In merito alla risarcibilità del danno futuro appare opportuno sottolineare che “se non basta la mera eventualità di un pregiudizio futuro per giustificare condanna al risarcimento, per dirlo immediatamente risarcibile è invece sufficiente la fondata attendibilità che esso si verifichi secondo la normalità e la regolarità dello sviluppo causale e che “la rilevante probabilità di conseguenze pregiudizievoli è configurabile come danno futuro immediatamente risarcibile quante volte l’effettiva diminuzione patrimoniale appaia come il naturale sviluppo di fatti concretamente accertati ed inequivocamente sintomatici di quella probabilità, secondo un criterio di normalità fondato sulle circostanze del caso concreto.
Tribunale Milano 27 gennaio 2015 – – Est. Martina Flamini.
Fatto e Diritto
in qualità di Amministratore di sostegno della sorella, in qualità di eredi di quest’ultimo in proprio e quale esercente la potestà genitoriale sul figlio minore convenivano dinanzi al Tribunale di Milano esponendo la seguente vicenda sanitaria: il 5.12.2008, a seguito di diagnosi di carcinoma papillare della tiroide con linfoadenopatie,
(Omissis) veniva sottoposta ad intervento chirurgico di tiroidectomia totale, con linfoadenectomia ricorrenziale bilaterale; i primi tre giorni di decorso post operatorio erano stati normali, ad eccezione di continui fenomeni di nausea e conati di vomito; il 9.12.2008, improvvisamente, era comparsa una violentissima emorragia alla radice del collo e del drenaggio, con difficoltà respiratoria e perdita di coscienza; era stata riaperta la ferita chirurgica ed era stato eseguita una tracheostomia, ripetuta più volte, fino a provocare una lesione tracheale; il grave pneumotorace, l’arresto dell’attività cardiaca ed il peggioramento delle condizioni generali avevano reso necessaria l’esecuzione di un nuovo intervento chirurgico; a causa di quanto accaduto nella fase post operatoria la consulenza neurologica aveva posto la diagnosi di encefalopatia post-anossica con modico progressivo miglioramento; era poi iniziato un lento percorso riabilitativo. Premessi tali aspetti, gli attori evidenziavano la sussistenza di una responsabilità contrattuale ed extracontrattuale della struttura sanitaria convenuta in relazione all’inadempimento degli obblighi gravanti sui medici che avevano avuto in cura (Omissis) e in riferimento alla lesione del diritto al consenso informato. Parte attrice concludeva chiedendo il risarcimento dei danni, non patrimoniali e patrimoniali, subiti da (Omissis) dalla madre, (Omissis) dal cognato, (Omissis) sia in proprio che nella qualità di genitore del figlio minore (Omissis)
Si costituiva (Omissis) (di seguito, per brevità, solo IEO), contestando integralmente le domande di parte attrice. In particolare, deduceva la convenuta: che gli attori non avevano individuato specifici profili di responsabilità della struttura sanitaria convenuta, limitandosi genericamente ad affermarne la sussistenza; che la dott.ssa (Omissis) aveva illustrato alla (Omissis) tutti i dettagli dell’intervento eseguito il 5.12.2008 e le possibili complicanze; che la complicanza emorragica intervenuta in quarta giornata era del tutto imprevedibile e che la gestione dell’emergenza era stata ineccepibile; che i danni richiesti erano del tutto sforniti di prova.
Con comparsa depositata il 22.9.2014, in seguito al decesso di (Omissis) intervenuto il 5.3.2012 si costituivano (Omissis) e contestualmente (Omissis) rinunciava alle domande svolte nella qualità di chiamato all’eredità di (Omissis)
Acquisiti i documenti prodotti, espletate consulenze tecniche, le parti precisavano le conclusioni ed il giudice, previa concessione dei termini di cui all’art. 190 c.p.c, tratteneva la causa in decisione.
Legittimazione attiva del curatore speciale di (Omissis)
In primo luogo, appare opportuno precisare che, con provvedimento del 21.10.2014 il Giudice Tutelare del Tribunale di Lecco nominava un curatore speciale di (Omissis) per l’assunzione di ogni decisione di interesse della beneficiaria, ravvisando per (Omissis) la sussistenza di un conflitto di interessi relativamente all’odierno procedimento.
Con decreto del 14.11.2014 il Giudice Tutelare autorizzava il curatore speciale a costituirsi nel presente procedimento, il quale, con procura in calce alla comparsa conclusionale di parte attrice, conferiva mandato al difensore degli attori dichiarando di aderire alle difese spiegate nell’interesse della beneficiaria.
Nessun dubbio, pertanto, sulla legittimazione attiva dell’avv.to (Omissis) curatore speciale di (Omissis) in relazione alle decisioni da assumere nell’interesse della beneficiaria nell’odierno procedimento, autorizzato dal Giudice Tutelare a costituirsi nel presente giudizio.
Responsabilità professionale della struttura sanitaria convenuta
Nel merito, le domande spiegate da parte attrice sono fondate e meritano accoglimento per i motivi che seguono.
In via generale, è opportuno richiamare il consolidato orientamento della Corte di Cassazione secondo il quale “in tema di responsabilità civile nell’attività medico-chirurgica, ove sia dedotta una responsabilità contrattuale della struttura sanitaria per l’inesatto adempimento della prestazione sanitaria, il danneggiato deve fornire la prova del contratto e dell’aggravamento della situazione patologica (o dell’insorgenza di nuove patologie per effetto dell’intervento) e del relativo nesso di causalità con l’azione o l’omissione dei sanitari, secondo il criterio, ispirato alla regola della normalità causale, del “più probabile che non”, restando a carico dell’obbligato – sia esso il sanitario o la struttura – la prova che la prestazione professionale sia stata eseguita in modo diligente e che quegli esiti siano stati determinali da un evento imprevisto e imprevedibile” (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 975 del 16/1/2009).
Più di recente, la Suprema Corte ha rilevato come “In tema di responsabilità contrattuale del medico nei confronti del paziente per danni derivanti dall’esercizio di attività di carattere sanitario, il paziente ha il solo onere di dedurre qualificate inadempienze, in tesi idonee a porsi come causa o concausa del danno, restando poi a carico del debitore convenuto l’onere di dimostrare o che nessun rimprovero di scarsa diligenza o di imperizia possa essergli mosso, o che, pur essendovi stato il suo inesatto adempimento, questo non abbia avuto alcuna incidenza causale sulla produzione del danno” (Cass. 15993/2011).
In merito alla censura di parte convenuta, relativa all’omessa individuazione di specifici profili di inadempimento a carico dello IEO si osserva quanto segue.
Nel caso in esame, parte attrice ha allegato l’inadempimento qualificato della struttura sanitaria convenuta, astrattamente efficiente a produrre i danni subiti da (Omissis). Del tutto irrilevante il fatto che gli attori non abbiano allegato gli specifici profili squisitamente tecnici del dedotto adempimento, profili che peraltro, proprio in ragione del principio di vicinanza della prova, non erano nella disponibilità degli stessi. A tal proposito, inoltre, si osserva che la reale causa dei danni subiti dall’attrice, diversa da quella desumibile dalla lettura del verbale del secondo intervento eseguito, è emersa solo all’esito della c.t.u. (e dunque non era conoscibile dagli attori al momento della redazione dell’atto di citazione).
Ciò posto, nel caso in esame si osserva quanto segue.
