La L. 24/2017, nel prevedere a carico delle strutture sanitarie l’obbligo di stipulare contratti assicurativi del tipo ‘claims made’, dispone che tali contratti abbiano una particolare estensione della copertura sia in termini di retroattività (includendovi gli eventi accaduti nei dieci anni antecedenti la conclusione del contratto) che di ultrattività della garanzia (in caso di cessazione dell’attività, ‘per le richieste di risarcimento presentate per la prima volta entro i dieci anni successivi e riferite a fatti generatori della responsabilità verificatisi nel periodo di efficacia della polizza, incluso il periodo di retroattività della copertura’), tale da realizzare compiutamente l’interesse dell’assicurato a godere di una valida copertura assicurativa anche per eventi dannosi di tipo lungo latente; mentre nel caso di specie non è presente in contratto analoga clausola.
Ciò rende applicabile, come sancito dalla Suprema Corte con sentenza n. 9140 del 6.5.2016, la nullità parziale del contratto, e, conseguentemente, lo schema legale, ‘e tanto sull’abbrivio degli spunti esegetici offerti dall’art. 1419 c.c., comma 2, nonché del principio, ormai assurto a diritto vivente, secondo cui il precetto dettato dall’art. 2 Cost., “che entra direttamente nel contratto, in combinato contesto con il canone della buona fede, cui attribuisce vis normativa” (Corte cost. n. 77 del 2014 e n. 248 del 2013), consente al giudice di intervenire anche in senso modificativo o integrativo sullo statuto negoziale, qualora ciò sia necessario per garantire l’equo contemperamento degli interessi delle parti e prevenire o reprimere l’abuso del diritto.
Corte appello Catania sez. I, 04/12/2018, n.2596
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DI APPELLO DI CATANIA
PRIMA SEZIONE CIVILE
composta dai magistrati:
dott. Francesco Cardile Presidente
dott. Antonella Vittoria Balsamo Consigliere
dott. Maria Rosaria Carlà Consigliere rel
riunita in Camera di consiglio, ha emesso la seguente
SENTENZA
nella causa civile iscritta al n. 844/2013
promossa da:
ALLIANZ S.P.A. (P.IVA (omissis)), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in Catania, Corso Italia n. 244, presso lo studio dell’avv. Santo Spagnolo (C.F. (omissis)
), che la rappresenta e difende per procura a margine dell’atto di citazione in appello
Appellante
Contro
ASP – Azienda Sanitaria Provinciale (omissis) (P.I. (omissis)), in persona del legale rappresentante pro
tempore, elettivamente domiciliata in Ca., v. Fr. Cr. n. 247, presso lo studio dell’avv. Alberto
Giaconia (C.F. (omissis)), che la rappresenta e difende per procura a margine della comparsa
di costituzione e risposta in appello
Appellata
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione ritualmente notificato l’Azienda Sanitaria Locale n. 3 di Ca., premesso di avere stipulato in data 7.1.1998 con la RA. – Riunione Ad. di Sicurtà – la polizza assicurativa n. (omissis…)-5, in virtù della quale la compagnia assicuratrice si era obbligata a tenerla indenne di quanto questa fosse stata obbligata a pagare come civilmente responsabile a titolo di risarcimento dei danni involontariamente cagionati a terzi in conseguenza di un fatto accidentale verificatosi in relazione allo svolgimento dell’attività prevista nella parte riservata alla descrizione del rischio – conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Catania la Allianz S.p.A., già RA. Riunione Ad. di Sicurtà, chiedendo dichiararsi la nullità della clausola di cui all’art. 15 dell’intercalare mod. 72 della polizza per violazione dell’art. 1917 c.c. o, in subordine, la nullità o inefficacia della medesima clausola contrattuale riconoscendola vessatoria e, conseguentemente, condannarsi la convenuta al pagamento in suo favore della somma di € 140.000,00, oltre interessi al tasso legale sino al soddisfo. L’attrice in particolare deduceva l’illegittimità del rifiuto della copertura assicurativa opposto dalla RA. – citata, ad istanza della stessa A.U.S.L., nel procedimento penale n. 5165/01 R.G.N.R. promosso da An. Ca. nei confronti di un dirigente medico in servizio presso il P.O. di Ac. -, per avere la convenuta ritenuto che il sinistro fosse ‘fuori garanzia’ in virtù dell’applicazione della clausola ‘claims made’. Instauratosi il contraddittorio, la Allianz S.p.A., già RA. As. .ni s.p.a., costituitasi in giudizio, resisteva alla domanda proposta dall’attrice deducendo la piena legittimità della clausola contrattuale impugnata e chiedendo il rigetto delle richieste formulate.
