La difettosa tenuta della cartella clinica da parte dei sanitari non può pregiudicare sul piano probatorio il paziente cui anzi -in ossequio al principio di vicinanza della prova- è dato ricorrere a presunzioni se sia impossibile la prova diretta a causa del comportamento della parte contro la quale doveva dimostrarsi il fatto invocato. Tali principi operano non solo ai fini dell’accertamento dell’eventuale colpa del medico, ma anche in relazione alla stessa individuazione del nesso eziologico fra la sua condotta e le conseguenze dannose subite dal paziente

E’ evidente come nell’operazione in esame ( tiroidectomia) centralità per la correttezza della procedura esecutiva risiedeva proprio nell’individuazione in sede ed isolamento dei nervi laringei prima della eradicazione della ghiandola tiroidea, e ciò proprio al fine di scongiurare quel rischio seppur minimo (2%) di lesione delle corde vocali infatti occorsa.

Di tale preliminare e imprescindibile attività da effettuarsi dopo l’incisione e prima della escissione, nella cartella clinica non vi è traccia sebbene come indicato dal ctu sia prassi per gli operatori fornirne indicazione nella descrizione di intervento.

Al contrario nella scheda di intervento viene riportata dal chirurgo la incisione, la repertazione e la eradicazione, senza alcuna descrizione della ricerca/individuazione dei nervi e isolamento degli stessi.

Questa grave omissione descrittiva non consente affatto di ritenere che tale procedura sia stata invece eseguita tanto che è effettivamente occorso il rischio della lesione.

Come poi chiarito dal ctu il mancato isolamento dei nervi determina un aumento del rischio di lesione (20%), pericolo che non può certamente gravare sul paziente.

 

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Trib. Roma Sez. XIII, Sent., 01-02-2018

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE ORDINARIO DI ROMA

XIII SEZIONE CIVILE

Il giudice d.ssa Maria Lavinia Fanelli ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile iscritta al n. R.G. 44335/13, promossa

DA

V.C. – C.F. (…)

elettivamente domiciliata in Roma, Via Vito Giuseppe Galati n. 16, presso lo studio degli avv.ti Maria Moscogiuri e Valeria Cassaro , rappresentanti e difensori in virtù di mandato a margine dell’atto di citazione

ATTRICE

CONTRO

G.F. – C.F. (…)

elettivamente domiciliato in Roma, Via Muzio Clementi n. 48, presso lo studio degli avv.ti Pieremilio Sammarco e Rosalba Carmen Bitetti, rappresentanti e difensori giusta procura in calce della comparsa di costituzione e risposta

CONVENUTO

E

C.C. s.r.l. – P.I. (…)

elettivamente domiciliata in Roma, Via della Croce n. 44, presso lo studio dell’avv. Ernesto Grandinetti, rappresentante e difensore giusta delega in calce all’atto di citazione notificato

CONVENUTA

NONCHE’

A.M. s.p.a. – P.I. (…)

elettivamente domiciliata in Roma, Via Carlo Felice n. 89, presso lo studio dell’avv. Tiziano Mariani, rappresentante e difensore insieme con gli avv.ti Andrea Pellegrini e Simona Ferrari giusta procura a margine della comparsa di costituzione e risposta

TERZA CHIAMATA

Oggetto: risarcimento del danno da responsabilità professionale medica

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con atto di citazione ritualmente notificato C.V. evocava in giudizio dinnanzi a questo Tribunale il Dott. F.G. nonché la C.C. s.r.l. per sentirli condannare al risarcimento dei danni subiti a seguito dell’intervento di tiroidectomia totale eseguito sulla persona dell’attrice in data 13.10.2010.

