Con citazione a giudizio, gli eredi del titolare di un contratto di assicurazione sanitaria stipulato per la durata di dieci anni convenivano in giudizio innanzi al tribunale di Roma l’assicuratore per sentirlo condannare al rimborso delle spese di ricovero ed intervento sostenute.

Deducevano che la società, che pure in precedenza aveva corrisposto l’indennizzo per le spese sanitarie sostenute dall’assicurato per i trattamenti cui aveva dovuto sottoporsi, aveva, invece, rifiutato di corrispondere l’indennizzo per l’ultimo ricovero, opponendo che, ai sensi dell’art. 1892 cod. civ., l’assicurato, all’atto della compilazione del questionario anamnestetico, aveva omesso di dichiarare le gravi patologie di ipertrofia ventricolare sinistra, cardiopatia ipertensiva e cisti renale.

Cassazione Civile – Sez. III; Sent. n. 17505 del 19.11.2014

Svolgimento del processo

Con citazione del 6 marzo 1995 Da.Be. ved. Do. e Ma.Do., nella qualità di eredi di Se.Do., titolare già di contratto di assicurazione sanitaria stipulato per la durata di dieci anni con la società assicuratrice S. S.p.A. convenivano in giudizio innanzi al tribunale di Roma l’assicuratore per sentirlo condannare al rimborso delle spese di ricovero ed intervento da ultimo sostenute dall’assicurato.

Deducevano che la società, che pure in precedenza aveva corrisposto l’indennizzo per le spese sanitarie sostenute dall’assicurato per i trattamenti cui aveva dovuto sottoporsi, aveva, invece, rifiutato di corrispondere l’indennizzo per l’ultimo ricovero, opponendo che, ai sensi dell’art. 1892 cod. civ., l’assicurato, all’atto della compilazione del questionario anamnestetico, aveva omesso di dichiarare le gravi patologie di ipertrofia ventricolare sinistra, cardiopatia ipertensiva e cisti renale.

Reclamavano, in ragione delle rispettive quote, il pagamento dell’importo complessivo di Lire 139.217.320, oltre interessi.

La società convenuta eccepiva l’invalidità del contratto derivante dalla colpevole reticenza dell’assicurato e, in riconvenzione, chiedeva che, previo annullamento per tale causa del contratto medesimo, le istanti eredi fossero condannate alla restituzione della somma di Lire 36.814.000, che il loro dante causa aveva indebitamente ricevuto a titolo di indennizzo per le pregresse spese sanitarie sostenute.

Il tribunale adito rigettava la domanda riconvenzionale e condannava l’assicuratore a pagare la somma di Lire 114.451.546 alla vedova Da.Be. e la somma di Lire 57.225.785 alla figlia Ma.Do., ritenendo che le patologie non dichiarate, benché in astratto idonee ad integrare la maggiore probabilità di verificazione del rischio assicurato, non erano state taciute dall’assicurato con dolo o colpa grave.

Sull’impugnazione della società di assicurazione provvedeva la Corte d’appello di Roma con sentenza pubblicata il 7 marzo 2000, la quale, in accoglimento per quanto di ragione del gravame, rigettava la domanda avanzata in primo grado da Da.Be. e Ma.Do., che condannava alla restituzione delle somme incassate in esecuzione della sentenza di primo grado.

I giudici di secondo grado consideravano che il comportamento dell’assicurato, che aveva reso dichiarazioni inesatte circa il suo stato di salute, era frutto di dolo o quanto meno di colpa grave e che non doveva dubitarsi del fatto che l’assicuratore, se avesse conosciuto la reale entità del rischio assicurato, non avrebbe stipulato il contratto o l’avrebbe concluso a condizioni diverse.

Ritenevano, inoltre, che la causa di annullamento del contratto, di cui all’art. 1892 cod. civ., non poteva operare in via di azione, poiché la relativa domanda, come da rituale eccezione di decadenza avanzata dalla controparte, era stata proposta oltre il termine di tre mesi dal giorno in cui la S. S.p.A. aveva avuto conoscenza della causa medesima.

Precisavano, infine, che la decadenza dall’azione di annullamento del contratto di assicurazione non impediva, tuttavia, all’assicuratore di far valere, in via di eccezione, la violazione dolosa o colposa dell’obbligo di correttezza dell’assicurato al fine di denegare le prestazioni reclamate in relazione a sinistro verificatosi prima del decorso del suddetto termine di decadenza.

Per la cassazione della sentenza hanno proposto ricorso principale Da.Be. ved. Do. e Ma.Do., le quali affidano l’impugnazione a due mezzi di doglianza.

Resiste con controricorso la società S. S.p.A. che propone ricorso incidentale in base ad unico motivo.

