Nell’ambito del lavoro pubblico, la Pubblica Amministrazione esercita il potere di organizzazione e gestione del rapporto di lavoro con la capacità ed i poteri del datore di lavoro privato, che è esclusivamente disciplinato dalle disposizioni del codice civile, delle leggi sul rapporto di lavoro subordinato nell’impresa e dei contratti collettivi, fatte salve le diverse disposizioni contenute nel D.Lgs. n. 165 del 2001″, pertanto, il diritto del dipendente ASL, avuto riguardo all’ipotesi del trasferimento, in mancanza di specifiche discipline recate dai contratti collettivi, non può che rapportarsi alla garanzia apprestata dal suddetto art. 2103 codice civile, comma 1, ultimo periodo con la conseguenza che il datore di lavoro non può trasferire il dipendente da un’unità produttiva ad un’altra se non per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive. [Avv. Ennio Grassini – www.dirittosanitario.net]

Cassazione Civile – Sezione Lavoro, Sent. n. 6687 del 19.03.2009

omissis

Svolgimento del processo

Con sentenza non definitiva n. 1706/2002 il Giudice del lavoro del Tribunale di Patti rigettava la domanda proposta da S. C. (dirigente veterinario – area X. ) nei confronti dell’AUSL n. X.  di Messina, diretta al riconoscimento della illegittimità del trasferimento dall’U.O. di X.  a quella di X. .

Avverso la detta sentenza proponeva appello il S. deducendo:

che il provvedimento impugnato, seppure aveva individuato i Comprensori di Sanità Pubblica Veterinaria dell’Azienda con la costituzione nell’ambito del Comprensorio Nebroideo delle UU.OO. di X. , aveva comunque dato luogo al suo trasferimento, incidendo sulla sua posizione soggettiva, per cui era soggetto alle regole della L. n. 241 del 1990, art. 7;

che il primo giudice non aveva adeguatamente valutato la circostanza che neanche ex post egli era stato informato dell’adottato provvedimento e che egli era stato assegnato fino all’8/9/2000 in via provvisoria al Distretto di X. , privo di titolare;

che era stata altresì violata la legge sulla mobilità del personale, ed in specie il D.Lgs. n. 761 del 1979, art. 39 e D.P.R. n. 384 del 1990, art. 81, in quanto l’Azienda non aveva attivato la procedura di mobilità ordinaria, non aveva comunicato i posti disponibili, non aveva consentito la proposizione delle domande di trasferimento, non aveva proceduto ad alcuna valutazione comparativa delle stesse ovvero non aveva, nel caso di mobilità di ufficio, informato le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative e quindi stipulato gli accordi di mobilità;

che, inoltre, del tutto carente di motivazione era stato il provvedimento di trasferimento poiché non erano risultate affatto comprovate le ragioni tecniche, organizzative atte a giustificarlo (ed in specie non era risultato provato né un potenziamento dell’U.O. di X.  né un depotenziamento di quella di X. ), mentre, qualora fosse stata attivata una procedura di mobilità, egli non sarebbe stato certamente trasferito perché, tra l’altro, affetto da infermità dipendente da causa di servizio;

che, infine, il primo giudice non aveva valutato la dequalificazione professionale operata con l’impugnato trasferimento.

L’AUSL n. X.  di Messina, dal canto suo, si costituiva e resisteva al gravame, deducendo la inapplicabilità nella fattispecie della L. n. 241 del 1990, art. 7, nonché della normativa invocata dal S., trattandosi non di trasferimento bensì di assegnazione provvisoria a seguito della riorganizzazione del settore in sede di prima applicazione della riforma.

La appellata faceva inoltre presente che l’assegnazione dell’appellante all’UO di X.  era stata motivata dalla necessità di potenziare la dotazione organica dirigenziale della predetta U.O. in considerazione del più rilevante carico di lavoro che gravava sulla stessa rispetto a quella di X.  (portando così l’organico da 5 a 7 unità e lasciando l’organico di X.  invariato) ed evidenziava, comunque, la legittimità del comportamento di essa Azienda che aveva scelto il S. perché, di fatto, l’unico disponibile. Deduceva, infine, la inammissibilità della domanda di demansionamento e delle richieste istruttorie non formulate in primo grado.

La Corte di Appello di Messina, con sentenza depositata il 14/9/2004, rigettava l’appello e compensava le spese.

In sintesi, ritenuta la inapplicabilità nella fattispecie della L. n. 241 del 1990, art. 7, affermava che nella specie risultavano comprovate le ragioni tecnico-organizzative del trasferimento e rilevava che il preteso demansionamento non era stato affatto dedotto nell’atto introduttivo ma era stato sollevato soltanto in sede di discussione finale.