Parte attrice deduceva che: a seguito di un primo contatto con il G. in data 24.09.2010 nel quale era stata sottoposta a ecografia tiroidea deponente per un ingrossamento dei lobi tiroidei, una diffusa accentuazione della vascolarizzazione globale della ghiandola nonché presenza di linfonodi le era stata diagnosticata una forma di tireopatia cronica; nonostante dalle analisi del sangue pre operatorie era emerso uno stato di infiammazione -ves alta- il G. aveva proceduto in data 13.10.2010 presso la C.C. s.r.l. all’intervento di tiroidectomia totale al cui risveglio l’attrice si era ritrovata in stato di arresto respiratorio; dagli esami specifici successivi si era evidenziata la presenza di un edema interessante tutte le mucose fino alle corde vocali con ipomobilità bilaterale; nonostante le evidenti complicanze post operatorie – gravi difficoltà respiratorie dovute a stenosi laringea, forte dispnea con problemi di afonia – la V. era stata precocemente dimessa in data 23.10.2010; atteso il perdurare delle complicazioni in data 3.11.2010 l’attrice si era rivolta al Policlinico Umberto I ove riscontrata la paralisi dovuta alla lesione dei nervi era stata sottoposta ad intervento di tracheotomia III anello tracheale. Parte attrice sosteneva alla luce dell’assenza delle lesioni ricorrenziali prima dell’intervento che era stata proprio l’errata manovra operatoria praticata dal sanitario – inesatta individuazione dei nervi interessati e lesione degli stessi- a causare i danni oggi lamentati per i quali la paziente era stata costretta a sottoporsi a un travagliato iter operatorio presso altri nosocomi segnato da successivi interventi protrattisi sino al 2012 che le hanno causato allo stato una invalidità civile al 67% riconosciuta dalla Azienda U. R. B. Lamentava infine la mancata informazione circa la possibilità di emendare al problema iniziale attraverso terapie alternative al trattamento chirurgico.

Chiedeva pertanto la condanna dei convenuti in solido al pagamento dei danni quantificati complessivamente in Euro 711.713,00 con vittoria di spese da distrarsi.

Si costituiva il Dottor F.G. sostenendo in primis la corretta scelta del trattamento chirurgico anche alla luce delle condizioni della paziente al momento del ricovero la quale dopo essere stata in cura per ben 5 anni da altro specialista a causa dei problemi di dispnea e disfagia si era rivolta infine al G. con una diagnosi di gozzo tiroideo multinodulare che avrebbe reso particolarmente difficile l’individuazione di eventuali formazioni maligne tramite esame istologico ed eventuali terapie alternative al trattamento chirurgico per il quale peraltro aveva prestato adeguato consenso. Riguardo le concrete modalità tecnico-operative rivendicava l’assoluta correttezza delle stesse in relazione alle linee guida – come confermato dalla revisione del pezzo istologico asportato richiesta dal G. ove non si erano evidenziate lesioni di alcuna sorta – sostenendo inoltre come laddove si fosse verificata un danno la paralisi sarebbe dovuta insorgere immediatamente e non progressivamente come nel caso de quo contestando inoltre la mancata allegazione da parte della V. di prove atte a dimostrare il nesso di causalità.

Chiedeva pertanto preliminarmente l’autorizzazione alla chiamata in causa dell’A.M. ai fini della manleva; in via principale il rigetto della domanda attorea.

Si costituiva la C.C. sostenendo il corretto operato del chirurgo in merito alla scelta e all’esecuzione dell’intervento nonché l’assenza di prova di parte dell’attrice circa il nesso di causalità tra l’operazione e i danni lamentati anche in considerazione delle pregresse patologie della stessa.

Chiedeva pertanto il rigetto della domanda attorea; in via subordinata l’accertamento delle rispettive quote di responsabilità.

Si costituiva l’A.M. s.p.a. associandosi nel merito alle difese spiegate dal proprio assicurato e sostenendo in riferimento al rapporto assicurativo l’inoperatività della polizza in questione per violazione dell’art. 18 c.g.a. relativo al consenso informato e in ogni caso l’operatività della stessa solo a secondo rischio.

Concludeva chiedendo in via principale il rigetto della domanda di manleva eventualmente proposta dalla Casa di Cura nei confronti del G.; sempre in via principale il rigetto della domanda attorea; in via subordinata in caso di riconoscimento di profili di responsabilità la dichiarazione di una responsabilità quantomeno solidale della clinica; in ogni caso la dichiarazione di inoperatività della polizza per le ragioni spiegate; l’ulteriore accertamento subordinato della ripartizione del rischio; in gradato subordine la violazione dell’obbligo di salvataggio ex art. 1914 c.c.; infine la sussistenza dei limiti e delle esclusioni in relazione alla copertura assicurativa.

