Si può registrare di nascosto una conversazione alla quale si partecipa e usarla in un processo senza incorrere in alcun illecito? Per la giurisprudenza sembra proprio di sì.
L’orientamento costante della Corte di Cassazione afferma infatti che le registrazioni di conversazioni tra presenti, compiute di propria iniziativa da parte di uno degli interlocutori, “non necessitano dell’autorizzazione del giudice per le indagini preliminari, ai sensi dell’art. 267 c.p.p., in quanto non rientrano nel concetto di intercettazione in senso tecnico, ma si risolvono in una particolare forma di documentazione che non è sottoposta alle limitazioni ed alle formalità proprie delle intercettazioni”
In merito, le Sezioni Unite hanno evidenziato che, in caso di registrazione di un colloquio ad opera di una delle persone che vi partecipino attivamente o che comunque siano ammesse ad assistervi, difetta “la compromissione del diritto alla segretezza della comunicazione, il cui contenuto viene legittimamente appreso solo da chi palesemente vi partecipa o assiste e la terzietà del captante”. Per cui, “l’acquisizione al processo della registrazione dei colloqui può legittimamente avvenire attraverso il meccanismo di cui all’art. 234, comma 1, c.p.p. che qualifica documento tutto ciò che rappresenta fatti, persone o cose mediante la fotografia, la cinematografia, la fonografia o qualsiasi altro mezzo; il nastro che contiene la registrazione non è altro che la documentazione fonografica del colloquio, la quale può integrare quella prova che diversamente potrebbe non essere raggiunta e può rappresentare una forma di autotutela e garanzia per la propria difesa, con l’effetto che una simile pratica finisce col ricevere una legittimazione costituzionale” (Cass., SS.UU., n. 36747/2003).
Di recente, la Cassazione è tornata sull’argomento (con la sentenza n. 24288/2016), richiamandosi ai principi costantemente affermati e rigettando il ricorso di una donna, condannata per concorso in estorsione, che aveva sostenuto l’inutilizzabilità della registrazione fonografica riguardante un colloquio svoltosi tra presenti ad opera della parte offesa su sollecitazione dei carabinieri che, in quel contesto avevano proceduto all’arresto della donna (leggi: “Cassazione: è lecito registrare una conversazione di nascosto col cellulare“).
Nel caso di specie, essendo la registrazione avvenuta su esclusiva iniziativa di parte (a differenza di quanto sostenuto dalla donna che ventilava la verosimiglianza di un accordo con le forze dell’ordine), per gli Ermellini deve considerarsi lecita e non necessita di autorizzazione del Gip ex art. 267 c.p.p. potendo essere legittimamente usata nel processo.
Diverso sarebbe stato il caso in cui il privato avesse effettuato la registrazione su indicazione della polizia giudiziaria, avvalendosi di strumenti dalla stessa predisposti.
In tal caso, per l’indirizzo costante della Cassazione, queste registrazioni (n. 23742/2010; 42939/2012; 7035/2014) essendo eseguite con il pieno consenso di uno dei partecipanti alla conversazione, “implicano un minor grado di intrusione nella sfera privata”. Sicché ai fini della tutela “dell’art. 15 Cost., è sufficiente un livello di garanzia minore, rappresentato da un provvedimento motivato dell’autorità giudiziaria, che può essere costituito anche da un decreto del pubblico ministero”. Tale provvedimento, infatti, rappresenta il “livello minimo di garanzie” richiamato in varie pronunce della Corte Costituzionale (sentenze n. 81 del 1993 e n. 281 del 1998) e al quale la giurisprudenza di legittimità ha fatto riferimento, in mancanza di una specifica normativa, sia in materia di acquisizione dei tabulati contenenti i dati identificativi delle comunicazioni telefoniche, sia in tema di videoriprese eseguite in luoghi non riconducibili al concetto di domicilio, ma meritevoli di tutela ai sensi dell’art. 2 Cost., per la riservatezza delle attività che vi si compiono.