Per la cassazione della detta sentenza ha proposto ricorso il S. con due motivi.

La AUSL n. X.  di Messina ha resistito con controricorso.

Il S. ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

Con il primo motivo il ricorrente, denunciando violazione e falsa applicazione della L. n. 241 del 1990, art. 7 e vizi di motivazione, in sostanza deduce che la Corte di Appello “avrebbe dovuto rilevare come il trasferimento del ricorrente – ancorché conseguente ad un atto di natura organizzativa a carattere generale non soggetto all’obbligo di comunicazione – aveva effetti sostanziali di modifica del rapporto di lavoro del dipendente e per questo andava preceduto dall’avviso dell’avvio del procedimento”.

In specie, peraltro, la violazione dell’art. 7 citato non era stata eccepita con riferimento alla Delib. 18 luglio 2000, n. 5066 (che tra l’altro prevedeva la istituzioni di quattro comprensori), bensì con riguardo “all’atto di trasferimento vero e proprio” (Delib. 8 agosto 2000, n. 5779), in relazione al quale esso dipendete era stato tenuto all’oscuro (continuando, del resto, a prestare il proprio servizio presso il Distretto di X.  dove era stato assegnato provvisoriamente).

Il motivo è infondato.

Sulla prima delibera e sul relativo carattere organizzativo a contenuto generale, non soggetto all’obbligo di comunicazione di cui alla L. n. 241 del 1990, art. 7, in sostanza non vi è censura da parte del ricorrente.

Sulla seconda delibera, il ricorrente in sostanza lamenta che la Corte di merito non ha considerato autonomamente tale atto di trasferimento.

Sul punto osserva il Collegio che, pur trattandosi di atto autonomo che incideva direttamente sul rapporto di lavoro del S., come tale non suscettibile di essere valutato alla stessa stregua dell’atto generale presupposto, comunque esso non era soggetto all’invocato obbligo di comunicazione dell’avvio del procedimento.

Come questa Corte ha più volte affermato “le norme della legge n. 241 del 1990 sul procedimento amministrativo riguardano i procedimenti strumentali alla emanazione da parte della P.A. di provvedimenti autoritativi destinati ad incidere sulle situazioni giuridiche soggettive dei destinatari dei medesimi, caratterizzati dalla situazione di preminenza dell’organo che li adotta, e non sono perciò applicabili agli atti concernenti il rapporto di lavoro (privatizzato) alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, i quali sono adottati nell’esercizio dei poteri propri del datore di lavoro privato, connotati dal potere di supremazia gerarchica, ma privi dell’efficacia autoritativa propria del provvedimento amministrativo” (cfr. Cass. 16/5/2003 n. 7704, Cass. 28/7/2003 n. 11589, Cass. 2/4/2004 n. 6570, Cass. 18/2/2005 n. 3360, nonché Cass. 17/9/2008 n. 23741).

In tali sensi (e correggendosi in parte de qua la motivazione dell’impugnata sentenza, ex art. 384 c.p.c.), il motivo va respinto, essendo comunque inapplicabile nella fattispecie la L. n. 241 del 1990, art. 7.

Con il secondo motivo il ricorrente denunciando violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 761 del 1979, art. 39 e D.P.R. n. 384 del 1990, art. 81, nonché vizi di motivazione anche in ordine alle richieste istruttorie avanzate da esso appellante, in sostanza lamenta che la Corte di Appello con una motivazione “assolutamente insufficiente” nemmeno ha sfiorato la questione della violazione delle dette norme in materia di “Trasferimenti nell’ambito dell’unità sanitaria locale” e di “Mobilità nell’ambito dell’Ente” ed altresì neppure ha motivato in ordine al mancato accoglimento delle richieste istruttorie.

Anche tale motivo non merita accoglimento.

Posto che la sentenza impugnata ha affermato che nella fattispecie si è trattato di un “trasferimento” e che tale punto della decisione non è stato oggetto di censura (in mancanza, peraltro, di ricorso incidentale della AUSL), osserva il Collegio che legittimamente la Corte di Appello ha valutato la legittimità del trasferimento de quo in base all’art. 2103 c.c..

