Il Tribunale di Tolmezzo con sentenza del 2008 dichiarava l’amministratore delegato di un’azienda con poteri anche in materia di igiene e sicurezza del lavoro colpevole del reato di lesioni colpose in danno della dipendete che, nel movimentare un carrello, si era procurata una distorsione al ginocchio, condannandolo alla pena di mesi quattro di reclusione.
La Corte di Appello di Trieste, in parziale riforma della sentenza pronunciata dal primo giudice, previa concessione dell’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 6, rideterminava la pena in mesi due e giorni venti di reclusione.
L’imputato ricorreva per la cassazione della sentenza.
Cassazione Penale – Sez. IV; Sent. n. 42018 del 15.11.2011
Svolgimento del processo
1. Il Tribunale di Tolmezzo con sentenza del 6.05.2008 dichiarava M.C.A., nella sua qualità di amministratore delegato con poteri anche in materia di igiene e sicurezza del lavoro della Y. s.r.l. (all’epoca dei fatti ISC s.p.a.) colpevole del reato di lesioni colpose in danno di D.C., fatto commesso in data X. e lo condannava alla pena di mesi quattro di reclusione.
1.1 La Corte di Appello di Trieste, con sentenza in data 15.12.2010, in parziale riforma della sentenziata pronunciata dal primo giudice, previa concessione dell’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 6, rideterminava la pena in mesi due e giorni venti di reclusione. La Corte territoriale rilevava che la dipendente D. si era procurata una distorsione al ginocchio destro nel movimentare un carrello porta forcine. Osservava il Collegio che la valutazione dei rischi aziendali, prevista dal D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 4, gravante sull’odierno imputato, non può costituire causa di un infortunio; e che l’evento lesivo può dipendere unicamente dalla omessa predisposizione di cautele antinfortunistiche.
2. Avverso la richiamata sentenza della Corte di Appello di Trieste ha proposto ricorso per cassazione M.C.A., per mezzo del difensore.
Con il primo motivo l’esponente deduce la contraddittorietà della motivazione, rispetto alle risultanze processuali. Richiamato il contenuto del controllo operato in sede di legittimità sugli argomenti giustificativi offerti dal giudice di merito, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c), la parte assume che gli atti del processo forniscano un quadro della situazione assai diverso da quello ritenuto sussistente dalla Corte di Appello di Trieste.
Osserva il deducente che il documento di valutazione dei rischi della Y. s.r.l. individua la movimentazione manuale dei carichi come specifico fattore di rischio nell’ambito delle lavorazioni di assiemaggio in cui si è infortunata la lavoratrice D.; e che nel richiamato documento vengono individuate le seguenti misure preventive: informazione e formazione sul corretto uso dell’attrezzatura e sulla movimentazione dei materiali; utilizzo di ausili aziendali; informazione e formazione sulla movimentazione manuale dei carichi. In relazione alle modalità corrette di movimento dei carichi, l’esponente rileva che la stessa parte offesa, sentita in dibattimento, ha riferito che l’organizzazione aziendale prevedeva che fossero i magazzinieri e gli attrezzisti a preparare i carrelli porta forcine, a porli in prossimità degli addetti all’assiemaggio e all’occorrenza a procedere al rifornimento dei carrelli. La parte ritiene che la Corte territoriale sia incorsa in un palese travisamento della prova, nell’apprezzare il contenuto della deposizione della parte offesa. Inoltre, il ricorrente osserva che il teste G., responsabile del servizio di prevenzione e protezione della Y. , la cui testimonianza non viene richiamata nella sentenza impugnata, ha riferito che l’approvvigionamento del materiale veniva richiesto al responsabile della linea; che solo nel caso di prodotto facilmente reperibile gli operai potevano provvedere al relativo trasporto; e che, negli altri casi, occorreva aspettare l’intervento dell’attrezzista. Il ricorrente considera che non vi era un obbligo giuridico di prevedere per iscritto le richiamate indicazioni.
Con il sY. ndo motivo il ricorrente deduce l’Inosservanza dell’art. 40 c.p. ed il vizio motivazionale. Il ricorrente osserva che i giudici di appello non hanno spiegato per quale ragione hanno ritenuto le misure precauzionali inidonee a prevenire l’infortunio, anche qualora fossero state effettivamente rispettate, omettendo di effettuare il relativo giudizio controfattuale.
Sotto altro aspetto, l’esponente considera che la Corte territoriale erroneamente ha ritenuto non rilevante, rispetto alla verificazione dell’evento, lo svolgimento di operazioni di manutenzione sulle ruote dei carrelli e sul pavimento dello stabilimento aziendale. Rileva che dette misure risultano fondamentali per evitare infortuni durante la movimentazione manuale dei carichi. Considerazioni di simile tenore vengono svolte con riguardo alla istituzione della sorveglianza sanitaria, sorveglianza che la Corte di Appello ha ritenuto non rilevanti rispetto all’infortunio verificatosi. La parte osserva, infine, che il nesso di causalità viene valutato con prognosi ex ante e non effettuando un giudizio a posteriori del verificarsi dell’evento.