Orbene l’espletata consulenza tecnica – le cui conclusioni meritano di essere pienamente condivise, in quanto basate su un completo esame anamnestico e su un obiettivo, approfondito e coerente studio della documentazione medica prodotta – depositata il 5.10.2012 a firma del dott. (Omissis) della dott.ssa (Omissis) e del dott. (Omissis) ha consentito di accertare i seguenti elementi:
a seguito di diagnosi di carcinoma papillifero della tiroide, il 5.12.2008 è stata sottoposta ad intervento di tiroidectomia totale con linfoadenectomia ricorrenziale bilaterale e paratiroidectomia parziale inferiore sinistra;
– Al termine dell’intervento è stato posizionato un drenaggio redon;
-In IV giornata post-operatoria (Omissis) improvvisamente, alle ore 8.00, ha manifestato improvviso dolore nella sede di intervento e dispnea;
– Alle ore 8.30 è intervenuto il chirurgo del reparto che, in seguito all’improvvisa emorragia, del riempimento del drenaggio del collo, del gonfiore improvviso del collo e di iniziali sintomi di soffocamento, ha aperto la cicatrice e, in seguito alla perdita di coscienza, ha praticato una tracheotomia ed ha inserito una prima cannula cuffiata;
– È stato poi chiamato l’anestesista che, alle ore 8.45, ha rilevato la presenza di una massiva emorragia in atto dal collo, di una ferita cervicotomica aperta e già tracheostomizzata con posizionamento di cannula tracheostomica;
– È stato eseguito un secondo tentativo di intubazione per via cervicotomica, inefficace per aumento dell’enfisema al volto, al dorso e all’addome e della cianosi;
– l’anestesista ha deciso di intubare la paziente per via orotracheale, ma anche questo tentativo è risultato inefficace per la presenza di lacerazione tracheale;
– i polsi periferici e centrali sono risultati assenti ed hanno cominciato ad attuare le previste manovre di rianimazione;
– subito dopo la paziente è stata trasferita e sottoposta ad intervento chirurgico;
– il 23.12.2008 la (Omissis) è stata sottoposta ad un ulteriore intervento chirurgico di tracheotomia permanenza e posizionamento di CVC sinistro e drenaggio pleurico bilaterale;
– il 16.2.2009 è stata dimessa e trasferita presso diverse strutture sanitarie;
– attualmente presenta un quadro di tetraparesi spastica prevalente a sinistra in esiti di coma post anossico conseguente alla complicanza emorragica verificatasi in IV giornata post-operatoria; stato di disabilità estremamente severo con necessità di assistenza domiciliare continua.
Sulla base dei predetti elementi di fatto il collegio di consulenti ha evidenziato che:
– l’intervento chirurgico del 5.12.2008 era oncologicamente appropriato ed è stato eseguito in modo adeguato;
– la tiroide presenta due peduncoli vascolari, uno superiore (costituito dall’arteria tiroidea superiore, che origina dall’arteria carotide esterna e confluisce nella vena giugulare interna) ed uno inferiore, rappresentato dall’arteria tiroidea inferiore (che origina dall’arteria succlavia e dalla vena tiroidea media);
– il vaso sanguinante, responsabile della complicanza emorragica, era arterioso e non venoso;
– non si comprende come il chirurgo, nel verbale dell’operazione del 9.12.2008, abbia segnalato il riscontro di una lesione venosa invece di una lesione ad un ramo arterioso (della carotide comune);
– dal verbale operatorio del secondo intervento, eseguito il 9.12.2012 in seguito all’emorragia, e dagli esami radiologici eseguiti in seguito risulta una pervietà della vena giugulare interna di destra ed una chiusura completa con clip metalliche dell’arteria carotide comune di destra;
– per il controllo dell’emorragia si è resa necessaria la chiusura dell’arteria carotide comune lungo tutto il suo decorso;
– la causa dell’emorragia del 9.12.2008 non è dipesa da un sanguinamento di un ramo arterioso del polo superiore (atteso che per l’emostasi sarebbe stato sufficiente interrompere l’arteria carotide esterna), ma deve ritenersi originata da una o più soluzioni di continuità dell’arteria carotide comune nel tratto compreso tra origine del tronco anonimo alla sua divisione nella carotide interna ed esterna (cfr. risultanze della TAC eseguita il 16.1.2009);
– non è possibile indicare le cause dell’insorgenza dell’emorragia, del tutto imprevedibile e non concretamente evitabile.
Le predette evidenze consentono di ritenere accertato che la condotta della struttura sanitaria convenuta, sino alla IV giornata del decorso post-operatorio, è stata diligente, prudente e perita. Corretta la scelta di eseguire l’intervento chirurgico e del tutto adeguata la sua esecuzione.
Ritenuta non prevedibile e non evitabile l’improvvisa emorragia intervenuta il 9.12.2008, resta ora da esaminare l’esattezza dell’adempimento degli obblighi relativi alla fase successiva alla predetta complicanza e della gestione dell’emergenza.
Prima di passare all’esame di tale aspetto non sembra inutile precisare, alla luce delle numerose doglianze delle parti, che l’incompleta ed inesatta tenuta della cartella clinica non appare dirimente nel caso in esame (se non sotto il profilo relativo alle difficoltà di parte attrice di conoscere, prima dell’instaurazione del presente giudizio, nel corso del quale è stata per la prima volta prodotta l’originale) le reali cause dei danni subiti. Le inesattezze relative alla lesione venosa in luogo di un’effettiva lesione ad un ramo arterioso e la non completa indicazione di tutti gli elementi rilevanti ai fini della valutazione del caso clinico, possono infatti assumere valore, semmai, solo con riferimento all’individuazione della causa che ha provocato l’emorragia. Tale aspetto, però, stante la non prevedibilità di tale complicanza (intervenuta solo in IV giornata e non, come avviene di solito, entro le 24-48 ore dall’intervento), appare del tutto secondario.
Passando ad esaminare il comportamento tenuto dai sanitari dello IEO, dalla c.t.u. risulta che:
– alle ore 8.10 del 9.12.2008 (Omissis) lamenta dolore improvviso ed acuto in sede di ferita, accompagnato da dispnea, presenta tumefazione al collo e il recipiente di raccolta del drenaggio si riempie di sangue;
– improvviso peggioramento della paziente da un punto di vista respiratorio ed emodinamico;
– alle ore 8.30 il chirurgo apre la ferita della pregressa tireidectomia nel tentativo di controllare il sanguinamento e si rende immediatamente conto della difficoltà di controllare l’emorragia;
– il chirurgo esegue una tracheotomia al letto della paziente;
– si registra un ulteriore sanguinamento “cospicuo e inarrestabile”;
– a seguito della predetta manovra, nel tentativo di ventilazione con Ambu, si manifesta un enfisema sottocutaneo;
– solo dopo che il chirurgo ha aperto la cicatrice del precedente intervento, ha eseguito la tracheotomia ed ha posizionato la cannula tracheale viene chiamato l’anestesista ed allertata la sala operatoria;
– gli interventi rianimatori hanno avuto luogo tra le ore 8.45, orario di arrivo del rianimatore in reparto, e le ore 9.06 (orario dell’arrivo della paziente in sala operatoria);
– in particolare l’anestesista: verifica la disponibilità di un accesso venoso di buon calibro, fa chiamare aiuto e si rende conto che, con la ventilazione con Ambu, attraverso la cannula Shiley già posizionata peggiora sia la cinosi che l’enfisema al torace superiore;
– constata il malposizionamento della predetta cannula e, in seguito al fallimento del posizionamento di un tubo di Magill da parte del chirurgo, si ha un ulteriore incremento della cianosi e dell’enfisema al volto, dorso ed addome;
– in seguito ad un nuovo intervento di accesso alla via aerea la paziente va incontro ad un arresto cardiaco e l’anestesista rianimatore riprende le comuni manovre rianimatori;
– viene rilevata la presenza di pneumotorace e posizionati due drenaggi pleurici;
– la paziente è dunque trasferita in sala operatoria.
In merito alla qualità dell’assistenza rianimatoria i c.t.u. hanno accertato che la stessa, considerata la grave emergenza in atto e le complicanze sopraggiunte, è stata adeguata.