Motivi della decisione 

I ricorsi, impugnazioni distinte della medesima sentenza, sono riuniti (art. 335 cod. proc. civ.).

Con il primo motivo d’impugnazione le ricorrenti principali – denunciando la violazione e la falsa applicazione della norma di cui all’art. 2697 cod. civ. nonché la omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia – censurano siccome generica l’affermazione del giudice d’appello, secondo cui il comportamento reticente del Do. era frutto di dolo o colpa grave.

Assumono che nulla sarebbe emerso a dimostrazione del fatto che l’assicurato fosse a conoscenza delle patologie che gli si rimprovera di avere di proposito occultato, giacché non vi era la prova che lo stesso avesse richiesto la cartella clinica a suo nome; né era risultato che il Do. avesse potuto aliunde avere conoscenza delle gravi patologie di cui soffriva; né poteva, comunque, dedursi che dalla semplice diagnosi, descritta nella cartella clinica, l’assicurato potesse avere acquisito elementi idonei e sufficienti ad un profano per dedurne la gravità del suo stato morboso.

Lamentano che il giudice di merito avrebbe dovuto ammettere la richiesta prova orale, diretta a verificare che l’assicurato aveva avuto delle gravi affezioni cardiache soltanto dopo il suo ricovero del luglio 1993, e che il provvedimento di diniego del mezzo istruttorio non sarebbe stato giustificato da alcuna ragione.

Deducono che il comportamento dell’assicurato avrebbe dovuto essere valutato alla stregua dello specifico elemento del questionario medico, predisposto dall’assicuratore e compilato dal Do., tenendo conto del fatto che le notizie che si richiedevano erano generiche e vaghe e che lo spazio ridottissimo concesso per le risposte non consentiva di aggiungere la descrizioni dei sintomi legati alle patologie più gravi.

Aggiungono ancora che, in presenza della dichiarata affezione di colecisti da parte del Do., l’assicuratore ben avrebbe potuto prendere visione della cartella clinica o sottoporre a visita medica l’assicurato, in tal modo accedendo alla realtà clinica dell’assicurato.

Rilevano, infine, che anche le conclusioni della consulenza tecnica d’ufficio circa la consapevolezza del Do. del reale suo stato di salute costituisce il frutto di clamoroso vizio logico.

La complessa ed articolata censura, relativa al preteso vizio di motivazione circa il comportamento reticente dell’assicurato, non può essere accolta.

La deduzione con ricorso per cassazione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico – formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando, così, liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge).

Ne consegue che il preteso vizio di motivazione, sotto il profilo della omissione, insufficienza, contraddittorietà della medesima, può legittimamente dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato (o insufficiente) esame di punti decisivi della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile d’ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico – giuridico posto a base della decisione.

Nel caso di specie, l’iter argomentativo della sentenza impugnata non è censurabile nel punto in cui afferma che gli elementi emersi giustificano la conclusione che l’assicurato era a conoscenza del reale suo stato di salute e aveva intenzionalmente taciuto l’entità esatta delle malattie di cui soffriva, per cui è inammissibile in questa sede la proposta istanza di sostanziale riesame del materiale probatorio al fine di farne derivare una valutazione diversa da quella, non illogica né contraddittoria, compiuta dal giudice del merito.

Quanto alla doglianza circa la denegata prova orale, occorre semplicemente rilevare che le ricorrenti, non riproponendo in ricorso la indicazione delle circostanze oggetto della prova stessa, impediscono in questa sede la possibilità di controllo della decisività del mezzo istruttorio, onde sotto tale profilo la censura non presenta i requisiti dell’autosufficienza.

Con il secondo mezzo di doglianza – deducendo la violazione e la falsa applicazione della norma di cui all’art. 1892, secondo comma, cod. civ. in relazione all’art. 2964 stesso codice – le ricorrenti principali denunciano che il giudice del merito, esclusa l’operatività della causa di annullamento del contratto prevista dalla suddetta norma dell’art. 1892 cod. civ., non avrebbe potuto attribuire rilevanza di eccezione alla suddetta causa di decadenza, giacché all’istituto della decadenza non è applicabile la regola “quae temporalia ad agendum perpetua ad excipiendum”.

Il motivo non può essere accolto.