In subordine, contestava il quantum debeatur, determinato nella misura di € 140.000,00 alla stregua della transazione stipulata dalla A.U.S.L. con il danneggiato, dolendosi dell’arbitraria assunzione da parte di quest’ultima, nell’ambito del procedimento penale R.G.N.R., della responsabilità dell’evento.
Con sentenza n. 452/13, depositata in data 11.2.2013, il Tribunale adito, premessa nelle linee generali la liceità della clausola dei contratti di assicurazione comunemente denominata ‘claims made’, affermava che la clausola prevista dall’art. 15 del Mod. 72, recante le condizioni generali di contratto nella polizza assicurativa stipulata dalla A.U.S.L. n. 3 di Ca. con la RA., era del tipo ‘loss occurrence’ poiché individuava l’oggetto della copertura assicurativa nei fatti avvenuti durante la validità del contratto, e che tuttavia, comprendendo una clausola limitativa di responsabilità a favore della compagnia assicuratrice consistita nel subordinare l‘operatività della copertura assicurativa alla presentazione della richiesta di risarcimento nel periodo di validità del contratto, integrava una clausola vessatoria, particolarmente iniqua per l’assicurato, soggetta alla disciplina di cui all’art. 1341 co. 2 c.c., ed inefficace perché non espressamente approvata per iscritto dalla A.U.S.L. Affermava altresì, con riferimento alla contestata assunzione della responsabilità dell’evento dannoso in via transattiva da parte dell’A.U.S.L., che il giudizio espresso dal medico legale nominato come perito nell’ambito del procedimento penale induceva ad escludere una stima del danno inferiore alla percentuale che, considerando sia il risarcimento che la rivalutazione e le spese legali, avrebbe reso più conveniente per la Azienda attendere la decisione giudiziale del processo.
Infine rilevava che nessuna rituale eccezione di inadempimento dell’assicurato agli obblighi contrattuali era stata sollevata dall’assicuratore, e che la somma dovuta a copertura della garanzia non superava il massimale e non era, infine, soggetta a franchigia.
Per questi motivi, condannava la Allianz S.p.A. a pagare alla A.U.S.L. n. 3 di Ca. la somma di € 140.000,00, oltre interessi al tasso legale dalla data della domanda all’effettivo pagamento, nonché al pagamento delle spese di lite. Avverso la sentenza di primo grado la Allianz s.p.a. interponeva appello affidato a censure afferenti alla qualificazione della clausola contrattuale sub (omissis) ) delle condizioni generali di polizza e all’erroneità della qualificazione della suddetta clausola in termini di clausola vessatoria, come tale inefficace perché non specificamente sottoscritta.
La A.S.P., costituitasi in giudizio con comparsa di costituzione e risposta depositata in data 16.10.2013, resisteva all’avverso gravame e ne chiedeva il rigetto. All’udienza del 16.3.2018 la causa era posta in decisione, con assegnazione alle parti dei termini di rito per il deposito di comparse conclusionali e memorie di replica.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di appello la Allianz s.p.a. assume l’erroneità della sentenza di primo grado per avere erroneamente qualificato il contratto di assicurazione stipulato tra le parti alla stregua di un contratto di assicurazione del tipo ‘loss occurrence’, con previsione di una limitazione di responsabilità dell’assicuratore ai soli fatti accaduti durante il periodo di vigenza della polizza. Sostiene in particolare l’appellante che l’estensione della garanzia alle richieste che pervengano durante il periodo di validità della polizza, in presenza di una clausola del tipo ‘claims made’, è compatibile con la previsione dell’art. 1917 co. 1 c.c., norma derogabile per volontà dei contraenti, poiché provvede a delimitare l‘oggetto del contratto facendo riferimento non al verificarsi di un fatto produttivo di danno, ma alla richiesta di risarcimento, lasciando invariato l’elemento del rischio, che caratterizza il contratto di assicurazione sotto il profilo causale. Afferma ancora l’appellante che la clausola oggetto di lite, prevedendo l’operatività della garanzia assicurativa con riferimento alle richieste di risarcimento pervenute nel periodo di validità della polizza a condizione che anche il comportamento produttivo di danno si sia verificato entro un certo periodo convenuto dalle parti, rientra nel novero delle clausole claims made nella variante ‘mista’ o ‘spuria’, e come tale non costituisce clausola limitativa di responsabilità per l’assicuratore, ma individua e delimita l’oggetto del contratto, non escludendo l’elemento causale del rischio.
