Alcuni dottori in medicina, impugnavano la graduatoria unica del concorso per l’ammissione al corso triennale di formazione specifica in medicina generale per il triennio 2014/2017 nella quale sono stati collocati oltre l’ultimo posto utile e, quindi, non ammessi al corso (ivi comprese le successive revisioni e rettifiche) nonché il decreto del Ministero della Salute in data 7 marzo 2006, e le sue successive integrazioni e modificazioni, recante “Principi fondamentali per la disciplina unitaria in materia di formazione specialistica in Medicina Generale” nella parte in cui omette di stabilire l’attivazione di un’unica graduatoria nazionale.
I ricorrenti chiedevano inoltre l’accertamento del loro diritto a ottenere il risarcimento di tutti i danni subiti e subendi a causa della illegittimità del concorso, e la condanna delle Amministrazioni intimate al risarcimento del danno in forma specifica, ex art. 30, secondo comma, c.p.a., all’adozione del relativo provvedimento di ammissione al corso su indicato nonché, ove occorra e, comunque, in via subordinata, al pagamento delle relative somme, con interessi e rivalutazione, come per legge.
Le motivazioni del Collegio che respingono il ricorso:
Il Ministero ha voluto sottolineare il ruolo delle regioni, rilevando come “la formazione professionale di cui si discute è effettivamente e strettamente legata alla peculiarità del territorio” “tanto è vero che – nell’ambito dei corsi di formazione – vengono comunque affrontati argomenti e tematiche che, pur rispondenti a una comune radice formativa, sono tuttavia pur sempre riconducibili alle particolarità locali”
La rilevanza locale dei corsi di cui si tratta è dimostrata dal fatto che le borse di studio spettanti ai candidati ammessi sono a carico delle regioni e province autonome, alle quali è integralmente demandata l’organizzazione dei corsi.
Il legislatore ha costruito il sistema sul riconoscimento della responsabilità, finanziaria e organizzativa, delle regioni e province autonome, e tale impostazione è stata recepita nel decreto ministeriale impugnato.
Cons. Stato Sez. III, Sent., 06-05-2016, sentenza n. 1839
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello numero di registro generale 927 del 2016, proposto da:
A.N. e P.A., rappresentati e difesi dagli avvocati …..
contro
Ministero della Salute in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliato presso i suoi uffici in Roma, via dei Portoghesi n. 12;
Regione Calabria in persona del Presidente della Giunta, rappresentata e difesa dall’avvocato Antonio Ferraro, con domicilio eletto presso l’avvocato Giuseppe Maria Toscano in Roma, viale Giulio Cesare n. 61 int. 7;
nei confronti di
G.N. ed altri., non costituiti in questo grado del giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo per il Lazio, Sede di Roma, Sez. III quater, n . 13492/2015, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero della Salute e di Regione Calabria;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 14 aprile 2016 il consigliere Manfredo Atzeni e uditi per le parti gli avvocati Umberto Cantelli, Santi Delia e Giuseppe Naimo su delega dichiarata di Antonio Ferraro e l’avvocato dello Stato Marina Russo;
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
1. Con ricorso al Tribunale Amministrativo del Lazio, sede di Roma, rubricato al n. 63/2015, i signori P.A. ed altri., dottori in medicina, impugnavano la graduatoria unica del concorso per l’ammissione al corso triennale di formazione specifica in medicina generale per il triennio 2014/2017 nella quale sono stati collocati oltre l’ultimo posto utile e, quindi, non ammessi al corso (ivi comprese le successive revisioni e rettifiche) nonché il decreto del Ministero della Salute in data 7 marzo 2006, e le sue successive integrazioni e modificazioni, recante “Principi fondamentali per la disciplina unitaria in materia di formazione specialistica in Medicina Generale” nella parte in cui omette di stabilire l’attivazione di un’unica graduatoria nazionale.
I ricorrenti chiedevano inoltre l’accertamento del loro diritto a ottenere il risarcimento di tutti i danni subiti e subendi a causa della illegittimità del concorso, e la condanna delle Amministrazioni intimate al risarcimento del danno in forma specifica, ex art. 30, secondo comma, c.p.a., all’adozione del relativo provvedimento di ammissione al corso su indicato nonché, ove occorra e, comunque, in via subordinata, al pagamento delle relative somme, con interessi e rivalutazione, come per legge.
I ricorrenti esponevano di avere partecipato in data 17 settembre 2014 al concorso per l’ammissione al corso triennale di formazione specifica in medicina generale per il triennio 2014/2017 svoltosi su base regionale con test uguale per tutte le regioni.