Ai sensi, infatti del D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 72, comma 1, come sostituito dal D.Lgs. n. 546 del 1993, art. 36, nel testo all’epoca vigente, “le norme generali e speciali del pubblico impiego, vigenti alla data di entrata in vigore del presente decreto e non abrogate” “sono inapplicabili a seguito della stipulazione dei contratti collettivi disciplinati dal presente decreto in relazione ai soggetti in relazione ai soggetti e alle materie dagli stessi contemplati” e “cessano in ogni caso di produrre effetti dal momento della sottoscrizione, per ciascun ambito di riferimento, del secondo contratto collettivo previsto dal presente decreto” (vedi ora D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 69, in base al quale “tali disposizioni sono inapplicabili a seguito della stipulazione dei contratti collettivi del quadriennio 1994-1997, in relazione ai soggetti e alle materie dagli stessi contemplati” e “cessano in ogni caso di produrre effetti dal momento della sottoscrizione, per ciascun ambito di riferimento, dei contratti collettivi del quadriennio 1998-2001”).

Orbene le norme invocate dal ricorrente (D.Lgs. n. 761 del 1979, art. 39 e D.P.R. n. 384 del 1990, art. 81), seppure da ritenere applicabili anche dopo la sottoscrizione del contratto collettivo 1994-1997, non risultando indicate nello specifico Allegato B del D.Lgs. n. 165 del 2001 (che pur richiama altri articoli degli stessi testi normativi), certamente hanno cessato “in ogni caso di produrre effetti” con la sottoscrizione del secondo contratto collettivo, relativo al quadriennio 1998-2001 (nella specie ccnl Area dirigenza medica e veterinaria del SSN del 8/6/2000).

Peraltro, all’epoca, il contratto collettivo nazionale disciplinava la “mobilità volontaria dei dirigenti tra le aziende e tutti gli enti del comparto -anche di Regioni diverse” (v. art. 20) ed il “comando” (v. art. 21), ma non anche la materia della mobilità interna e dei trasferimenti.

Pertanto, con riferimento al trasferimento de quo (del 8/8/2000), legittimamente la Corte di merito non ha applicato nella fattispecie le norme citate, bensì l’art. 2103 c.c..

In tal modo la Corte d’Appello si è attenuta al principio affermato da questa Corte, in base al quale, “nell’ambito del lavoro pubblico, la P.A. esercita il potere di organizzazione e gestione del rapporto di lavoro con la capacità ed i poteri del datore di lavoro privato, che è esclusivamente disciplinato dalle disposizioni del cod. civ., delle leggi sul rapporto di lavoro subordinato nell’impresa e dei contratti collettivi, fatte salve le diverse disposizioni contenute nel D.Lgs. n. 165 del 2001”, “pertanto, il diritto del pubblico dipendente, avuto riguardo all’ipotesi del trasferimento, in mancanza di specifiche discipline recate dai contratti collettivi, non può che rapportarsi alla garanzia apprestata dal suddetto art. 2103 c.c., comma 1, ultimo periodo (che non risulta derogato, per questa parte, dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52), con la conseguenza che il datore di lavoro non può trasferire il dipendente da un’unità produttiva ad un’altra se non per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive.” (v. Cass. 15/5/2006 n. 11103).

Nella specie, poi, la Corte di Appello, con motivazione congrua ed esente da vizi logici ha ritenuto che sussistessero in concreto le “comprovate ragioni tecnico-organizzative” ed il relativo accertamento di fatto resiste alla censura del ricorrente, che in sostanza si incentra soltanto sul vizio di motivazione in ordine alla mancata ammissione dei mezzi istruttori richiesti (“l’ammissione dell’interrogatorio formale del responsabile della U.O. di X. , Dr. G.A., sulle circostanze indicate” nel verbale 19/9/2001, “nonché del responsabile dell’U.0. di X. , e l’ammissione di prova testimoniale sugli stessi punti”).

Al riguardo innanzitutto deve rilevarsi che la censura non risulta autosufficiente, non essendo riportato testualmente nel ricorso in quali specifici termini siano state formulate in appello le richieste istruttorie in oggetto.

Peraltro osserva il Collegio che (dato pacifico) le richieste istruttorie de quibus sono state avanzate, in parte, soltanto nel corso del giudizio di primo grado ed in parte, come ha evidenziato in particolare la sentenza impugnata (con riferimento alla richiesta di interrogatorio formale del responsabile dell’U.O. di X. ) per la prima volta in appello (circostanza a ben vedere per nulla contestata dal ricorrente, che nel ricorso riferisce di aver richiesto nel corso del primo grado l’interrogatorio formale del solo responsabile dell’U.O. di X.  (v. pag. 6 del ricorso).

Legittimamente, quindi, la Corte Territoriale (seppure in modo non completamente esplicito) ha ritenuto tardive le dette richieste istruttorie.

Il ricorso va pertanto respinto.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese, in favore della resistente, liquidate in Euro 20,00 oltre Euro 2.500,00 per onorari, oltre spese generali, IVA e CPA. Così deciso in Roma, il 29 gennaio 2009.

Depositato in Cancelleria il 19 marzo 2009