L’azione per responsabilità medica promossa dal paziente, deve inquadrarsi nell’ambito di una responsabilità contrattuale – da “contatto sociale” – tra il sanitario, dipendente della struttura ospedaliera che ha effettuato il trattamento chirurgico e  il paziente.

Tra la struttura ospedaliera pubblica e il paziente viene a configurarsi un contratto di natura normativamente atipica ovverosia  il c.d. contratto di spedalità o assistenza sanitaria in forza del quale la struttura è tenuta non solo a fornire al paziente prestazioni alberghiere, ma anche a mettere a disposizione di quest’ultimo il personale medico ausiliario e paramedico e ad apprestare medicinali ed attrezzature anche per eventuali complicazioni.

Più puntualmente, poi, la responsabilità dell’ente gestore del servizio ospedaliero e quella del medico dipendente hanno entrambe radice nell’esecuzione non diligente o errata della prestazione sanitaria da parte del medico, per cui, accertata la stessa, risulta contestualmente accertata la responsabilità a contenuto contrattuale di entrambi i soggetti.

Tribunale di Roma – Sez. II, sent. del 17.02.2011

 

omissis

 

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

 

1. In applicazione dell’art. 58, comma 2, l. 18.6.2009 n. 69 e quindi delle novellate disposizioni di cui agli artt. 132 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c., si omette di dar conto dello svolgimento delle fasi processuali della lite, se non per i contenuti degli atti introduttivi e di risposta diretti a segnare il tema di lite.

Fr.Co. ha convenuto in giudizio dinanzi all’intestato Tribunale l’Azienda Usl Roma A chiedendone la condanna al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali patiti a seguito di “cure, terapie ed interventi” effettuati presso il Polo Ospedaliere Roma Centro – Ospedale San Giacomo tra il 13 settembre 2000 e il 30 gennaio 2001. Ha dedotto l’attrice a sostegno della domanda:

– che in seguito a trauma distorsivo del ginocchio destro subito in data 7 marzo 2000, evento per il quale l’istante aveva richiesto l’intervento del pronto soccorso, persistendo sintomatologia dolorosa alla gamba destra, in data 18 settembre 2000 la medesima si era sottoposta ad intervento chirurgico di ricostruzione, in artoscopia, del legamento crociato anteriore presso l’indicato presidio Ospedaliero da cui veniva dimessa il successivo 21 settembre;

– che quindi il successivo 26 settembre, a causa di un improvviso stato febbrile, era stata ricoverata nuovamente presso detta struttura, in cui veniva sottoposta a numerosi controlli, contestualmente iniziando la terapia di riabilitazione;

– che, permanendo una significativa limitazione funzionale della gamba destra, era costretta a subire, successivamente un terzo (in data 4.12.2000), un quarto (in data 18.12.2000) e un quinto (in data 16.1.2001) ricovero, in esito ai quali, effettuata il 7.2.2001 una Risonanza Magnetica al ginocchio destro, esame che evidenziava un peggioramento delle proprie condizioni di salute (fotografando, tra l’altro, l’interruzione del fascio profondo del collaterale mediale, lesione non presente in sito ad una precedente risonanza eseguita l’8.5.2000), era costretta a sottoporsi a nuovo intervento presso altra struttura (Vi.St.).

Lamentando quindi la parte condotte colpose osservate dal personale sanitario operante presso l’indicata struttura – e, segnatamente, del dottor Al.Ba., che aveva eseguito l’intervento del 18.9.00, e del dottor Ci., quest’ultimo Primario del Reparto di ortopedia donne – Ospedale S. Giacomo – sia quanto all’eseguito intervento sia quanto agli accertamenti ed ai trattamenti medici eseguiti -, svolgeva domanda di danni deducendo l’esistenza di una responsabilità contrattuale ed extracontrattuale della Azienda U.S.L. convenuta in giudizio e dei medici curanti ivi operanti, le cui prestazioni non sarebbero state eseguite con la dovuta diligenza, perizia e prudenza. L’Azienda Usl, convenuta, ha dedotto:

– che i trattamenti medici erano stati eseguiti con la dovuta prudenza e diligenza;

– che non sussisteva il nesso di causalità, carente anche in punto di allegazione, tra i danni lamentati dall’attrice ed i trattamenti praticati.