Dalla relazione di c.t.u. emergono, però, gravi carenze (prima tra tutte la tardiva chiamata dell’anestesista, avvenuta, lo si ricordi, solo alle ore 8.45) che hanno “posto una seria ipoteca sull’esito negativo” (pag. 30 della relazione tecnica). In particolare gli ausiliari del giudice hanno evidenziato che:
-la gestione della via aerea nei pazienti affetti da patologia del collo e, in particolare ematomi, rappresenta una situazione critica;
– anche in questa situazione sono indispensabili la partecipazione dei diversi specialisti ed una condivisione e pianificazione delle priorità (mentre nel caso in esame l’anestesista è stato chiamato ormai troppo tardi);
– nell’eventualità di una tracheotomia tutta l’equipe deve essere preventivamente mobilitata e informata ed è raccomandabile che venga eseguita in sala operatoria o in una piuttosto che nel reparto di degenza.
A fronte delle risultanze della c.t.u. si puo’ concludere che un’immediata chiamata di tutti gli operatori necessari (compreso l’anestesista), una completa pianificazione degli interventi da eseguire ed una tempestiva esecuzione di un accesso chirurgico di intubazione orotracheale in laringoscopia diretta da parte del chirurgo avrebbe evitato, con altissima probabilità, il verificarsi della lacerazione tracheale, lo pneumotorace che, associato ali’ipovolemia (che sarebbe potuta essere trattata da un precoce arrivo dei rianimatori) ha causato l’arresto cardiaco di (Omissis) ed il successivo quadro di grave encefalopatia postanossica.
Tale conclusione deve essere confermata anche alla luce delle censure svolte dai consulenti e dalla difesa di parte convenuta.
In particolare, contrariamente rispetto a quanto dedotto dallo
– dal diario infermieristico risulta che l’anestesista è stato chiamato solo dopo l’esecuzione di una tracheo urgente (e non poco dopo l’arrivo dei chirurghi);
– l’anestesista intervenuto ha scritto in cartella che l’intubazione per via orotracheale era stata inefficace per la lesione tracheale: da tale dato si evince che l’intubazione non è stata impossibile, ma non in grado di consentire la ventilazione della paziente a causa della presenza della predetta lesione;
– nel caso dell’attrice, non cosciente, in shock, con sanguinamento attivo e profuso da un grosso vaso del collo, in seguito alla rimozione dei punti di sutura il tentativo (poi effettivamente riuscito) di intubazione orotracheale in laringoscopia diretta avrebbe rappresentato una corretta pratica clinica;
– l’esecuzione del predetto intervento avrebbe evitato, con altissima probabilità, le conseguenze che hanno portato alla grave encefalopatia dell’attrice;
– il precoce arrivo dei rianimatori avrebbe consentito un più rapido inizio di un aggressivo trattamento dell’ipovolemia;
– un monitoraggio relativo alle condizioni della pressione arteriosa, della frequenza cardiaca e della saturazione periferica dell’ossigeno avrebbe aiutato a valutare meglio, al fine di orientare e ottimizzare il trattamento, l’entità del distress respiratorio della paziente e l’aspetto emodinamico, collegato ali’ipovolemia;
– all’origine del gravissimo danno cerebrale è da porsi, soprattutto, la criticità respiratoria cui, in modo intempestivo e inadeguato, è stato tentato di avviare prima di procedere all’intervento di tracheotomia: tale criticità avrebbe potuto essere ovviata attraverso una corretta manovra di intubazione della paziente da parte dell’anestesista, nel caso in cui lo stesso fosse intervenuto tempestivamente, senza provocare la lacerazione della trachea ed il pneumotorace iperteso.
Con riferimento alle ulteriori censure – relative al fatto che le caratteristiche dell’improvvisa ed eccezionale emorragia e la concomitanza delle due criticità, respiratoria e circolatoria, non hanno consentito di attendere l’intervento di tutti gli specialisti e di trasportare la paziente in sala operatoria – si osserva quanto segue.
L’eccezionalità e la gravità della complicanza insorta in IV giornata, proprio in ragione delle precarie condizioni della paziente e dell’eccellenza della struttura nella quale la stessa era ricoverata, avrebbero richiesto un tempestivo coordinamento di tutti gli specialisti muniti delle diverse competenze professionali necessarie per intervenire. Non puo’ francamente credersi che, a fronte dell’improvviso peggioramento delle condizioni della paziente, non era possibile precocemente allertare l’anestesista (e la sala operatoria).
L’esigenza di trattare in modo tempestivo la criticità, correttamente evidenziata dalla difesa dello (Omissis) avrebbe dovuto comunque prevedere un coordinamento (sebbene molto rapido) tra le decisioni del chirurgo e quelle dell’anestesista, che avrebbe dovuto portare alla scelta della corretta pratica clinica consistente nell’intubazione orotracheale in laringoscopia diretta. Ove, infatti, fossero sin dall’inizio stati presenti sia il chirurgo che l’anestesista, dopo il tentativo di intubazione tracheale si sarebbe potuto procedere immediatamente alla predetta operazione, così da evitare la lacerazione tracheale che, unitamente allo pneumotorace ed all’ipovolemia, ha poi causato l’arresto cardiaco ed il successivo quadro di encefalopatia.
In conclusione, ritiene il Tribunale che la struttura sanitaria convenuta sia da ritenere responsabile con riferimento alle seguenti condotte: tardivo arrivo del rianimatore (che non ha consentito un immediato ed aggressivo trattamento dell’ipovolemia); mancato coordinamento tra le figure professionali deputate ad intervenire; tardiva esecuzione dell’intubazione orotracheale in laringoscopia diretta; mancata esecuzione del monitoraggio della misurazione della pressione, della frequenza cardiaca e della saturazione periferica dell’ossigeno.
Dagli elementi risultanti dalla c.t.u. emerge in modo chiaro che il comportamento dei medici dello (Omissis) nella gestione della complicanza intervenuta in IV giornata ha determinato, con una probabilità superiore al 50%, i gravissimi danni subiti da (Omissis).
Nell’operato dello (Omissis) è ravvisabile un inesatto adempimento delle prestazioni necessarie ad evitare le lesioni poi subite dall’attrice, con conseguente responsabilità per violazione del dovere di diligenza ex art. 1176 c.c. e diritto di vedersi risarcito i danni non patrimoniali ed i danni patrimoniali emergenti che sono conseguenza immediata e diretta dell’inadempimento (art. 1223 c.c.).
Non è contestata, infatti, l’esistenza di un contratto tra (Omissis) e lo (Omissis) (avente ad oggetto la prestazione sanitaria per cui è causa) e pacifica la sussistenza di una lesione iatrogena dell’integrità psico-fisica dell’attriceti (come accertata e quantificata dai ctu). Deve, pertanto, affermarsi la responsabilità dell’istituto convenuto in relazione ai danni patiti da parte attrice.
Consenso informato
La domanda diretta ad ottenere il risarcimento dei danni da consenso informato non puo’ trovare accoglimento per le ragioni che seguono.
In via generale occorre premettere alcuni cenni relativi alla questione del consenso informato.
Il consenso informato costituisce, di norma, legittimazione e fondamento del trattamento sanitario.
Senza il consenso informato l’intervento del medico è – al di fuori dei casi di trattamento sanitario per legge obbligatorio o in cui ricorra uno stato di necessità – sicuramente illecito, anche quando sia nell’interesse del paziente.
Non assume alcuna influenza, ai fini della sussistenza dell’illecito per violazione del consenso informato, se il trattamento sia stato eseguito correttamente o meno.
