La stima del danno alla persona da parte del medico legale avviene comparando lo stato obiettivo di salute della vittima con le indicazioni suggerite da apposite tabelle o baremes, nelle quali a ciascun tipo di invalidità è associata una misura percentuale, comunque non vincolante.
Cassazione Civile – Sez. III; Sent. n. 17219 del 29.07.2014
Svolgimento del processo
1. Nel 1993 la sig.a C.I. convenne dinanzi al Tribunale di Isernia il sig. U.R., la X. X. s.p.a. e la Tirrena Assicurazioni s.p.a., esponendo che:
(-) il (X. ), a (X. ), si era verificato un sinistro stradale che coinvolse l’autoveicolo Fiat Uno targato FR385623, condotto da essa attrice, e l’autoveicolo BMW targato (X. ), condotto da U.R., di proprietà della X. X. s.p.a. e d assicurato contro i rischi della circolazione dalla Tirrena s.p.a.;
(-) la responsabilità del sinistro andava ascritta al sig. U. R., il quale aveva colposamente invaso l’opposta corsia di marcia investendo frontalmente il veicolo della sig.a C., proveniente dalla direzione opposta.
Chiese pertanto la condanna di tutti i convenuti al risarcimento del danno.
2. Nel corso del giudizio, posta la Tirrena s.p.a. in liquidazione coatta amministrativa, il giudizio venne interrotto e riassunto nei confronti del commissario liquidatore e della SAI s.p.a., quale “impresa designata” ai sensi della L. 24 dicembre 1969, n. 990, art. 19.
Dopo sei anni di giudizio, con ordinanza del 5.3.1999, il iudice istruttore ordinò l’integrazione del contraddittorio nei confronti della BMW Financial X. s.p.a., reale proprietaria del veicolo BMW. Infine, con sentenza 19.12.2003 n. 729 il Tribunale di Isernia, per quanto qui ancora rileva:
– dichiarò cessata la materia del contendere tra C.I. da un lato, la Tirrena s.p.a. in l.c.a. e la SAI s.p.a. dall’altro, per intervenuta transazione;
– ritenne che responsabile esclusivo del sinistro fosse U. R.;
– condannò questi e la BMW Financial X. , in solido, al pagamento in favore dell’attrice della somma di Euro 32.349,79, oltre accessori, pari al credito risarcitorio residuo dell’attrice, una volta detratto quanto ricevuto dall’assicuratore in sede transattiva.
3. La sentenza, impugnata in via principale od incidentale da tutte le parti, venne confermata dalla Corte d’appello di Campobasso con sentenza 20.4.2008 n. 284.
Tale sentenza viene ora impugnata per cassazione dalla sig.a C. I., sulla base di cinque motivi. La ricorrente ha precisato che l’impugnazione deve intendersi proposta nei soli confronti del sig. U.R. e della BMW Financial X. .
Resiste con controricorso e ricorso incidentale condizionato la BMW Financial X. , e con solo controricorso la Tirrena in l.c.a..
Motivi della decisione
1. Il primo motivo del ricorso principale.
1.1. Col primo motivo del proprio ricorso la sig.a C.I. lamenta che la sentenza impugnata sia affetta sia dal vizio di violazione di legge, di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3; sia nei vizio di motivazione, di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5.
Nell’illustrare la ragioni di questa sua prima doglianza, la ricorrente formula in realtà due distinte censure.
1.1.1. Con la prima (pp. 12-14 del ricorso) essa lamenta che la Corte d’appello avrebbe errato nel condividere la valutazione del consulente tecnico d’ufficio, che quantificò nella misura del 60% l’invalidità permanente patita dall’attrice in conseguenza del sinistro. Spiega, al riguardo, che la medesima invalidità era stata stimata da altro consulente nominato in primo grado nella misura del 75%; e dalla “commissione medica di Frosinone” nella misura dell’80%.
Doveva, pertanto, irragionevole la scelta del giudice d’appello che, al cospetto di tre diverse valutazioni medico-legali della stessa invalidità, aveva ritenuto preferibile quella più bassa.
1.1.2. Con il secondo profilo del primo motivo di ricorso la sig.a C.I. lamenta che il giudice d’appello, nella stima del danno alla salute, abbia trascurato di provvedere alla c.d.
“personalizzazione”: non abbia, cioè, equitativamente aumentato l’importo del risarcimento, per tenere debito conto delle specificità del caso concreto.
1.2. Il primo profilo del primo motivo di ricorso (pretesa erroneità della stima del grado di invalidità permanente) è infondato.
La stima dei danno alla persona da parte del medico legale avviene comparando lo stato obiettivo di salute della vittima con le indicazioni suggerite da apposite tabelle o baremes, nelle quali a ciascun tipo di invalidità è associata una misura percentuale, comunque non vincolante.