Motivi della decisione
3. Il ricorso è infondato, per le ragioni di seguito esposte.
3.1 Si procede alla disamina congiunta dei motivi di ricorso, che parimenti involgono il dedotto vizio motivazionale in ordine all’apprezzamento del compendio probatorio da parte dei giudici di merito.
La Corte di Appello di Trieste, muovendo dall’esame del documento di valutazione dei rischi aziendali, ha del tutto conferentemente rilevato che nel caso di specie detta valutazione risultava gravemente insufficiente; e ciò, con specifico riferimento ai rischi connessi alla movimentazione manuale dei carichi. Il Collegio ha in particolare rilevato: che l’inadeguata valutazione del rischio aveva determinato la mancata adozione di cautele atte a tutelare i lavoratori addetti alla movimentazione manuale dei carichi; e che le accertate omissioni attenevano alla mancata predisposizione di cautele antinfortunistiche e non alla errata esecuzione delle stesse, di talchè la condotta omissiva era riconducibile al datore di lavoro e non ad altre figure di garanti.
Approfondendo la disamina dello specifico tema di prova, la Corte di Appello ha sottolineato che nel documento di valutazione dei rischi le misure preventive, relative alla movimentazione manuale dei carichi, erano individuate nell’utilizzo di ausili aziendali e nell’informazione e formazione del personale sull’idonea movimentazione manuale dei carichi; ed ha osservato che il predetto documento non conteneva indicazioni: sui pesi massimi trasportabili manualmente, sul numero dei lavoratori impiegabili nei trasporti” sulla differenziazione tra maschi e femmine, sui percorsi massimi percorribili, sulle corrette modalità di carico e movimentazione dei pesi e sulla natura degli ausili aziendali.
Nel censire i motivi di appello, la Corte territoriale ha poi specificamente considerato – sY. ndo un percorso logico argomentativo del tutto immune dalle dedotte censure – che la dipendente D., diversamente da quanto sostenuto dalla difesa, non aveva affatto riferito di avere ricevuto disposizioni specifiche in ordine alla movimentazione dei carrelli porta forcine, e che neppure aveva ricevuto direttive in base alle quali, in presenza di carrelli di un certo peso, la movimentazione doveva essere effettuata dai magazzinieri. Il Collegio ha osservato, inoltre, che la teste non aveva dichiarato di avere ricevuto istruzioni circa le manovre consentite e gli spazi percorribili movimentando i carrelli; e che la donna non aveva in realtà ricevuto alcuna formazione circa il metodo migliore di spostamento (con spinta o a traino). Soffermandosi ancora sulla deposizione della parte offesa, la Corte di Appello ha evidenziato che la D. aveva detto di essere solita spostare i carrelli, che l’attrezzista interveniva soltanto se si trovava nei paraggi o su chiamata; che le operaie di solito chiedevano aiuto a colleghi maschi oppure spostavano in due il carrello pesante. Con riferimento alle modalità di movimentazione del carrello, la Corte territoriale ha riferito che la parte offesa aveva chiarito che per lei era più comodo tirare il carrello, piuttosto che spingerlo; e che la donna non aveva saputo dire se istruzioni specifiche sul punto le erano state impartite prima o dopo l’infortunio. La Corte distrettuale ha considerato, poi, che la teste aveva detto che, a suo giudizio, il fatto di muovere il carrello per tratti brevi rientrava nelle sue mansioni; che le era stato detto di non andare in magazzino a prendere i carrelli e di non fare tratti lunghi con carrelli pesanti, ma che in realtà aveva sempre operato come in occasione dell’infortunio, cioè spingendo da sola il carrello per brevi tratti, senza disturbare altre persone.
Nel procedere al vaglio critico di tali evenienze, la Corte di Appello ha conclusivamente ritenuto che l’infortunata non avesse ricevuto disposizioni specifiche sulla movimentazione carrelli, essendo emerso che le operaie “si arrangiavano” per muovere i carrelli, operando in due o chiamando un uomo. In ordine alla ricostruzione del contesto fattuale dell’infortunio, la Corte territoriale ha, quindi, evidenziato che la D. era solita spostare da sola i carrelli per brevi tratti; che non erano state formalizzate disposizioni sul punto, nè divulgate o fatte osservare;
che i magazzinieri e gli attrezzisti non sempre erano disponibili per gli spostamenti dei carrelli e che nessun operaio pretendeva che fossero esclusivamente costoro a movimentare i carichi.