Ciò perché, sotto questo profilo, ciò che rileva è che il paziente, a causa del deficit di informazione, non sia stato messo in condizione di assentire al trattamento sanitario con una volontà consapevole delle sue implicazioni, consumandosi, nei suoi confronti, una lesione di quella dignità che connota l’esistenza nei momenti cruciali della sofferenza, fisica e psichica (v. anche Cass. 28.7.2011 n. 16543).
Con specifico riguardo alla violazione dell’obbligo di informazione, va peraltro precisato che, come chiarito dal più recente orientamento di legittimità (v. Cass. n. 2847/10), i danni non patrimoniali astrattamente risarcibili, purché derivanti da una lesione di apprezzabile gravità (secondo i canoni delineati dalle sentenze delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione nn. 26972/08 e 26974/08), possono essere di duplice natura: 1) quelli conseguenti alla lesione del diritto all’autodeterminazione del paziente; 2) quelli conseguenti alla lesione del diritto all’integrità psico-fisica del paziente, tutelato dall’art. 32 Cost.
In particolare, la risarcibilità dei primi puo’ essere riconosciuta anche se non sussista lesione della salute (cfr. Cass., n. 2468/2009) o se la lesione della salute non sia causalmente collegabile alla lesione di quel diritto (perché l’intervento o la terapia sono stati scelti ed eseguiti correttamente), sempre che siano configurabili conseguenze pregiudizievoli (di apprezzabile gravità, se integranti un danno non patrimoniale) che siano derivate dalla violazione del diritto fondamentale all’autodeterminazione in sé stesso considerato (quali, ad esempio, il turbamento e la sofferenza che deriva al paziente sottoposto ad atto terapeutico dal verificarsi di conseguenze del tutto inaspettate perché non prospettate: v. Cass. n. 2847/10).
Invece, la risarcibilità del danno da lesione della salute che si verifichi per le non imprevedibili conseguenze dell’atto terapeutico necessario e correttamente eseguito, ma tuttavia effettuato senza la preventiva informazione del paziente, necessariamente presuppone l’accertamento che il paziente quel determinato intervento avrebbe rifiutato se fosse stato adeguatamente informato, con l’ulteriore precisazione che “il relativo onere probatorio, suscettibile di essere soddisfatto anche mediante presunzioni, grava sul paziente: (a) perché la prova di nesso causale tra inadempimento e danno comunque compete alla parte che alleghi l’inadempimento altrui e pretenda per questo il risarcimento; (b) perché il fatto positivo da provare è il rifiuto che sarebbe stato opposto dal paziente al medico; (c) perché si tratta pur sempre di stabilire in quale senso si sarebbe orientata la scelta soggettiva del paziente, sicché anche il criterio di distribuzione dell’onere probatorio in funzione della “vicinanza” al fatto da provare induce alla medesima conclusione; (d) perché il discostamento della scelta del paziente dalla valutazione di opportunità del medico costituisce un’eventualità che non corrisponde all’id quod plerumque accidit” (v. ancora in questi termini Cass. n. 2847/10).
Nel caso di specie la violazione dell’obbligo di informazione è stata invocata dalla difesa di parte attrice a sostegno della domanda di risarcimento del danno derivante dalla lesione del bene salute (in assenza di precise indicazioni relative alla lesione del diritto all’autodeterminazione, non tempestivamente allegate). Per tale motivo, in assenza di allegazione e di prova sul fatto che la (Omissis) ove correttamente informata di tutte le complicanze, avrebbe scelto di non sottoporsi all’intervento necessario per la rimozione del carcinoma, la domanda non puo’ trovare accoglimento.
Danni risarcibili
In merito all’entità delle lesioni subite dall’attrice, dalla relazione di c.t.u., non specificamente contestata con riferimento alla quantificazione dei danni, emerge che:
– la situazione menomativa attuale di tetraparesi spastica, in esiti di coma post-anossico, con disabilità cognitiva estremamente severa configura una compromissione dell’integrità psicofisica, in una misura indicabile nel 90%;
– vi è una perdita della capacità lavorativa generica;
– risultano spese di degenza e prestazioni sanitarie presso la (Omissis) dal febbraio al luglio 2009, per un totale di euro 69.570,00; sono altresì documentate spese per ulteriori euro 4.997,08 (per l’acquisto di una carrozzina, per trasporti in ambulanza e fisioterapia);
– vi è necessità di assistenza di tipo continuativo per tutto il resto della vita.
a) Danno non patrimoniale subito da (Omissis)
In via generale, occorre premettere che ai sensi del combinato disposto degli artt. 1223 e 2056 cod, civ., il risarcimento deve comprendere il danno emergente (le effettive perdite subite dal danneggiato rispetto all’epoca precedente all’avvenuta lesione) ed il lucro cessante (il mancato guadagno, vantaggio, utilità che il soggetto leso avrebbe potuto conseguire se il fatto illecito non si fosse verificato).
Per procedere alla liquidazione del danno non patrimoniale subito da (Omissis) occorre fare applicazione delle tabelle elaborate da questo tribunale comunemente adottate per la liquidazione equitativa ex art. 1226 c.c. del danno non patrimoniale derivante da lesione dell’integrità psico/fisica – criterio di liquidazione condiviso dalla Suprema Corte (vd Cass. 7/6/2011 n. 12408 e Cass. 22/12/2001 n. 28290).
In via generale non pare inutile ricordare che il risarcimento del danno alla persona deve essere integrale, essendo compito del giudice accertare l’effettiva consistenza del pregiudizio allegato, a prescindere dal nome attribuitogli. Pertanto, in tema di liquidazione del danno per la lesione del diritto alla salute, nei diversi aspetti o voci di cui tale unitaria categoria si compendia, l’applicazione dei criteri di valutazione equitativa, rimessa alla prudente discrezionalità del giudice, deve consentirne la maggiore approssimazione possibile all’integrale risarcimento, anche attraverso la c.d. personalizzazione del danno (Cass., Sez. Un., n. 26972/08).
Con particolare riferimento alla c.d. personalizzazione, la Suprema Corte ha precisato che “il grado di invalidità permanente espresso da un baréme medico legale esprime la misura in cui il pregiudizio alla salute incide su tutti gli aspetti della vita quotidiana della vittima. Pertanto, una volta liquidato il danno biologico convertendo in denaro il grado di invalidità permanente, una liquidazione separata del danno estetico, alla vita di relazione, alla vita sessuale, è possibile soltanto in presenza di circostanze specifiche ed eccezionali, le quali rendano il danno concreto più grave, sotto gli aspetti indicati, rispetto alle conseguenze ordinariamente derivanti dai pregiudizi dello stesso grado sofferti da persone della stessa età. Tali circostanze debbono essere tempestivamente allegate dal danneggiato, ed analiticamente indicate nella motivazione, senza rifugiarsi in formule di stile o stereotipe del tipo “tenuto conto della gravità delle lesioni” (Cass. 23778/2014).
L’importo astrattamente liquidabile per una lesione dell’integrità psicofisica nella misura del 90% in soggetto di sesso femminile, dell’età di 40 anni all’epoca dei fatti risulta corrispondente alla somma di euro 868.573,00.
Il Giudice, procedendo ad una valutazione nella sua effettiva consistenza delle sofferenze fisiche e psichiche patite da (Omissis) (così da tendere ad un risarcimento del danno nella misura più prossima alla sua integralità, puramente tendenziale atteso che trattasi di danno alla persona) ritiene presuntivamente che nel caso di specie la voce del danno non patrimoniale intesa come sofferenza soggettiva in sé considerata non sia adeguatamente risarcita con la sola applicazione dei predetti valori monetari. La danneggiata, infatti, ha riportato lesioni di elevatissima gravità (come evidenziato dal c.t.u., oltre alla condizione di tetraparesi spastica, l’attrice risulta portatrice di tracheostoma con respiro spontaneo, incontinenza urinaria e necessità di assistenza domiciliare continua), che hanno del tutto stravolto la sua esistenza, soppresso la sua vita di relazione e la sua attività professionale, e che, in considerazione della piena consapevolezza del grave ed irreversibile stato in cui si trova (fatti tempestivamente allegati dalla difesa di parte attrice) portano il Tribunale a ritenere che la fattispecie in esame si differenzi dai casi consimili di invalidità dello stesso grado.