I baremes medico legali si dividono in due categorie: obbligatori e facoltativi.
I primi sono approvati con atti normativi, e la loro adozione è ineludibile da parte sia dal medico legale che del giudice (ad es., in tema di danni alla salute con esiti micropermanenti, il bareme approvato con D.M. 3 luglio 2003, cui rinvia l’art. 139 cod. ass.).
I secondi non hanno natura di fonte normativa, sono liberamente elaborati dalla comunità scientifica e dalle varie scuole di pensiero che la compongono.
All’epoca della decisione sia di primo grado che d’appello, come del resto ancor oggi, non esisteva alcuna norma che imponesse l’adozione di un determinato bareme medico legale per determinare il grado di invalidità permanente residuato al sinistro.
Ciò non vuoi dire che tale stima possa essere arbitraria od equitativa: equitativa può essere la monetizzazione del danno alla persona, non certo la valutazione in corpore della sua entità.
Pertanto, quando la scelta del bareme medico-legale da adottare non sia imposta da alcuna norma, l’ausiliario tecnico prima, ed il giudice poi, restano liberi di scegliere il bareme che ritengono più autorevole, più moderno o più corretto, col solo obbligo di motivare la propria scelta.
Tale obbligo nel caso di specie è stato assolto dalla Corte d’appello di Campobasso.
Questa infatti, ha ritenuto condivisibile la scelta del c.t.u. di quantificare l’invalidità permanente patita dall’appellante nella misura del 60%, piuttosto che nella diversa misura invocata da quella invocata, in base a due rilievi:
(a) la consulenza eseguita prima dell’integrazione del contraddittorio (e quindi inutilizzabile), la quale aveva stimato l’invalidità biologica della vittima nella misura del 75%, era immotivata e quindi non condivisibile (così la sentenza impugnata, pag. 81);
(b) la valutazione dell’invalidità permanente nella misura dell’80%, eseguita dalla commissione medica a fini previdenziali od assistenziali aveva contenuto e presupposti diversi da quelli rilevanti in ambito di responsabilità civile, e dunque da essa non poteva trarsi alcuna indicazione per reputare erronea la diversa stima del 60% compiuta dal c.t.u. (ibidem, pag. 8). La motivazione appena riassunta è logica e coerente, e dunque non sussiste il lamentato vizio di motivazione: stabilire, poi, se la decisione della Corte d’appello sia anche corretta nel fondo è questione di merito, non prospettabile in questa sede.
1.3. Il secondo profilo del primo motivo di ricorso (omessa personalizzazione del risarcimento) è anch’esso infondato. La Corte d’appello non ha affatto negato che il risarcimento del danno alla salute debba essere “personalizzato” (e dunque non v’è stata alcuna violazione delle norme che presiedono alla stima ed alla liquidazione del danno alla persona, ovvero gliartt. 1226, 2056 e 2059 c.c.); ma ha semplicemente ritenuto che l’attrice non avesse nè allegato, nè allegato alcuna circostanza idonea a giustificare tale “personalizzazione”.
Tuttavia la ricorrente, nel censurare tale statuizione, anche in questa sede non ha indicato alcun elemento che, debitamente prospettato nei gradi di merito, avrebbe condotto ad una diversa e maggiore liquidazione del danno biologico, e che sia stato trascurato dalla Corte d’appello.
2. Il secondo motivo del ricorso principale.
2.1. Arterie col secondo motivo del proprio ricorso la sig.a C. I. lamenta che la sentenza impugnata sia affetta sia dal vizio di violazione di legge, di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3; sia nel vizio di motivazione, di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5.
Lamenta che la Corte d’appello avrebbe errato nel determinare il quantum del “danno morale”, liquidato in modo automatico in misura pari al 50% del biologico.
Sostiene la ricorrente che tale pregiudizio è necessariamente autonomo e distinto rispetto al danno biologico, e va pertanto liquidato senza alcuna correlazione rispetto al risarcimento liquidato per tale ultima voce di danno.
2.2. Cosa sia il danno morale; se abbia o meno natura autonoma rispetto al danno biologico; se possa o meno essere liquidato in misura pari ad una frazione del risarcimento accordato per tale ultima voce di danno, come noto sono altrettante questioni che hanno visto dividersi la giurisprudenza di questa Corte, attraversata da contrasti non del tutto sopiti nemmeno dall’intervento delle Sezioni Unite.
