Tre sanitari di una struttura ospedaliera, nella qualità di Dirigente medico della Direzione sanitaria e coordinatore della Commissione preposta al controllo delle infezioni ospedaliere, di Dirigente responsabile della U.O. di Patologia neonatale e di infermiere capo sala, sono stati chiamati a rispondere del reato di omicidio colposo per la morte di tre neonati, i quali, degenti presso la Terapia intensiva Neonatale, contraevano una infezione ospedaliera, rispettivamente da Pseudomonas aeruginosa, da germe sconosciuto e da Staphylococcus aereus, a causa della quale decedevano per sepsi neonatale ad esordio tardivo.
Cassazione Penale – Sez. IV; Sent. N. 22347 del 08.06.2012
Svolgimento del processo
G.M.A., P.V. e F.G., nella rispettiva qualità di Dirigente medico della Direzione sanitaria e coordinatore della Commissione preposta al controllo delle infezioni ospedaliere, di Dirigente responsabile della U.O. di Patologia neonatale, e di infermiere capo sala della predetta U.O., sono stati chiamati a rispondere del reato di omicidio colposo, per la morte dei neonati B.G., B.T. e F.P., i quali, degenti presso la Terapia intensiva Neonatale della predetta U.O., contraevano una infezione ospedaliera, rispettivamente da Pseudomonas aeruginosa, da germe sconosciuto e da Staphylococcus aereus, a causa della quale decedevano per sepsi neonatale ad esordio tardivo.
Ai predetti sanitari venivano contestati, agli esiti di accertamenti specialistici, vari profili di colpa omissiva e commissiva individuati nella omissione di procedure per la promozione volte alla informazione del personale infermieristico, per la programmazione ed applicazione dei protocolli operativi e delle misure precauzionali per la prevenzione delle infezioni ospedaliere nonchè nella effettuazione incompleta e non sistematica delle dovute indagini colturali microbiologiche di routine, con la conseguente omissione dei dovuti controlli per il contenimento della contaminazione ambientale e l’attivazione di una specifica indagine epidemiologica, che portava alla morte dei neonati.
Il giudicante, all’esito di una perizia collegiale, riteneva che gli elementi in atti non consentivano di comprovare la responsabilità degli imputati in ordine al decesso dei neonati, mancando la prova, in termini di ragionevole certezza, del nesso causale tra la condotta contestata ed i decessi dei neonati.
Tale conclusione veniva argomentata partendo dalle seguenti premesse di fatto: i piccoli, nati prematuri, erano deceduti a seguito di sepsi ad esordio tardivo, ossia di un’infezione manifestatasi dopo le prime 72 ore di vita, causata dai germi patogeni sopra indicati e da altro non individuato; doveva escludersi che i bambini fossero stati infettati dalla madre; i germi erano stati acquisiti in ambiente ospedaliero, sebbene non fosse stato possibile accertare con precisione l’origine specifica, ossia il luogo preciso della loro provenienza; le misure adottate per prevenire le infezioni erano risultate parziali e non del tutto adeguate con particolare riferimento al monitoraggio della effettiva esecuzione di quanto contenuto nelle raccomandazioni scritte e nei protocolli.
Ciò premesso, il giudicante affermava che anche in caso di corretta applicazione delle procedure e delle misure volte a prevenire le infezioni non sarebbe stato possibile, allo stato attuale della scienza e della prassi medica, assicurare condizioni di perfetta sterilizzazione degli ambienti di ricovero dei neonati. Anche se fosse stata evitata l’infezione, sarebbe rimasta una percentuale di probabilità, stimata approssimativamente nel 7%, di decesso dei neonati per complicanze correlate al loro stato di prematuri.
Tenuto conto della impossibilità, della quale avevano dato atto anche i periti, di assicurare ambienti ospedalieri privi di germi patogeni, della considerazione che i germi individuati sono ubiquitari nonchè della debolezza degli organismi dei neonati prematuri, suscettibile di varie complicazioni, la sentenza affermava l’insussistenza di una prova certa che l’evento medio causativo della morte (la sepsi) fosse attribuibile alla condotta degli imputati, in quanto da un lato, era rimasta ignota la fonte specifica dei germi patogeni e dall’altro, anche in caso di adozione di tutte le misure necessarie a ridurre il rischio di infezioni, sarebbe rimasto un rischio non trascurabile di contrarre comunque l’infezione, essendo così impossibile stabilire una correlazione tra l’omissione contestata ed i decessi.
Non apparendo suscettibile di chiarimenti tale ragionevole dubbio all’esito del dibattimento, il giudicante concludeva che gli elementi acquisiti erano insufficienti ed inidonei a sostenere l’accusa in giudizio nei confronti dei neonati.
Da ciò la decisione di pronunciare sentenza di non luogo a procedere con la formula perchè il fatto non sussiste.