La qualificazione del contratto come loss occurrence – sostiene l’appellante – contrasta con la volontà dei contraenti resa evidente dal senso letterale del testo contrattuale, in violazione dell’art. 1362 c.c.
Con il secondo motivo di gravame, l’appellante si duole che il giudice di prime cure abbia ritenuto inefficace la clausola contenuta nell’art. 15 Mod. 72 ritenendo trattarsi di clausola limitativa della responsabilità e, quindi, vessatoria, ma non specificamente approvata per iscritto dalla A.U.S.L.. L’Azienda sostiene sul punto che detta clausola, rientrando nel genus delle clausole claims made, ed essendo altresì frutto di trattative intercorse tra le parti, non dà luogo a limitazioni di responsabilità e non è, dunque, soggetta alla disciplina prevista dall’art. 1341 c.c..
A tal proposito precisa che la clausola in questione è inserita in un documento separato contenente una disciplina derogatoria delle condizioni generali di contratto, quale esito di una trattativa tra le parti consistita nella scelta tra vari modelli contrattuali e varie combinazioni di clausole offerti alla A.U.S.L.
Di contro, la A.S.P. di Ca., tempestivamente costituitasi, ripropone in appello il tema della nullità della clausola in parola, e per violazione del disposto di cui all’art. 1917 co. 1 c.c.
– venendo meno la necessaria correlazione tra il diritto all’indennizzo ed il fatto dannoso del terzo e verificandosi inoltre una illegittima riduzione della responsabilità a carico dell’assicuratore -, e per violazione dell’art. 1418 c.c. I motivi di appello proposti dalla Allianz s.p.a. ed il tema della nullità della clausola riproposto dalla A.S.P. vanno esaminati congiuntamente, poiché tra loro connessi.
Il Tribunale, pur premettendo che la clausola contrattuale del tipo ‘claims made’ è di per sé lecita, essendo pienamente legittima la deroga alla previsione contenuta nell’art. 1917 comma 1 – ‘che prevede come ipotesi tipica del contratto di assicurazione quella nella quale sono coperti da assicurazione i fatti occorsi nel periodo di vigenza del contratto’ (invero, per espressa previsione dell’art. 1932 c.c., sono inderogabili solo il terzo ed il quarto comma), osserva tuttavia che tali considerazioni di carattere generale non sono pertinenti in relazione al contratto dedotto in giudizio, ‘che, a ben vedere, non è un contratto caratterizzato dalla clausola c.d. ‘claims made’, ma da quella c.d. ‘loss occurrence’, alla quale è aggiunta una clausola limitativa della responsabilità della società assicuratrice’, come tale vessatoria, ed inefficace perché non specificamente sottoscritta.