Di tali contrasti tuttavia non mette conto occuparsi in questa sede, in quanto il motivo di ricorso col quale la sig.a C.I. pone le suddette questioni è inammissibile per almeno quattro ragioni:
(a) censura un apprezzamento di fatto;
(b) si duole genericamente di una sottostima del danno; definito “morale”, ma non indica quale sarebbe dovuta essere la misura congrua;
(c) lamenta un vizio di motivazione a fronte di una sentenza che invece ha correttamente motivato le ragioni poste a fondamento della liquidazione del danno morale (cfr. la sentenza impugnata, pp. 9-10);
(d) in ogni caso la ricorrente nemmeno in questa sede ha allegato quali circostanze di fatto, idonee ad innalzare il quantum del risarcimento del danno in esame, sarebbero state trascurate dalla Corte d’appello.
3. Il terzo motivo del ricorso principale.
3.1. Anche col terzo motivo del proprio ricorso la sig.a C. I. lamenta che la sentenza impugnata sia affetta sia dal vizio di violazione di legge, di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3; sia dal vizio di motivazione, di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5.
Allega, al riguardo, che la Corte d’appello avrebbe erroneamente omesso di accordare alla vittima il risarcimento del “danno esistenziale”.
Nella illustrazione del motivo la ricorrente spiega che, in conseguenza del sinistro del 1992, aveva dovuto subire la grave compromissione di innumerevoli diritti costituzionalmente garantiti:
quello alla libera circolazione, quello alla vita di relazione, quello alla vita familiare. Di tali perdite il giudice di merito avrebbe dovuto tenere debito conto nella aestimatio del danno.
3.2. Il motivo è infondato.
Una lesione della salute può avere le conseguenze dannose più diverse, ma tutte inquadragli teoricamente in due gruppi:
– conseguenze necessariamente comuni a tutte le persone che dovessero patire quel particolare tipo di invalidità:
– conseguenze peculiari del caso concreto, che abbiano reso la sofferenza diversa e maggiori rispetto ai casi consimili.
Tanto le prime che le seconde conseguenze costituiscono un danno alla salute; le prime tuttavia presuppongono la mera dimostrazione dell’esistenza dell’invalidità; le seconde esigono la prova concreta y dell’effettivo pregiudizio sofferto.
Pertanto la perduta possibilità di continuare a svolgere una qualsiasi attività oggetto di un diritto costituzionalmente garantito, quale conseguenza d’una lesione della salute, non esce dall’alternativa: o è una conseguenza “normale” della lesione, ed allora si terrà per pagata con la liquidazione del danno biologico;
ovvero è una conseguenza peculiare, ed allora dovrà essere risarcita non a parte, ma adeguatamente aumentando la stima del danno biologico (c.d. “personalizzazione”).
Nel caso di specie la Corte d’appello si è attenuta a tali principi:
essa non ha affatto negato che pregiudizi quali la compromissione della vita di relazione o della vita familiare non possano costituire danni risarcibili; ha invece affermato il ben diverso ed indiscutibile principio secondo cui data una lesione della salute che, come nel caso di specie, provochi disturbi alla deambulazione, tale pregiudizio non può essere liquidato due volte sol perchè chiamato ora “danno biologico”, ed ora “danno da, lesione d’un diritto costituzionalmente garantito”.
4. Il quarto motivo del ricorso principale.
4.1. Anche col quarto motivo del proprio ricorso la sig.a C. I. lamenta che la sentenza impugnata sia affetta sia dal vizio di violazione di legge, di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3; sia dal vizio di motivazione, di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5.
Espone, a tal riguardo, che la Corte d’appello avrebbe riduttivamente liquidato il danno patrimoniale da perdita della capacità di guadagno, perchè ha posto a base dei relativo calcolo lo stipendio percepito dalla vittima al momento del sinistro, senza tenere conto – come avrebbe dovuto – dei verosimili incrementi futuri che la sig.a C.I., definita “giovane lavoratrice”, avrebbe potuto realizzare se fosse rimasta sana.
4.2. Il motivo è infondato.
E’ nel vero la ricorrente allorchè allega che, nella i stima del danno patrimoniale futuro, occorre tenere conto non solo del reddito perduto dalla vittima e percepito al momento del sinistro, ma anche dei verosimili incrementi futuri di esso. Tale valutazione deve essere compiuta adeguatamente aumentando l’importo annuale del reddito da porre a base della liquidazione.
Tuttavia tale aumento in via equitativa del reddito dai porre a base del calcolo in tanto deve essere compiuta, in quanto è verosimile che quel reddito crescerà, e crescerà in misura superiore al deprezzamento del denaro (il quale è necessariamente già tenuto in considerazione in qualsiasi operazione di capitalizzazione).
Ciò posto in ture, si osserva in facto che nel caso di specie la Corte d’appello ha confermato la statuizione del primo giudice, quanto alla stima del danno da lucro cessante, osservando che l’attrice non avesse “allegato e tanto meno provato che il suo pensionamento anticipato vanificava concrete prospettive di sviluppo nella carriera”.
Questa motivazione non è nè lesiva di norme di legge, nè illogica.
