Due coniugi, per motivi inerenti alle precarie condizioni di salute della donna e per ragioni di natura economica, in occasione della quarta gestazione, si erano rivolti ad una struttura ospedaliera al fine di non dover più affrontare una nuova gravidanza e, su consiglio di un medico dipendente della medesima struttura, la paziente veniva sottoposta a un intervento di sterilizzazione, mediante legatura e sezione tubarica bilaterale. Ciononostante, accadeva che la donna era risultata di nuovo in stato interessante. I coniugi, anche se la nascita del figlio avrebbe messo a dura prova l’economia familiare, decidevano di portare comunque a termine la gravidanza non prevista né prevedibile, ma di seguito chiamavano in giudizio l’Azienda Sanitaria per ottenere il pagamento dei danni che asserivano aver subito.
Svolgimento del processo
Con atto di citazione notificato in data 31-10-2008 i coniugi D.L. e B.M. convenivano in giudizio davanti a questo Tribunale l’Azienda per i Servizi Sanitari n. 3 “Alto Friuli”, in persona del legale rappresentante pro-tempore, per sentirla condannare al pagamento, in loro favore, dei danni asseritamente subiti a seguito dell’intervento di sterilizzazione cui era stata sottoposta la D. in data 23-5-2002 presso la struttura ospedaliera di Tolmezzo.
Assumevano gli attori, a sostegno della domanda che, tanto per motivi inerenti alle precarie condizioni di salute della D. anche a seguito dei plurimi interventi cui aveva dovuto sottoporsi, quanto altresì per ragioni di natura economica, si erano rivolti, in occasione della quarta gravidanza della stessa (D.), alla predetta struttura ospedaliera al fine di non dover più affrontare una nuova gravidanza e, su consiglio di un medico dipendente della medesima, la D. era stata sottoposta a un intervento di sterilizzazione, mediante legatura e sezione tubarica bilaterale, operazione risultata all’epoca senza complicanze.
Aggiungevano gli attori che, ciononostante successivamente nel periodo maggio-giugno 2005 era successo che la D. era risultata di nuovo in stato interessante.
Decidevano quindi, anche se la nascita del figlio avrebbe messo a dura prova l’economia familiare, di portare comunque a termine anche questa, del tutto non prevista né prevedibile, gravidanza, sottoponendosi a taglio cesareo e venendo al tempo stesso praticata la (nuovamente) richiesta sterilizzazione tubarica, il tutto presso la struttura ospedaliera di San Daniele del .Friuli, aggiungendo che, nel procedere a detto ultimo intervento (di sterilizzazione), venivano riscontrati gli esiti positivi di quella pregressa limitatamente alla sola tuba sinistra, evidenziandosi nel contempo invece su quella destra probabili esiti di una legatura senza però interruzione sufficientemente ampia della stessa tuba (destra).
Concludevano, pertanto gli, attori, perché, a fronte dell’inadempimento contrattuale come testè illustrato, addebitabile alla predetta Azienda Sanitaria e ai medici che, a suo tempo (23-5- 2002), aveva effettuato il primo intervento di sterilizzazione, la convenuta fosse condannata al risarcimento dei conseguenti danni precisando che si erano visti costretti, non avendo la stessa provveduto in tal senso (provvedendo a risarcirli) nonostante la richiesta a tal fine avanzata’ad agire in via giudiziaria
Instauratosi ritualmente il contraddittorio tra le parti, si costituivano in giudizio l’Azienda per i Servizi Sanitari n. 3 “Alto -Friuli”, contestando la domanda, siccome del tutto infondata, onde ne chiedeva il rigetto con vittoria di spese.
Più specificatamente sosteneva, tra l’altro, la convenuta che, contrariamente a quanto ex adverso affermato, l’intervento di sterilizzazione mediante legatura e sezione tubarica bilaterale sarebbe stato eseguito a regola d’arte, come pure che la paziente sarebbe stata debitamente informata del fatto che lo stesso, sia pur in percentuale assai ridotta, poteva non essere efficace al fine di evitare una nuova gravidanza, aggiungendo che in ogni caso la D. aveva sottoscritto, senza riserve, il modulo prestampato relativo al c.d. consenso informato.
