Con ricorso al Tribunale di Pisa la coniuge di un paziente defunto chiedeva alla ASL competente il pagamento delle somme impiegate per eseguire cure mediche all’estero non eseguibili presso strutture italiane e sul presupposto di una situazione d’urgenza. In primo e secondo grado è stata ritenuta fondata la domanda proposta.
L’Azienda sanitaria ha impugnato la decisione d’appello dinanzi alla Corte di Cassazione.
Cassazione Civile – Sez. Lav.; Sent. n. 9969 del 18.06.2012
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso al Tribunale di Pisa P.V.M., coniuge di I.R., chiedeva alla Azienda USL n. X. di Empoli il pagamento delle somme impiegate dal defunto congiunto per eseguire cure mediche all’estero, sul presupposto che si fosse trattato di cure urgenti e non eseguibili presso le strutture italiane.
L’azienda sanitaria si costituiva in giudizio e deduceva che, ai sensi del D.M. 30 agosto 1991 e della Delib. della Giunta Regionale della Toscana n. 751/1999, il dante causa della ricorrente avrebbe dovuto quantomeno avviare le procedure di autorizzazione. Quindi eccepiva il difetto di giurisdizione del giudice ordinario in favore di quello amministrativo ai sensi del D.Lgs. n. 80 del 1993, art. 33.
In esito ad una CTU medico legale – che aveva confermato le ragioni di urgenza e la mancanza in Italia di strutture che somministrassero le cure – con sentenza 5.3.2007 il Tribunale di Pisa accoglieva la domanda.
Avverso tale decisione proponeva appello l’Azienda sanitaria , cui resisteva la P..
Con sentenza del 26 gennaio-23 febbraio 2010, l’adita Corte d’appello di Firenze, rilevato che nella memoria di costituzione in primo grado l’azienda sanitaria non aveva svolto alcuna contestazione sulla sussistenza dei presupposti di fatto, che legittimavano il dante causa dell’appellata a ricorrere ad una struttura estera specializzata, e che neppure era stato mai contestato – in quella sede – la quantificazione del credito, confermava la sentenza di primo grado, essendo il diritto alla salute un diritto costituzionalmente garantito; con la conseguenza che gli atti normativi di rango secondario, quale quelli indicati dall’Azienda, andavano disapplicati nella parte in cui subordinavano il rimborso alla preventiva autorizzazione od anche alla preventiva richiesta di autorizzazione.
Per la cassazione di tale pronuncia ricorre l’Azienda USL X. di Empoli con undici motivi.
Resiste P.V.M. con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso l’Azienda Usl X. di Empoli, denunciando violazione, erronea applicazione e interpretazione della L. n. 595 del 1985, art. 3, comma 5 del D.M. 3 novembre 1989 (così come integrato dal D.M. 24 gennaio 1990 e dal D.M. 30 agosto 1991), della L.R. Toscana 6 aprile 1933, n. 23 e della Delib. Giunta Regionale Toscana n. 715 del 1999 (art. 360 c.p.c., n. 3), lamenta che la Corte di merito abbia trascurato di considerare nei corretti termini la suddetta complessa disciplina, in base alla quale, al fine di ottenere il rimborso delle spese in oggetto, occorre attivare preventivamente la procedura di autorizzazione attraverso la proposizione della domanda.
Con il secondo motivo la ricorrente denuncia violazione ed errata interpretazione e applicazione dell’art. 32 Cost., in quanto la Corte distrettuale avrebbe erroneamente interpretato in modo estensivo il suddetto articolo posto a tutela del diritto alla salute, ricomprendendovi anche il diritto alla dignità umana, in modo da giustificare il diritto al rimborso per cure anche di carattere meramente palliativo come peraltro riconosciuto dalla stessa sentenza, e volte per di più ad alleviare il pregiudizio non tanto fisico quanto esistenziale del paziente.
