È illegittimo il rigetto della richiesta di autorizzazione all’installazione di un croce con impianto luminoso di colore blu con la scritta «Parafarmacia»: il TAR del Lazio ha confermato le ragioni della titolare dell’esercizio commerciale che si è vista opporre dal Comune un diniego all’installazione di impianti pubblicitari fondato sull’erronea interpretazione di una delibera regionale e della disciplina legislativa in materia.
La vicenda è stata originata da una istanza proposta dalla titolare di una autorizzazione amministrativa per l’esercizio dell’attività di parafarmacia di poter installare all’esterno dei locali commerciali una croce bifacciale illuminata da led di colore blu con al centro la scritta «Parafarmacia».
TAR Lazio Roma – Sez. II ter; Sent. n. 7697 del 12.09.2012
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
1. Roma Capitale, con determinazione dirigenziale n. 1068 del 19 ottobre 2011, ha rigettato la richiesta della signora T.A.L. per l’installazione di impianti pubblicitari non fine a se stessi strumentali all’attività sita in Via X. Y. n. 5.
Di talché, l’interessata ha proposto il presente ricorso, articolato nei seguenti motivi:
Nel merito. Vizio di merito.
L’amministrazione sarebbe incorsa in un errore interpretativo e di applicazione della delibera regionale n. 864 del 18 dicembre 2006 e del D.Lgs. n. 153 del 2009, con il quale il legislatore ha inteso fare chiarezza sull’utilizzazione del simbolo della croce.
La ricorrente avrebbe specificamente chiesto di essere autorizzata ad installare una croce con impianto a neon di colore blu, con la scritta parafarmacia, proprio per differenziarla da quella riservata in via esclusiva ai titolari delle farmacie; il D.Lgs. n. 153 del 2009 avrebbe sancito come confusoria la sola croce verde, il che consentirebbe di sostenere che le croci degli altri colori non siano confusorie.
Violazione di legge nella figura sintomatica dell’eccesso di potere e carenza o mancanza di motivazione.
Il decreto ministeriale, nell’aggiungere l’attributo verde in relazione alla parola croce, non avrebbe voluto esprimere un proprio giudizio estetico sulla migliore soluzione cromatica, ma avrebbe indicato gli elementi differenzianti la croce delle farmacie dalle croci utilizzate dagli altri molteplici soggetti commerciali.
Eccesso di potere per decorrenza dei termini di cui agli artt. 2, co. 2 e 3, 19 e 20 L. n. 241 del 1990.
Il provvedimento di diniego sarebbe stato adottato oltre il termine di trenta giorni di cui all’art. 19 L. n. 241 del 1990 ed oltre il termine di novanta giorni di cui all’art. 2, co. 3, L. n. 241 del 1990.
Eccesso di potere nella figura sintomatica della violazione del principio di imparzialità dell’azione della p.a. per disparità di trattamento.
Nello stesso territorio comunale vi sarebbero altri esercizi commerciali del tipo “parafarmacie” aventi insegne luminose in neon di colore blu, con la scritta “Parafarmacia”.
L’amministrazione resistente ha eccepito in rito l’inammissibilità del ricorso per essere stato lo stesso proposto avverso un atto meramente confermativo e, nel merito, ha contestato la fondatezza delle censure dedotte concludendo per il rigetto del ricorso.
L’istanza cautelare è stata accolta con ordinanza n. 760 pronunciata da questa Sezione nella camera di consiglio del 29 febbraio 2012.
All’udienza pubblica del 13 luglio 2012, la causa è stata trattenuta per la decisione.
2. L’eccezione di inammissibilità del ricorso formulata da Roma Capitale è infondata.
Il provvedimento impugnato ha respinto la richiesta avanzata dalla ricorrente “considerato che l’Unità Organizzativa Tecnica Municipale, l’Ufficio Città Storica e la Sovrintendenza ai Beni Culturali del Comune di Roma nel corso della riunione del 17/06/11 … hanno espresso parere contrario poiché la richiesta risulta in contrasto con la Deliberazione della Giunta Regionale n. 864/2006, analogamente a quanto espresso su analoga istanza presentata dalla stessa nel corso del 2010”.
Il provvedimento, pertanto, pur provvisto di motivazione e statuizione identiche ad un precedente atto, è stato tuttavia adottato sulla base di rinnovata istruttoria, incentrata su un nuovo parere, espresso in data 17 giugno 2011, il quale, sia pure analogo a quello reso nella precedente istruttoria, riflette comunque una nuova valutazione dell’amministrazione comunale, per cui costituisce l’esercizio di un autonomo potere.