Acquisita la documentazione prodotta, depositate memorie di cui al codice di rito, venivano quindi espletata CTU medico-legale a mezzo del prof. Giuseppe F..
Successivamente i procuratori delle parti precisavano le loro rispettive conclusioni nei termini di cui in epigrafe e, infine la causa veniva ritenuta in decisione.
Motivi della decisione
La domanda risarcitoria come sopra proposta dagli attori, D.L. e B.M., si appalesa parzialmente fondata e merita, pertanto, di trovare accoglimento nei limiti sotto indicati per le ragioni appresso esposte.
Ed invero, dalle risultanze processuali ed in particolare dalla consulenza tecnica d’ufficio prof. Giuseppe Certuni di data 4-6- 2010 è rimasto accertato il prescritto nesso eziologico tra l’intervento di sterilizzazione e la lamentata maternità che ci occupa, non essendo stato lo stesso eseguito in maniera da potersi ritenere adeguate, siccome rispondente ai dettami dell’arte (scienza) medica, onde la conseguente quantificazione della invalidità temporanea e dei postumi permanenti che ne sono derivati.
Peraltro, prima di passare all’esame del caso di specie, è necessario premettere, sia pur brevemente, i principi vigenti in subiecta materia, beninteso limitatamente all’ambito della presente controversia.
Rammentasi in proposito che, come è noto, fin dalla sentenza 16-10-2007 n. 21619 la Suprema Corte di Cassazione ha fissato una netta distinzione tra la causalità in materia civile e quella da tempo dalla stessa elaborata in sede penale, escludendo l’applicabilità alla prima del principio di causa penalmente rilevante così come in tale campo ricostruito.
Più specificatamente il giudice di legittimità, dopo aver sottolineato le differenze tra i due istituti, ravvisabili non solo sotto il profilo morfologico bensì anche sotto quello funzionale, con l’ulteriore precisazione relativa al fatto che ci si muove nei ben distinti settori della tipicità (propria del diritto penale) e della atipicità, ha affermato come in quest’ultima materia (civile) non viga la regola propria del campo penale consistente nel fatto che la prova richiamata non può essere che quella”oltre il ragionevole dubbio”, bensì quella ben diversa (regola) contraddistinta dalla preponderanza dell’evidenza o del “più probabile che non” ovvero ancora della”ragionevole probabilità” specificandosi come tale diversità trovi la sua giustificazione nel ben differente ambito di quelli che sono i valori in gioco (nei due settori). In altri termini, la causalità civile deve essere collocata nell’ambito della probabilità relativa, contraddistinta dal fatto che in detto campo si tiene conto di una soglia meno elevata di probabilità rispetto a quella prescritta in sede penale, il tutto secondo indicazioni terminologiche che, in ambito peritale, possono assumere molteplici forme espressive, spettando comunque poi al giudice il compito di operare la prescritta selezione al fine di individuare la soluzione giuridicamente corretta dei risultati raggiunti con la perizia stessa, con l’ulteriore precisazione che, a ben vedere, la causalità propria del settore civile finisce coll’obbedire alla logica del “più probabile che non”, stante appunto la diversità già in precedenza illustrata rispetto alla causalità penale.
In sostanza si tratta, dunque, del ricorso a quelli che sono gli standard di “certezza probabilistica: la stessa Corte di Giustizia C.E. è, peraltro, indirizzata a riconoscere che, nel nostro campo (civilistico), la causalità non possa che poggiare su logiche appunto di tipo chiaramente probabilistico.
Premesso un tanto facendo quindi applicazione dei principi testè illustrati al caso di specie, ritiene lo scrivente che debba essere ribadito ancora una volta come la domanda ben possa trovare accoglimento nei termini sotto indicati per quanto di seguito precisato.
