La Sezione regionale Veneto dell’Associazione Italiana Fisioterapisti ha impugnato due delibere adottate dalla Regione, ritenendole in contrasto con la normativa statale, in quanto delineano un ruolo del fisioterapista meramente esecutivo e privo di autonomia rispetto a quello del fisiatra, al quale attribuiscono non solo il compito di effettuare la diagnosi, ma anche quello di stabilire le specifiche prescrizioni oggetto del programma riabilitativo individuale.
Consiglio di Stato – Sez. III; Sent. n. 1890 del 05.04.2013
FATTO
1. L’A.I.F.I. – Associazione Italiana Fisioterapisti, Sezione regionale del Veneto, ha impugnato due delibere adottate dalla Regione (la seconda a parziale modifica della prima) che, asseritamente in contrasto con la normativa statale, delineano un ruolo del fisioterapista meramente esecutivo e privo di autonomia rispetto a quello del fisiatra, al quale attribuiscono non solo la diagnosi, ma anche di stabilire le “specifiche prescrizioni”, oggetto del programma/progetto riabilitativo individuale, che, invece, secondo l’Associazione ricorrente, rientrerebbero nella competenza del fisioterapista, in base all’art. 2 del D.M. 741 del 14.9.1994 e all’art. 2 della l. 251 del 10.8.2000.
2. La sentenza appellata ha rigettato il ricorso, riconducendo i compiti del fisioterapista nell’ambito dell’attività di equipe, che dà attuazione al progetto/programma riabilitativo redatto dal fisiatra.
3. L’Associazione propone appello, lamentando l’errata interpretazione da parte del TAR delle norme statali che disciplinano la professione del fisioterapista, con efficacia vincolante anche per le regioni, in rapporto alle competenze mediche ed a quelle delle altre professioni sanitarie.
Essenzialmente, l’appellante, pur non contestando che spetti al medico la diagnosi e la prescrizione del trattamento sanitario, si oppone all’accentramento dei compiti e delle responsabilità del processo riabilitativo esclusivamente in capo al fisiatra, con conseguenze lesive non solo delle attribuzioni professionali del fisioterapista e della sua autonomia, ma anche lesive per gli utenti, che si vedono complicare l’accesso alle prestazioni sanitarie del S.S.N. dalla necessità di provvedere ad una visita ulteriore del fisiatra, anche quando la prescrizione sia proveniente da altro medico (ad es. ortopedico).
Secondo l’appellante, invece, ai sensi del D.M. 741/1994, spetta al fisioterapista definire il “programma di riabilitazione”, che costituisce la “valutazione qualitativa dei casi e delle terapie” da svolgere, conformemente alle previsioni dell’art. 2, comma 1, l. 251 del 10.8.2000.
Le delibere regionali impugnate, attribuendo al fisiatra la competenza riguardo al progetto/programma riabilitativo, invaderebbero illegittimamente l’ambito di attività che il legislatore riserva al fisioterapista; pertanto, l’inciso “nel rispetto delle attribuzioni e competenze definite dalla vigente normativa per ogni specifico profilo professionale” rimarrebbe privo di significato precettivo. La Regione, inoltre, avrebbe omesso di motivare al riguardo.
Mancherebbe, infine, nella sentenza l’esplicitazione delle ragioni che giustificano una così grave alterazione delle competenze professionali del fisioterapista.
4. Sono intervenute ad adiuvandum varie Associazioni che perseguono istituzionalmente la tutela delle professioni sanitarie nell’area riabilitativa e della salute degli utenti che di tali servizi si avvalgono.
5. All’udienza del 18 gennaio 2013, l’appello è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
1. L’appello non può essere accolto.
2. La ricostruzione della normativa statale, fatta propria dal primo giudice, evidenzia, in effetti, un ruolo di centralità e responsabilità nel percorso terapeutico nell’area della riabilitazione in capo al medico; cosicché non è stato ritenuto lesivo delle competenze professionali del fisioterapista che le delibere impugnate abbiano previsto che l’accesso alle prestazioni riabilitative erogate dal S.S.N. avvenga sotto il controllo di un medico fisiatra, non solo per il profilo della individuazione della terapia, ma anche della sua esecuzione.
Analoga interpretazione è stata seguita nella giurisprudenza di altri TAR (T.A.R. Sicilia – Catania sez. II, 17 febbraio 2003, n. 238; T.A.R. Lazio – Roma, sez. III, 22 febbraio 2012, n. 1792).
Ad avviso del Collegio la sentenza impugnata tiene debitamente conto, oltre che del principio dell’autonomia delle competenze degli operatori sanitari, sancito dall’ art. 2 l. 251/2000, anche del sistema che si è venuto a delineare a livello statale per assicurare uniformità ai livelli assistenziali sul territorio nazionale.
L’art. 2 della l. 251/2000 definisce l’attività degli operatori delle professioni sanitarie dell’area della riabilitazione come “diretta alla prevenzione, alla cura, alla riabilitazione e a procedure di valutazione funzionale, al fine di espletare le competenze proprie previste dai relativi profili professionali”.