Pertanto si reputa opportuno procedere ad una adeguata personalizzazione del danno non patrimoniale (nella misura del 20% del danno biologico subito), che consenta di congruamente risarcire la voce di danno (che comprende anche il profondo turbamento dovuto al totale stravolgimento delle condizioni di vita dell’attrice e dunque tutte le voci di sofferenza riconducibili all’art. 2059 c.c.) liquidandolo nella complessiva somma di euro 1.042.287,00.
b)Danni patrimoniali subiti da
In merito ai danni patrimoniali, si osserva quanto segue.
1. La domanda di parte attrice puo’ trovare accoglimento con riferimento al danno emergente, costituito dalle spese mediche sostenute nell’interesse di (Omissis) pari a complessivi euro 74.567,08 (di cui euro 69.570,00 per spese di degenza ed euro 4.997,08 per l’acquisto di una carrozzina, per trasporti in ambulanza e fisioterapia).
La domanda diretta ad ottenere il risarcimento delle ulteriori somme di euro 30.000,00 per albergo ed appartamento in affitto dei familiari di (Omissis) ed euro 20.000,00 per generiche voci di “presidi ed assistenza” non puo’ trovare accoglimento in assenza di specifica documentazione.
2. A titolo di danno patrimoniale futuro, spetta all’attrice il risarcimento di tutte le spese di assistenza necessarie per il resto della vita di (Omissis).
In merito alla risarcibilità del danno futuro, non sembra inutile ricordare quanto statuito dalla Suprema Corte. In particolare, la Corte di Cassazione ha precisato che “se non basta la mera eventualità di un pregiudizio futuro per giustificare condanna al risarcimento, per dirlo immediatamente risarcibile è invece sufficiente la fondata attendibilità che esso si verifichi secondo la normalità e la regolarità dello sviluppo causale (ex multis, Cass., nn. 1637/2000, 1336/1999, 495/1987, 2302/1965)” e che “la rilevante probabilità di conseguenze pregiudizievoli è configurabile come danno futuro immediatamente risarcibile quante volte l’effettiva diminuzione patrimoniale appaia come il naturale sviluppo di fatti concretamente accertati ed inequivocamente sintomatici di quella probabilità, secondo un criterio di normalità fondato sulle circostanze del caso concreto” (Cass. 10072/2010).
Dalla (Omissis) espletata dal medico legale dott. (Omissis) espressamente volte a quantificare tali voci di danno, è emerso che:
– la menomazione subita dalla (Omissis) consente una selettiva interazione con l’ambiente, ma impone una totale dipendenza del malato per tutte le esigenze personali e richiede un’assistenza personale continuativa;
– le esigenze di assistenza prevedono la presenza di una persona che dorme presso l’abitazione dal lunedì al venerdì, oltre alla presenza di due persone dal turno di 48 ore per le giornate di sabato e domenica; alla presenza di un operatore tutto il giorno dovrà poi essere affiancata la presenza di un secondo operatore per altre 3 ore al giorno;
– l’obiettivo pratico non è la stimolazione del paziente, ma il mantenimento della residua efficienza in termini strettamente kinesiologici, nei segmenti dotati di motilità superstite, assai limitati;
– la (Omissis) fornisce tre accessi settimanali per fisioterapia, che vengono integrati da accessi supplementari i cui costi vengono sostenuti da parte attrice;
– a titolo di spese, possono prevedersi le seguenti voci di spesa per ciascun anno:
euro 50.000,00 per assistenza generica domiciliare, con un’oscillazione di circa il 10%; euro 10.000,00 per le spese di spostamento dell’attrice; euro 3.000,00 per l’acquisto di farmaci non erogati dal servizio sanitario nazionale; euro 6.240,00 per spese di carattere fisioterapico, per la parte non fornita dal SSN ed un iniziale allestimento della medicheria ed attrezzature del locale di attività fisioterapiche pari ad euro 15.000,00;
– si prevede un periodo di sopravvivenza di 10-12 anni.
Le conclusioni raggiunte dal c.t.u. sono state fermamente contestate da parte attrice, con riferimento ai seguenti aspetti: l’assistenza di (Omissis) non prevede solo la presenza di una badante, ma anche di figure altamente specializzate che richiedono il pagamento di uno stipendio di gran lunga superiore a quello indicato dal c.t.u. (come testimoniato anche dal preventivo della (Omissis) che prevedeva un costo mensile di euro 21.360,00, doc. 11 di parte attrice); non sono necessarie solo attività di mantenimento, ma anche di stimolazione (ad esempio comunicativa), come confermato dagli interventi chirurgici ai quali l’attrice è stata sottoposta e che hanno avuto esito positivo; nella valutazione del c.t.u. non si è tenuto conto del fatto che la necessaria turnazione degli operatori, le pause di riposo e le ferie dei collaboratori, non consentono di coprire tutto il numero di ore necessario per assicurare l’assistenza continua dell’attrice; la stima del periodo di sopravvivenza è del tutto ingiustificata, apodittica ed in contraddizione con i piccoli miglioramenti avvenuti negli ultimi anni. Le doglianze di parte attrice non possono essere ritenute meritevoli di accoglimento. Le valutazioni relative alla necessità di un operatore aggiuntivo e di figure professionali di livello superiore sono infatti frutto di una ben comprensibile volontà di garantire a un’assistenza eccellente (comprensiva anche delle attività di stimolazione), ma non possono essere risarcite e considerate come conseguenza immediata e diretta del danno dalla stessa subito. Dalle valutazioni del c.t.u., dall’elevatissimo grado di invalidità (pari al 90%) permanente, non puo’ infatti che ritenersi che le attività di assistenza, costituenti un danno futuro, siano quelle volte a mantenere lo stato attuale, considerato del tutto irreversibile, mantenimento che, come evidenziato dal c.t.u., ben puo’ essere assicurato dal fisioterapista e dalla badante indicati in consulenza.
Le censure di parte attrice meritano accoglimento, solo in riferimento alla valutazione della stima di sopravvivenza di (Omissis). A tal proposito, infatti, il (Omissis) senza fornire alcuna specifica indicazione, ha ritenuto che, sulla base delle condizioni di salute dell’attrice e della gravità delle menomazioni della stessa, fosse possibile ipotizzare una sopravvivenza variabile tra i 10 ed i 12 anni.
Tale dato non puo’ però essere condiviso atteso che militano in senso contrario i seguenti indici: in seguito al 2008, e dunque oltre il periodo di 5 anni, l’attrice non ha avuto alcuna recidiva; (Omissis) ha affrontato spostamenti molto faticosi ed intervento chirurgici all’estero (che hanno interessato l’arto superiore destro, quello sinistro e l’arto inferiore destro e sinistro) i quali hanno avuto esito positivo (fatto non contestato); a far data dal 2008 non si è avuto alcun peggioramento dal quale presumere che la condizione dell’attrice sia destinata a peggiorare nel ristretto ambito temporale indicato dal c.t.u.; da 3 anni non ha più avuto alcuna necessità di ricovero per complicanze; ottima è l’assistenza che le viene prestata, il che non puo’ che rilevare ai fini della prognosi di durata della vita futura.
Merita del pari accoglimento la censura relativa all’omessa indicazione delle somme necessarie a coprire le sostituzione per giornate di festività, ferie e malattia degli operatori coinvolti nelle attività di assistenza che possono essere quantificate in euro 4.000,00 annui.