Infatti, anche a voler prescindere da ogni ulteriore considerazione, è agevole rilevare che, come già accennato in precedenza, il nominato CTU prof. Giuseppe F., proprio secondo
il criterio del “più probabile che non” ossia in base a un giudizio di elevata probabilità, ha accertato il prescritto nesso eziologico tra il primo intervento di sterilizzazione tubarica bilaterale e le conseguenze dannose successivamente subite dalla D. per cui è causa.
La questione al nostro esame è, infatti, se tali conseguenze (pregiudizievoli) verificatesi successivamente e nonostante che il 23-5-2002 fosse stato effettuato un intervento di sterilizzazione tubarica al fine proprio di evitare ulteriori gravidanze, siano da attribuirsi unicamente al fatto che lo stesso (intervento), anche se in percentuale ridotta, poteva anche di per sé stesso non essere efficace allo scopo predetto, ovvero se era ‘ravvisabile un nesso eziologico tra l’intervento e gli esiti dannosi di che trattasi per non essere stato eseguito (il primo) in maniera adeguata secondo i dettami della scienza medica.
Orbene, ciò detto, deve dirsi che la risposta desumibile dall’elaborato peritale, le cui conclusioni e le motivazioni addotte per sostenerle, siccome esenti da vizi logici oltre che analitiche ed esaustive, si hanno qui per interamente trascritte e condivise, è fuori di ogni dubbio quella testè indicata per ultima: il prof. F., invero, dopo aver ricordato che, secondo l’ampia letteratura in materia, proprio per la segnalata possibilità di fallimento dell’operazione in parola, è necessario che il chirurgo applichi più accorgimenti, legando la tuba e (soprattutto) avendo cura di asportare un ampio tratto, coagulando i bordi dei due monconi, naturalmente effettuando ciò bilateralmente, (dopo tale premessa dunque), ha sottolineato come dalla acquisita documentazione medica non sia risultato il compimento di tutte le operazioni suddette.
Più specificatamente il nominato consulente tecnico (d’ufficio) ha evidenziato come nella descrizione dell’atto operatorio al nostro esame, così come risultante nel referto riportato nell’elaborato peritale, sia emerso che il chirurgo si sarebbe limitato a sezionare la tuba dopo averla legata, ossia si sarebbe limitato ad interrompere la continuità della medesima, senza però asportarne un tratto sufficientemente ampio, omettendo quindi di compiere tutte le operazioni la cui esecuzione è indispensabile per assicurare il buon esito dell’intervento, giusta la già citata letteratura medica.
A conclusione degli accertamenti effettuati il prof. F. ha, quindi secondo appunto la logica probabilistica già in precedenza richiamata, potuto affermare che la descrizione dell’atto chirurgico di sterilizzazione testè illustrata del 2002 e il quadro che si palesò agli operatori durante il secondo intervento, quello del 2006, di seguito riportato sono “fortemente indicativi” del fatto che non si operò con la dovuta diligenza e prudenza, necessarie appunto per evitare la successiva ricanalizzazione tubarica, causa della gravidanza interessata.
Nell’elaborato peritale è riportato, infatti, pure la descrittiva chirurgica del secondo intervento 5-2-2006 nella quale è per quanto ci occupa significativamente riferito: “Si esplorano gli annessi di sinistra e si evidenziano gli esiti di pregressa legatura tubarica con netta interruzione e livello istimico della continuità anatomica della tuba stessa” aggiungendo però, del tutto significativamente per l’altra tuba e cioè per quella di destra: “A destra si evidenziano esiti di legatura tubarica ma senza interruzione netta della tuba stessa………. “, rimanendo in tal modo comprovato che il primo intervento di sterilizzazione tubarica del 23-5-2002 è stato effettuato in maniera certamente inadeguato per la testè rilevata mancata interruzione netta della tuba di destra in contrasto con quelli che sono i dettami dell’arte medica.