La causa -istruita con la produzione documentale e la c tu medico legale- veniva infine trattenuta in decisione sulle conclusioni rassegnate dalle parti in data 2.11.17 con la concessione dei termini ex art. 190 c.p.c..

Nel merito la domanda è in parte fondata e deve accogliersi nei termini che seguono.

Giova premettere che ai fini della configurabilità della responsabilità medica invocata a sostegno dell’avanzata pretesa risarcitoria è necessario dimostrare che il sanitario della casa di cura evocata non abbia rispettato il dovere di diligenza su di loro incombente in relazione alla specifica attività esercitata ex art. 1176 comma 2 c.c.

Di tale eventuali errori è chiamata senz’altro a rispondere anche la struttura sanitaria trattandosi di operato dei propri ausiliari necessari ex art. 1228 c.c. Ne consegue che la clinica è chiamata a rispondere sia dei pregiudizi eziologicamente ricollegabili alle proprie inadempienze specifiche latu sensu alberghiere che a quelle eventualmente imputabili all’operato dei propri medici, ancorché non legati alla stessa da vincolo di lavoro subordinato (Cass. n.13953/07, Cass.n. 8826/07, Cass. n.1620/12).

A prescindere poi dalla qualificazione dell’obbligazione medica come di mezzi o di risultato, e della qualificazione della responsabilità del sanitario come extracontrattuale ovvero contrattuale per “contatto sociale” tra il paziente ed il sanitario nonché la struttura ove lo stesso si trova ad operare, occorre che venga provato l’inadempimento o l’inesatto adempimento del medico.

La giurisprudenza della Suprema Corte ha chiarito come debba essere ripartito l’onere probatorio tra le parti: incombe infatti in ossequio al principio di vicinanza della prova sul danneggiato l’onere di allegazione dell’inadempimento del medico, ovvero dell’inesattezza dell’adempimento dovuta a negligenza o imperizia, mentre grava sul sanitario provare il proprio esatto adempimento e dunque la mancanza di colpa nell’esercizio della prestazione. (Cass.n. 11488/04).

In particolare il paziente deve provare l’esistenza del contatto e allegare l’inadempimento consistente nell’aggravamento della situazione patologica o nell’insorgenza di nuove patologie per l’effetto dell’intervento, ovvero il nesso causale; mentre resta a carico del sanitario o dell’ente ospedaliero la prova della diligenza della prestazione e che gli eventuali esiti peggiorativi siano stati determinati da un evento imprevisto ed imprevedibile, non evitabile anche avendo osservato le regole tecniche del caso. (Cass n.12274/11).

Orbene nel caso in esame parte attrice ha dimostrato per tabulas il titolo da cui emerge l’obbligazione dei convenuti, ovvero la circostanza dell’intervento tirodectomia totale eseguito in data 13.10.10 dal dott. G. su diagnosi di tiroide cronicizzata (all. 2 citaz ).

Ha altresì allegato nelle immediatezze del post operatorio l’insorgenza di un arresto respiratorio ed edema diffuso sino alle corde vocali risultate ipomobili (all. 2 citaz.).

Ha allegato poi la persistenza di disturbi respiratori ovvero dispnea nonché disfonia e disfagia per liquidi, tanto da doversi recare presso diverse strutture ospedaliere ove sottoposta a tracheotomie -rimosse definitamene a seguito di vari interventi-e riscontrata paralisi ricorrenziale bilaterale delle corde vocali per lesione dei nervi laringei (doc.3,4,7,12,14,18,20,21,22 citaz.).

Ha infine dedotto come i postumi reliquati -consistenti in disfonia e disfagia- siano ricollegabili all’operato medico, per avere intempestivamente proceduto all’intervento pur in presenza di processo infiammatorio in corso come da analisi eseguite e per avere operato senza precedentemente individuare ed isolare i nervi laringei.

D’altra parte i convenuti hanno dedotto la correttezza del loro operato, deducendo come parte degli esiti fossero già preesistenti.