L’art. 1, comma 2, del D.M. 14 settembre 1994, n. 741, recante il regolamento concernente il profilo professionale del fisioterapista, stabilisce che “in riferimento alla diagnosi ed alle prescrizioni del medico, nell’ambito delle proprie competenze, il fisioterapista elabora, anche in équipe multidisciplinare, la definizione del programma di riabilitazione volto all’individuazione ed al superamento del bisogno di salute del disabile”.
3. -Su questo punto si concentrano le critiche alla sentenza svolte dall’appellante.
Il programma di riabilitazione costituirebbe, per l’appellante, l’atto di “valutazione qualitativa dei casi e delle cure da svolgere” che qualificherebbe la prestazione del fisioterapista, da svolgersi in piena autonomia, anche rispetto alle prescrizioni mediche.
Secondo il primo giudice “queste ultime costituiscono l’effettivo confine – un confine molto elastico, potendo le prescrizioni essere più o meno puntuali (ma giammai del tutto prevaricatrici dell’autonomia programmatoria del fisioterapista) – tra le competenze del medico e quelle del fisioterapista.”. Tuttavia, in coerenza col sistema normativo nazionale, l’autonomia del fisioterapista si può esplicare solo nel presupposto dell’esistenza e delle prescrizioni indicate dal fisiatra, quale coordinatore dell’equipe riabilitativa, così come legittimamente disposto dalla Regione Veneto.
4. Il Collegio condivide questa impostazione.
Premesso che i requisiti di definizione delle professioni sanitarie e legittimanti il loro esercizio rispondono all’interesse di ordine generale di tutelare la collettività contro il rischio di un non appropriato trattamento sanitario, l’opzione interpretativa fatta propria dal TAR appare coerente con tale interesse ed è confortata da una serie di elementi interpretativi sistematici.
L’art. 1 della legge 1° febbraio 2006, n. 46 esordisce, al comma 1, stabilendo che “sono professioni sanitarie infermieristiche, ostetrica, riabilitative, tecnico-sanitarie e della prevenzione, quelle previste ai sensi della legge 10 agosto 2000, n. 251, e del DM 29 marzo 2001 del Ministro della Sanità”, specificando che i relativi “operatori svolgono, in forza di un titolo abilitante rilasciato dallo Stato, attività di prevenzione, assistenza, cura e riabilitazione”.
Per inciso, una recente pronuncia della Corte costituzionale, la sentenza n. 300 del 2007, a proposito della competenza delle regioni in materia di individuazione di “operatori di interesse sanitario non riconducibili alle professioni sanitarie come definite dal comma 1 dell’art. 1 l. 46/2006”, per quanto qui di interesse, ha confermato la centralità della competenza statale sulla potestà legislativa regionale che si esercita sulle professioni individuate e definite dalla normativa statale.
Dalle linee guida adottate dal Ministero della Sanità, pubblicate sulla G.U.R.I. del 30 maggio 1998, frutto di accordo tra il Governo, le Regioni e le Province autonome, che forniscono indirizzi e criteri generali, in modo da assicurare livelli uniformi di assistenza previsti dal piano sanitario nazionale, ferma l’autonomia delle regioni nell’adottare le soluzioni organizzative più idonee in relazione alla propria organizzazione, si traggono opportune indicazioni circa l’ambito delle competenze del fisioterapista e la delimitazione delle stesse rispetto a quelle proprie del medico specialista nella predisposizione degli atti terapeutici.
Secondo le linee guida, le attività sanitarie di riabilitazione consistono negli interventi “valutativi, diagnostici, terapeutici ed altre procedure” finalizzate a portare il soggetto affetto da menomazioni a contenere o minimizzare la sua disabilità, ed il soggetto disabile a riprendere le ordinarie attività di cura della persona e di relazione con il proprio ambiente.
Le linee guida stabiliscono che “le attività sanitarie di riabilitazione, richiedono obbligatoriamente la presa in carico clinica globale della persona mediante la predisposizione di un progetto riabilitativo individuale e la sua realizzazione mediante uno o più programmi riabilitativi.”
Il progetto riabilitativo individuale viene definito come “l’insieme di proposizioni, elaborate dall’equipe riabilitativa, coordinata dal medico responsabile”, che indica, tra l’altro, sia il medico specialista responsabile del progetto stesso, sia il ruolo dell’equipe riabilitativa, composta da personale adeguatamente formato, rispetto alle azioni da intraprendere per il raggiungimento degli esiti desiderati. All’interno del progetto riabilitativo, il “programma riabilitativo” definisce le aree di intervento specifiche, gli obiettivi a breve termine, i tempi e le modalità di erogazione degli interventi, gli operatori coinvolti, la verifica degli interventi, individua i singoli operatori coinvolti negli interventi e ne definisce il relativo impegno, nel rispetto delle relative professionalità”.
Dall’insieme delle disposizioni riportate, appare chiaro come occorra preliminarmente una “presa in carico clinica” del soggetto e che responsabile del progetto riabilitativo sia il “medico specialista” anche se la sua elaborazione è frutto di un lavoro d’équipe.