Stante la oggettiva gravità della situazione di (Omissis) il carattere permanente del danno e l’impossibilità di stabilire, in modo oggettivo, una durata presumibile della vita dell’attrice, ritiene il Tribunale di provvedere ai sensi dell’art. 2057 c.c. mediante la costituzione di una rendita vitalizia (art. 1872 c.c.) che, tenendo conto dei valori indicati dal CTU, per l’importo di euro 85.000,00 annui, per tutta la durata della vita del beneficiario
e con una rivalutazione.
A tal proposito, sebbene la scarsissima applicazione pratica, tale strumento (come già affermato dalla Suprema Corte, cfr. Cass. 24451/2005) offre un importante criterio di valutazione per il lucro cessante, consentendo al giudice, d’ufficio (e dunque senza la necessità di una specifica domanda in tal senso), di valutare la particolare condizione della parte danneggiata e la natura del danno, con tutte le sue conseguenze.
Lo IEO deve pertanto essere condannato al pagamento, in favore di (Omissis) di una rendita vitalizia dell’importo di euro 85.000,00 annui per tutta la durata della vita del beneficiario.
A tale somma deve poi essere aggiunto l’importo di euro 15.000,00, una tantum, sopra indicata per la fornitura e gli arredi del locale di servizio.
3. Merita altresì accoglimento la domanda relativa al risarcimento del lucro cessante (art. 1223 c.c.) derivanti dalla perdita della capacità lavorativa.
In via generale, appare opportuno premettere che, in caso di illecito lesivo dell’integrità psicofisica della persona, la riduzione della capacità lavorativa generica, quale potenziale attitudine all’attività lavorativa da parte di un soggetto è legittimamente risarcibile come danno biologico – nel quale si ricomprendono tutti gli effetti negativi del fatto lesivo che incidono sul bene salute in sé considerato – con la conseguenza che la anzidetta voce di danno non puo’ formare oggetto di autonomo risarcimento come danno patrimoniale che andrà, invece, autonomamente liquidato qualora alla detta riduzione della capacità lavorativa generica si associ una riduzione della capacità lavorativa specifica, che, a sua volta, dia luogo ad una riduzione della capacità di guadagno (cfr. Cass. 27.1.2011 n. 1879; Cass. 1.12.2009 n. 25289).
La capacità lavorativa specifica consiste, dunque, nella contrazione dei redditi dell’infortunato, determinata dalle lesioni subite, sussistendo quest’ultimo tipo di pregiudizio allorquando, dopo la lesione ed a causa di essa, la vittima non sia più in grado di percepire il medesimo reddito di cui godeva prima del sinistro (Cass. 21014/200/; Cass.13409/2001).
La riduzione della capacità lavorativa non costituisce un danno di per sé, ma rappresenta una causa del danno da riduzione del reddito; sicché la prova della riduzione della capacità di lavoro non comporta automaticamente l’esistenza del danno patrimoniale ove il danneggiato non dimostri, anche a mezzo di presunzioni semplici, la conseguente riduzione della capacità di guadagno.
Solo nei casi in cui l’elevata percentuale di invalidità permanente, come nel caso in esame, rende altamente probabile, se non addirittura certa, la menomazione della capacità lavorativa specifica e il danno che necessariamente da essa consegue, il giudice puo’ procedere all’accertamento presuntivo della predetta perdita patrimoniale, liquidando questa specifica voce di danno con criteri equitativi (cfr. Cass. 17514/2011).
Ancora in via generale non pare inutile ricordare che la Suprema Corte ha così statuito: “Il grado di invalidità permanente determinato da una lesione all’integrità psico-fisica non si riflette automaticamente, né tanto meno nella stessa misura, sulla riduzione percentuale della capacità lavorativa specifica e, quindi, di guadagno della stessa. Tuttavia, nei casi in cui l’elevata percentuale di invalidità permanente rende altamente probabile, se non addirittura certa, la menomazione della capacità lavorativa specifica ed il danno che necessariamente da essa consegue, il giudice puo’ procedere all’accertamento presuntivo della predetta perdita patrimoniale, liquidando questa specifica voce di danno con criteri equitativi. La liquidazione di detto danno puo’ avvenire attraverso il ricorso alla prova presuntiva, allorché possa ritenersi ragionevolmente probabile che in futuro la vittima percepirà un reddito inferiore a quello che avrebbe altrimenti conseguito in assenza dell’infortunio” (Cass. n. 26534 del 2013).
L’art. 137 del D.Lgs. 209/2005 dispone che “nel caso di danno alla persona, quando agli effetti del risarcimento si debba considerare l’incidenza dell’inabilità temporanea o dell’invalidità permanente su un reddito di lavoro comunque qualificabile, tale reddito si determina, per il lavoro dipendente, sulla base del reddito di lavoro, maggiorato dei redditi esenti e al lordo delle detrazioni e delle ritenute di legge, che risulta il più elevato tra quelli degli ultimi tre anni”.
(Omissis), nel 2008, era assunta a tempo indeterminato presso lo IEO quale specialista anatomopatologa. Nel 2008 ha percepito redditi da lavoro dipendente pari ad euro 54.128,31 (cfr. doc. 9 di parte attrice) e tale valore deve essere preso come riferimento, in considerazione del fatto che questo è il più alto degli ultimi tre anni (cfr. doc. 27, 28 e 29).
Dai documenti versati in atti emerge la qualifica altamente specialistica rivestita dall’attrice (doc. 8-21 di parte attrice) e l’attività scientifica esercitata fino all’intervento del 2008 (doc. 8-21), dai quali puo’ presuntivamente ricavarsi come la stessa avesse, all’età di 44 anni, prospettive di miglioramento di carriera. Tali elementi consentono di applicare una maggiorazione nella misura del 10% del reddito come sopra individuato (ed arrivare alla somma, arrotondata per eccesso, di euro 60.000,00 annui).
La liquidazione del danno patrimoniale consistente nella perdita del reddito puo’ avvenire nel caso in esame, proprio in ragione della difficoltà di individuare una durata della vita media dell’attrice, attraverso la costituzione di una rendita dell’importo di euro 60.000,00 annui per tutta la durata della vita della beneficiaria.
A tal proposito si osserva che non si ritiene di modificare l’importo della rendita in esame in ragione della distinzione tra età lavorativa ed età pensionabile, atteso che la prematura cessazione del versamento del contributi (e le conseguenti ricadute in merito all’importo della pensione) sono da considerarsi conseguenza immediata e diretta del comportamento dei sanitari dello IEO e dunque un danno che deve essere sostenuto dal convenuto inadempiente.
4. Le domande di parte attrice meritano accoglimento anche con riferimento alle spese necessarie per l’adeguamento dell’immobile.
La c.t.u. architettonica svolta dall’arch. (Omissis) ha evidenziato che:
– sono necessari alcuni interventi edili per rendere l’immobile adatto alle condizioni di salute di (Omissis)
– i costi delle opere e le prestazioni professionali necessarie per l’adeguamento dell’abitazione ammontano ad euro 74.388,17, i.v.a. compresa.
Tali conclusioni sono state censurate dai difensori di parte attrice in ragione del fatto che i descritti interventi prenderebbero in esame solo le esigenze funzionali di (Omissis) e non quelle dell’altro comproprietario (Omissis). Tale rilievo, che porta l’attore ha chiedere una percentuale di “rimborso” del comproprietario, è del tutto inammissibile in quanto tardivo.
A titolo di danni patrimoniali relativi alle opere necessarie all’adeguamento dell’abitazione dove vive (Omissis) i convenuti devono essere condannati al pagamento, in favore degli attori, della somma pari ad euro 74.388,17.