Esponevano ancora di avere partecipato per la Regione Calabria e tranne il dottor Plutino e il dottor Nirta A.A.M. (per il quale la prova non è proprio stata valutata) di avere conseguito tutti un punteggio superiore ai 60/100imi, quello minimo ai fini dell’inserimento nella graduatoria.
Ulteriormente riferivano che nelle diverse regioni la correzione è avvenuta in alcuni casi a lettura ottica in altri manualmente.
Premesse alcune note sulle irregolarità che avrebbero caratterizzato la prova in Sicilia, Campania, Calabria, Puglia e rappresentato che alcune domande erano errate come sostenuto negli esposti di alcuni candidati che hanno prodotto la necessità della convocazione presso il Ministero della Salute della Commissione ex art. 3, comma 3 del D.M. 7 marzo 2006, la quale non si è pronunciata nemmeno a concorso già espletato, gli interessati proponevano diversi mezzi di impugnazione, chiedendo il risarcimento in forma specifica, o comunque il risarcimento del danno da perdita di chance e chiedendo l’ammissione al corso in sovrannumero sulla base della L. n. 401 del 29 dicembre 2000 e senza borsa.
Questi i motivi dedotti:
1) Violazione e falsa applicazione degli articoli 3, 33 ultimo comma 34 commi 1, 2 e 97 Cost.; violazione e falsa applicazione dell’art. 1 della L. n. 264 del 1999 e dell’art. 7 comma 2 del D.M. 5 febbraio 2014 n. 85; eccesso di potere per erroneità dei presupposti di fatto e di diritto, illogicità, ingiustizia manifesta, disparità di trattamento.
2) Violazione del principio di segretezza della prova e della lex specialis di concorso, violazione e falsa applicazione dell’art. 7 del D.P.R. 3 maggio 1957 n. 686 e dell’art. 14 del D.P.R. 9 maggio 1994, n. 487, violazione e falsa applicazione del D.M. 7 marzo 2006, degli articoli 3, 4, 34 e 97 Cost., violazione della regola dell’anonimato nei pubblici concorsi e dei principi di trasparenza e par condicio dei concorrenti; eccesso di potere per difetto dei presupposti, arbitrarietà, irrazionalità travisamento e sviamento dalla causa tipica.
3) Violazione del principio di paternità della prova di concorso, violazione del principio di paternità della prova di concorso, dei principi di trasparenza e par condicio dei concorrenti.
4) Violazione e falsa applicazione dei principi generali in tema di pubblici concorsi e del principio di affidamento e buon andamento.
5) Violazione del principio di segretezza della prova e della lex specialis del concorso; violazione dei principi di trasparenza e par condicio dei concorrenti.
6) Violazione e falsa applicazione dei principi generali in tema di pubblici concorsi e del principio di affidamento.
7) Violazione e falsa applicazione dell’art. 1 della L. n. 241 del 1990 e delle regole in materia di verbalizzazione delle operazioni di concorso e di funzionamento degli organi collegiali; violazione del giusto procedimento e dei principi di trasparenza e di imparzialità, violazione e falsa applicazione dell’art. 10 dell’Allegato A del D.M. 5 febbraio 2014, n. 85.
8) Violazione del principio di segretezza della prova e della lex specialis del concorso; violazione e falsa applicazione dell’articolo 7 del D.P.R. 3 maggio 1957 n. 686 e dell’articolo 14 del D.P.R. 9 maggio 1994 n. 487; violazione e falsa applicazione del DMIUR 24 aprile 2012, n. 74 e dell’Allegato 1 al decreto; violazione degli articoli 3, 4, 34 e 97 Cost., violazione della regola dell’anonimato nei pubblici concorsi e dei principi di trasparenza e par condicio dei concorrenti; eccesso di potere per difetto dei presupposti, arbitrarietà, irrazionalità, travisamento e sviamento dalla causa tipica.
Con la sentenza in epigrafe, n. 13492 in data 30 novembre 215, il Tribunale Amministrativo del Lazio, sede di Roma, Sezione III quater, dichiarava la cessazione della materia del contendere, ai sensi dell’art. 34, quinto comma, c.p.a., nei confronti del ricorrente dottor Roberto Bianchito, per il resto respingendo il ricorso.
2. Avverso la predetta sentenza propongono il ricorso in appello in epigrafe, rubricato al n. 927/2016, i dottori A.N. e P.A., chiedendo la sua riforma e l’accoglimento del ricorso di primo grado nei seguenti termini:
a) annullamento del diniego di ammissione al corso di cui si tratta, per l’effetto ammettendo gli appellanti al corso di cui si tratta e, in subordine, annullamento degli altri provvedimenti impugnati;
b) in caso di accoglimento della subordinata, con conseguente annullamento integrale del concorso, condanna delle Amministrazioni appellate al risarcimento del danno in forma specifica ai sensi dell’art. 30, secondo comma, c.p.a.;
c) in ulteriore subordine annullamento dell’intero concorso.