Con il terzo motivo di ricorso si denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. in relazione alla L. n. 595 del 1985, art. 3, nonchè la omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza relativamente alla prova della indifferibilità e urgenza della cura, oltrechè della mancanza di analoghe cure in Italia, mentre con il quarto la sentenza viene censurata nella parte in cui, applicando il principio della non contestazione, non si sarebbe pronunciata sulla denunciata carenza relativamente ai presupposti di fatto legittimanti la richiesta di rimborso. Con il quinto motivo si censura la mancata confutazione esplicita delle conclusioni del CTP della AUSL n. X. in ordine alla inesistenza dei presupposti di fatto della indifferibilità e urgenza della cura oltrechè della mancanza di analoghe cure in Italia.
Con il sesto motivo la sentenza impugnata denuncia omessa motivazione, non avendo preso in esame gli spunti critici del CTP rispetto alla CTU. Con il settimo motivo si censura la legittimatio ad causam della sig.ra P. che avrebbe agito in proprio e non quale erede di I.R..
Con l’ottavo motivo si denuncia la mancata pronuncia sul quinto motivo d’appello relativo alla quantificazione delle spese rimborsate alla P..
Con il nono motivo si riproduce l’ottavo sotto il profilo della violazione dell’art. 6 del DMS 3.11.1989 e della L. n. 595 del 1985, art. 3, comma 5, norme che non consentirebbero il rimborso integrale delle spese sostenute all’estero.
Con il decimo motivo di ricorso si censura la sentenza d’appello nella parte in cui omette di pronunciarsi sul punto quattro dell’appello, in cui veniva richiesta una nuova consulenza tecnica d’ufficio.
Con l’undicesimo motivo si ripropongono i profili di censura relativi ai precedenti motivi di appello tre, quattro e cinque che integrerebbero il vizio di error in procedendo sanzionabile ex art. 360 c.p.c., n. 4.
Il ricorso, pur valutato nelle sue molteplici articolazioni, è infondato.
Va preliminarmente osservato che la giurisprudenza di questa Corte ha da tempo rimarcato come il diritto dei cittadini all’assistenza sanitaria trovi il suo fondamento nell’art. 32 Cost., comma 1, e, ribadendo, in tal modo un principio già esistente nell’ordinamento giuridico, ha esplicitamente enunciato che il diritto primario alla tutela della salute, quale fondamentale diritto dell’individuo, rientra fra quelli inviolabili della persona ed è oggetto, pertanto, di incondizionata protezione. Sulla base di tale presupposto, la giurisprudenza di legittimità ha ripetutamente affermato (ex plurimis, Cass. S.U. 10 marzo 1999 n. 117) che nell’ipotesi in cui a fondamento della domanda di un assistito del servizio sanitario nazionale, rivolta ad ottenere il rimborso di spese ospedaliere non preventivamente autorizzate dalla Regione, vengano dedotte ragioni di urgenza – che comportano per l’assistito pericoli di vita o di aggravamento della malattia o di non adeguata guarigione, evitabili soltanto con cure tempestive non ottenibili dalla struttura pubblica – manca ogni potere autorizzatorio discrezionale della pubblica amministrazione non essendo rilevante in contrario l’eventuale discrezionalità tecnica nell’apprezzamento dei motivi di urgenza, atteso che oggetto della domanda è il diritto primario e fondamentale alla salute, il cui necessario temperamento con altri interessi, pure costituzionalmente protetti – quali l’esistenza di risorse del Servizio sanitario nazionale con le conseguenti legittime limitazioni con leggi, regolamenti ed atti amministrativi generali – non vale a privarlo della consistenza di diritto soggettivo perfetto tutelabile dinanzi al giudice ordinario.
Si è ulteriormente precisato che la mancanza di preventiva autorizzazione amministrativa ad avvalersi per un intervento chirurgico di una struttura ospedaliera non convenzionata non incide sul diritto al rimborso delle spese sostenute, ove il giudice del merito accerti che l’intervento sia avvenuto in stato di necessità, cioè sia sta effettuato sollecitamente per non compromettere in maniera definitiva il risultato (Cass. n. 2444/2001 cit.).