Ha quindi chiesto la medesima convenuta il rigetto dell’avversa domanda, nonché, in caso di suo accoglimento, di essere tenuta indenne da ogni pretesa avanzata da controparte dalla propria compagnia di assicurazioni che quindi ha chiamato in giudizio. La Ll.Lo. – Rappresentanza Generale per l’Italia (da ora in avanti, per economia espositiva, anche semplicemente “Ll.”), terza chiamata, costituitasi, ha eccepito, in via preliminare ed in rito, la nullità della citazione introduttiva del giudizio, in ragione dell’assenza dei profili di inadempimento che sarebbero stati assunti a sostegno della svolta domanda di risarcimento. Nel merito, ha esposto la parte l’inoperatività della polizza assicurativa n. (…), in quanto la stessa avrebbe escluso la copertura assicurativa nel caso di fatto dannoso conseguenza di dolo o di colpa grave del personale medico e comunque l’infondatezza della domanda attorea, anche in quanto non provata.

Sulle singole questioni sottoposte all’attenzione di questo giudicante.

1. Sull’eccezione di nullità della citazione.

Si deve preliminarmente esaminare l’eccezione, sollevata dalla società assicuratrice Ll., di nullità della citazione, per l’asserita mancata esposizione dei profili di inadempimento imputabili alla struttura sanitaria nonché del nesso causale tra l’attività sanitaria e le conseguenze invalidanti lamentate.

Tale eccezione, con la quale si deduce, in sostanza, la mancata esposizione della causa petendi, è infondata.

Nell’atto di citazione, invero, l’attrice allega i fatti costitutivi del diritto azionato. Essendo quest’ultimo, nella specie, un diritto di credito, e quindi un diritto eterodeterminato, l’attrice soddisfa l’esigenza della sua precisa individuazione indicando il contesto spazio – temporale in cui sono stati eseguiti i diversi trattamenti medici, così consentendo di individuare i diversi contratti di spedalità conclusi con la convenuta.

Allega, poi, l’attrice l’inadempimento “qualificato”, cioè astrattamente efficiente alla determinazione dell’evento dannoso, quale: l’omesso prelievo di liquido sinoviale per esame batteriologico ed antibiogramma a seguito della complicazione infettiva insorta dopo il primo intervento; la non corretta esecuzione dei trattamenti medici effettuati e la derivazione causale dei danni subiti in ragione di plurimi e collegati inadempimenti della struttura sanitaria.

È opportuno precisare, poi, che la natura della responsabilità invocata, unita alla constatazione della arbitrarietà della distinzione tra obbligazioni di mezzi e di risultato, constatazione ormai asseverata dalla prevalente giurisprudenza, fanno si che in tale ambito possa operarsi positivamente una valutazione di adeguatezza ed autosufficienza delle allegazioni di cui è onerato l’attore e ciò ogni qualvolta esse consistano nell’enunciazione di una serie di proposizioni che siano tali da rendere credibile la correlazione tra il pregiudizio patito dal paziente e le prestazioni ricevute.

Non deve, per converso, l’onere di allegazione avere necessariamente un’estensione tale da spingersi fino alla enucleazione ed indicazione di specifici e peculiari aspetti tecnici di responsabilità professionale.

Diversamente opinando “si finirebbe – infatti – per gravare il richiedente di un onere supplementare, …inammissibile, quale quello di richiedere, sempre e comunque, un accertamento tecnico preventivo onde supportare l’atto introduttivo del giudizio delle necessarie connotazioni tecnico-scientifiche” (Cass. sent. 19 maggio 2004 n. 9471).

2. Sulla qualificazione dell’azione sull’inquadramento giuridico della fattispecie in esame.

L’azione promossa, secondo ormai consolidata giurisprudenza, deve inquadrarsi nell’ambito di una responsabilità contrattuale – da “contatto sociale” – tra il sanitario, dipendente di struttura ospedaliera, che ha effettuato il trattamento chirurgico, ed il paziente e, ancora, la struttura ospedaliera pubblica ed il paziente (Cass. civ. sez. III 22.1.1999 n. 589; Id., 29.9.2004 n. 19564).

Quest’ultimo contratto di natura normativamente atipica è il c.d. contratto di spedalità o assistenza sanitaria in forza del quale la struttura è tenuta non solo a fornire al paziente prestazioni alberghiere, ma anche a mettere a disposizione di quest’ultimo il personale medico ausiliario e paramedico e ad apprestare medicinali ed attrezzature anche per eventuali complicazioni.