Per quanto finora detto non v’è chi non veda come debba ritenersi dimostrata la sussistenza in ispecie della responsabilità del personale medico della azienda sanitaria convenuta in ordine all’evento lesivo che ci occupa, essendo rimasto accertato che la gravidanza in parola ebbe a verificarsi per il fatto che non era stato eseguito con la prescritta diligenza e prudenza, seguendo i dettami della scienza medica, l’intervento di sterilizzazione tubarica cui la D. si era sottoposta nel corso del 2002, proprio per evitare ulteriori gravidanze, peraltro su consiglio di un medico della struttura ospedaliera di Tolmezzo, cui si era rivolta.
Né rilevano in senso contrario, a fronte delle obiettive risultanze in precedenza illustrate, le mere affermazioni e deduzioni di parte convenuta, siccome del tutto prive del necessario riscontro probatorio, comunque a carico della stessa, secondo i principi vigenti in materia di distribuzione tra le parti dell’onere probatorio, stante la indubbia natura contrattuale della responsabilità di che trattasi.
A titolo di completezza non va, peraltro, neppure sottaciuto come, da parte della giurisprudenza di merito, sia stato affermato che in un rapporto professionale di tipo medico avente ad oggetto un intervento di sterilizzazione, l’evento procreativo non desiderato costituisce di per sé prova del mancato raggiungimento del risultato voluto.
Parimenti, poi, non può che disattendersi l’eccezione di parte convenuta, giusta la quale ad escludere la responsabilità in parola sarebbe sufficiente il fatto che la D. era stata informata dell’eventualità che l’intervento di sterilizzazione de qua poteva non essere efficace al fine di evitare un’ulteriore gravidanza, sottoscrivendo l’apposito modulo prestampato relativo al c.d. consenso informato.
Infatti, anche a tacer d’altro, è agevole rilevare come detta eccezione trovi la sua confutazione proprio nella imperizia e imprudenza innanzi richiamata, ravvisabili nel predetto intervento che ci occupa.
Come noto, invero, secondo l’insegnamento espresso in merito dal giudice di legittimità, l’efficacia del c.d. consenso informato è pur sempre subordinato alla dimostrazione che l’intervento, cui lo stesso si riferisce, sia stato correttamente eseguito in linea con quelli che sono i dettami della scienza medica: il consenso informato, espressione di un diritto personalissimo di rilevanza costituzionale all’autodeterminazione terapeutica, è cioè un obbligo contrattuale del medico, in quanto tale funzionale al corretto adempimento della prestazione professionale, pur essendo autonomo rispetto ad esso.
Si tratta cioè di un ulteriore obbligo, che va ad aggiungersi a quello (contrattuale) relativo alla corretta esecuzione della propria prestazione professionale, di modo che, sempre secondo la Corte di Cassazione, può ravvisarsi una responsabilità risarcitoria per violazione dello stesso, anche qualora l’intervento sia perfettamente riuscito, ossia in una situazione ben diversa da quella accertata nella fattispecie in esame per quanto già ampiamente specificato, senza quindi che allo stesso possa essere riconosciuta la pretesa natura esimente.
Non può quindi essere revocato per dubbio che, sulla scorta delle suddette assorbenti considerazioni, debba rigettarsi, siccome palesamente infondata, pure l’eccezione ora in esame.
Esaurita in tal modo la disamina relativa all’an debeatur che ha portato all’affermazione dell’Azienda Sanitaria convenuta in ordine alla responsabilità del fatto illecito di che trattasi (intervento di sterilizzazione del maggio 2002) e dunque delle conseguenze pregiudizievoli che ne sono derivate, secondo il principio di causalità, agli attori, passando quindi all’esame del quantum (debeatur) va ribadito come le domande svolte da questi ultimi con riguardo allo stesso si appalesano fondate nei termini di seguito riportati per le ragioni sottoindicate.