Avverso tale decisione ricorre il PM il quale contesta la logicità della decisione nella misura in cui aveva recepito, per escludere il nesso causale, una ricostruzione dei fatti non condivisibile laddove aveva fatalisticamente dato per ineluttabile la trasmissione di agenti patogeni ed il conseguente decesso di tutti i prematuri, trascurando il profilo del manchevole ossequio alle prescrizioni sull’igiene, accertato in sede peritale, così rendendo la sentenza viziata da grave carenza motivazionale. Il ricorrente rilevava altresì che, contrariamente a quanto sostenuto in sentenza, la fonte dei germi non era ignota dal momento che i periti avevano precisato che la sepsi era di origine nosocomiale.
Ricorrono altresì le parti civili, le quali articolano due motivi strettamente connessi. Dopo aver evidenziato il tormentato iter del procedimento caratterizzato da due consulenze del PM e da una superperizia disposta in sede di incidente probatorio si lamenta il travisamento degli esiti della perizia disposta dal giudice in sede di incidente probatorio che aveva concluso nel senso che la sepsi aveva avuto un ruolo causale nel decesso dei neonati sottolineando altresì che non necessariamente i neonati sarebbero comunque morti a causa della loro condizione di prematuri,così concludendo nel senso della sussistenza di un nesso causale tra la carenza di profilassi e la morte dei neonati.
Motivi della decisione
I ricorsi consentono una trattazione unitaria vertendo entrambi sulla ritenuta erroneità della esclusione del nesso causale tra le condotte contestate e gli eventi.
I motivi non possono, però, trovare accoglimento, in quanto la sentenza impugnata, pronunciata ex art. 425 c.p.p., è in linea con i principi fissati per tale giudizio ed è caratterizzata da un convincente apparato argomentativo sulla questione di interesse, che è quella afferente il nesso di causalità, in ordine al quale il giudicante ha escluso la possibilità di formulare un giudizio di ragionevole certezza, suscettibile di chiarimenti all’esito dell’eventuale giudizio.
In proposito, non è inutile ricordare che l’udienza preliminare ha natura prevalentemente processuale, avendo, pur anche a seguito dell’intervenuto ampliamento dei poteri officiosi in tema di prova, lo specifico scopo di evitare dibattimenti inutili, piuttosto che quello di accertare la colpevolezza o l’innocenza dell’imputato. Ciò è desumibile anche dal dato normativo contenuto nell’art. 425 c.p.p., comma 3, secondo cui il giudice pronuncia “sentenza di non luogo a procedere” anche quando gli elementi acquisiti risultano “insufficienti, contraddittori o comunque non idonei a sostenere l’accusa in giudizio”: per l’effetto, il giudice, contemperando l’obbligo dell’esercizio dell’azione penale (art. 112 Cost.) con i criteri di economia processuale imposti dall’art. 111 Cost., deve aprire all’ulteriore corso anche se si trova in presenza di elementi probatori insufficienti o contraddittori, i quali però appaiano destinati, con ragionevole previsione, ad essere chiariti nel dibattimento; mentre deve pronunciare la sentenza di non luogo a procedere in presenza della ragionevole mancanza delle condizioni su cui fondare una prognosi favorevole all’accusa ossia laddove risulti l’impossibilità di sottoporre con successo la tesi accusatola al vaglio dibattimentale (di recente, Sezione 2, 3 dicembre 2009, Proc. Rep. Trib. Roma in proc. Consorte ed altri, n.m.; cfr. anche Sezione 4, 2 febbraio 2010, Proc. Rep. Trib. Gorizia in proc. Visintin ed altro, n.m.).
L’esame della sentenza impugnata dimostra che il giudice di merito si è attenuto ai principi indicati, laddove ha escluso il nesso causale tra le condotte, principalmente omissive, contestate agli imputati ed i decessi dei neonati, alla luce degli esiti della perizia collegiale svolta in sede di incidente probatorio, che, pur rilevando l’origine nosocomiale delle sepsi, causalmente Incidenti nei decessi, ha sottolineato che i germi individuati come quelli che hanno causato le infezioni sono ubiquitari e si trovano dappertutto. In proposito è stato evidenziato che tali germi sono,ad esempio, rinvenibili anche nell’acqua che scorre nei rubinetti del reparto ospedaliere, indispensabile per eseguire i lavaggi necessari a prevenire proprio le infezioni e che l’uso di strumenti invasivi, necessari per prevenire altri danni ai neonati, quali gli apparecchi di intubazione, quelli destinati alfa ventilazione, i cateteri ed i sondini gastrici, comporta inevitabilmente la trasmissione di agenti patogeni.
I periti hanno, altresì, specificato che anche nel caso di adozione di tutte le misure necessarie a ridurre il rischio di infezioni sarebbe rimasto un rischio non trascurabile di contrarre le sepsi, stimabile in una percentuale variabile tra il 10 ed il 32%, cosicchè era impossibile stabilire con certezza una correlazione tra le omissioni contestate ed i decessi.