Più puntualmente, poi, la responsabilità dell’ente gestore del servizio ospedaliero e quella del medico dipendente hanno entrambe radice nell’esecuzione non diligente o errata della prestazione sanitaria da parte del medico, per cui, accertata la stessa, risulta contestualmente accertata la responsabilità a contenuto contrattuale di entrambi i soggetti.

Anche l’ente gestore pertanto risponde, in forza di autonomo contratto, dei danni derivati al paziente da trattamenti sanitari praticatigli con colpa, alla stregua delle norme di cui agli artt. 1176 e 2236 c.c., secondo i modelli della responsabilità indiretta di cui all’art. 1228 c.c. o, anche, dell’art. 2049 c.c. (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12362 del 24.5.2006 (Rv. 589591)). E’ vero poi come nel giudizio che abbia ad oggetto l’accertamento della responsabilità del medico chirurgo per l’infelice esito di un intervento chirurgico, l’onere della prova si ripartisce diversamente tra danneggiato e danneggiante.

In particolare, indipendentemente dal grado di difficoltà dell’intervento medico – chirurgico, “il danneggiato deve fornire la prova del contratto (o del “contatto”) e dell’aggravamento della situazione patologica (o dell’insorgenza di nuove patologie per effetto dell’intervento) e del relativo nesso di causalità con l’azione o l’omissione dei sanitarf (Cass. Sez. 3 civ., Sentenza n. 975 del 16.1.2009), restando a carico del preteso danneggiante la prova del fortuito.

Quanto al nesso causale tra il comportamento omissivo del medico ed il pregiudizio subito dal paziente, il primo deve valutarsi come sussistente quando, per un criterio necessariamente probabilistico, si ritenga che l’opera del sanitario, se correttamente e prontamente prestata, avrebbe avuto serie ed apprezzabili possibilità di evitare il danno verificatosi (Cass. sez. 3 civ. 16.1.2009 n. cit.; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 10743 del 11.5.2009).

Il nesso di causalità è infatti in materia regolato dall’applicazione dei principi generali che disciplinano la causalità di fatto (artt. 40 e 41 c.p.), principi che risultano temperati dalla “regolarità causale”. Nel processo di adattamento di siffatti principi alla materia della responsabilità civile, si assiste infatti ad una modifica della regola probatoria segnata dal passaggio da una prova “oltre il ragionevole dubbio”, propria del processo penale, a quella, destinata a valere nel processo civile, della preponderanza dell’evidenza o del “più probabile che non” (Cass. n. 975/2009).

Ciò posto, la ricostruzione della responsabilità deve muovere, innanzitutto, da una valutazione della condotta dei medici operanti, al fine di verificare il rispetto o meno di tutte le norme di prudenza, diligenza e perizia, i protocolli e le linee guida più accreditate nel settore di competenza, per poi – qualora, quindi, si ravvisi un inadempimento-inadempimento – procedere a riscontrare la sussistenza di un nesso di causalità, alla stregua degli anzidetti criteri, tra tale accertato inadempimento e il peggioramento delle condizioni di salute.

3. I fatti.

Tanto esposto, sui fatti di cui si da ricostruzione in ragione della documentazione prodotta e degli elaborati in atti del collegio dei nominati CC.TT.UU., si ha che.

Il 18 settembre 2000 Fr.Co. si sottopone ad un intervento di ricostruzione del legamento crociato anteriore del ginocchio destro presso l’Ospedale San Giacomo di Roma, intervento eseguito dal dottor Al.Ba., medico dipendente del presidio.

La parte viene dimessa il successivo 21 settembre (doc. 4, produzione documentale parte attrice).

Per la successiva lamentata insorgenza di uno stato febbrile, il 26 settembre 2000 l’attrice si ricovera nuovamente presso l’indicata struttura.

Durante tale ricovero, in data 27.9.2000, si riscontra che all’obiettività “il terzo medio dell’arto inferiore ds. appare + caldo del controlaterale, lievemente edematoso”. Vengono quindi eseguiti, come da diari clinici in atti, esami di laboratorio, controllati i valori della Ves e dei globuli bianchi. La paziente viene ancora sottoposta ad un “ecocolordoppler” e ad un tampone faringeo e quindi a terapia antibiotica.