I programmi riabilitativi non rappresentano altro che ulteriori specificazioni del progetto, chiaramente promananti anch’essi dall’équipe, sotto la guida del medico, e con l’ausilio degli altri operatori sanitari, tra cui il fisioterapista.
L’attività “valutativa e diagnostica” di quest’ultimo si svolge, dunque, sempre sotto la guida del medico specialista responsabile, e concorre ad elaborare, in termini esecutivi, il programma di riabilitazione che fa parte dell’intervento terapeutico già “a monte” definito dal progetto.
L’art.1, comma 2, del D.M. 741 del 1994, quindi, va inteso nel senso che prevede la possibilità per il fisioterapista di prestare la propria attività, prendendo a riferimento le diagnosi e le prescrizioni del medico, sia autonomamente che in équipe, ma solo in funzione esecutiva delle prescrizioni mediche (cfr. T.A.R. Lazio – Roma , sez. III, 22 febbraio 2012, n. 1792, che ha affrontato la tematica dell’ampiezza delle competenze del fisioterapista con riferimento alla legittimità del decreto 16 dicembre 2010, adottato dal Ministero salute, avente ad oggetto “erogazione da parte delle farmacie di specifiche prestazioni professionali”).
5. Per quanto riguarda, specificamente, l’attività amministrativa della Regione Veneto, innanzitutto, va ricordato che, con la delibera n. 253 del 1° febbraio 2000, atto di indirizzo e coordinamento per l’organizzazione dei servizi di riabilitazione, non impugnato, la Regione ha definito la metodologia di intervento, distinguendo il progetto riabilitativo individuale e i programmi riabilitativi individuali, in attuazione e conformemente alle predette linee guida ministeriali.
Vi si legge, a proposito della riabilitazione nell’assistenza specialistica, che la struttura ambulatoriale effettua “una presa in carico globale” del paziente disabile e distingue due livelli organizzativi delle strutture ambulatoriali, legati alle complessità dei quadri clinici trattati: un primo livello, rivolto a soggetti con disabilità minimali, che ove non sia presente il fisiatra, potrà erogare prestazioni predefinite secondo protocolli fisiatrici; un secondo livello rivolto a soggetti con disabilità gravi e che richiedono un approccio globale, che necessita della presenza del fisiatra per una costante valutazione del quadro clinico (all. 1, pagg. 15 e 16).
La centralità e responsabilità della figura del fisiatra nell’organizzazione dell’assistenza specialistica e nella redazione del progetto/programma individuale risale, dunque, alla citata delibera 253/2000, non impugnata, la quale dispone conformemente ai criteri di cui alle linee guida richiamate.
6. Con le delibere n. 2227 del 9 agosto 2002 e n. 3972 del 30 dicembre 2002, oggetto del presente giudizio, la Regione Veneto ha inteso, invece, dare applicazione ai livelli essenziali di assistenza nel Servizio Sanitario nazionale, di cui al D.P.C.M. 29 novembre 2001, limitandosi a prevedere le modalità di accesso alle prestazioni di medicina fisica e della riabilitazione a carico del servizio sanitario nazionale, senza apportare innovazioni a quanto già deliberato con la richiamata delibera n. 253/2000.
La delibera n. 2227/2002 prevede che, su richiesta del medico di medicina generale o dello specialista di altra branca, il paziente viene inviato a valutazione fisiatrica “in quanto ciò garantisce la globale presa in carico dell’utente per tutto il percorso diagnostico-terapeutico con la formazione di un progetto riabilitativo individualizzato”, e ancora che “spetterà al fisiatra di provvedere alla effettuazione della visita fisiatrica e alla stesura di uno specifico progetto/programma riabilitativo”.
La delibera n. 3972/2002 ha, poi, precisato, intervenendo in autotutela, che il medico fisiatra assicura “l’apporto professionale specifico dei componenti dell’équipe riabilitativa coordinata dallo stesso, nel rispetto delle attribuzioni e competenze definite dalla vigente normativa per ogni specifico livello professionale”.
Tale precisazione sgombra definitivamente il campo dai dubbi di legittimità prospettati dall’Associazione ricorrente, come correttamente ritenuto dal TAR, in coerenza con le attribuzioni dei singoli operatori sanitari e dell’équipe, definite dalla normativa statale sopra richiamata.
7. Da ultimo, con memoria depositata in vista dell’udienza, l’associazione appellante svolge una nuova argomentazione a sostegno dell’illegittimità delle delibere impugnate, con riguardo alle buone pratiche cliniche di cui al “piano di indirizzo per la riabilitazione” elaborato dal Ministero della salute ed approvato dalla conferenza Stato-Regioni il 10 febbraio 2011, in cui si precisa che “il progetto riabilitativo individuale viene elaborato a livello di team riabilitativo”. Si tratta però di argomentazione inammissibile, in base al principio “tempus regit actum”, perché ha riguardo ad un atto di indirizzo intervenuto successivamente all’adozione delle delibere della Regione Veneto.
8. In conclusione, l’appello va rigettato.
9. Le spese di giudizio si compensano tra le parti, tenuto conto della novità delle questioni trattate.