Tali dati inequivoci consentono di ritenere l’adeguatezza e la logicità della motivazione nella parte in cui il giudicante ha escluso la possibilità di formulare un giudizio di ragionevole certezza sulla esistenza del nesso causale tra le condotte contestate agli imputati e gli eventi letali e, nello stesso tempo, rimarcano l’assenza di un sufficiente grado di “corroborazione” logica scientifica alla spiegazione causale prospettata dai ricorrenti, fondata essenzialmente sulla rilevanza causale delle accertate omissioni nelle misure precauzionali rivolte ad evitare il diffondersi dei germi.
Nel valutare (a congruità della motivazione, va ricordato che, certamente, la Corte di cassazione non è giudice del sapere scientifico, giacchè non detiene proprie conoscenze privilegiate:
essa, in vero, è solo chiamata a valutare la correttezza metodologica dell’approccio del giudice di merito al sapere tecnico- scientifico, che riguarda la preliminare, indispensabile verifica critica in ordine alla affidabilità delle informazioni che vengono utilizzate ai fini della spiegazione del fatto. La Corte di cassazione, rispetto a tale apprezzamento, quindi, non deve stabilire se la tesi accolta sia esatta, ma solo se la spiegazione fornita sia spiegata in modo razionale e logico (cfr. Sezione 4, 13 maggio 2011, p.o. Monopoli in proc. Di Palma ed altri, n.m.).
Ciò significa che, in questa sede, non si può interloquire sulla maggiore o minore attendibilità scientifica degli apporti scientifici esaminati dal giudice.
In effetti, in virtù del principio del libero convincimento del giudice e di insussistenza di una prova legale o di una graduazione delle prove, il giudice ha la possibilità di scegliere, fra le varie tesi prospettate da differenti periti di ufficio e consulenti di parte, quella che ritiene condivisibile, purchè dia conto, con motivazione accurata ed approfondita delle ragioni del suo dissenso o della scelta operata e dimostri di essersi soffermato sulle tesi che ha ritenuto di disattendere e confuti in modo specifico le deduzioni contrarie delle parti, sicchè, ove una simile valutazione sia stata effettuata in maniera congrua in sede di merito, è inibito ai giudice di legittimità di procedere ad una differente valutazione, poichè si è in presenza di un accertamento in fatto come tale insindacabile dalla Corte di cassazione, se non entro i limiti del vizio motivazionale (Sezione 4, 20 aprile 2010, Bonsignore).
Sempre ai fini della valutazione della logicità ed adeguatezza della motivazione, va altresì tenuto presente che in tema di responsabilità professionale del sanitario, in linea con quanto puntualizzato dalle Sezioni unite (sentenza 10 luglio 2002, Franzese), nella ricostruzione del nesso eziologico tra la condotta omissiva del sanitario e l’evento lesivo non si può prescindere dall’individuazione di tutti gli elementi concernenti la “causa” dell’evento (morte o lesioni del paziente), giacchè solo conoscendo in tutti i suoi aspetti fattuali e scientifici il momento iniziale e la successiva evoluzione della malattia è poi possibile analizzare la condotta omissiva colposa addebitata al sanitario per effettuare il giudizio controfattuale e verificare, avvalendosi delle leggi statistiche o scientifiche e delle massime di esperienza che si attaglino al caso concreto, se, ipotizzandosi come realizzata la condotta dovuta (ma omessa), l’evento lesivo “al di là di ogni ragionevole dubbio” sarebbe stato evitato o si sarebbe verificato ma in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva (v. Sezione 4, 25 maggio 2003, n. 25233, Lucarelli).
Alla luce di tali principi deve riconoscersi che l’origine ubiquitaria dei germi patogeni individuati dai consulenti come quelli che hanno causato le infezioni e la constatazione della impossibilità allo stato attuale della scienza e della prassi medica di assicurare condizioni di perfetta sterilizzazione degli ambienti di ricovero dei neonati, non ha reso possibile individuare con certezza la modalità di trasmissione dei virus e di insorgenza delle sepsi risultate letali, cosicchè in modo convincente il giudicante ha ritenuto l’impossibilità di formulare un giudizio di ragionevole certezza circa l’esistenza del nesso causale fondato sulle pretese omissioni delle precauzioni universali atte a prevenire il diffondersi dei germi patogeni, riconducibili in ipotesi agli imputati.
Meno convincente è, per vero, la motivazione nella parte in cui, facendo riferimento allo stato di prematuri dei neonati, ha affermato, a supporto delle argomentazioni sulla esclusione del nesso causale, che anche ove fosse stata evitata l’infezione, sarebbe rimasta una percentuale di probabilità, stimata approssimativamente nel 7% di decesso dei neonati per complicanze correlate al loro stato di prematuri.