Persistendo limitazione funzionale di flesso – estensione al ginocchio ds., Fr.Co. si ricovera nuovamente il 4.12.2000 e quindi il 6 dicembre, data in cui viene eseguita lisi artroscopica che evidenzia “diffusa fibrosi cicatriziale con formazione di setti e sepimenti… si ritiene utile revisione a cielo aperto” (cfr. doc. 3/C fascicolo parte attrice in procedimento per A.T.P. nonché doc. 12 produzione documentale parte attrice).

L’attrice è quindi dimessa il 7.12.2000.

In data 18.12.2000, l’istante si ricovera nuovamente per essere sottoposta al programmato intervento di lisi a cielo aperto.

Dal referto operatorio risulta diffusa fibrosi cicatriziale retrorotulea con diffuse aderenze (doc. 7 produzione documentale parte attrice).

Il 23.12.2000 l’attrice è dimessa con prescrizione di riabilitazione.

La persistente rigidità articolare costringe a nuovo ricovero, e, in data 17.1.2001, viene eseguita mobilizzazione in narcosi del ginocchio e immobilizzazione in estensione con stecca gessata.

La sig. Co. inizia quindi fisioterapia (doc. 8 produzione documentale attrice).

Il 30.1.2001, tuttavia, viene riscontrata nuovamente una limitazione funzionale articolare, per cui è proposta alla paziente nuova mobilizzazione con l’utilizzazione di perfusione perdurale postoperatoria, trattamento che però l’attrice non accetta.

In tale data la parte viene dunque dimessa (cfr. sempre doc. 8 produzione documentale parte attrice).

4. La domanda.

L’attrice lamenta postumi peggiorativi delle proprie condizioni di salute, con sopravvenuta necessità di successivi interventi, il tutto per un errato trattamento chirurgico (intervento di ricostruzione in artroscopia del L.C.A.) e per la negligenza e l’ imperizia in cui sarebbero incorsi i sanitari del San Giacomo nelle diagnosi e cure apprestate successivamente all’intervento stesso.

In particolare, quanto al primo profilo della dedotta colpa professionale, lamenta l’attrice, quale conseguenza del subito intervento, la lesione del fascio profondo del collaterale mediale che sarebbe evidente nella Rmn del 7.2.2001 (doc. 9 produzione documentale parte attrice) e non presente, invece, nella Rmn eseguita prima di ogni trattamento in data 8.5.2000 (doc. 3 produzione documentale parte attrice; cfr. relazione medico legale di parte, prof. Un., doc. 10 produzione documentale parte attrice).

Denuncia ancora la parte il netto abbassamento della rotula al livello della rima articolare che emergebbe, anch’esso, dal raffronto tra gli indicati esami (cfr. sempre relazione medico legale di parte, prof. Un., sub doc. 10 produzione documentale parte attrice).

Evidenzia poi l’attrice la formazione di tessuto fibrotico sul legamento, la cui causa viene individuata nella cura antibiotica non mirata prescritta dai sanitari in seguito al secondo ricovero. In particolare i medici avrebbero errato, a fronte dell’insorta complicanza infettiva post-operatoria evidenziata dallo stato febbrile della paziente e dal valore elevato della Ves, non effettuando i dovuti prelievi batteriologici finalizzati ad una terapia antibiotica mirata (mancato prelievo dal ginocchio del liquido sinoviale per la sottoposizione dello stesso ad esame batteriologico; impropria richiesta, ad opera di medico internista, di un tampone faringeo ed avvio dell’attrice a terapia antibiotica generica).

5. Sugli evidenziati profili di colpa.

5.1. I nominati cc.tt.uu., Gi.Ma., specialista in medicina legale e delle assicurazioni, e Gr.Co., specialista in ortopedia e traumatologia, muovendo dalle risultanze delle cartelle cliniche, da quelle del giornale di degenza, dalle diverse prescrizioni mediche e dagli esiti delle relazioni specialistiche redatte sulla persona dell’attrice, hanno anzitutto escluso una negligenza del personale medico per non aver eseguito un prelievo di liquido sinoviale in occasione del secondo ricovero del 26.9.2000. Il collegio dei C.T.U. ha infatti escluso la presenza di un’infezione in atto al momento del secondo ricovero della Co. e ciò sulla base di una serie di argomentazioni che così sono sintetizzabili.