Ciò premesso la ctu medico legale unitamente ai chiarimenti del ctu in udienza-analitica nella valutazione della documentazione clinica e approfondita all’esame obiettivo- ha consentito al Tribunale di accertare alcune censure nell’operato medico.

Occorre preliminarmente evidenziare nel caso di specie che in tema di responsabilità medica la difettosa tenuta della cartella clinica da parte dei sanitari non può pregiudicare sul piano probatorio il paziente cui anzi -in ossequio al principio di vicinanza della prova- è dato ricorrere a presunzioni se sia impossibile la prova diretta a causa del comportamento della parte contro la quale doveva dimostrarsi il fatto invocato. Tali principi operano non solo ai fini dell’accertamento dell’eventuale colpa del medico, ma anche in relazione alla stessa individuazione del nesso eziologico fra la sua condotta e le conseguenze dannose subite dal paziente (Cass. 6209/16).

Ebbene è evidente come nell’operazione in esame centralità per la correttezza della procedura esecutiva risiedeva proprio nell’individuazione in sede ed isolamento dei nervi laringei prima della eradicazione della ghiandola tiroidea, e ciò proprio al fine di scongiurare quel rischio seppur minimo (2%) di lesione delle corde vocali infatti occorsa.

Di tale preliminare e imprescindibile attività da effettuarsi dopo l’incisione e prima della escissione -data presuntivamente per scontata dal ctu a chiarimenti (crd verbale udienza del 31.0316)- nella cartella clinica non vi è traccia sebbene come indicato dal ctu sia prassi per gli operatori fornirne indicazione nella descrizione di intervento.

Al contrario nella scheda di intervento viene riportata dal chirurgo la incisione, la repertazione e la eradicazione, senza alcuna descrizione della ricerca/individuazione dei nervi e isolamento degli stessi.

Ebbene questa grave omissione descrittiva non consente affatto -contrariamente a quanto scientificamente adombrato dal ctu a chiarimenti secondo cui senz’altro i nervi sarebbero stati isolati altrimenti non sarebbe stato possibile eradicare la ghiandola- di ritenere che tale procedura sia stata invece eseguita tanto che è effettivamente occorso il rischio della lesione allo stato non semplicemente ritenibile uno stupor attesi i postumi reliquati nell’immediatezza (edema esteso su tutta la mucosa fino alle corde vocali e ipomobilità corde vocali all 2 citaz fibolaringoscopia del 15.10.10).

Come poi chiarito dal ctu il mancato isolamento dei nervi determina un aumento del rischio di lesione (20%), pericolo che non può certamente gravare sul paziente.

Non può dunque allo stato non ritenersi -attesa la lacunosità della cartella sul punto come sopra motivato- come sia molto più probabile che non che gli esiti disfunzionali respiratori (nell’immediato tanto da somministrare cortisone e poi emendati a seguito di diversi interventi) e vocali (riscontro immediato di edema e ipomobilità delle corde vocali) siano dipesi da una non corretta esecuzione della procedura come da scheda d’intervento in cartella (doc.2 citaz.).

A ciò si aggiunga che alla sig.ra V. non sono state prospettati adeguatamente i rischi/complicanze collegati all’intervento, essendo in cartella presente un modulo prestampato di consenso assolutamente carente e aspecifico senza alcuna indicazione delle possibilità teraupetiche – trattandosi comunque di un intervento in elezione- e dei pericoli connessi.

Ne consegue che -in violazione dell’obbligo di informazione gravante sui sanitari- alla paziente è stata sottratta una possibilità di scelta consapevole (Cass. n.24074/17).

Per quanto sopra il dott G. e la C.C. – responsabili ciascuno al 50% nel lato interno dell’obbligazione-debbono risarcire in solido i danni cagionati all’attrice.

Con riferimento al danno biologico la ctu ha correttamente individuato nella misura del 40% il grado di invalidità permanente.

Invero all’esame obiettivo permangono esiti eziologicamnete ricollegabili all’intervento non solo di disfonia modesta, ma anche di disfunzionalità respiratoria con distress per utilizzo dei muscoli respiratori accessori sternocleidomastoidei (seppur a seguito di laser e tracheotomie si è ricostituito uno spazio respiratorio sufficiente) e di saltuaria disfagia (allo stato non preesistenti in quanto non vi è traccia degli stessi in anamnesi), nonchè esiti cicatriziali non normalmente attendibili giacchè ricollegabili alle tracheotomie subite e necessarie per emendare le complicanze.