Si è costituita in giudizio con controricorso la Regione Calabria in persona del Presidente chiedendo che il ricorso di primo grado sia dichiarato irricevibile ovvero inammissibile; in subordine chiede che l’appello sia dichiarato inammissibile per vizi propri ovvero respinto nel merito.
Si è costituito in giudizio il Ministero della Salute, con il ministero dell’Avvocatura Generale dello Stato, chiedendo il rigetto dell’appello.
Le parti hanno scambiato memorie e repliche.
La causa è stata assunta in decisione alla pubblica udienza del 14 aprile 2016.
3. La Regione Calabria dubita, sotto vari profili, dell’ammissibilità del ricorso di primo grado e del ricorso in appello; inoltre, è consentito dubitare dell’interesse al ricorso degli appellanti o quanto meno della corretta instaurazione del contraddittorio.
L’oggetto principale del giudizio è infatti il decreto ministeriale indicato al punto 1 che precede con il quale il Ministero della Sanità nel disciplinare le procedure per la selezione degli aspiranti all’ammissione al corso triennale di formazione specifica in medicina generale per il triennio 2014/2017 ha stabilito che venissero predisposte graduatorie regionali, in ciascuna delle quali l’ordine in graduatoria è dato dal punteggio ottenuto; gli appellanti sostengono che doveva invece essere predisposta una graduatoria unica nazionale, in tal modo evitando che il candidato idoneo ma collocato in posizione non utile, in ragione del punteggio ottenuto, nella regione nella quale aveva sostenuto le prove potesse ottenere utile collocazione in un’altra regione, nella quale il suo punteggio gli consentiva di sopravanzare altri candidati e di essere ammesso al corso.
Deve al riguardo essere osservato che gli appellanti aspirano a un totale sconvolgimento del sistema di ammissione al fine di sopravanzare altri candidati, al momento non identificati, che non sono stati posti in condizione di contraddire.
Inoltre, in base alla stessa prospettazione degli appellanti non può essere escluso che gli stessi siano sopravanzati da altri candidati, e quindi sia per loro impossibile ottenere il bene della vita al quale aspirano.
Peraltro, tutti i dubbi relativi all’ammissibilità dei gravami di primo e secondo grado devono essere superati, in ragione della infondatezza della pretesa, secondo quanto verrà esposto di seguito.
3.a. Come appena rilevato, il nucleo fondamentale dell’impugnazione è costituito dalla tesi secondo la quale l’impostazione su base regionale, anziché su scala nazionale, delle procedure di ammissione al corso triennale di formazione specifica in medicina generale per il triennio 2014/2017 ha comportato l’esclusione di candidati che avevano ottenuto un punteggio inferiore a quello necessario per superare la selezione nella propria regione, ma superiore a quello di candidati di altre regioni.
In tal modo – secondo gli appellanti – è stato trascurato il criterio del merito, si è concretizzata una disparità di trattamento ed è stato frustrato il diritto allo studio degli appellanti e degli altri candidati in analoga situazione.
Deve essere preliminarmente rilevato che le argomentazioni degli appellanti sono in gran parte condotte mediante richiami alla disciplina vigente in tema di ammissione a facoltà universitarie e scuole di specializzazione; gli appellanti sostengono infatti che principi elaborati in quei contesti, in base ai quali è stata affermata la necessità di condurre unitariamente le procedure di ammissione a quei corsi, sono espressione di esigenze rilevanti anche nella problematica che ora occupa.
Al riguardo, deve essere rilevato che la Corte Costituzionale ha affermato univocamente la differenza fra i corsi di formazione specifica in medicina generale e i corsi universitari.
Con la sentenza 14 dicembre 2001, n. 406, la Corte ha infatti affermato che la formazione specifica in medicina generale costituisce formazione post laurea, non di carattere universitario.
Allo stesso modo, C. di S., V, 28 gennaio 2009, n. 465, ha affermato che il diploma di cui si tratta non consiste in una “specializzazione” perché viene conseguito all’esito di corsi organizzati ed attivati dalle regioni o dalle province autonome, e non dalle scuole di specializzazione delle facoltà universitarie di medicina e chirurgia, che sono diretti alla “formazione” e non alla “specializzazione” dei medici ai fini dell’esercizio dell’attività di medico chirurgo di medicina generale nell’ambito del Servizio Sanitario Regionale.