A) Nel diario clinico di tale ricovero “sono registrate oscillazioni febbrili che non hanno mai superato i 37.5 C. per ritornare nella norma (36.5 C.) nei giorni 4 e 5 Ottobre e cioè prima delle dimissioni (5.10.2000 (relazione C.T.U., pagg. 4 e 5);

B) “gli esami di laboratorio eseguiti nei giorni successivi mostrarono solamente un aumento cospicuo della Ves, in assenza, comunque, di variazione di leucociti” (supplemento C.T.U., pag. 5);

C) i risultati dell’esame Ves, “unico parametro infiammatorio alterato durante il secondo ricovero della parte attrice”, non sono indicativi di una infezione a carico dell’articolazione del ginocchio in quanto, mentre “non v’è alcuna possibilità che un’infezione endoarticolare del ginocchio si risolva spontaneamente senza cioè un appropriato e talora ripetuto trattamento del ginocchio”, essi, invece, “appaiono normalizzati dalla data del 5.12.2000 in por (relazione C.T.U., pag. 5);

D) non si registra, né nelle artroscopie del ginocchio a partire da quella del 6.12.2000, né dagli ulteriori accertamenti strumentali (Rm. del 7.2.2001), un significativo processo flogistico (tantomeno con caratteristiche infettive) presente nella cavità articolare del ginocchio destro (relazione C.T.U. pag. 5), mentre è presente un quadro di eccessiva reazione cicatriziale fibrotica e cioè una complicazione (artofibrosi) stimata dai nominati tecnici come “talora conseguente la ricostruzione del legamento crociato anteriore”;

E) “l’esame obiettivo ortopedico del ginocchio destro, riportato alla data del 26.9.2000 nella stessa cartella clinica formata durante il secondo ricovero, non evidenzia i principali segni infiammatori e cioè “versamento articolare”, aumento del termotatto, etc.” (relazione C.T.U., pag. 4);

F) i processi flogistici obiettivamente rilevati al “terzo medio dell’ari, inferiore ds.” durante tale ricovero non riguardavano il ginocchio destro, tanto che l’attrice effettuò solo un ecocolordoppler, cioè un'”indagine diagnostica strumentale a svelare problematiche dei vasi sanguigni” (relazione C.T.U., pag. 4);

G) la causa delle “escursioni articolari limitate a causa del dolore e dell’impotenza funzionale” lamentate dall’attrice in occasione del secondo ricovero, poi, è “ragionevolmente del tutto riconducibile alle normali conseguenze” del precedente recente intervento di ricostruzione del legamento crociato anteriore (p. 4 relazione).

In base a tali elementi i CC.TT.UU., dunque, ritengono non possa in alcun modo predicarsi una qualsiasi derivazione della complicanza artrofibrotica dalla lamentata infezione che la parte deduce come non correttamente diagnosticata e curata.

Escludono, altresì, i consulenti quale possibile fattore eziologico della complicanza, anche un’ipotizzabile esecuzione tecnica non corretta dell’intervento principale di ricostruzione del legamento crociato anteriore.

Il che si evince, secondo la ricostruzione operata dai CC.TT.UU., dalla constatazione che i successivi interventi chirurgici sul ginocchio destro riguardano solo trattamento e lisi delle aderenze fibrotiche, mentre non risultano eseguiti ritocchi o miglioramenti di posizionamento, tensionamento o eliminazioni di altre anomalie dell’impianto neo – legamentoso (relazione C.T.U., pag. 6).

I tecnici incaricati, peraltro, mettono in luce come i meccanismi che regolano la formazione di tessuto fibrotico non sono ancora ben compresi.

Tuttavia, in ragione delle suesposte motivazioni, ritengono i consulenti, conclusivamente, di poter affermare che “la complicazione (artrofibrosi) sopravvenuta – a sua volta correttamente trattata – non è causalmente riconducibile a difetti d’esecuzione materiale dell’intervento o di altri aspetti connessi (prescrizioni terapeutiche, controlli, riabilitazione, etc.), bensì a fattori idiopatici” (relazione C.T.U, pag. 6).

5.2 Il riscontrato abbassamento della rotula, poi, risulta ascrivibile secondo valutazione ragionevole e piana dei CC.TT.UU., all’acclarata artrofibrosi del ginocchio.