Il Collegio ha rilevato, pertanto, che l’infortunio si era verificato in quanto l’operaia aveva spostato il carrello senza avere una precisa cognizione dei limiti di peso sopportabili e rispetto alle corrette modalità di spostamento; che non vi erano chiare indicazioni sul coordinamento da attuare con gli attrezzisti e che nessuno vigilava o pretendeva il rispetto di eventuali norme precauzionali. La Corte territoriale ha evidenziato che l’assenza di programmazione discendeva dalla genericità del documento di valutazione dei rischi; e che il datore di lavoro, individuato nell’odierno imputato, aveva omesso di predisporre i necessari mezzi di prevenzione rispetto ai rischi connessi alla movimentazione manuale dei carichi.
3.2 Tanto chiarito in relazione alla ricostruzione della dinamica del fatto, la Corte di Appello ha poi del tutto legittimamente considerato che non vi era alcun nesso di derivazione causale tra l’istituzione della sorveglianza sanitaria e l’evento, come in concreto verificatosi; e neppure tra lo svolgimento di operazioni di manutenzione sulle ruote dei carrelli e sulla pavimentazione dello stabilimento.
La conferenza dell’analitico percorso argomentativo, posto a fondamento della sentenza impugnata, evidenzia l’insussistenza del dedotto vizio motivazionale rispetto alla ritenuta irrilevanza, nella dinamica del sinistro, delle circostanze di fatto prospettate dalla difesa, relative alla manutenzione dei carrelli od altro, atteso che il fattore determinante rispetto alla causazione dell’infortunio è stato rinvenuto nella omessa predisposizione, da parte del datore di lavoro, dei necessari mezzi di prevenzione, rispetto ai rischi connessi alla movimentazione manuale dei carichi, da parte dei dipendenti. Si osserva, al riguardo, che questa Suprema Corte ha chiarito che, ai fini dell’imputazione causale dell’evento, il giudice di merito deve sviluppare un ragionamento esplicativo che si confronti adeguatamente con le particolarità della fattispecie concreta, chiarendo che cosa sarebbe accaduto se fosse stato posto in essere il comportamento richiesto dall’ordinamento. Ed è appena il caso di ribadire che l’indagine causale si effettua ex post, sulla base di tutte le emergenze fattuali note al momento del giudizio (Cass. Sez. 4, sentenza n. 43786 del 17.9.2010, dep. 13.12.2010, Rv.248943).
3.3 Si evidenzia che sussiste continuità normativa tra le disposizioni di cui al D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 4, – benchè formalmente abrogate dal D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, art. 304, Testo Unico in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro – e la vigente normativa antinfortunistica. Invero, il contenuto delle predette disposizioni risulta ad oggi recepito dal D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, artt. 28 e 29, , in relazione ai rischi aziendali ed alle modalità di effettuazione della relativa valutazione, disposizioni che tuttora sanzionano penalmente le cautele antinfortunistiche di cui si tratta.
3.4 E’ appena il caso di rilevare che la compiuta ricostruzione del fatto porta ad escludere che l’infortunio sia in alcun modo riconducibile alla colpa della stessa lavoratrice. Al riguardo, si osserva che questa Suprema Corte ha chiarito che, nel campo della sicurezza del lavoro, può escludersi l’esistenza del rapporto di causalità unicamente nei casi in cui sia provata l’abnormità del comportamento del lavoratore infortunato e sia provato che proprio questa abnormità abbia dato causa all’evento. Nella materia che occupa deve, cioè, considerarsi abnorme il comportamento che, per la sua stranezza e imprevedibilità, si ponga al di fuori di ogni possibilità di controllo da parte delle persone preposte all’applicazione delle misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro; e la giurisprudenza di legittimità ha più volte affermato che l’eventuale colpa concorrente del lavoratore non può spiegare alcuna efficacia esimente per i soggetti aventi l’obbligo di sicurezza che si siano comunque resi responsabili della violazione di prescrizioni in materia antinfortunistica (cfr. Cass., sez. 4, 14 dicembre 1999 n. 3580, Bergamasco, Rv. 215686; Cass. 3 giugno 1999 n. 12115, Grande, Rv. 214999; Cass. 14 giugno 1996 n. 8676, Ieritano, Rv. 206012). La Suprema Corte ha pure chiarito che non può affermarsi che abbia queste caratteristiche il comportamento del lavoratore – come pacificamente avvenuto nel caso di specie – che abbia compiuto un’operazione rientrante pienamente, oltre che nelle sue attribuzioni, nel segmento di lavoro attribuitogli, (Cass. Sez. 4, Sentenza n. 10121 del 23.01.2007, Rv. 236109).
4. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.