Nell’aprile del 2004 i genitori in proprio e nella qualità di eredi del figlio, chiamarono in giudizio dinanzi al tribunale di Milano, il medico curante chiedendone la condanna al risarcimento dei danni per avere cagionato, o contribuito a cagionare, il decesso del minore in conseguenza di un errore diagnostico e terapeutico consistito nella sola somministrazione di farmaci antiemetici, senza procedere ad un esame obbiettivo del torace e dell’apparato respiratorio del piccolo paziente (affetto da carenza immunitaria anticorporale), nonostante questi avesse accusato dapprima astenia e cefalea accompagnata da alcune linee di febbre, poi alcuni episodi di vomito, per spirare, infine, a causa di una polmonite franca lombare.
Il giudice di primo grado, pur essendo stato reso edotto di come l’operato del professionista fosse stato giudicato incensurabile in sede penale, dispose comunque una Consulenza tecnica d’uffico (CTU), all’esito della quale respinse la domanda risarcitoria, sul rilievo, tra l’altro, che il consulente d’ufficio aveva concluso la sua indagine nel senso della totale assenza di qualsiasi responsabilità professionale del sanitario.
La corte di appello di Milano ha confermato la pronuncia favorevole al medico.
I genitori del piccolo, hanno agito dinanzi alla Suprema Corte.
Profili giuridici
La Cassazione ha confermato il ragionamento seguito dai giudici d’Appello in ordine alla assenza di responsabilità del sanitario sotto il profilo causale, attesa la natura della broncopolmonite che aveva colpito il piccolo, la cui asintomaticità fu tale da rendere insospettabile l’esistenza di un così grave quadro infiammatorio che avrebbe poi interessato il miocardio, cagionando nel giro di pochi giorni l’evento mortale così come verificatosi.