E’ noto che i medici di base debbano compensare chi li sostituisca durante il periodo feriale.

Nel caso di specie tale situazione è emersa dalla documentazione allegata al ricorso, ma la detta tipologia di compensi erogati in favore di terzi non può essere interpretata come indice di una “struttura organizzata” del lavoro.

Il giudice tributario di primo grado ha ulteriormente sottolineato come ai fini della sussistenza dell’elemento della organizzazione, debba evitarsi l’errore di valutare solo l’importanza dell’opera di lavoratori dipendenti, escludendo la considerazione di eventuali collaboratori esterni (magari a loro volta liberi professionisti, compensati “su fattura”).

Commissione Tributaria Provinciale Umbria Terni – Sezione II, Sent. n. 52 del 15.04.2010.

omissis

Svolgimento del processo

Il dott. X., esercente attività libero – professionale appunto quale medico di base, ha richiesto il rimborso delle somme versate per IRAP (ritenuta non dovuta) per gli armi 2004, 2005, 2006, 2007, 2008.

Stante il rigetto di tale istanza della Agenzia delle Entrate di Y., ha poi proposto ricorso a questa Commissione, sostenendo l’inapplicabilità a lui dell’IRAP e chiedendo quindi la condanna dell’Erario alla restituzione di quanto versato a tale titolo, oltre gli interessi di legge.

L’Ufficio si è costituito negando l’accoglibilità del ricorso a motivo della assoggettabilità alla imposta dei redditi prodotti dal professionista, in quanto derivanti da attività “organizzata”.

Motivi della decisione

Questa Commissione ha già avuto modo di esprimere la sua posizione sulla questione oggi in decisione in molte altre occasioni. All’esito di una meditata disamine della struttura della imposta di cui si dice la Commissione ha individuato il presupposto dell’art. 2 del D.Lgs. 446, modificato dall’art. 1 del D.Lgs. 10 aprile 1998, n. 137, nell’assoggettamento ad imposizione dell’esercizio abituale di un’attività autonomamente organizzata, diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi.

Il successivo art. 3, nel testo modificato dall’art. 1, D.Lgs. 30 dicembre 1959, n. 506, ha invece individuato i soggetti passivi dell’imposta in coloro che esercitano una o più delle attività di cui all’art. 2. Pertanto vengono assoggettati ad IRAP: le società di capitali e gli enti commerciali, di cui all’art. 87, lett. a e b, Tuir 917/1986; le società in nome collettivo, in accomandita semplice e quelle ad esse equiparate dall’art. 5, comma 3, Tuir, nonché le persone fisiche esercenti attività commerciali ai sensi dell’art. 51 dello stesso testo unico; le persone fisiche, le società semplici, le associazioni tra artisti e professionisti che svolgono attività artistica professionale ai sensi dell’art. 49 Tuir; i produttori agricoli titolari di reddito agrario, di cui all’art. 29 Tuir, gli enti non commerciali, gli organi e le amministrazioni dello Stato ed infine le banche e le assicurazioni.

Il presupposto impositivo, a parere di questa Commissione, è stato individuato nella esistenza di un valore aggiunto della produzione, connessa al fattore organizzazione, a cui può anche non corrispondere un effettivo incremento patrimoniale, in capo al soggetto che tragga da esso la disponibilità economica necessaria per il pagamento della imposta. La presenza degli elementi della organizzazione è stata quindi caricata dal legislatore di un’autonoma valenza contributiva. In altri termini con l’introduzione dell’IRAP si è passati da un prelievo personalizzato sul contribuente (imposta personale sui redditi) ad un prelievo alla fonte.

La decisione della Corte Costituzionale (sentenza n. 156 del 10 maggio 2001) ha rinviato, in assenza di indicazioni specifiche al riguardo nella legge istitutiva dell’IRAP circa la identificazione degli elementi essenziali dell’autonoma organizzazione, ad un accertamento rimesso al giudice di merito, che volta per volta individuerà se in concreto sussiste una adeguata “organizzazione” e se quindi l’imposta di cui si dice deve esser applicata o meno. La sentenza in altri termini contiene una vero e propria delega al giudice di merito diretta a stabilire, di volta in volta, se i mezzi predisposti per l’esercizio di un’attività artistica o professionale siano da considerarsi, nel loro insieme, quali elementi di un’autonoma organizzazione (che la Corte è chiara nel ravvisare nell’impiego esclusivo dei fattori della produzione, capitale e lavoro).