Non è lesiva di norme di legge, perchè per quanto detto in tanto può presumersi ex art. 2727 c.c., un danno da pensionamento anticipato ulteriore rispetto allo scarto tra stipendio e pensione (correttamente liquidato dalla Corte d’appello), in quanto sia ragionevole ritenere che, se il lavoratore avesse proseguito la propria attività, le sue mansioni ed il suo stipendio sarebbero cresciuti. Nel caso di specie, tuttavia, risulta dall’epigrafe della sentenza d’appello che al momento del, sinistro la vittima aveva compiuto il 52^ anno di età, il che propriamente non ne fa una “giovane lavoratrice”, e rende non apprezzabile la possibilità di una significativa progressione in carriera.
La motivazione della Corte d’appello, in secondo luogo, non è per nulla contraddettola e carente: essa ha ritenuto che era onere della appellante provare quali chance di carriera avesse perduto, e tale statuizione è ineccepibile, poichè per quanto detto ad una presunzioni semplice (ex art. 2727 c.c.) di incrementi stipendiali futuri può ricorrersi nel caso in cui il danno in esame sia patito da persona ancora giovane, non quando sia lamentato da un lavoratore già avanti negli anni.
5. Il quinto motivo di ricorso.
5.1. Col quinto motivo di ricorso la sig.a C.I. lamenta che la sentenza sia viziata da una nullità processuale, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4.
Espone, al riguardo, che la Corte d’appello aveva rigettato o reputato assorbiti gli appelli incidentali proposti dalle controparti: ciò facendo, la Corte d’appello non avrebbe tenuto conto del principio secondo cui la transazione stipulata tra la danneggiata e l’assicuratore della r.c.a., contenente una clausola di riserva dei diritti della vittima, nei confronti degli altri coobbligati, non ha efficacia liberatoria per questi ultimi.
5.2. Il motivo è inammissibile per totale inintelligibilità.
La Corte d’appello aveva rigettato o dichiarato inammissibili tutti gli appelli incidentali in quanto:
(a) quello del conducente U.R. era tardivo;
(b) quello del proprietario (BMW) venne qualificato come “condizionato” all’accoglimento dell’appello principale, e quindi ritenuto assorbito;
(c) lo stesso per l’appello della l.c.a. dell’assicurazione Tirreena s.p.a.;
(d) quello dell’utilizzatore in leasing (X. Service) venne dichiarato assorbito, perchè condizionato all’accoglimento degli appelli incidentali;
(e) quello dell’impresa designata (concernente la condanna per mala gestio) venne dichiarato infondato nel merito.
A fronte di questa statuizione, la ricorrente col quinto motivo deduce l'”omessa pronuncia”, perchè la Corte d’appello nel rigettare i suddetti appelli incidentali non avrebbe tenuto conto del fatto che la vittima, transigendo la lite con l’assicuratore, non aveva liberato gli altri coobbligati solidali.
E’ tuttavia evidente che:
(a) confermando la condanna dei responsabili al pagamento del danno differenziale (ovvero quello non risarcito per effetto della transazione) la Corte d’appello ha implicitamente mostrato di ritenere inopponibile la suddetta transazione ai coobbligati non transigenti;
(b) in ogni caso, la dichiarazione di inammissibilità od assorbimento degli appelli incidentali non interferisce in alcun modo sulla questione dell’ambito oggettivo della transazione, e sulla misura del debito residuo dei condebitori: sicchè un vizio di omessa pronuncia non si rinviene nella sentenza impugnata, per la semplice ragione che nessuna delle parti aveva formulato come motivo d’appello una domanda di accertamento dell’efficacia soggettiva della suddetta transazione.
6. Il ricorso incidentale condizionato della BMW. 6.1. Resta assorbito il ricorso incidentale condizionato della BMW Financial Service.
7. Le spese.
Le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico della ricorrente, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 1.
P.Q.M.
la Corte di cassazione, visto l’art. 383 c.p.c., comma 1:
-) rigetta il ricorso;
-) condanna C.I. alla rifusione in favore di BMW Financial X. Italia s.p.a. delle spese del presente grado di giudizio, che si liquidano nella somma di Euro 5.200, di cui 200 per spese vive, oltre IVA ed accessori;
-) condanna C.I. alla rifusione in favore di Tirrena s.p.a. in l.c.a. s.p.a. delle spese del presente grado di giudizio, che si liquidano nella somma di Euro 5.200, di cui 200 per spese vive, oltre IVA ed accessori;
-) condanna C.I. alla rifusione in favore di Fondiaria SAI s.p.a. delle spese del presente grado di giudizio, che si liquidano nella somma di Euro 2.200, di cui 200 per spese vive, oltre IVA ed accessori.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 8 aprile 2014.
Depositato in Cancelleria il 29 luglio 2014