Di conseguenza, il provvedimento impugnato deve essere qualificato come atto provvedimentale, ed è quindi autonomamente impugnabile, e non come atto meramente confermativo.
3. Nel merito, il ricorso è fondato e va di conseguenza accolto.
In particolare, merita accoglimento la censura con cui la ricorrente ha dedotto la presenza di un errore interpretativo e di applicazione della delibera regionale n. 864 del 18 dicembre 2006 e del D.Lgs. n. 153 del 2009, con il quale il legislatore ha inteso fare chiarezza sull’utilizzazione del simbolo della croce.
La ricorrente, titolare di autorizzazione amministrativa per l’esercizio dell’attività di parafarmacia in via X. Y. n. 5 in Roma, ha chiesto di installare all’esterno del proprio esercizio una croce bifacciale a led, specificando nella allegata relazione tecnica che l’illuminazione della croce sarebbe stata realizzata con dei led di colore blu e che al centro sarebbe stata inserita la scritta “PARAFARMACIA”.
La deliberazione della Giunta Regionale del Lazio n. 864 del 2006, il cui contrasto con la richiesta costituisce la ragione del diniego impugnato, sotto la rubrica “insegna” ha evidenziato come il legislatore non abbia dato indicazioni sulle denominazioni che possono essere usate per individuare gli esercizi commerciali diversi dalle farmacie che vendono medicinali o il reparto “dedicato” all’interno dell’esercizio, specificando che “in ogni caso non dovranno essere utilizzate denominazioni e simboli che possano indurre il cliente a ritenere che si tratti di una farmacia”, mentre può essere consentita l’adozione della denominazione “Parafarmacia”, considerato che il termine è entrato nell’uso comune con riferimento ad esercizi diversi dalle farmacie in cui si vendono prodotti di interesse sanitario.
L’art. 5 D.Lgs. n. 153 del 2009, inoltre, ha stabilito che “al fine di consentire ai cittadini un’immediata identificazione delle farmacie operanti nell’ambito del Servizio sanitario nazionale, l’uso della denominazione: “farmacia” e della croce di colore verde, su qualsiasi supporto cartaceo, elettronico o di altro tipo, è riservato alle farmacie aperte al pubblico e alle farmacie ospedaliere”.
Dal descritto corpus normativo consegue che è vietato l’utilizzo di denominazioni e simboli che siano potenzialmente idonei ad indurre i consumatori in equivoco circa la natura di farmacia dell’esercizio e che deve ritenersi senz’altro tale il contestuale utilizzo della denominazione “farmacia” e della croce di colore verde.
Viceversa, l’utilizzo della denominazione “parafarmacia” e di una croce di diverso colore, come il colore blu, da un lato, non è vietata dalle fonti normative, dall’altro, non appare idonea ad ingenerare alcuna confusione nei consumatori ai fini dell’individuazione della esatta tipologia di servizio.
In altri termini, mentre nella memoria difensiva prodotta da Roma Capitale è prospettata la tesi che l’utilizzo del simbolo “croce” sia da considerare indicativo delle sole farmacie e non già delle parafarmacie, il Collegio ritiene che indicativo delle sole farmacie sia il simbolo “croce” di colore verde e non il simbolo “croce” di altri colori, tanto più quando lo stesso sia unito, come nel caso di specie, alla denominazione “parafarmacia”.
La fondatezza della esaminata censura, assorbite le ulteriori doglianze, determina l’accoglimento del ricorso e l’accertamento della fondatezza della pretesa sostanziale dedotta in giudizio con conseguente annullamento del provvedimento impugnato.
4. Le spese del giudizio di merito seguono la soccombenza e, liquidate complessivamente in Euro 1.500,00 (millecinquecento/00), sono poste a favore della ricorrente ed a carico dell’amministrazione resistente.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sezione Seconda Ter, accoglie il ricorso in epigrafe e, per l’effetto, annulla l’impugnata determinazione dirigenziale di Roma Capitale n. 1068 del 19 ottobre 2011.
Condanna l’amministrazione comunale resistente al pagamento delle spese del giudizio di merito, liquidate complessivamente in Euro 1.500,00 (millecinquecento/00), in favore della ricorrente.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.