Questo giudice di legittimità, secondo giurisprudenza ormai costante in tema di disciplina prevista dalla norma di cui all’art. 1892 cod. civ., ha stabilito che l’onere imposto all’istituto assicuratore di manifestare, allo scopo di evitare la decadenza, la propria volontà di esercitare l’azione di annullamento del contratto di assicurazione, per dichiarazioni inesatte o reticenze dell’assicurato, entro tre mesi dal giorno in cui ha conosciuto le cause dell’annullamento, non sussiste quando il sinistro si verifica prima che sia decorso il termine suddetto e, a maggior ragione, quando il sinistro si verifichi prima che l’assicuratore sia venuto a conoscenza della inesattezza o reticenza della dichiarazione, essendo sufficiente, in tali casi, per sottrarsi al pagamento dell’indennizzo, che l’assicuratore stesso invochi, anche mediante eccezione, la violazione dolosa o colposa dell’onere, posto a carico dell’assicurato, di rendere dichiarazioni complete e veritiere sulle circostanze relative alla rappresentazione del rischio (ex plurimis: Cass. n. 8373/90; Cass. n. 10086/98; Cass. n. 2209/99; Cass. n. 2815/99).

Nel caso concreto, è pacifico tra le parti che della inesattezza delle dichiarazioni, rese dall’assicurato al momento della stipulazione della polizza, l’assicuratore è venuto a conoscenza soltanto dopo che si era verificato il sinistro denunciato.

Non vi é dubbio anche del fatto – secondo quanto pure espressamente è stato posto in rilievo dal giudice del merito – che le inesatte dichiarazioni hanno inciso sulla rappresentazione del rischio, avendo in proposito il giudice d’appello chiarito che la società di assicurazione non avrebbe stipulato il contratto (o l’avrebbe concluso a condizioni diverse) se avesse conosciuto la reale entità del rischio assicurato,.

In questa situazione, la Corte d’appello ha fatto corretta applicazione della norma dell’articolo 1892 cod. civ. affermando che l’assicuratore, pur non potendo ottenere l’annullamento del contratto per non avere proposto nei termini di legge la relativa istanza di impugnazione, non è tenuto al pagamento dell’indennizzo.

Il ricorso principale, pertanto, è rigettato.

Con l’unico motivo dell’impugnazione incidentale deducendo la violazione e la falsa applicazione delle norme di cui agli art. 324 e 346 cod. proc. civ. e 1892, secondo comma, cod. civ. – la società S. S.p.A. censura la sentenza di secondo grado nella parte in cui il giudice dell’appello ha stabilito che la causa di annullamento del contratto per reticenti dichiarazioni dell’assicurato non poteva operare in via di azione per essere stata la relativa domanda avanzata oltre i tre mesi dal giorno in cui l’assicuratore aveva avuto conoscenza della causa medesima.

Assume la società di assicurazione che il giudice di primo grado aveva dichiarato inammissibile l’eccezione di decadenza dell’azione in quanto sollevata oltre il termine ultimo dell’udienza di precisazione delle conclusioni, per cui, non avendo la parte appellata proposto sul punto appello incidentale, la pronuncia di ammissibilità dell’azione di annullamento era divenuta cosa giudicata, che il giudice di appello avrebbe dovuto tenere per ferma, con la conseguenza che la domanda riconvenzionale, non accolta nel merito in primo grado nonostante la accertata sua ammissibilità, avrebbe dovuto essere esaminata dalla Corte territoriale non potendosene più dichiarare la tardività per avvenuta decadenza ex art. 1892, secondo comma, cod. civ.

Il motivo non è fondato.

La tesi prospettata dalla società assicuratrice secondo cui le ricorrenti principali avrebbero dovuto proporre appello incidentale al fine di consentire al giudice del gravame di esaminare la questione, già prospettata in primo grado, dell’operatività della causa di decadenza dell’azione di annullamento del contratto di assicurazione – non può essere condivisa.

Ai sensi e per gli effetti della norma di cui all’art. 346 c.p.c., invero, la parte risultata in primo grado vittoriosa che, nell’ipotesi di gravame proposto dal soccombente, chiede che sia confermata la decisione impugnata, eventualmente anche in base ad una diversa soluzione delle questioni avanzate nel precedente grado del giudizio, non ha l’onere di proporre appello incidentale per chiedere il riesame delle domande, delle eccezioni o delle questioni respinte, ritenute assorbite o, comunque, non esaminate con la sentenza impugnata, essendo sufficiente che le riproponga in una delle sue difese nel giudizio di secondo grado (ex plurimis: Cass,, n. 7879/2001; Cass. n. 602/2000; Cass. n. 11929/98; Cass. n. 8294/94; Cass. sez. un., n. 1005/93).

Il che – siccome espressamente ha evidenziato il giudice d’appello, secondo circostanza non contestata – è esattamente quanto risulta essere stato fatto da Da.Be. e Ma.Do., le quali nel giudizio di secondo grado hanno ancora “eccepito la decadenza dall’azione riconvenzionale tardivamente proposta”.

Di conseguenza anche l’impugnazione incidentale è respinta.

Il rigetto di entrambi i ricorsi giustifica la pronuncia di totale compensazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta. Compensa interamente tra le parti le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 18 settembre 2003.

Depositata in Cancelleria il 19 novembre 2003.