A tali conclusioni il giudice di prime cure perviene affermando che l’oggetto del contratto è definito con riferimento ai fatti avvenuti durante il periodo di validità della polizza, e che la clausola ritenuta vessatoria comporta una netta limitazione di responsabilità della compagnia assicuratrice, se solo si considera che nelle vicende di responsabilità professionale medica vi è di frequente un ‘significativo scarto temporale tra l’accadimento dei fatti e la richiesta di risarcimento’ dato dal tempo che spesso intercorre tra l’epoca della patita lesione iatrogena e quella della presentazione di una domanda di risarcimento. Come è incontestato tra le parti, l’art. 15 delle condizioni generali allegate alla polizza assicurativa sottoscritta dal (omissis) dell’A.U.S.L. n. 3 Ca., inserito nella parte relativa alla regolamentazione della garanzia prevista in caso di responsabilità civile, dispone ‘L’assicurazione vale per le richieste di risarcimento presentate per la prima volta all’Assicurato nel corso del periodo di validità dell’assicurazione purché relative a fatti avvenuti durante la validità del contratto’. Premessa la distinzione tra il contratto di assicurazione con clausola ‘claims made’ (a richiesta fatta), nel quale la copertura assicurativa è condizionata alla circostanza che il sinistro venga denunciato nel periodo di vigenza della polizza, ed il contratto denominato ‘loss occurrence’ (‘insorgenza del danno’), che si identifica con il modello descritto nell’art. 1917 c.c., nel quale la copertura opera in relazione a tutte le condotte, generatrici di domande risarcitorie, insorte nel periodo di durata del contratto, va qualificata alla stregua di una clausola ‘claims made’ c.d. mista, o impura, quella secondo la quale l’operatività della garanzia è subordinata alla circostanza che tanto il fatto illecito generatore di danno, quanto la richiesta risarcitoria intervengano entro il periodo di efficacia del contratto o, comunque, entro periodi di tempo preventivamente individuati. Afferma in proposito la Suprema Corte con la sentenza a S.U. n. 9140 del 6.5.2016 cit. che ‘il discostamento dal modello codicistico introdotto dalla clausola claims made impura, che è quella che qui interessa, mirando a circoscrivere la copertura assicurativa in dipendenza di un fattore temporale aggiuntivo, rispetto al dato costituito dall’epoca in cui è stata realizzata la condotta lesiva, si inscrive a pieno titolo nei modi e nei limiti stabiliti dal contratto, entro i quali, a norma dell’art. 1905 c.c., l’assicuratore è tenuto a risarcire il danno sofferto dall’assicurato.
E poiché non è seriamente predicabile che l’assicurazione della responsabilità civile sia ontologicamente incompatibile con tale disposizione, il patto claims made è volto in definitiva a stabilire quali siano, rispetto all’archetipo fissato dall’art. 1917 c.c., i sinistri indennizzabili, così venendo a delimitare l’oggetto, piuttosto che la responsabilità’.
Da tale premessa logicamente consegue che la previsione intesa dal giudice di prime cure alla stregua di una clausola vessatoria, sussumibile invece nella nozione di clausola ‘claims made’ mista concorrendo alla delimitazione dell’oggetto del contratto di assicurazione, sfugge alla disciplina prevista dall’art. 1341 c.c. per le clausole limitative di responsabilità a beneficio del contraente che ha predisposto le condizioni generali di contratto (in senso conforme v. anche Cass. SS.UU. n. 24645 del 2.12.2016; Cass. Sez. III n. 417 dell’11.1.2017). Rimane tuttavia da verificare se il contratto ottenuto dall’adesione dell’assicurato ad una clausola ‘claims made impura’ soddisfi, sotto il profilo causale, il risultato pratico che le parti hanno inteso realizzare con la stipulazione del contratto.
Tale verifica, che alla stregua della sentenza delle SS.UU. n. 9140/2016 va condotta sotto il profilo della meritevolezza in concreto della fattispecie negoziale posta in essere, non può che riguardare il concreto atteggiarsi del sinallagma negoziale perché sia scongiurato il rischio che la garanzia prestata dall’assicuratore si riveli, in concreto, del tutto inadeguata rispetto all’interesse sotteso alla stipulazione del contratto da parte dell’A.S.P., sì da vanificare lo scopo pratico perseguito dall’assicurato.
Non va trascurato che lo scopo pratico del negozio (la ‘sintesi degli interessi reali che il contratto stesso è diretto a realizzare’) integra la c.d. causa concreta del contratto quale ‘funzione individuale del singolo, specifico contratto posto in essere, a prescindere dal relativo stereotipo astratto’ (così Cass. n. 10490/2006;
conf. Cass. Sez. 3, sentenza n. 23941 del 12/11/2009).