Le due problematiche possono quindi essere accostate solo limitatamente.
Gli appellanti sembrano essersi fatti carico del problema; gli stessi infatti non affermano che la disciplina di settore (art. 24 del D.Lgs. 17 agosto 1999, n. 368, e art. 36 del D.Lgs. 9 novembre 2007, n. 206, di attuazione di normativa comunitaria) esplicitamente imponga di gestire le ammissioni mediante graduatorie nazionali; ritengono invece che la scelta contraria è irrazionale per le ragioni dette (superamento del merito e illecita incisione dei diritti dei più meritevoli); l’irrazionalità della scelta è ulteriormente dimostrata dal fatto che le prove di esame sono le stesse in tutta Italia e si svolgono nella stessa giornata, così sottolineando l’unitarietà della procedura.
La tesi, come già anticipato, non può essere condivisa; il collegio aderisce invece alle esaurienti considerazioni svolte nella sentenza appellata.
Il Ministero ha voluto sottolineare il ruolo delle regioni, rilevando come “la formazione professionale di cui si discute è effettivamente e strettamente legata alla peculiarità del territorio” “tanto è vero che – nell’ambito dei corsi di formazione – vengono comunque affrontati argomenti e tematiche che, pur rispondenti a una comune radice formativa, sono tuttavia pur sempre riconducibili alle particolarità locali” (così la memoria difensiva dell’Avvocatura dello Stato).
La rilevanza locale dei corsi di cui si tratta è dimostrata dal fatto che le borse di studio spettanti ai candidati ammessi sono a carico delle regioni e province autonome, alle quali è integralmente demandata l’organizzazione dei corsi.
Rileva il Collegio che il legislatore ha costruito il sistema sul riconoscimento della responsabilità, finanziaria e organizzativa, delle regioni e province autonome, e tale impostazione è stata recepita nel decreto ministeriale impugnato.
Il sistema è quindi costruito sulla base di:
a) criteri di ammissione comuni su tutto il territorio nazionale;
b) svolgimento decentrato delle prove di esame;
c) valutazione delle prove da parte di commissioni nominate localmente;
d) ammissione dei candidati ai corsi organizzati nella regione prescelta;
e) ruolo delle regioni nella definizione dei contenuti didattici, al fine di adattarli alle necessità locali (ad esempio, approfondimento delle malattie localmente più diffuse).
E’ chiaro che un titolo professionale, quale esso sia, non ha una valenza esclusivamente locale, e che chi lo ha conseguito può utilizzarlo ovunque (elemento fortemente valorizzato dagli appellanti).
Peraltro, si tratta di un’incertezza insita in qualsiasi sistema di formazione, che comporta il rischio, per la regione organizzatrice, che il risultato del suo sforzo, finanziario e organizzativo, sia utilizzato altrove.
Legittimamente, quindi, è stata attribuita valenza esclusivamente locale alle graduatorie dei concorsi di ammissione ai corsi di cui si tratta.
La principale argomentazione deve, conclusivamente, essere respinta.
3.b. Tutte le successive censure richiederebbero un contraddittorio ben più ampio di quello perfezionato in quanto basate su errori procedimentali tali da imporre l’integrale ripetizione delle prove di concorso e quindi l’annullamento del titolo conseguito dai vincitori.
Come già anticipato, tale problematica può essere superata in ragione dell’infondatezza nel merito delle censure dedotte, ampiamente confutate dal primo giudice e sostanzialmente ripetute in questo grado del giudizio senza adeguatamente replicare.
L’appello si appalesa quindi inammissibile sotto questo aspetto.
Giova solo sottolineare come quanto all’erroneità di alcuni quesiti gli appellanti non chiariscono se gli errori denunciati li abbiano pregiudicati e, nel caso, in misura tale da precludere loro l’accesso al corso.
3.c. L’appellante dottor A.N. chiede, in subordine, venga dichiarata l’improcedibilità del gravame in quanto la sua frequenza e il superamento delle prove fin qui sostenute, a seguito dell’ammissione cautelare disposta con i provvedimenti cautelari ottenuti nel corso del giudizio, rendono manifesta la sua idoneità alla partecipazione al corso, superando i dubbi iniziali sulla sua ammissione.
L’argomentazione non può essere condivisa in quanto l’appellante ha solo superato alcune delle prove intermedie, senza conseguire il diploma finale, per cui la domanda proposta deve essere respinta.
4. L’appello deve, in conclusione, essere respinto.
In considerazione della complessità delle questioni discusse le spese devono essere integralmente compensate fra le parti