E’ peraltro da segnalare che anche la più recente giurisprudenza ha avuto modo di confermare che gli unici parametri, sulla base dei quali è legittimo valutare il diritto al rimborso delle spese mediche, siano quelli relativi alla urgenza e alla impossibilità di ottenere il medesimo trattamento presso centri italiani. Costituisce jus receptum il principio secondo cui “con riguardo all’assistenza sanitaria indiretta per ricoveri ospedalieri all’estero – quale disciplinata in generale dal D.M. sanità 3 novembre 1989 (poi modificato dal D.M. sanità 30 agosto 1991), la cui violazione è censurabile in Cassazione stanze il carattere normativo del decreto – il rimborso delle spese sostenute per cure mediche e chirurgiche è possibile, in mancanza di preventiva autorizzazione, solo a condizione dell’eccezionale gravità ed urgenza delle cure stesse” (Cass. n. 11462/2007).
Va ulteriormente specificato che, ai sensi del D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 1, comma 2, “il Servizio Sanitario Nazionale assicura, attraverso risorse pubbliche e in coerenza con i principi e gli obiettivi indicati dalla L. 23 dicembre 1978, n. 883, artt. 1 e 2, i livelli essenziali e uniformi di assistenza definiti dal Piano sanitario nazionale nel rispetto dei principi della dignità della persona umana, del bisogno di salute, dell’equità nell’accesso all’assistenza, della qualità delle cure e della loro appropriatezza, riguardo alle specifiche esigenze, nonchè dell’economicità dell’impiego delle risorse”.
Correttamente il Giudice a quo ha rimarcato che il richiamo esplicito ai principi che afferiscono alla dignità della persona – fra quelli che informano il Sistema Sanitario – appare coerente con la definizione condivisa del diritto alla salute come diritto soggettivo pubblico, stante la sua natura di diritto fondamentale della persona (ex plurimis, Cass. 8939/1999 , Cass. 7537/1999, Cass. 117/1999) e con il suo originare non solo dalla diretta previsione costituzionale che espressamente se ne occupa (art. 32 Cost.) ma anche dal criterio di solidarietà (art. 2 Cost.) che, come è noto, qualifica in senso definitorio il nostro ordinamento. Ne consegue, allora, che la sua riconosciuta polivalenza si risolve nella prevalenza della sua tutela rispetto ai concorrenti diritti di natura patrimoniale ed in genere alle valutazioni di economicità (arg. ex Corte Cost. n. 67/88, Corte Cost. 72/144, Corte Cost. 74/247, Corte Cost. 79/88, Corte Cost.
86/184, Corte Cost. 87/559, Corte Cost. 91/2002), ciò valendo sia nei rapporti intersoggettivi sia in quelli nei quali l’utente si trovi a richiedere la tutela del suo diritto nei confronti dell’amministrazione pubblica, cui la legge demanda la concreta attuazione del principio di cui all’art. 32 Cost.. In tal senso la giurisprudenza del Giudice delle Leggi, pur nell’affermare la necessità del giusto bilanciamento degli interessi (non esclusi quelli di una graduale organizzazione e della compatibilità finanziaria) ha sempre e comunque fatto salvo “quel nucleo irriducibile del diritto alla salute protetto dalla Costituzione come ambito inviolabile della dignità umana” (Corte Cost. 509/2000, Corte Cost. 309/1999, Corte Cost. 267/1998, Corte Cost. 247/1992).
