare, ritenuto che, “gli avvocati offrono, dietro corrispettivo, servizi di assistenza legale consistenti nella predisposizione di pareri, di contratti o di altri atti, nonché nella rappresentanza e nella difesa in giudizio. Inoltre, essi assumono i rischi finanziari relativi all’esercizio di tali attività poiché, in caso di squilibrio tra le spese e le entrate, l’avvocato deve sopportare direttamente l’onere dei disavanzi.” E si è concluso che gli avvocati “svolgono un’attività economica e, pertanto, costituiscono imprese ai sensi degli artt. 85, 86 e 90 del Trattato, senza che la natura complessa e tecnica dei servizi da loro forniti e la circostanza che l’esercizio della loro professione è regolamentato siano tali da modificare questa conclusione” (sentenza 19 febbraio 2002, causa C-309/99, Wouters).
Ne deriva che, in ossequio ai richiamati principi del diritto comunitario, non è ammissibile che l’avvocato (e il libero professionista in genere) possa essere soggetto, nella materia de qua, ad un regime fiscale differenziato – e più gravoso – rispetto a quello riservato a coloro che svolgono una qualsiasi altra attività economica (in regime concorrenziale).
2.4. Va aggiunto che l’anzidetta conclusione è anche conforme ad una interpretazione costituzionalmente orientata della normativa in esame: premesso, infatti, che, secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale e di questa Corte, anche le norme concernenti agevolazioni e benefici tributari, pur essendo frutto di scelte discrezionali del legislatore, possono essere oggetto di interpretazione estensiva quando ciò sia imposto dalla ratio legis (cfr., da ult., Corte cost. n. 202 del 2003 e Cass. n. 8361 del 2002), non può non osservarsi che l’esclusione dall’ambito applicativo della norma de qua delle targhe degli studi professionali (le quali resterebbero assoggettate ad imposta, a meno che non superino la superficie di trecento centimetri quadrati, ai sensi del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 7, comma 2) risulterebbe in contrasto con la finalità, perseguita dalla legge, di sottrarre ad imposizione (entro i previsti limiti dimensionali) le indicazioni aventi lo scopo prevalente (proprio in considerazione delle ridotte dimensioni) di identificare il luogo di esercizio di una attività economica, distinguendolo da quelli concorrenti.
3. In conclusione, il ricorso va accolto, la sentenza impugnata deve essere cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa va decisa nel merito, con l’accoglimento del ricorso introduttivo dei contribuenti.
4. In considerazione della novità della questione, sussistono giusti motivi per disporre la compensazione delle spese dell’intero giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso introduttivo dei contribuenti. Compensa le spese dell’intero giudizio.
Così deciso in Roma, il 29 aprile 2010.
Depositato in Cancelleria il 16 luglio 2010