La questione è stata ampiamente esaminata dalla Suprema Corte con sentenza della Sez. III n. 10509 del 28.4.2017, che, esaminando una clausola ‘claims made’ inserita nel contratto di assicurazione della responsabilità civile stipulato da un’azienda ospedaliera, per effetto della quale la copertura assicurativa era prestata solo con il verificarsi, nel periodo di durata dell’assicurazione, e del danno causato dall’assicurato, e della richiesta di risarcimento del terzo, ha osservato che ‘la clausola claim’s con esclusione delle richieste postume riduce … il periodo effettivo di copertura assicurativa, dal quale resteranno verosimilmente esclusi tutti i danni causati dall’assicurato nella prossimità della scadenza del contratto’, essendo praticamente impossibile che la vittima di un danno formuli immediata richiesta di risarcimento nei confronti del responsabile. Afferma in particolare la Corte nella sentenza citata che ‘questo iato temporale è inconciliabile con il tipo di responsabilità professionale cui può andare incontro il medico, la cui opera può talora produrre effetti dannosi a decorso occulto, che si manifestano a distanza anche di molto tempo dal momento in cui venne tenuta la condotta colposa fonte di danno’. Analoga pertinente considerazione ha, del resto, espresso il giudice di prime cure affermando che ‘nelle vicende di responsabilità professionale medica (che sono quelle oggetto dell’interesse dell’A.U.S.L. n. 3 a una copertura assicurativa) vi è abitualmente un significativo scarto temporale tra l’accadimento dei fatti e la richiesta di risarcimento’, e che, anche quando il soggetto che abbia patito una lesione di natura iatrogena ‘abbia da subito l’esatta percezione della natura e delle cause del danno (e non sempre è così), attenderà un tempo non breve per verificare la natura e gravità della lesione e l’estensione di tutte le sue conseguenze e si procurerà pareri qualificati sulle cause della stessa’.
La stessa appellata, infine, non manca di dolersi di una ‘illegittima riduzione della responsabilità a carico dell’assicuratore’, ritenendo del tutto improbabile che nel periodo di validità della polizza si verifichino sia il fatto generatore di danno che la richiesta di risarcimento da parte del terzo, e, di contro, assai probabile che per i danni realizzatisi durante il tempo dell’assicurazione, ma denunciati successivamente, la struttura sanitaria rimanga, ‘per un numero indeterminato ed indeterminabile di sinistri’, priva di copertura assicurativa.
Tali considerazioni, avvalorate nel caso di specie dalla previsione di una durata biennale del contratto intercorso tra le parti (inizialmente stipulato per il periodo dal 2.1.1998 al 2.1.2000, e poi protrattosi fino al 2.1.2002), se per quanto detto non danno luogo a profili di vessatorietà della clausola contrattuale in parola, individuano comunque nella fattispecie in esame una obiettiva criticità della garanzia assicurativa rispetto alla funzione che essa è chiamata ad assolvere secondo il normale dispiegarsi in concreto del sinallagma negoziale, sì da ridurre considerevolmente le probabilità che l’assicurato possa effettivamente goderne a fronte del pagamento del premio.
In ragione del concreto atteggiarsi della responsabilità professionale derivante dall’esercizio dell’attività medica, che rende il contratto posto in essere causalmente inadeguato ed immeritevole di tutela, la questione di nullità della clausola ‘claims made’ contenuta nelle condizioni generali della polizza assicurativa sottoscritta dalla A.U.S.L. n. 3 Ca. con la RA., pur se riqualificata rispetto alla prospettazione giuridica formulata dall’appellata, si rivela fondata.
La recente previsione normativa di contratti assicurativi caratterizzati dall’applicazione di un sistema del tipo ‘claims made’ – come nella previsione, nell’ambito della recente Legge n. 24/2017, c.d. Ge. – Bi., in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie, di un obbligo di copertura assicurativa in capo alle strutture sanitarie e sociosanitarie pubbliche e private, strutturato, ai sensi dell’art. 11 della legge citata, con una estensione della garanzia assicurativa agli eventi accaduti fino ai dieci anni antecedenti la conclusione del contratto assicurativo, ‘purchè denunciati all’impresa di assicurazione durante la vigenza temporale della polizza’ – lascia del tutto impregiudicata la valutazione dell’adeguatezza in concreto del regolamento negoziale adottato, comprensivo della clausola in parola, rispetto agli interessi sottesi alla stipulazione del contratto, secondo un modello di verifica della causa in concreto del contratto che non può venir meno in presenza di un regolamento contrattuale che frustri l’interesse dell’assicurato a godere di una affidabile copertura.