Tale impostazione non è condivisibile.
In tema di ricostruzione del nesso causale, è certo che il giudice deve porsi il tema della eventuale sussistenza di “ipotesi alternative” (rispetto alla condotta colposa addebitata al sanitario) prospettate o prospettabili al fine di inficiare la tenuta logico- giuridica dell’affermato giudizio di responsabilità.
Anche questo è un accertamento fondamentale. Infatti, a ben vedere, la processualmente riscontrata presenza di “fattori alternativi” cui possa ricondursi l’evento sub iudice impedisce di potere ritenere dimostrato, al di là di ogni ragionevole dubbio, il nesso eziologico tra la condotta del sanitario e l’evento incriminato perchè introduce un dubbio irrisolvibile sulla causa di questo (ergo, sulla causa delle morti dei neonati).
Va però precisato che per assumere rilievo tali “fattori alternativi” non basta che siano prospettati e/o prospettabili in termini generici e possibilisti, ma devono avere un supporto probatorio adeguato, tale cioè da minare il giudizio di certezza sulla riconducibilità dell’evento alla condotta del sanitario.
In questi termini, ineccepibilmente si esprime la giurisprudenza, quando, con chiarezza, afferma costantemente che, in occasione della ricostruzione del rapporto di causalità, a fronte di una spiegazione causale del tutto logica, siccome scaturente e dedotta dalle risultanze di causa correttamente evidenziate e spiegabilmente ritenute, la prospettazione di una spiegazione causale alternativa e diversa, capace di inficiare o caducare quella conclusione, non può essere affidata solo ad una indicazione “meramente possibilista” (cioè, come accadimento possibile dell’universo fenomenico), ma deve connotarsi di elementi di concreta probabilità, di specifica possibilità, essendo necessario, cioè, che quell’accadimento alternativo, ancorchè pur sempre prospettabile come possibile, divenga anche, nel caso concreto, hic et nunc, concretamente probabile, alla stregua, appunto, delle acquisizioni processuali (Sezione 4, 19 giugno 2006, Talevi; Sezione 4, 11 aprile 2007, Morami).
Qui, il giudicante ha illogicamente recepito l’argomento dell’elaborato peritale, che, invece, aveva affermato che non necessariamente i neonati sarebbero comunque morti a causa della loro condizione clinica di prematuri, in quanto avrebbero avuto una possibilità di non sopravvivere di almeno il 7%, sicuramente inferiore a quella riscontrata in presenza di sepsi.
Tale passaggio, non condividibile, va espunto dal tessuto della motivazione giacchè il dato meramente statistico non vale certamente a confermare l’insussistenza del nesso di condizionamento tra le condotte omissive dei sanitari e gli eventi mortali, non essendo in grado, così esposto, di influenzare il giudizio di probabilità logica di sopravvivenza dei neonati.
Sul punto è opportuno richiamare il principio più volte espresso da questa Corte (v. tra le altre Sez. 4, 9 febbraio 2006, n. 12894, Vescio), secondo il quale nella ricostruzione del nesso eziologico non è consentito dedurre automaticamente dal coefficiente di probabilità espresso dalla legge statistica la conferma, o meno, della ipotesi, accusatoria sulla esistenza del nesso causale, ma lo stesso deve essere accertato alla stregua di “un’alta probabilità logica”.
Ciò significa che il giudice deve verificarne nel caso concreto, sulla base delle circostanze del fatto e dell’evidenza disponibile, così che all’esito del ragionamento probatorio che abbia esclusa l’interferenza di fattori alternativi, risulti giustificata e processualmente certa la conclusione che la condotta omissiva del medico è stata (o non è stata, come nel caso in esame) condizioni necessaria dell’evento con alto o elevato grado di credibilità razionale (v. la già citata Sezioni Unite n. 30328/2002 , Franzese).
Nessun percorso argomentativi in questo senso è rinvenibile nella sentenza impugnata, che, anzi, riportando quel dato statistico – che, letto al contrario, fa riferimento ad una possibilità di sopravvivenza dei neonati prematuri, pari al 93 % – sembrerebbe confortare l’impostazione accusatoria.
Nonostante questo la sentenza regge al vaglio di legittimità, giacchè rimane integro l’apprezzamento complessivo sulla impossibilità di formulare con ragionevole certezza un giudizio circa l’esistenza del nesso causale in considerazione della ubiquità dei germi patogeni e sull’accertata impossibilità di ridurre il rischio di infezioni, anche nel caso della adozione di tutte le necessarie misure preventive.
Al rigetto dei ricorsi consegue la condanna delle parti civili ricorrenti, indicate in dispositivo, al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna R.M., B. P., R.T., M.P., B. G. e D.V.G. al pagamento delle spese processuali.