In conclusioni, lo IEO deve essere condannato al pagamento, in favore di (Omissis) dei seguenti danni:
– euro 1.042.287,00 a titolo di danno non patrimoniale;
– euro 74.567,08 a titolo di danno emergente (per le spese mediche sostenute);
– euro 15.000,00 per i danni patrimoniali relativi agli interventi una tantum necessari per allestire il presidio medico presso l’abitazione dell’attrice;
– euro 74.388,17, per le opere e le prestazioni professionali necessarie per l’adeguamento dell’abitazione.
Complessivamente i predetti danni ammontano ad euro 1.206.242,25.
Lo IEO deve essere, altresì, condannato al pagamento di una rendita vitalizia, in favore di (Omissis) dell’importo complessivo (per la perdita della capacità lavorativa specifica e per le spese mediche ed assistenza future) pari ad euro 145.000,00 annue per tutta la vita della beneficiaria (somma da rivalutarsi ogni anno secondo l’indice Istat dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati).
c) Danni risarcibili ai prossimi congiunti di (Omissis)
Prima di esaminare le domande spiegate dai congiunti della danneggiata, non appare inutile ricordare che i prossimi congiunti in esame sono legittimati ad agire per conseguire il risarcimento dei danni da essi subiti a causa di quanto accaduto a (Omissis).
La Suprema Corte ha da tempo chiarito che affinché ricorra la tipologia del danno per lesione del rapporto parentale è necessario che la vittima abbia subito lesioni seriamente invalidanti e che si sia determinato uno sconvolgimento delle normali abitudini dei superstiti, tali da imporre scelte di vita radicalmente diverse (cfr. Cass. 8827/2003 e, più recentemente, Cass. 25729/2014).
La Corte di Cassazione ha poi precisato (con riferimento all’ipotesi di uccisione del congiunto, ma con motivazioni indubbiamente utilizzabili anche nel caso di specie avente ad oggetto una macro lesione) che “il fatto illecito, costituito dalla uccisione del congiunto, da luogo a danno non patrimoniale, consistente nella perdita del rapporto parentale, quando colpisce soggetti legati da un vincolo parentale stretto, la cui estinzione lede il diritto all’intangibilità della sfera degli affetti reciproci e della scambievole solidarietà che connota la vita familiare nucleare. Mentre, affinché possa ritenersi leso il rapporto parentale di soggetti al di fuori di tale nucleo (nonni, nipoti, genero, nuora) è necessaria la convivenza, quale connotato minimo attraverso cui si esteriorizza l’intimità dei rapporti parentali, anche allargati, caratterizzati da reciproci vincoli affettivi, di pratica della solidarietà, di sostegno economico. Solo in tal modo il rapporto tra danneggiato primario e secondario assume rilevanza giuridica ai fini della lesione del rapporto parentale, venendo in rilievo la comunità familiare come luogo in cui, attraverso la quotidianità della vita, si esplica la personalità di ciascuno” (Cass. civ., sez. III, 16 marzo 2012, n. 4253; conf. Cass. civ., sez. III, 23 giugno 1993, n. 6938).
1. Danni subiti dal fratello, (Omissis)
Lo sconvolgimento della vita di (Omissis) fratello della danneggiata, a causa dall’evento lesivo, presumibile alla luce della gravità e dell’irreversibilità delle lesioni subite dalla sorella, è dimostrato dalle scelte compiute dall’attore, oggi amministratore di sostegno di (Omissis) il quale, all’epoca dei fatti, risiedeva e lavorava negli Stati Uniti ed ha deciso di tornare in Italia e di lasciare il lavoro per dedicarsi completamente all’accudimento della sorella (in favore della quale presta anche l’ufficio di amministratore di sostegno).
Tale elemento consente di ritenere provato, per presunzioni, il totale sconvolgimento delle abitudini di vita dell’attore in conseguenza di quanto accaduto alla (Omissis).
Considerati tutti i profili di lesività non patrimoniale, valutata l’intensità del legame esistente tra i due fratelli, il grave perturbamento d’animo subito da (Omissis) a causa dei gravissimi danni subiti dalla sorella, la gravissima alterazione dell’esistenza del predetto (confermata dagli elementi sopra evidenziati) – tutti elementi che consentono di superare il requisito dell’assenza di convivenza, elemento puramente indiziario superabile alla presenza di dati concreti ben più significativi, tutti dimostrati nel caso di specie dalla difesa degli attori – ritiene il Tribunale di liquidare, in via equitativa (e procedendo ad un ristoro di un anno che presenta connotati di peculiarità che giustificano un’adeguata personalizzazione), un importo maggiore a quello previsto dalla tabelle milanesi per un fratello in caso di perdita del congiunto (valori variabili tra un minimo di 23.740,00 ed un massimo di euro 142.420,00) e, segnatamente, la somma di euro 200.000,00.
Non puo’ invece trovare accoglimento la domanda diretta ad ottenere il risarcimento del danno patrimoniale subito da (Omissis).
In via generale, appare opportuno ricordare che, come recentemente affermato dalla Corte di Cassazione, “un danno patrimoniale consistente nella necessità di dovere retribuire personale medico od infermieristico per l’assistenza ad una persona invalida non puo’ ovviamente essere patito sia dall’assistito (chi riceve assistenza) che dall’assistente (chi presta assistenza). La liquidazione alla vittima primaria d’una somma di denaro per spese di assistenza futura, pertanto, rende teoricamente inconcepibile la necessità di assistenza da parte dei familiari, e di conseguenza l’esistenza d’un danno patrimoniale da forzosa rinuncia al lavoro a carico di questi ultimi” (Cass. 23778/2014).
A tali considerazioni deve poi aggiungersi che l’abbandono dell’attività lavorativa e la conseguente presumibile contrazione dei redditi non possono essere considerate conseguenze immediate e dirette del comportamento della struttura sanitaria convenuta (e dei danni subiti dalla sorella), ma frutto di una libera (e sicuramente encomiabile) scelta (in assenza della prova relativa al fatto che tale assistenza avrebbe dovuto comunque essere prestata da un familiare), atteso che l’attrice avrebbe comunque potuto essere assistita dal personale medico ed infermieristico (che, infatti, la ha assistita, come risulta dalle fatture versate in atti).
2. Danni subiti da (Omissis) e (Omissis) in qualità di eredi di (Omissis)
In seguito al decesso della madre di (Omissis) avvenuto il 5.3.2012, i suoi eredi si sono costituiti chiedendo il risarcimento dei danni, iure hereditario, vantati dalla de cuius. Il risarcimento dei danni subiti dalla madre di (Omissis) (trasmissibili iure ereditario agli eredi) puo’ essere quantificato sulla base dei seguenti elementi: l’intensità del rapporto familiare tra madre e figlia; l’esistenza di una forte comunanza di vita, confermata anche dall’assistenza che (Omissis) (in ragione delle sue competenze professionali) prestava alla madre ammalata, fino al 2008 (fatto non contestato), venuta drasticamente a mancare in seguito ai fatti per cui è causa; il periodo di tempo nel quale lo sconvolgimento di vita conseguente ai danni subiti dall’attrice si è prolungato (circa 4 anni, sino alla morte della (Omissis) elemento che consente di apportare una riduzione ai valori tabellari previsti in caso di perdita del figlio). Alla luce dei predetti elementi, si ritiene equo liquidare, a titolo di danno non patrimoniale riflesso subito dalla madre dell’attrice e trasmissibile agli eredi di (Omissis) e, precisamente a (Omissis) e (Omissis) la somma complessiva di euro 150.000,00.
3.Danni subiti dagli eredi di (Omissis)
In primo luogo si osserva che, contrariamente rispetto a quanto dedotto dalla difesa di parte convenuta, la domanda degli eredi di (Omissis) (ad eccezione del figlio (Omissis) rinunciante) non possa ritenersi abbandonata, atteso che, sebbene non esplicitamente indicata nell’udienza di precisazione delle conclusioni, la stessa è stata oggetto di ampie difese negli scritti conclusivi. Dalla complessiva condotta degli attori, pertanto, è emerso in modo non equivoco l’intento di mantenere ferme tutte le domande, nonostante la materiale omissione di quella ora in esame.