A ciò debbono aggiungersi 143 gg di ita indicati in perizia tenuto conto dei necessari ricoveri per interventi volti ad emendare i pregiudizi residuati dal 1 intervento (13.10.10 fino al 12.04.12= 547 gg di cui 100 gg circa in ospedale nei 10 ricoveri cfr. all.2,3,7,12,14,18,19,20,21,22,23 citaz) e di gg 200 di itp al 75% considerati i tempi in malattia intermedi tra i ricoveri ed i tempi necessari per il verosimile parziale recupero delle condizioni cliniche.

Ai fini della liquidazione del danno, si fa riferimento alle tabelle in uso presso il Tribunale di Roma come indice di riferimento dedotto dal tenore delle pronunce effettivamente emesse -aggiornate all’anno 2017- considerata l’età dell’attrice all’epoca dell’intervento (ottobre 2010), ossia 48 anni, deve riconoscersi dovuto l’importo complessivo di Euro206.256,00.

Il danno non patrimoniale così calcolato deve essere personalizzato in ossequio all’insegnamento ultimo della Corte di Cassazione che con la pronuncia a Sezioni Unite n. 26972.08 ha inteso -superando definitivamente la nozione di danno morale soggettivo transeunte automaticamente legato al pregiudizio alla salute- ricondurre ad un’unitaria voce di danno tutti i pregiudizi non patrimoniali connessi alla lesione dell’integrità psicofisica del soggetto vittima di un illecito-sulla scorta dell’apprezzamento delle sofferenze concrete, valutate anche dal punto di vista relazionale ed esistenziale; si ritiene equo quindi maggiorare nel caso in esame il danno biologico complessivo in misura pari al 30%,per un totale pari ad Euro268.132,00 (tenuto conto nel caso di specie delle inevitabili ripercussioni sulla vita sociale/relazionale, dei riflessi psicologici della propria condizione limitativa)

Pertanto la somma complessiva risarcibile ammonta di Euro268.132,00.

A ciò va certamente aggiunto il danno patrimoniale derivato dalla perdita del posto di lavoro a seguito di licenziamento per superamento del periodo di comporto (all. 16 citaz.) quantificato equitativamente in Euro10.000,00. non avendo parte attrice abbia allegato la sua attività di commessa senza fornirne adeguata prova (contratto di lavoro/decorrenza/buste paga).

Inoltre attesa la disfonia seppure di grado lieve residuata e la capacità respiratoria ridotta deve ritenersi come ciò incida sulla capacità lavorativa specifica della paziente nella misura del 50%, potendo la stessa attendere oggi solo ad occupazioni che non implichino sforzi -attesa la inficiata funzionalità respiratoria- ovvero attività relazionali e di comunicazione – attesa l’incisa capacità vocale.

Dunque dovendosi applicare come parametro di riferimento il triplo della pensione sociale -in assenza appunto di documentazione comprovante la specifica professionalità della attrice- ovvero l’importo di Euro15.000,00 (17.667,00 al netto forfetario delle imposte) per la rendita vitalizia come da R.D. n. 1403 del 1922 in corrispondenza dell’età per un importo di Euro110.967,43 (50%).

Va poi aggiunto il rimborso delle spese mediche documentate, inerenti e necessarie per gli interventi successivi (all. 8,9,10,11,citaz) pari ad Euro6.429,87.

Sul totale di Euro395.529,3 oltre alla rivalutazione del credito, già determinato nel suo complessivo ammontare ai valori attuali è dovuto inoltre il danno da lucro cessante (dovendosi in tal senso interpretare la domanda relativa agli interessi sulla somma capitale rivalutata) conseguente alla mancata disponibilità della somma dovuta per il periodo intercorso dalla data del fatto lesivo (ottobre 2010) alla presente decisione, consistente nella perdita di frutti civili che il danneggiato avrebbe potuto ritrarre -ove la somma fosse stata corrisposta tempestivamente- dall’impiego dell’equivalente monetario del valore economico del bene perduto, con l’attribuzione di interessi a un tasso non necessariamente coincidente con quello legale ( Cass. Sez. Un. 1712/95 , Cass.n. 10300/01; n.18445/05 ).