Non appare superfluo evidenziare che la L. 24/2017, nel prevedere a carico delle strutture sanitarie l’obbligo di stipulare contratti assicurativi del tipo ‘claims made’, dispone che tali contratti abbiano una particolare estensione della copertura sia in termini di retroattività (includendovi gli eventi accaduti nei dieci anni antecedenti la conclusione del contratto) che di ultrattività della garanzia (in caso di cessazione dell’attività, ‘per le richieste di risarcimento presentate per la prima volta entro i dieci anni successivi e riferite a fatti generatori della responsabilità verificatisi nel periodo di efficacia della polizza, incluso il periodo di retroattività della copertura’), tale da realizzare compiutamente l’interesse dell’assicurato a godere di una valida copertura assicurativa anche per eventi dannosi di tipo lungo latente;
mentre nel caso di specie non è presente in contratto analoga clausola.
Ciò rende applicabile, come sancito dalla Suprema Corte con sentenza n. 9140 del 6.5.2016, la nullità parziale del contratto, e, conseguentemente, lo schema legale, ‘e tanto sull’abbrivio degli spunti esegetici offerti dall’art. 1419 c.c., comma 2, nonché del principio, ormai assurto a diritto vivente, secondo cui il precetto dettato dall’art. 2 Cost., “che entra direttamente nel contratto, in combinato contesto con il canone della buona fede, cui attribuisce vis normativa” (Corte cost. n. 77 del 2014 e n. 248 del 2013), consente al giudice di intervenire anche in senso modificativo o integrativo sullo statuto negoziale, qualora ciò sia necessario per garantire l’equo contemperamento degli interessi delle parti e prevenire o reprimere l’abuso del diritto (cfr. Cass. civ. 18 settembre 2009, n. 20106; Cass. sez. un. 13 settembre 2005, n. 18128)’.
Alla stregua dei principi suesposti, la clausola ‘claims made’ contenuta nell’art. 15 delle condizioni allegate alla polizza sottoscritta dal (omissis) dell’A.U.S.L. n. 3 Ca. va dichiarata nulla; ciò rende irrilevante che la richiesta di risarcimento sia pervenuta nel caso in esame in data successiva alla cessazione di efficacia del contratto.
Conseguentemente, la sentenza impugnata – che ha condannato la Allianz S.p.A. al rimborso della somma di € 140.000,00, oltre interessi al tasso legale dalla data della domanda sino all’effettivo pagamento – pur se con diversa motivazione deve essere confermata. Ogni altra questione sollevata dalle parti di causa deve considerarsi assorbita.
Alla stregua dell’art. 91 c.p.c., l’odierna appellante, in quanto soccombente, va condannata alla refusione in favore dell’A.S.P. n. 3 Ca. delle spese del grado di appello, da liquidarsi, alla stregua dei parametri di cui al D.M. 55/2014 ed in base al valore della causa, in complessivi € 9515,00 per compensi, oltre Iva e CPA e rimborso spese nella misura del 15% del compenso liquidato.
In applicazione dell’art. 13, D.P.R. n. 115/2012, deve infine darsi atto nell’odierno provvedimento della sussistenza dei presupposti di cui al primo periodo del comma 1-quater del citato articolo, comma inserito dall’articolo 1, comma 17, della Legge 24 dicembre 2012, n. 228, cui consegue l’obbligo, in capo alla soccombente appellante, del pagamento di un ulteriore contributo unificato.
P.. Co.
, definitivamente pronunciando nella causa civile iscritta al n. 844/2013 R.G., avente ad oggetto l’appello avverso la sentenza resa dal Tribunale di Catania, n. 452/2013 depositata in data 11.2.2013, promosso da Allianz S.p.A. nei confronti dell’A.. Ca. (già A.U.S.L. n. 3 Ca.), così statuisce:
rigetta l’appello proposto da Allianz S.p.A.;
condanna l’appellante, in persona del legale rappresentante pro tempore, alla refusione delle spese del giudizio di appello, liquidate in complessivi € 9515,00 per compensi, oltre Iva e CPA e rimborso spese nella misura del 15% del compenso liquidato. Dà atto della sussistenza dei presupposti di cui all’art. 13 co. 1-quater D.P.R. 115/2002, comma inserito dall’articolo 1, comma 17, della Legge 24 dicembre 2012, n. 228.
Così deciso in Ca., nella camera di consiglio della Prima Sezione Civile della Corte d’Appello in data 4.7.2018.
Il consigliere Est.
Il Presidente dott. Maria Rosaria Carlà dott. Francesco Cardile