Questa Commissione ha individuato il proprium organizzativo che giustifica la imposizione nell’apprestamento di elementi organizzativi che valgano ad esaltare la capacità di lavoro e guadagno del professionista, ancorché operante nell’ambito di professioni regolamentate o protette. Per “organizzazione” meglio, per “attività organizzata”) deve intendersi l’insieme degli apprestamenti, strumentali i personali, che si pongano in funzione del migliore espletamento della attività del professionista consentendogli di realizzarla in modo maggiormente produttivo e di ottimizzarla (in effetti la comune esperienza insegna che ancorché determinate attività, e specialmente quelle “protette”, presuppongano l’intervento personale del professionista, nondimeno questa potrà esplicarsi a livelli qualitativo – quantitativi più elevati ove egli abbia un significativo supporto di strumentazione e di collaborazione; non a caso anche con riferimento agli Studi professionali comincia a diffondersi la esigenza di acquisire una “certificazione di qualità”, che non può non riferirsi a fattori organizzativi dello Studio stesso).

In tale ottica appare decisamente riduttivo connettere la rilevanza dell’organizzazione al solo profilo quantitativo dei beni strumentali, di cui si avvale il professionista. E’ necessario quindi non limitare la attenzione al mero dato del valore monetario di questi (una singola macchina potrebbe essere particolarmente costosa ma costituire l’unico supporto tecnico del professionista), ma andare a valutare la qualità, la varietà, la complessità con la quale i vari fattori della produzione siano combinati tra loro ed “organizzati”.

Egualmente occorre rifuggire dall’errore di valutare, ai fini della sussistenza dell’elemento organizzazione, esclusivamente l’importanza dell’opera di lavoratori dipendenti, escludendo la considerazione della importanza di eventuali collaboratori esterni (magari a loro volta liberi professionisti, compensati “su fattura”). Appare infatti, per i fini della presente indagine, sostanzialmente equivalente che taluno organizzi il proprio lavoro avvalendosi di collaboratori “esterni” piuttosto che “interni”, identica essendo la esigenza che con ciò si mira a soddisfare ed identico essendo l’effetto dell’una o dell’altra forma; affinché si realizzi il presupposto d’imposta l’apporto di tali soggetti deve inserirsi stabilmente e in modo continuativo nell’attività del libero professionista (così, per esemplificare, uno studio tecnico potrà decidere di avvalersi stabilmente della collaborazione di altri professionisti “coordinati” anziché associati o di tecnici dipendenti, senza che ciò contraddica alla realtà di una forma di organizzazione complessa dello Studio medesimo).

In conclusione se, invero, non sorgono perplessità ad escludere la soggettività passiva ai fini IRAP del lavoratore autonomo che non abbia dipendenti, che non abbia effettuato significativi investimenti in beni strumentali, che non si avvalga di collaboratori esterni, che sfrutti l’organizzazione e la struttura dei propri clienti, non può escludersi con altrettanta certezza l’applicabilità dell’imposta nel caso in cui il lavoratore autonomo si giovi di un quid pluris derivante dal contesto professionale in cui svolge la propria attività. Il fatto di contare stabilmente sull’apporto di soggetti qualificati, che intervenga anche solo per una frazione nel processo di formazione del risultato finale, potenzia l’attività personale del lavoratore autonomo in termini di efficacia, migliora quindi la produttività del lavoro e in ultimo non può che produrre quella ricchezza aggiuntiva, oggetto dell’IRAP.

Le argomentazioni difensive svolte dall’Ufficio sul punto non paiono sufficientemente persuasive e non inducono quindi la Commissione a mutare la sua giurisprudenza.

Passando alla disamina della fattispecie concreta ed alla valutazione delle peculiarità di essa si osserva che l’esame delle somme oggetto di richiesta di rimborso denota in modo inequivocabile la sostanziale inesistenza di una struttura organizzativa del professionista, idonea a produrre una quota di reddito prescindendo dalla sua attività personale. La disamine delle dichiarazione dei redditi e dei beni ammortizzabili evidenzia infatti la proprietà di quei beni che appaiono indispensabili per qualunque attività libero professionale, anche svolta in piena ed effettiva “solitudine” (è noto che i medici di base debbano compensare chi li sostituisca durante il periodo feriale, cosa che appare essere avvenuto, verificando i documenti in atti, senza quindi che i compensi pagati a terzi a tale titolo possano essere interpretati come indice di una “struttura organizzata” del lavoro, nel senso sopra descritto).

Ciò giustifica l’accoglimento del ricorso.

Stante l’ormai consolidata linea giurisprudenziale di questa Commissione all’accoglimento del ricorso deve accompagnarsi l’applicazione del principio della soccombenza; le spese di giudizio sono liquidate nel dispositivo, in assenza di nota spese.

P.Q.M.

La Commissione accoglie il ricorso. Condanna parte resistente al pagamento delle spese di lite, quantificate in complessivi Euro 600,00 oltre accessori come per legge.