Il costante riferimento alla necessaria tutela della dignità della persona impone, allora, una lettura delle regole che sovrintendono alla erogazione dei servizi destinati a realizzare il pieno diritto alla salute che tenga conto – quando si tratti, come nella specie, di fruire di un progetto terapeutico non somministrato dal Servizio SanitarioNazionale – del complesso oggetto della tutela che, conseguentemente, non può risolversi nel solo approntare il presidio terapeutico destinato al regresso della malattia, ma anche e soprattutto nell’offrire quant’altro sia utile a ripristinare nel soggetto colpito le condizioni per una decorosa convivenza con la condizione patologica o la disabilità. A questa conclusione si perviene, infatti, qualora, come doveroso, il diritto alla salute si legga unitamente a quello alla dignità umana.
Da tali considerazioni deve ricavarsi il principio che il diritto alla salute ha nel nostro ordinamento una dimensione sicuramente più ampia di quanto non possa derivare dal mero diritto alla cura od alla assistenza, intesa nel senso tradizionale di accorgimenti terapeutici idonei a debellare la malattia od ad arrestarne l’evoluzione. Al contrario, il necessario riferimento alla tutela della dignità umana, consente di ritenere che le condizioni di salute oggetto della previsione costituzionale coincidano non solo con l’approntamento di mezzi destinati alla guarigione del soggetto colpito ma anche con quant’altro possa farsi per alleviare il pregiudizio non solo fisico ma, se si vuole, esistenziale dell’assistito, quantomeno in ragione di tutto ciò che manifesti concreta utilità ad alleviare la limitazione funzionale ancorchè senza apprezzabili risultati in ordine al possibile regresso della malattia.
La pronuncia oggetto di impugnazione ha preso puntualmente in esame la questione proposta, concludendo in conformità alla enunciata giurisprudenza, dopo avere accertato la sussistenza dei richiesti presupposti di fatto.
In proposito, ha rilevato che nella memoria di costituzione in primo grado l’Azienda sanitaria non aveva svolto alcuna contestazione sulla sussistenza dei presupposti che legittimavano il dante causa dell’appellata a ricorrere ad una struttura estera specializzata; nè l’Azienda USL n. X. di Empoli aveva mai contestato – in quella sede – la quantificazione del credito, avendo l’ente pubblico solo eccepito la giurisdizione ed il difetto di una richiesta di autorizzazione previsto dalla normativa secondaria richiamata.
Da tale accertamento la Corte territoriale ha fatto discendere che nel giudizio non si potevano ritenere in contestazione nè la sussistenza delle condizioni di urgenza nè la necessità di ricorrere a terapie non eseguite in Italia; presupposti, peraltro, entrambi accertati dalla indagine medico legale svolta in primo grado.
Le esposte argomentazioni valgono a confutare il nucleo centrale delle censure formulate con l’esaminato ricorso, ivi compresa la questione concernente la quantificazione delle spese sostenute e di cui si è richiesto il rimborso, difettando – come accertato dal Giudice d’appello ogni contestazione in sede di costituizione in primo grado.
Quanto alla dedotta improponibilità della domanda da parte della signora P., in quanto priva di legittimazione, è sufficiente osservare in contrario che nella sentenza di primo grado – come opportunamente evidenziato nel controricorso – si statuiva che, in accoglimento del ricorso la convenuta amministrazione doveva essere condannata “a rimborsare all’attrice, nella sua qualità di erede di I.R….”.
Inoltre, nella stessa esposizione in fatto della sentenza d’appello emerge che sin dal primo grado la stessa Azienda sanitaria qualificava lo I. dante causa della ricorrente.
Orbene, non essendo intervenuta sul punto alcuna specifica contestazione nei motivi di appello, deve ritenersi incontrovertibilmente provato che la P. fosse la titolare del diritto controverso (e pertanto dotata di legitimatio ad causam).
Per quanto precede il ricorso va rigettato.
Le spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo.
Seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese di questo giudizio, liquidate in Euro 40,00, oltre Euro 3.000,00 per onorari ed oltre spese generali, IVA e CPA. Così deciso in Roma, il 19 aprile 2012.
Depositato in Cancelleria il 18 giugno 2012