I consulenti, infatti, ricostruiscono l’indicata variazione come dipendente da un accumulo cicatriziale dentro e attorno l’articolazione, che, incorporando il tendine rotuleo agisce da “tirante” con conseguente abbassamento della rotula (supplemento C.T.U., pag. 6).

5.3. Il collegio peritale ha infine rilevato che l’interruzione del fascio profondo del legamento collaterale mediale “non indica che l’esecuzione dell’intervento chirurgico di plastica del LCS non sia stato eseguito correttamente” (supplemento C.T.U., pag. 6).

In ogni caso detta lesione, osservano i consulenti, non ha determinato alcun problema di stabilità articolare, alcuna lassità o movimento abnorme in valgo del ginocchio (p. 6 supplemento c.t.u.).

La ricostruzione fattuale e tecnica che precede, dunque, porta ad affermare, in modo dirimente e con effetto assorbente in ordine ad ogni valutazione inerente la sussistenza del nesso di causale, che non ricorre un’ipotesi di inadempimento contrattuale dei sanitari, fermo restando che i profili di colpa, ove si tratti di causalità omissiva, ed il tema del nesso causale finiscono per sovrapporsi e coincidere.

5.4. Si deve da ultimo esaminare la domanda di risarcimento del danno derivante, secondo le prospettazioni attoree, dalla inadeguata informativa alla paziente dei rischi connessi all’intervento.

Tale domanda, invero, viene compiutamente svolta dall’attrice solo in sede di comparsa conclusionale, mentre con l’atto introduttivo del giudizio essa aveva fondato l’azione di risarcimento del danno esclusivamente sulla colpa professionale del personale medico e quindi su fatti costitutivi del diritto che integravano una diversa causa petendi (Cass. sent. 3 settembre 2007, n. 18513; con riferimento, più in generale, alla novità della domanda in ragione della diversità dei fatti costitutivi del diritto allorquando si alleghi un diverso profilo di inadempimento delle obbligazioni pur nascenti dallo stesso contratto, v. anche Cass. civ., sez. II, sent. 30 dicembre 2009, n. 28102).

Ne consegue che tale domanda, dovendosi qualificare come nuova, è inammissibile.

A nulla rileva, sul punto, tra l’altro, che le controparti abbiano accettato sull’indicata domanda il contraddittorio. Infatti, nel vigore del regime delle preclusioni di cui al nuovo testo degli art. 183 e 184 c.p.c. introdotto dalla legge n. 353 del 1990, la questione della novità della domanda risulta del tutto sottratta alla disponibilità delle parti – e pertanto pienamente ed esclusivamente ricondotta al rilievo officioso del giudice – essendo l’intera trattazione improntata al perseguimento delle esigenze di concentrazione e speditezza che non tollerano – in quanto espressione di un interesse pubblico – l’ampliamento successivo del thema decidendum, anche se su di esso si venga a registrare il consenso del convenuto (Cass. civ., sez. I, sent. 13 dicembre 2006, n. 26691).

Il conseguente rigetto di tutte le pretese attoree nei confronti della convenuta assorbe ogni disamina della pretesa di manleva proposta da quest’ultima nei confronti della compagnia assicuratrice chiamata in causa.

Le spese di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate d’ufficio, in assenza di notule, come da dispositivo.

Spese di c.t.u. definitivamente a carico dell’attrice.

 

P.Q.M.

 

Definitivamente pronunciando ogni contraria istanza ed eccezione disattesa:

rigetta la domanda proposta da Francesca Co. nei confronti di Azienda U.S.L. Roma A;

condanna Fr.Co. a rifondere alla Azienda U.S.L. Roma A le spese di lite che liquida d’ufficio in Euro 3.981,00 per diritti; Euro 5.240,00 per onorario, Euro 8.91 per spese vive oltre spese generali, Iva e Cpa come per legge;

condanna Fr.Co. a rifondere ai Ll.Lo. – Rappresentanza Generale per l’Italia le spese di lite che liquida, d’ufficio, in Euro 4.173,00 per diritti; Euro 5.830,00 per onorario oltre spese generali, Iva e Cpa come per legge;

pone definitivamente a carico di Fr.Co. le spese della disposta c.t.u..

Sentenza redatta con la collaborazione del magistrato ordinario in tirocinio Ro.Co..

Così deciso in Roma, il 7 febbraio 2011.

Depositata in Cancelleria il 17 febbraio 2011.