Ciò posto, si osserva che (Omissis) ha dichiarato di rinunciare (nella comparsa di costituzione e risposta in seguito alla morte di (Omissis)) alle domande svolte nella qualità di chiamato all’eredità di (Omissis).
Per quanto concerne la richiesta avanzata dal cognato (Omissis) in qualità di erede della sorella (Omissis) si osserva che, in ragione del rapporto tra le due sorelle, sebbene non conviventi, ed il limitato periodo di sopravvivenza della sorella (Omissis) dopo i fatti per cui è causa (solo 10 mesi), appare equo liquidare a (Omissis), iure hereditario, il risarcimento della somma di euro 20.000,00.
Interessi e rivalutazione
Inoltre, gli attori chiedono che venga riconosciuta la rivalutazione monetaria e gli interessi al tasso legale sul danno liquidato, con decorrenza dall’evento al saldo (cfr. pag. 38 dell’atto di citazione).
La pretesa, relativa al lucro cessante per il ritardato risarcimento del danno, non puo’ essere liquidata nei termini richiesti.
L’intero danno non patrimoniale subito dal danneggiato è stato liquidato equitativamente ai valori attuali della moneta e non deve quindi farsi luogo alla sua rivalutazione.
Inoltre, alla luce dell’insegnamento delle Sezioni Unite della Cassazione (risalente alla sentenza del 17/2/1995 n. 1712), vertendosi in tema di debito di valore non sono dovuti sul credito risarcitorio suddetto gli interessi legali con decorrenza dall’illecito.
Si ritiene tuttavia, in considerazione del lasso di tempo trascorso dall’illecito (6 anni) e delle caratteristiche della danneggiata diretta e dei danneggiati in via riflessa, che vada riconosciuta agli attori un’ulteriore somma a titolo di lucro cessante provocato dal mancato tempestivo risarcimento del danno da parte dei responsabili – e conseguentemente dalla mancata disponibilità dell’equivalente pecuniario spettante al danneggiato – potendo ragionevolmente presumersi che il creditore, ove avesse avuto la tempestiva disponibilità della somma, l’avrebbe impiegata in modo fruttifero.
Come già da tempo affermato da questo tribunale, ai fini della liquidazione necessariamente equitativa di tale ulteriore voce di danno patrimoniale, non si ritiene di far ricorso al criterio – sovente applicato dalla giurisprudenza – degli interessi legali al saggio variabile in ragione di anno (determinato ex art. 1284 c.c.) da calcolarsi sull’importo già riconosciuto, dapprima “devalutato” fino all’illecito e poi “rivalutato” annualmente con l’aggiunta degli interessi, ovvero sul capitale “medio” rivalutato.
Si ritiene preferibile, perché più rispondente alla finalità perseguita e scevro da possibili equivoci che possono derivare dall’applicazione ai debiti di valore di istituti previsti dall’ordinamento per i debiti di valuta, adottare per la liquidazione equitativa del lucro cessante in questione un aumento percentuale nella misura risultante dalla moltiplicazione di un valore base medio del 3% -corrispondente ali’incirca al rendimento medio dei Titoli di Stato negli anni compresi nel periodo che viene in rilievo – con il numero di anni in cui si è protratto il ritardo nel risarcimento per equivalente. Tale criterio equitativo sembra meglio evitare, da un lato, di far ricadere sul creditore/danneggiato le conseguenze negative del tempo occorrente per addivenire ad una liquidazione giudiziale del danno e, dall’altro, più idoneo a prevenire il rischio che il debitore/danneggiante (la cui obbligazione di risarcire per equivalente il danno diventa attuale dal momento in cui esso si verifica), anziché procedere ad una tempestiva riparazione della sfera giuridica altrui lesa, sia tentato di avvantaggiarsi ingiustamente della non liquidità del debito risarcitorio e della potenziale redditività della somma di denaro dovuta (che resta nella sua disponibilità fino alla liquidazione giudiziale del danno).
Nel caso di specie, considerato il tempo trascorso da quando il danno subito da parte attrice (ad esclusione, ovviamente, della rendita vitalizia) si è verificato, l’importo in questione viene dunque equitativamente liquidato attraverso una maggiorazione del 18% dell’intero danno suddetto (già rivalutato).
In particolare, applicando il predetto criterio, i danni riconosciuti agli attori, devono essere così determinati:
– Danno non patrimoniale subito da (Omissis) euro 1.423.365,85 (pari ad euro 1.206.242,25 ed euro 217.123,60 a titolo di lucro cessante);
– Danno non patrimoniale subito da (Omissis) euro 236.000,00 (pari ad euro 200.000,00 ed euro 36.000,00 a titolo di lucro cessante);
– Danno subito dagli eredi di (Omissis) euro 177.000,00 (pari ad euro 150.000,00 ed euro 27.000,00 a titolo di lucro cessante);
– Danno subito da (Omissis) euro 23.600,00 (pari ad euro 20.000,00 ed euro 3.600,00 a titolo di lucro cessante).
Su tali somme, corrispondenti all’intero danno risarcibile liquidato ai creditori/danneggiati, sono altresì dovuti dalla responsabile struttura sanitaria convenuta gli interessi al tasso legale sino al saldo, con decorrenza dalla data della presente pronuncia coincidente con la trasformazione del debito di valore in debito di valuta.
Spese di lite
Le spese di lite (comprensive delle spese relative alla consulenza tecnica di parte, pari ad euro 1.800,00, doc. 52 bis di parte attrice), seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
Le spese di CTU, già liquidate con separati provvedimenti, devono essere poste definitivamente a carico di parte convenuta.
P.Q.M.
Il Tribunale di Milano, definitivamente pronunciando, ogni diversa domanda, istanza od eccezione disattesa, così provvede:
1) Accoglie le domande di parte attrice e, per l’effetto, condanna (Omissis) al pagamento, in favore di (Omissis) a titolo di risarcimento danni, del complessivo importo di euro 1.423.365,85, oltre gli interessi legali dalla data della presente pronuncia sino al soddisfo;
2) Condanna (Omissis) al pagamento, in favore di (Omissis) a titolo di risarcimento del danno patrimoniale, di una rendita vitalizia dell’importo di euro 145.000,00 annui per tutta la durata della vita della beneficiaria (somma da rivalutarsi ogni anno secondo l’indice Istat dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati);
3) Condanna (Omissis) al pagamento, in favore di (Omissis) a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale subito, della somma di euro 236.000,00, oltre gli interessi legali dalla data della presente pronuncia sino al soddisfo;
4) Condanna (Omissis) al pagamento, in favore di (Omissis) iure hereditario, a titolo di risarcimento dei danni subiti da (Omissis) della somma complessiva di euro 177.000,00, oltre gli interessi legali dalla data della presente pronuncia sino al soddisfo;
5) Condanna (Omissis) al pagamento, in favore di (Omissis) iure hereditario, della somma di euro 23.600,00 oltre gli interessi legali dalla data della presente pronuncia sino al soddisfo;
6) condanna (Omissis) al pagamento, in favore degli attori e di parte intervenuta, delle spese di lite, liquidate in euro 48.400,00 ed in euro 1.118,22 per contributo unificato, euro 1.800,00 per spese di consulenza tecnica di parte, oltre il 15% di spese generali, i.v.a. e c.p.a. come per legge;
7) pone definitivamente a carico (Omissis) le spese di c.t.u, già liquidate con separato provvedimento.
Milano, 27 gennaio 2015
Il Giudice dott. Martina Flamini