Tale danno deve essere liquidato applicando i criteri di cui alla sentenza della Corte di legittimità per cui -posto che la prova del lucro cessante può essere ritenuta anche sulla base di criteri presuntivi ed equitativi- è “consentito calcolare gli interessi con riferimento ai singoli momenti (da determinarsi in concreto, secondo le circostanze del caso) con riguardo ai quali la somma equivalente al bene perduto si incrementa nominalmente, in base agli indici prescelti di rivalutazione monetaria, ovvero mediante un indice medio”.

A tale orientamento il Giudicante ritiene di doversi allo stato adeguare, prendendo a base del calcolo -stante la sostanziale equivalenza del risultato- la semisomma dei due valori considerati (valore del residuo risarcimento dovuto all’epoca del sinistro e valore attuale), e applicando sulla stessa il tasso medio del rendimento dei titoli di Stato (usuale modalità di impiego del risparmio da parte delle famiglie italiane), poiché nel periodo in questione (fatto -decisione) il rendimento medio di tali investimenti è stato superiore a quello medio degli interessi legali nello stesso periodo (cfr. Cass. SU n. 19499/08).

Riassumendo in applicazione di tali principi l’importo dovuto per lucro cessante calcolato sul totale è pari ad Euro50.985,00 per un totale dovuto quindi pari ad Euro446414,3 oltre interessi legali dalla data della pubblicazione della sentenza al saldo.

Per quanto sopra G.F. e la C.C. srl sono condannati in solido al pagamento risarcitorio di Euro446.514,3 in favore di V.C..

Con riferimento alla domanda di garanzia azionata dal dott. G. la A.M. ha invocato la inoperatività richiamando il secondo rischio di cui all’art. 16 delle condizioni generali. Tuttavia nel caso di specie la Compagnia ha solo allegato ma non provato la sussistenza di una garanzia a primo rischio stipulata dalla casa di cura in favore del personale sanitario, nè a tale carenza poteva supplire il Tribunale con un ordine di esibizione alla clinica così come sollecitato dalla assicurazione giacchè -in assenza di un principio di prova documentale- sarebbe stata di natura meramente esplorativa.

Ancora è infondata la eccezione di merito di inoperatività per mancanza di copertura in caso di violazione del consenso informato, poiché il richiamato art. 18 delle condizioni generali esclude il risarcimento derivante “esclusivamente” da tale inadempimento: al contrario nel caso di specie la violazione dell’obbligo informativo è solo una delle censure addebitabili ai convenuti.

Per quanto sopra la M. è chiamata a tenere indenne il dott. G. per la suo quota di responsabilità.

Spese di lite secondo soccombenza.

Spese di ctu definitivamente a carico dei convenuti in solido.

P.Q.M.

definitivamente pronunciando, disattesa ogni contraria istanza, eccezione e deduzione:

-accoglie la domanda attorea e per l’effetto condanna G.F. e la C.C. srl in solido al pagamento risarcitorio in favore di V.C. di Euro446.514,3 oltre interessi legali dalla data della pubblicazione della sentenza al saldo;

-condanna in solido G.F. e la C.C. srl al pagamento delle spese di lite in favore di V.C. che liquida per le varie fasi processuali in Euro12.000,00 per esborsi ed Euro1.500,00 per spese oltre accessori come per legge da distrarsi;

-pone le spese di ctu definitivamente a carico in solido di G.F. e la C.C. srl;

-ripartisce in parti uguali nel lato interno dell’obbligazione la responsabilità tra G.F. e la C.C. srl;

-dichiara il diritto di G.F. ad essere manlevato dalla A.M. spa -per la propria quota di responsabilità- di quanto sarà chiamata a pagare in esecuzione della presente sentenza.

Così deciso in Roma, il 31 gennaio 2018.

Depositata in Cancelleria il 1 febbraio 2018.