In via preliminare sotto tale profilo deve anzitutto distinguersi il pregiudizio subito dalla sola D. da quello patito da entrambi i genitori: infatti è consolidato oramai l’orientamento della giurisprudenza, secondo il quale, in caso di gravidanza della donna che si è sottoposta a intervento di sterilizzazione poi rivelatosi inefficace, debbono essere risarcite alla stessa il danno da inabilità temporanea, parziale o totale, nonché quello biologico, mentre ad entrambi i genitori, attesi gli effetti protettivi da riconoscersi ad entrambi in caso appunto di inadempimento (contrattuale) di cui si è detto, va riconosciuto il diritto a vedersi risarcire il danno patrimoniale, rappresentato dal costo di mantenimento del figlio fino al compimento degli studi e al raggiungimento dell’indipendenza economica, oltre a quello non patrimoniale consistente nella lesione del loro diritto all’autodeterminazione della propria esistenza e alla completa libertà nella determinazione in merito alla scelta della procreazione.
Orbene, ciò detto, quanto quindi anzitutto ai danni attinenti esclusivamente dalla D. , osservasi come il nominato CTU, a seguito degli accertamenti effettuati, abbia riconosciuto un’inabilità temporanea di complessivi gg. 20 al 50%, oltre ad esiti permanenti, sotto forma di danno biologico, nella misura del 4-5%.
Lo stesso consulente tecnico d’ufficio ha poi escluso che la menomazione subita dalla predetta attrice sia in grado di incidere sulla capacità di produrre redditi della medesima, come pure che possa determinare una maggiore usura nello svolgimento della stessa (capacità).
Sulla scorta, dunque, delle determinazioni dei perito prof. F. testè illustrate, la relativa quantificazione risulta nei rispettivi importi di € 431,00 (per l’inabilità temporanea) e di € 10.374,00 (per il danno biologico), tenuto conto per questo ultimo delle tabelle del Tribunale di Milano a tal fine elaborata.
Da ciò deriva che nella misura complessiva di € 10.805,00 resta determinato il danno subito dalla D. in via esclusiva. Quanto, quindi, ai danni patiti da entrambi i genitori, anzitutto prendendo le mosse da quello patrimoniale, consistente – per quanto già accennato – nei maggiori oneri che graveranno sulla coppia per il mantenimento del nuovo figlio, ritiene lo scrivete che lo stesso, tenuto conto di un costo medio mensile di € 260,00 e dell’età di anni 23 siccome necessaria per il compimento degli studi e per l’effettivo raggiungimento dell’autonomia economica, resta determinato nella somma complessiva di € 71.760 (settantunmilasettecentosessanta) da considerare nella fattispecie come base per la quantificazione di detta voce di danno con riguardo agli apporti di entrambi i genitori da ritenersi non tra loro omogenei per quanto desumibile dagli atti di causa, evidenziandosi appunto un contributo pieno soltanto per il padre e uno part-time per l’altro genitore.
In considerazione di un tanto la quantificazione del ristoro dovuto a titolo di danno patrimoniale ora in esame può essere stabilito in complessivi € 107.640,00 per entrambi i genitori.
In ordine, poi, al danno non patrimoniale conseguente alla lesione del diritto di ordine costituzionale (libertà di determinazione) di cui si è detto in precedenza, lo stesso non può che essere determinato in via equitativa.
A tal fine, si ritiene congruo, in considerazione di quanto finora precisato, l’importo di € 30.000,00, cui vanno infine aggiunte le spese sostenute, la cui congruità è stata riconosciuta dal nominato CTU (per i richiesti € 320,58).
Da quanto finora esposto deriva, pertanto, che ai coniugi spetta a titolo di risarcimento dei danni, patrimoniali e non patrimoniali testè esaminati, la somma globale di € 137.960,58.
Non può, infine, trovare accoglimento la domanda di danno da lucro cessante siccome tardiva, in quanto formulata per la prima volta soltanto con la comparsa conclusionale.
Da ultimo per quanto concerne le spese del presente giudizio, le stesse per la soccombenza, ex art. 91 Cpc. vanno poste a carico della Azienda Sanitaria convenuta, che dovrà quindi rifonderle agli attori.
Esse si liquidano come da dispositivo.
Analogamente pure le spese ed onorari liquidati al CTU come in atti vanno definitivamente posti a carico di parte convenuta.